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Autore: piccolalettrice    05/05/2011    11 recensioni
"...Lo fissai sbalordito. Se diceva la verità eravamo in pericolo. Se diceva la verità allora tutti i miei attacchi erano colpa sua. Se diceva la verità Talia aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto. Se diceva la verità voleva dire che eravamo stati traditi di nuovo. Se diceva la verità tutte le cose successe negli ultimi tempi avevano trovato un’unica spiegazione: lui."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo intuendo'
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SPAZIO AUTRICE:
penultimo chappy!  13 pagine! Crampi alle mani!
... finita la premessa... buon giorno.
Parto dicendo che ho copiato spudoratamente l’ultima frase da, mi sembra, il secondo libro, ma secondo me ci stava perfettamente.
Poi... questo cap ha il mio inconfutabile (ma che parola è?!) marchio: la pioggia, un bel diluvio in grande stile!
Credo che questo cap possa essere digerito e piacere alle persone diabetiche e a quelle non (mi riferisco a te Jishiku, e scusa se ho sbagliato a scrivere il tuo nik, ma è un po’ difficile da ricordare XD)
Poi, vediamo... spero di avervi chiarito un po’ di dubbi con il terzo POV...
Ma ne rimangono altri, a cui risponderò nel seguito!
Inoltre sto sinceramente valutando l’idea di concludere così e far diventare l’ultimo cap l’epilogo, ma devo decidere...;)
Spero vi piaccia perché io mi sono davvero divertita a scriverlo, e magari recensite, perché sono gli ultimi cap e mi piacerebbe vedere un po’ di gente e non i fantastici cinque dello scorso cap (che ringrazio)... 
Buona lettura
Piccolalettrice
Ps. Ho scritto una robetta demenziale, se vi va perché non le date un’occhiata? Non ne vado fiera, ma mi piacerebbe sentire un po’ di pareriJ
 
 
23- Afrodite ci cova
 
“E adesso torniamo a noi, figlio di Hermes” il dio mi guardò negli occhi “ sto per prendere ciò che mi spetta” fece uno strano sorriso, al quale per poco non mi sentii mancare.
Stavo per morire.
Non avrei più rivisto la luce del sole, né quella della luna, né tantomeno quella dei suoi occhi.
Delle prime due potevo fare benissimo a meno, ma della terza...
Ecco cosa si prova a morire.
Non sapete cosa significa sentire che la vita sta per abbandonarti. È la consapevolezza del fatto che tra non meno di pochi secondi tu... cosa succederà? Non lo sai.
E ti ritrovi a pensare a quello che hai lasciato, perché sebbene sai che la morte è vicina tu non puoi far altro che aggrapparti ai ricordi, che sono l’unica cosa che ti impedisce di scappare, perché ci sei così perso da non riuscire a pensare ad altro, e lo sei di proposito, perché conosci te stesso e sai che se la realtà della situazione dovesse sbatterti contro tu cercheresti di fuggire, ma non puoi, e neppure vuoi,  farlo. E vai contro te stesso e tutto quello che sei per rimanere immobile.
Chiudi gli occhi perché non vuoi vedere, stringi i denti perché non vuoi urlare. Pensi, pensi e pensi perché è l’unica cosa che ti è concessa, che puoi fare.
I miei ricordi erano bellissimi, dolorosi, ma bellissimi.
Erano occhi blu enormi, troppo grandi per il viso minuto e spruzzato di lentiggini su cui giacevano, erano capelli neri spettinati che gli facevano da cornice, dita lunghe e affusolate che sfioravano le mie, e labbra piccole e delicate, sorprese, sconcertate ma, per il secondo più bello della mia vita, reali e sulle mie.
Erano la mia Talia.
La sua voce, il suo odore, tutto di lei.
Tenevo gli occhi chiusi, come a sigillare la porta tra sogno e realtà. Era difficile, ma presto sarebbe tutto finito.
