Apri gli occhi
La
nebbia avvolgeva ogni cosa intorno a lei.
Le
impediva di vedere con chiarezza, costituiva un velo invalicabile
davanti ai
suoi occhi stanchi. Vivere – se quella era vita –
sembrava una lunga ed
estenuante camminata al buio, un’oscurità appena
rischiarata da pallidi e
incostanti raggi di sole, senza mai nessun mutamento rilevante.
Attendeva, con
la pazienza di chi ormai non ha più nulla da perdere, che
qualcuno la scuotesse
da quello stato di sonno sempiterno, consapevole di dover sopportare
una lunga
attesa.
Non avrebbe
saputo dire da quanto tempo stesse
aspettando.
Gli attimi si
susseguivano a velocità
incommensurabili.
Secondi, minuti,
ore.
Giorni, mesi,
anni.
Non riusciva a
contare.
Da
quanto tempo
dormiva?
«Sveglia Clara, sveglia.»
I frammenti di suono
assunsero man mano
significati più chiari, comprensibili anche dal nulla in cui
si consumava la
sua attesa: una radio che cercava, e infine trovava, la giusta
frequenza per
trasmettere le sue preghiere.
E lei le ascoltò.
Chi
era Clara? Chi era Clara? Era quello il suo nome?
E
d’improvviso Clara ricordò.
Ricordò
perché era lì, nel letto di un ospedale: una
lotta contro il torpore della
morte.
Ricordò
come fu portata lì, nel letto di un ospedale:
un’autoambulanza a sirene
spiegate.
Ricordò
cosa l’aveva costretta lì, nel letto di un
ospedale: un incidente stradale.
Lo scontro, la
botta, il trauma. La corsa disperata al pronto soccorso.
Quando i ricordi
tornarono, fu semplice per Clara
aprire gli occhi.
La luce,
finalmente, l’invase.
E Clara vide.