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Autore: Enigm    05/05/2011    1 recensioni
Non si scherza con il tempo. La linea temporale potrebbe essere paragonata ad una fila di tessere del Domino: basta spostarne una, e si rischia di far crollare tutte quelle successive. Ma quando un nemico dal passato si presenta nel futuro, Tsunayoshi Sawada è costretto ad affrontare un pericoloso viaggio nel tempo, che potrebbe innescare un effetto domino senza precedenti, e segnare la fine della Famiglia Vongola.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Tsuna era bloccato dal terrore. Enma era al tappeto, e il giovane Vongola sapeva quanto era forte il suo amico. Fissò l’uomo che aveva appena parlato: i suoi occhi erano grigi e freddi come il ghiaccio e non lasciavano trasparire alcuna emozione. Erano gli occhi di un killer.
«Bastardi! Chi siete, e cosa volete?!», proruppe Gokudera,con la solita tempra. Il giovane tatuato non sembrò curarsi minimamente di lui.
«Lo ripeterò un’altra volta: chi di voi è l’attuale boss dei Vongola?»
Sentendo quelle parole, il Decimo rabbrividì: la voce si accordava benissimo con gli occhi e gli aveva gelato il sangue. Ma quella spiacevole sensazione non fu nulla rispetto a quando l’intruso pose lo sguardo su di lui. «Sei forse tu?»
Tsuna non sapeva cosa rispondere: sentiva le sue corde vocali irrigidirsi, la lingua paralizzarsi e le labbra tremare come quando si è soli in mezzo ad una montagna innevata, e il vento sferza, mentre il freddo si infila negli indumenti e tocca la pelle con dita gelide.
Il calore che lo risvegliò da quello stato ipotermico fu la gentile carezza di Reborn. E per gentile carezza si intende un calcio fulmineo sulla cervicale.
«Tsuna, svegliati. In qualità di boss, è un tuo dovere parlare a testa alta col capitano dei nemici.»
Dannazione, Reborn, ora sanno che sono io quello che stanno cercando!
L’uomo sorrise malignamente. «E così sei tu il Decimo boss dei Vongola.»
«S-sì, sono io.», rispose Tsuna, sempre terrorizzato.
«Come ti chiami?»
«Ts-Tsunayoshi S-Sawada.»
«Ma guarda, ecco come si è ridotta la grande Famiglia Vongola. Mio padre aveva ragione, eliminarti sarà come rubare una caramella ad un bambino.»
A quel punto Gokudera sbottò di nuovo. «Come osi parlare così al Juudaime?! E poi, chi diavolo siete voi?», chiese ancora. Questa volta il nemico si curò di rispondere.
«Oh, è vero, non ci siamo ancora presentati. Noi siamo i Divino, coloro che distruggeranno la Famiglia Vongola, e io sono il loro attuale boss, Urano.», disse con tono altezzoso.
«Tu menti.», intervenì uno degli Arcobaleno, Verde. «I Divino sono una delle prime famiglie affrontate da Giotto e i suoi Guardiani, e, da quel che mi risulta, non ci sono discendenti.»
«Non può essere… Sono fantasmi!», concluse avventatamente un suo compagno, Skull.
«Non essere ridicolo, i fantasmi non esistono, hey.», lo ammonì l’Arcobaleno della Pioggia, Colonnello. «Che sia…»
«So cosa stai pensando, bambino.», lo interruppe il Divino. «E hai ragione. Sì, noi siamo la prima e unica generazione della nostra famiglia, e veniamo dal passato.»
Un viaggio temporale?, pensò Yamamoto.
«Siete stati voi a causare l’evasione di massa dalla prigione dei Vindice?», chiese Reborn.
«Corretto, mio piccolo genietto. Ci serviva una distrazione che tenesse lontani gli altri invitati a questo disgustoso evento.»
«Ma perché venire nel futuro?», domandò il Guardiano della Pioggia. «Perché non attaccare la prima generazione di Vongola?»
«Domanda arguta.», rispose Urano. «Per due motivi: il primo, è che nel passato le nostre Fiamme si erano sviluppate da poco, quindi non avremmo avuto chance contro Primo e i suoi Guardiani; tuttavia ora, grazie al salto temporale, sono cariche di energia, e inoltre ci siamo allenati ad utilizzarle con il vostro gruppo di “elite”. Il secondo è che mio padre aveva previsto che i Vongola del futuro sarebbero stati molto più deboli di quelli della nostra epoca. E infatti aveva ragione: guardatelo, il vostro boss, raggomitolato a terra, trema come una foglia.»