Il cuore era a mille, ma la mente correva più veloce, cercando di ripescare tutti i ricordi che includessero lei. Li rivisitai tutti, mentre i secondi passavano.
 “addio, figlio di Hermes”
Era davvero la fine.
Sussurrai quelle parole che non ero mai riuscito a farmi uscire di bocca, le sussurrai all’aria viziosa degli Inferi, alla paura e al senso di vuoto, ma le sussurrai:
“Ti amo, Talia”
 
POV
 
Entrai nella sala correndo, incurante del bruciore alle gambe e al cuore che sembrava volesse uscirmi dal petto.
“NO!” urlai, ancora prima di vedere la scena macabra e terrorizzante che mi si stava parando davanti.
Ade, in piedi, la mano protesa verso il cuore di Luke, ad occhi chiusi, tremante, spaventato, ma ancora vivo.
La mano del dio si fermò a due centimetri dal figlio di Hermes, poi quegli occhi profondi e terribili incontrarono i miei, troppo sorpresi per permettere alla bocca di dire o al cervello di pensare qualcosa.
Corsi avanti e spinsi indietro Luke, che solo in quel momento sembrò accorgersi di me, sottraendolo al tocco mortale.
“Talia...”
“Figlia di Zeus” fece il dio, con la mano ancora protesa. “il tuo fegato è ammirevole”
“non lo tocchi” sibilai.
“sei una degna figlia di tuo padre”
“se prova a toccarlo giuro che...”
“cosa? Passerò le pene dell’inferno?” rise della sua battuta, mentre io continuavo a guardarlo con astio. “ora togliti”
Non mi mossi di un centimetro.
“figlia di Zeus... davvero, adesso smamma”
“se lei prova anche solo a...”
Gli puntai contro l’indice, combattendo con la voglia di prenderlo a cazzotti.
“cosa?” chiese, sornione. “a fare questo?”
Senza staccare gli occhi dai miei mosse la mano di scatto, sentii uno spostamento d’aria sopra l’orecchio sinistro e mi girai appena in tempo per vedere Luke che veniva scagliato contro il muro in fondo alla sala. Dopo un volo di parecchi metri.
“Luke!” lo raggiunsi correndo, il viso era pallidissimo, non sembrava cosciente.
Lo fissai per un secondo interminabile, con la mente azzerata. Non riuscivo nemmeno a pensare, tremavo di rabbia.
Mi alzai lentamente dal pavimento freddo, poi fissai Ade.
Un secondo dopo mi stavo scagliando su di lui, con il coltello che mi aveva lasciato Annabeth.
Il dio mi fissò solamente, inarcando un sopracciglio, e quando fui a mezzo centimetro dalla sua gola mi fermò il polso con un gesto repentino della mano.
Il suo tocco era ghiacciato come quello di un cadavere, mi parve che la pelle in quel punto morisse. Abbassai lo sguardo sul polso, e vidi la mano che brandiva il coltello decomporsi, diventare grigiastra, perdere vigore, trasformarsi in scheletro e poi in polvere.
Urlai spaventata ritirando la mano e lasciando cadere il coltello. Appena mi allontanai la vidi tornare normale.
“... ma cosa...?!”
“sono il dio degli inferi, piccola Talia, il dio della morte” sorrise, accarezzandomi la testa, esattamente come si fa con i cani.
“non mi tocchi!” gli sibilai.
“ragazzini... io non li capisco proprio” sospirò “vogliono scambiare un’anima, poi chiamano gli amichetti a difenderli”
Basta, era troppo. Sarei morta comunque, tanto valeva scavarmi direttamente la fossa:
“ma non si vergogna?! Lei si crede tanto potente, vero? Bè è solo un povero fallito che aspira al potere!”
Ade mi guardò sconcertato, sorpreso che qualcuno avesse osato davvero così tanto.
“come osi...?!”
“come osa lei! Io pensavo che almeno gli importasse qualcosa dell’Olimpo, qualcosa del mondo in cui vive, invece nulla! Anzi, aiuta il nemico!”