Gokudera era arrivato al limite. «Ora basta! Non avete fatto altro che chiacchierare! Vi dimostreremo che la nostra generazione non è affatto debole come pensate!», disse, mentre metteva le mani sulla sua scorta di candelotti di dinamite.
Il boss dei Divino sorrise. «E allora incominciamo. Crono…»
Uno degli altri uomini si fece strada tra i loschi figuri: aveva una carnagione pallida, per non dire cadaverica; gli occhi erano infossati e circondati da pesanti occhiaie; i capelli grigi arrivavano alla fine della schiena e coprivano l’occhio destro; sul mento compariva un lungo pizzetto; indossava una lunga tonaca bianca, adornata dal simbolo di una clessidra sul petto. Questo singolare individuo estrasse dal suo abito un orologio da taschino d’oro, ma senza lancette. Come le mani ossute del Divino iniziarono a stringere più energicamente l’oggetto, piccoli fuochi fatui apparvero intorno a lui. Le fiamme presero poco a poco delle forme precise, finché intorno al vecchio non volteggiarono più piccoli ammassi di energia incorporei, ma 12 cerchi di ferro simili a tanti ingranaggi.
«Questi», spiegò Urano, «sono i Cerchi del Tempo. Un’arma pericolosissima, capace di cancellare dalla storia chiunque entri a contatto con essa. Come avrete sicuramente capito, potremmo eliminarvi facilmente  in questo momento… tuttavia, voglio darvi la possibilità di dimostrare il vostro valore. Combatteremo singolarmente, uno contro uno, e in ciascuno scontro sarà presente un orologio. Il primo che esaurirà totalmente la propria fiamma verrà colpito dal nostro “arbitro”, e cancellato dall’esistenza. Questa sarà la fine della vostra patetica Famiglia!».
La risata che uscì successivamente da quelle labbra rimbombò in tutta la sala.
«Ebbene, decima generazione? Siete pronti?»
Ovvio che non lo siamo!, Pensò Tsuna, ovviamente terrorizzato. Si accorse però che i suoi amici si erano già messi in posizione d’attacco (o quasi tutti, escludendo il Bovino, che si stava scaccolando in quel preciso istante).
«Non aspettavo altro! Vi pentirete di ciò che avete detto al Decimo!»
«Ahah! Se proprio dobbiamo… Ci metterò tutto me stesso!»
«Ma ci sono le caramelle?»
«COMBATTERO’ ALL’ESTREMO!»
«… Sembrate forti. Kamikorosu.»
«I-io… Sono pronta.» Veglia su di me, Mukuro-sama.
Solo Tsuna non aveva ancora aperto bocca. Urano se ne accorse.
«E tu, Tsunayoshi Sawada?»
Il ragazzo cercò di formulare una frase, ma senza successo. «Io… beh, ecco…»
«Il Decimo Boss dei Vongola accetta la sfida.», intervenne Reborn, incitando il poveretto con l’ennesimo atto di violenza gratuita.
«Bene. Erebo!», comandò Urano.
«Sono pronto, ovviamente.», rispose arrogante un altro Divino. Al contrario di Crono, questo era giovane, all’incirca sui vent’anni; i capelli erano biondi e pettinati elegantemente, e, anche se guardandolo in viso non si notava, aveva un codino lungo quasi fino alle scapole e legato con un nastro di seta blu come i suoi occhi; era vestito elegantemente in giacca e cravatta nere, ma sulla spalla destra portava un singolare mantello color indaco, che arrivava a coprire tutta la corrispondente metà della schiena, fino alle ginocchia, e sul quale era raffigurato un cristallo, nero come la giacca; portava degli schinieri d’acciaio che proteggevano le gambe fino ai polpacci; infine indossava sulla sua mano destra un guanto di seta nero. Erebo alzò proprio questa mano, e schioccò le dita: una densa oscurità iniziò ad espandersi dalla sua figura, coprendo tutto e tutti, persone e oggetti, finché l’intera sala non calò nell’ombra. Ora, Tsuna si trovava nel nulla. Le uniche cose che il Vongola riusciva a vedere erano due: un Cerchio del Tempo, e il suo avversario, Urano.
 
Nana Sawada si guardò intorno. Non capiva dove fosse, né cosa stesse accadendo: all’inizio credeva di essere alla festa del suo amato figlio, ma ora non ne era più molto sicura: prima le esplosioni, poi la comparsa di quelle persone orribili, e ora… suo figlio era scomparso, inghiottito da un’onda nera come la pece, e lei si trovava in piedi, quando prima era seduta su una poltrona, insieme a qualche sua conoscenza. Che fosse un sogno?
Osservò due bambini che parlavano: uno lo conosceva bene, era il tutore di suo figlio, Reborn, e l’altro lo aveva visto qualche volta, di sfuggita. Si doveva chiamare Capitano, o qualcosa del genere.
«Reborn, credi che questa sia un’illusione, hey?», chiese quest’ultimo.
«No, Colonnello. Questo è un costrutto dato alla fiamma da quel Divino. Credo anche di aver capito gli effetti: in realtà in questo momento si stanno verificando i combattimenti stabiliti.», rispose l’altro.
«Ma com’è possibile? I combattimenti dovrebbero essere individuali, hey!», replicò l’altro.
«Infatti. E’ probabile che finché questo costrutto è attivo, chiunque sia all’interno può interagire solo con  ciò che vede.»
«Dici bene, neonato. Questo è il Tartaro, come lo chiama Erebo.»
Reborn si voltò verso la voce che aveva appena udito, e si accorse solo in quel momento che uno dei Divino non era scomparso nell’ombra. Somigliava spaventosamente al suo boss, solo più rozzo.
«E tu chi saresti? E perché non combatti?», chiese incuriosito.
«Io sono Etere, fratello di Urano. E riguardo a perché non combatto, beh, mi sembra evidente: i vostri Guardiani sono in sette, e noi siamo in otto. È logico che uno di noi debba restare fuori.»
«Ma perché proprio tu, hey?», replicò Colonnello.
«Questi sono affari che non ti riguardano.», rispose Etere indispettito.
Nana ascoltò tutto con attenzione, e ne dedusse che DOVEVA essere un sogno: non aveva assolutamente capito nulla di tutto ciò che era uscito dalle bocche dei due infanti e di quel brutto ceffo, tranne che se non era più accasciata sul divano, era perché non poteva vederlo.
Guardò verso un punto lontano nell’oscurità: chissà se Tsuna stava bene…
 
Tsuna non stava affatto bene.
Non è possibile! Cos’è successo? Come? Chi? Dove? Quando? Ma soprattutto… Perchééééééééé?!, pensava terrorizzato, mentre osservava Urano estrarre un pendaglio a forma di mezzaluna dalla tasca della sua giacca. Come Crono aveva fatto prima di lui, strinse questo singolare oggetto, che iniziò a brillare di una luce rosso sangue. Il poveretto dovette coprirsi gli occhi per evitare di rimanere accecato, e quando li riaprì, al posto del pendaglio c’era uno spadino inglese, il cui manico sembrava esattamente una luna crescente.
«Ho dimenticato di dirti una cosa, Sawada Tsunayoshi…», disse il boss dei Divino, mentre passava un dito sulla lama fredda come l’acciaio. «Qualora uno di noi due perda, tutti gli altri scontri termineranno, e chiunque non sia stato ancora cancellato dalla storia sarà salvo. Quindi, cosa farai ora… combatterai contro di me per salvare i tuoi amici, ti sacrificherai per loro, oppure scapperai come un codardo, condannandoli a morte?»
Tsuna non sapeva cosa fare. Era troppo spaventato per combattere, ma non poteva abbandonare i suoi amici. E se si fosse lasciato sconfiggere? La sua vita non valeva così tanto, paragonata a quella di altre sei persone.
«Oh, beh… qualsiasi decisione tu abbia preso, io sto arrivando!», urlò il giovane tatuato, lanciandosi verso di lui circondato da un’aura magenta.