“come osi insinuare...?!”
“non mi dica che non sapeva nulla del collegamento!”
Guardai in faccia il dio, che mi restituì uno sguardo interrogativo:
“che collegamento?! Se stai cerando di fregarmi...”
“ah, e allora il suo caro nipotino, che è proprio quello della profezia guarda caso, come ha fatto ad ammalarsi e a rischiare la vita?!”
“menti!”
“e allora perché lui avrebbe voluto scambiare la sua anima con quella del satiro?”
“tu hai la vaga idea di quanto possa essere difficile instaurare un collegamento del genere?”
“si rende conto che per poco non ha aiutato Crono a distruggere l’Olimpo?!”
“dici il vero, figlia di Zeus?”
“posso giurarlo sullo Stige!”
Mi si avvicinò fino a fissare quegli occhi neri nei miei. Non abbassai lo sguardo, sperando di fargli capire quanto tutto quello che avevo detto fosse vero.
Quegli occhi neri scrutavano ogni mio pensiero, pronti a scovare anche solo un cedimento o un’incrinatura nelle mie parole. Era difficile non abbassare lo sguardo davanti ad un’occhiata del genere.
Ma resistetti, malgrado il cuore mi battesse a più non posso, impaurito e le mani mi tremassero.
Alla fine il serpente mi liberò dalle sue spire.
Ad un tratto Ade mi sembrò stanco, più vecchio di quello che dimostrava, o forse mi apparve com’era realmente: un vecchio dio, stanco di sotterfugi e tranelli.
Continuò a fissarmi con quello sguardo. Ad un tratto mi voltò le spalle e andò a sedersi sul suo trono, poi fece un gesto scocciato con la mano:
“andatevene”
Rimasi interdetta per un secondo, poi non me lo feci ripetere due volte e sostenni Luke, ancora esanime, arrancando verso la porta:
“grazie” sussurrai al dio, che mi lanciò un’occhiataccia.
“ora ho dato anch’io il mio aiuto” guardò il soffitto “siamo pari”
“aiuto?”
“vattene, figlia di Zeus, prima che cambi idea” disse tornando a fulminarmi. Sarei rimasta volentieri a urlare contro al dio degli inferi, ma il peso di Luke cominciava a farsi sentire perciò mi affrettai ad andarmene, ringraziando la mia ritrovata buona sorte.
Quando giunsi fuori dal palazzo dove avevo lasciato il pegaso posai Luke a terra, e per la prima volta da quando avevo messo piede negli inferi, da sola, e con la convinzione di non tornare viva, il peso della situazione mi crollò addosso, e in seguito a quello il sollievo di averla scampata.
Poi tutta l’ansia, il terrore, la preoccupazione e il dolore per quella che davo per scontato essere la perdita di Luke ritornarono nella mia mente, per poi essere rimpiazzate ancora da una sensazione di sollievo, ma anche di pesantezza. Come se tutte le emozioni che avevo sopportato mi opprimessero il petto. E tutto nel giro di venti secondi.
Un paio di segugi infernali mi fissavano, curiosi e minacciosi, alcuni guardavano il pegaso con aria affamata e altri fissavano me.
Alla fine mi decisi ad andare, caricai Luke sulla groppa e montai anch’io.
Quando fummo più o meno a metà strada dall’ingresso degli inferi, che Caronte teneva aperto sotto minaccia della spada di Clarisse, Luke emise un gemito.
In quel momento fui tentata di buttarlo giù e lasciarlo cadere nei campi della Pena lì sotto.
Era stato un vero idiota, un idiota.
Mi montò su un nervoso al pensiero che quella sottospecie di... non mi veniva un insulto abbastanza grande, avesse combinato tutto quel casino solo per... per cosa? Per delle parole.
Strinsi le mani a pugno per evitare che la tentazione di buttarlo giù fosse troppo forte.
“sei un grandissimo idiota, Luke”
 
POV
 
“Ah!” aprii gli occhi di scatto.
La testa mi doleva tantissimo, ed ero sicuro che dietro alla nuca ci fosse un bernoccolo grande almeno quanto una pallina da golf.
Credetti di essere finito da qualche parte in fondo al Tartaro, ma pensai che se il Tartaro avesse avuto quelle comode poltroncine allora Crono non avrebbe fatto tante storie per andarsene.
Alzai lo sguardo, e tutto quello che era successo mi tornò alla mente.
La morte, Talia che  si frapponeva tra me e Ade, poi lui che faceva quello strano gesto ed io che finivo contro il muro, poi tutto nero.
Alzai lo sguardo e fissai i presenti, c’erano tutti.
“Luke!”
La prima che mi venne incontro fu Silena. Mi stritolò in un abbraccio spacca ossa, dopo di lei Backendorf mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi buttò a terra, poi toccò ad Annabeth, e anche Clarisse mi concesse un mezzo sorriso.
“...e non sai quanto ci hai fatto preoccupare!” stava finendo Silena “davvero, appena abbiamo visto che non c’eri...”
“Sil, lascialo respirare” fece Backendorf sorridendo e afferrandola per la vita.
L’unica che non mi era venuta incontro era Talia, certo non mi aspettavo nulla di particolare dopo tutto ciò che era successo, ma non riusciva nemmeno a sopportare la mia presenza? mi guardai intorno alla ricerca della sua figura minuta, ma non la vidi.
Mi preoccupai che Ade avesse deciso di prendere lei al mio posto o, peggio, che lei si fosse offerta.
Ebbi quasi paura a chiedere:” dov’è Talia?”
Backendorf e Annabeth si scambiarono uno sguardo preoccupato, poi risposero riluttanti:
“fuori”
Buttai lo sguardo verso le porte a vetri bagnate di pioggia e in effetti era lì, con lo sguardo alla strada.
“suppongo di...” indicai fuori.
Si sentì il rimbombo di un tuono.
“vai... a tuo rischio e pericolo”
Guardai la figlia di Atena, interrogativo, ma lei scosse la testa, così uscii nell’ acquazzone di ottobre e affiancai la ragazza.
“ehi”
Lei mi fissò, strizzando gli occhi a causa dell’acquazzone che tempestava fuori. Poi fece la cosa, che tra tutte quelle che poteva fare, mi sembrò la più inimmaginabile: si voltò e con uno scatto repentino mi tirò un pugno sulla guancia.
 “Ahi! Ma sei impazzita?!” urlai sopra lo scrosciare della pioggia.
“sei un idiota! Un grandissimo, enorme, odiosissimo idiota!”
Fece per tirarmi un altro pugno che schivai, indeciso se darmela a gambe o chiamare un manicomio.
Ovviamente siccome avevo schivato il pugno mi mollò un calcio negli stinchi.
Un fulmine squarciò il cielo rimbombando per la strada, mentre la pioggia veniva giù, se possibile, ancora più fitta.
“Talia!”
“ringrazia gli dei che Annabeth mi abbia disarmato, Castellan!”
“Ma, Talia... AHIA!”
Incassai il pugno nello stomaco che mi aveva tirato.
“sei impazzita?!”
“ non sono io quella che voleva suicidarsi!” fece per darmi una ginocchiata, ma la schivai allontanandomi di qualche passo.
“ma...”
Questa volta un fulmine si abbatté a qualche metro di distanza da noi, io fissai la scena preoccupato di poter trovarmi “nel momento sbagliato nel posto sbagliato” ovvero nell’orbita del prossimo fulmine.
“sei solo un povero cretino, Luke” e mi si avventò contro di nuovo.
Tentò di colpirmi un altro paio di volte, ma alla fine, stufo di esser preso a pugni le bloccai le braccia, sperando che non ricominciasse a scatenare fulmini.
“ma la vuoi smettere?!” urlai per coprire il rumore della pioggia che ormai veniva giù a fiumi.
“io ti uccido, Luke, ti ammazzo con le mie mani!” fece per spintonarmi, ma non mollai la presa, anzi la immobilizzai in modo che non potesse tentare di staccarmi la testa.
Mi avvicinai fino a sfiorarle il naso con il mio, la pioggia batteva sempre più forte, lei sembrava appena caduta in una piscina, i capelli le si erano incollati ai lati del volto, i suoi occhi erano l’unico punto di colore in tutto quel grigiore provocato dalla pioggia.
“credevo che non ti importasse” sussurrai.
Ecco, se c’era una cosa sbagliata da dire era quella, perché approfittando della vicinanza, mi tirò una di quelle testate che avrebbero abbattuto un bisonte: “Ahi!” le mollai una mano per tastarmi la testa dove probabilmente avrei collezionato un altro bernoccolo e lei si allontanò di scatto, voltandomi le spalle.
“Vattene Luke, se non vuoi finire male, ma male davvero”
Il tono era serio, le mani le tremavano e i capelli erano elettrici, nonostante fossero fradici.
Non ho mai capito perché il mio spirito fosse tanto autolesionista... o masochista, chiamatelo come vi pare, ed era un problema serio visto che ignorai l’avvertimento e mossi due passi nella sua direzione, esitando.
“Vattene”
Era poco più di un sussurro, ma lo sentii distintamente. La voce era bassa, distrutta.
Sì, distrutta era l’aggettivo perfetto. Se fino a quel momento aveva sfogato tutta la sua rabbia con la pioggia e con i fulmini  in quel momento stava sfogando la tristezza con un la pioggia salata che viene dal cuore e scende dagli occhi.
Fu quello che mi fece decidere.
Percorsi la distanza che ci separava, la presi per le spalle e la feci voltare. La fissai negli occhi per un secondo, poi la strinsi tra le braccia come non avevo mai fatto.
Le cinsi le spalle e l’attirai a me, fino a sentire il suo cuore battere contro il mio.
Un tuono fece sentire la sua potenza oltre lo scrosciare dell’acqua, io gli risposi stringendo di più.
E non immaginai le braccia che mi si avvolsero intorno al collo dopo un po’, tremanti ma sicure.
Rimanemmo così per qualche secondo, o forse qualche ora... magari secoli e millenni, poi però ci allontanammo.
Non sapevo cosa dire, cosa fare. la testa mi diceva qualcosa, l’istinto qualcos’altro, volevo dirle fiumi di parole, ma la gola era riarsa, avrei voluto continuare a stringerla e scappare lontano, avrei voluto tutto eppure niente.
Per fortuna lei trovò il modo di spiegarmi tutto di concordare testa e cuore, di farmi comunicare e di chiudermi la bocca, di farsi stringere e di farmi correre lontano, di unire il tutto e il niente: mi baciò.
 
POV
 
Aprii gli occhi grazie ad un forte odore che ricordava vagamente un letamaio.
“Percy!” girai la testa e mi trovai davanti mia madre, con i lunghi capelli castani legati e un termometro in mano e...
“Grover?... ma tu non eri morto?”
“bè adesso sono qui” sorrise “vivo e...”
“puzzolente, vai a farti una doccia, per favore”
“divertente”
“Percy, come ti senti?” fece mia madre con sguardo preoccupato.
Provai a mettermi seduto, poi a stirarmi un po’ le braccia.
“sto bene”
“non sai quanto mi hai fatto preoccupare” la fissai, gli occhi azzurri le si stavano riempiendo di lacrime “per un momento ho creduto che...”
“è tutto a posto, mamma, sto bene”
Scalciai via le coperte e la strinsi, quando faceva così mi pareva tanto fragile.
“ma dov’è Annabeth?... cioè, gli altri... dove sono gli altri?”
Ehi, non giudicatemi non me la sentivo ancora di parlarne a mia madre.
“oh... hanno detto che andavano a recuperare Luke...”
“Luke?”
“sì, non l’hanno più trovato questa mattina, e sono andati a cercarlo”.
“tutti?”
“già”
“con i mostri in giro?”
“credo di sì”
“ma sono impazziti?! Vado a cercarli”
Feci per alzarmi, ma Grover mi rimise giù con una spinta.
“eh, no... se tu finisci ammazzato ci finisco anch’io, non posso farti uscire da qui”
“è vero, il collegamento! Che idiota... anzi che idiota tu che ti sei fatto ammazzare per Clarisse!”
“Percy!”
“che c’è, mamma? Questo satiro ha in mano anche la mia vita, sai? Non può mica andarsene in giro a salvare la prima pazza che gli capita” guardai il satiro in questione con uno sguardo d’accusa.
“ma quanto sei simpatico” mi diede uno spintone.
“ma ragazzi! Vi sembra il modo?”
“dai mamma, siamo appena resuscitati... lasciaci divertire!”
“non sul mio divano... e tu Grover o ti fai una doccia o ti fai una doccia, queste sono le scelte”
“agli ordini, Sally” le sorrise e se ne andò in bagno saltellando e fischiettando una canzone di Hilary Duff.
Poi lei si rivolse a me:
“Adesso posso respirare” mia madre mi sorrise, sedendosi accanto a me e passandomi una mano tra i capelli.
“sicuro di stare bene?”
“certo” le sorrisi anch’io.
“vuoi riprovare la febbre?”
“no, sto benone, davvero”
“non capita tutti i giorni di vedere tuo figlio sfiorare la morte, posso fare la madre apprensiva una volta tanto?”
“sei anche troppo dolce, mamma” la riabbracciai.
Dopo un po’ si staccò dall’abbraccio, e si alzò dirigendosi in cucina:
“preparo qualcosa, avrai fame, no?”
Proprio in quel momento il mio stomaco borbottò qualcosa, la guardai con fare ovvio.
Lei sfoderò una padella e si mise a canticchiare ai fornelli.
Non sembrava preoccupata per Annabeth... insomma, per gli altri... e nemmeno Grover.
Ma dov’era?... Cioè, dov’erano?
Quella storia non mi andava giù.
Qualche minuto dopo Grover uscì dal bagno con i ricci bagnati e indosso una maglietta uscita da chissà quale concerto.
“ehi, Grover... non hai da spiegarmi nulla?” gli chiesi tirandolo a sedere sul divano prima che se ne sgattaiolasse in cucina ad importunare mia madre e le sue frittelle
“cosa dovrei spiegarti quando tua madre ha fatto le frittelle?” disse fissando la porta della cucina... quasi sbavando.
Ma per il momento doveva rispondere a qualche domandina, e non l’avrei lasciato andare senza risposte esaurienti.
“ad esempio perché non sono sotto terra... insomma tu eri morto ed avrei dovuto esserlo anch’io, non ti pare?”
“bè, io non ero proprio morto...” lo guardai interrogativo  “ma nemmeno vivo”
“oh, grazie, un’altra risposta chiara”
“vedi, secondo me tu sei entrato in uno stato vegetativo...”
“vegetache?!”
“vegetativo, Percy... un morto che respira, diciamo... e bè, sei entrato in questo stato perché io non ero ancora del tutto morto in quanto non ero entrato negli inferi”
“ah, bè allora prima di morire anch’io avrei dovuto aspettare un bel po’  conoscendo Caronte” sghignazzai
“bè, non proprio...” disse, lanciandosi in una storia che rasentava il ridicolo, e che comprendeva il dio Pan, un vaso, una spada apparsa dal nulla e un taxista di nome Jim.
“ookay” dissi alla fine “tu non stai bene”
“dico davvero”
“e come diamine hai fatto ad uscire dal Limbo?”
“come ho fatto a polverizzare la Furia? Come ho pagato Jim?”
“se non lo sai tu...”
“sono stato aiutato, credo”
“aiutato?”
“già, da un dio, ma non posso esserne sicuro... o meglio, posso, ma non voglio sapere a quale devo un favore”
“Pan?”
“nah, quel tipo è troppo codardo” rimasi impressionato dal vedere come ne parlava, insomma... fino a qualche tempo fa lo venerava, ora sembrava che parlasse di un vecchio amico piuttosto strambo.
“e chi altro?”
“non ne ho idea”
Che dio avrebbe potuto aiutarlo? Forse mio padre? No, non penso, lui era impegnato a mantenere i confini, non poteva essere lui.
Scrollai le spalle.
“A proposito di Pan... che fine ha fatto?”
“uhm... credo che passerà un altro po’ di tempo in quel vaso”
“poveretto”
“già”
Chiacchierammo per qualche altro minuto del più e del meno, poi qualcosa, che non erano le frittelle ci distolse dalla nostra chiacchierata:
“Idiota! Mi hai tamponato il cavallo!” le urla arrivavano da fuori.
“Ma è...”
“CLARISSE!” Grover scattò in piedi, lo guardai inarcando un sopracciglio, ma quanto entusiasmo.
“Sei tu che hai frenato, Clarisse!” un’altra voce, più limpida, più bella, più tutto.
“Annabeth!” scattai anch’io, Grover corse fuori, mentre io spinsi la porta della cucina e biascicai un “sono arrivati” appena accennato, prima di lanciarmi fuori.
Non feci nemmeno in tempo a scendere i gradini che qualcosa mi venne addosso facendomi barcollare.
“Percy!”
“ehi!”
“stai bene.. grazie agli dei stai bene!” mi stritolò di più.
“Annabeth... ehm... c’è mia madre...” le sussurrai.
“Ancora con quella storia?” si staccò lanciandomi un’occhiataccia, ma sorrideva.
Alzai lo sguardo sugli altri, sinceramente mi aspettavo un qualcosa di più caloroso, almeno da parte di Silena che era sempre così dolce con tutti, ma lei, come tutti gli altri, stavano fissando la macabra scenetta tra Grover e Clarisse.
Se ne stavano in piedi, impacciati, una che fissava la punta della spada che giaceva nella sabbia, e l’altro che spostava il peso da uno zoccolo all’altro.
“sei un’idiota” disse infine la figlia di Ares
“lo so”
“niente insulti? Mi deludi, Ragazzo Capra.”
Lui sorrise e... un momento, sorrise?! A Clarisse?!
Li guardai sconcertato... lei gli diede un pugno giocoso sulla spalla e lui rise.
Ok, avevo ufficialmente paura.
“ma quello è Grover o uno strano sosia?” sussurrai ad Annabeth.
“non fare lo scemo, Testa d’Alghe... com’è che era il detto? Qui Afrodite ci cova...”
“il mio migliore amico e Clarisse?!”
Mi presi una gomitata nelle costole.
“che c’è? non approvi?” sghignazzò
“no! assolutamente no!”
Guardai ancora una volta il “Satiro-Sosia-Del-Mio-Migliore-Amico”  e Clarisse, sconcertato.
“Ehi, Annabeth! non tenertelo tutto per te, ne voglio un po’ anch’io!” fece Talia, poi guardò Luke, con fare complice e tutti e due si misero a ridere, come ad una battuta privata, di quelle che se non le capisci ti fanno girare i nervi e se le capisci sono ancora più divertenti perché sai che fanno girare i nervi agli altri.
“mi sa che lì” indicai Talia e Luke “Afrodite ci ha già covato, che dici?”
“oh, non sai quanto” disse, con fare malizioso.
“mi sono perso qualcosa?”
“Vieni qui sì o no, Testa d’Alghe?”
Sorrisi, e andai incontro ai miei amici.
In quel momento sentii che tutto era al suo posto. Certo, non tutto, ma una buona parte, per lo meno. Mi sentii, per la prima volta da un bel po’, davvero, ma davvero felice.
Quanto avrei voluto che quella felicità durasse... Ma i miei guai non potevano aver fine, vero?
  

   
 
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