 
Gokudera Hayato stava osservando il suo avversario: era un uomo alto e robusto di corporatura, dalla carnagione olivastra; i capelli erano corvini, e cadevano lisci sulle sue spalle, retti da una fascia nera sulla sua fronte spaziosa; gli occhi erano neri, e non facevano trapelare nessuna emozione; ma la cosa più sconvolgente del suo viso era il mento, largo, coperto di ispida barbetta, e con una ferita sul lato sinistro, che  attribuiva al volto un aspetto grottesco. I vestiti erano quelli di un operaio: camicia nera, felpa arrotolata intorno alla vita, pantaloni aderenti, guanti di cuoio; tuttavia, indossava anche due spallacci in acciaio, dei gambali di bronzo, e sul pettorale destro era raffigurato un martello rosso.
«Guardiano della Tempesta. Mi presento, il mio nome è Efesto.», disse con voce roca. «La mia fiamma è la Fiamma del Progresso. Sarà un onore combatterti. Ti avverto però: non avrò pietà nei tuoi confronti.»
«Neanche io.», rispose il ragazzo. «Ma non perdiamo altro tempo: iniziamo!»
In un batter d’occhio, Efesto si ritrovò circondato da candelotti di dinamite. E poi ci fu l’esplosione, una GRANDE esplosione.
Gokudera osservò il fumo diradarsi, e, come immaginava, trovò il suo avversario ancora lì, immacolato. In compenso, questo ora stringeva fra le sue mani un gigantesco martello, lungo più di lui, grosso due volte la sua testa (il che era tanto, considerate le dimensioni del cranio).
Questa battaglia sarà più dura del previsto, pensò, mentre guardava il gigante alzare il martello.
«Ora tocca a me.»
Il Divino gli corse incontro, brandendo la sua arma. Era incredibilmente veloce, e Hayato riuscì ad evitare il primo colpo per un soffio. Ne seguì una specie di gioco del gatto e del topo, nel quale il Guardiano della Tempesta riusciva sempre a schivare i colpi dell’avversario, ma non aveva mai il tempo di riattaccare.
Poi, dopo l’ennesimo colpo andato a vuoto, Efesto si fermò.
Si sarà stancato?, pensò Gokudera, un po’ sorpreso per la scarsa resistenza dell’energumeno. Solo allora notò gli enormi chiodi che erano fissati a terra. Questi iniziarono a brillare di una luce gialla, per poi lanciare una scarica di energia verso il Vongola.
«Sono i miei Attrezzi.», spiegò il suo nemico. «Ogni volta che colpivo il suolo, piazzavo strategicamente uno di questi chiodi. Quando ho ritenuto che ce ne fossero abbastanza, mi sono fermato. In realtà, questi oggetti sono dispensatori di energia: si collegano fra di loro con la mia Fiamma, colpendo tutto ciò che si trova in mezzo alla strada. Ma sta’ tranquillo, non ti attaccherò immediatamente: ma presto le tue forze si esauriranno, e solo allora ti darò il colpo di grazia. Non posso rischiare che con un mio attacco tu possa liberarti da questa presa.»
Il Guardiano della Tempesta era sul punto di scoppiare a piangere: il dolore era insopportabile, come se centinaia di aghi si stessero infilando brutalmente nella sua pelle.
Devo… Resistere… Il Juudaime…
 
Tsuna era appena riuscito a schivare il primo attacco di Urano (anche se per miracolo), quando ebbe una strana sensazione.
Gokudera… pensò, avvertendo che il suo amico era in pericolo.
Il boss dei Divino rise.
«Sciocco, non capisci che evitando uno scontro diretto stai accorciando il tempo che rimane loro a disposizione?!»
Sawada lo capiva eccome, tuttavia era fiducioso che suoi compagni avrebbero vinto. Inoltre, era totalmente paralizzato dal terrore!
 
Più lontano nell’oscurità (e nello stesso tempo non così distante nel mondo reale), invece, i due avversari si muovevano continuamente: il primo era Yamamoto Takeshi, Guardiano della Pioggia, che agitava la sua spada per deviare gli shuriken del secondo, o per meglio dire, seconda, la Guardiana della Luce, Emera.
«Sei brava! Non ho mai combattuto contro una ragazza così in gamba!», disse sorridendo, mentre la squadrava da cima a fondo per la seconda volta: era una bella ragazza, dagli occhi argentati e dai capelli argentati; il vestito era quello di una nobildonna, ovverosia un bel vestito di seta bianca, che lasciava scoperte le braccia e le spalle, e culminava con una gonna ampia, lunga fino alle ginocchia; inoltre, indossava due stivali, sempre bianchi, e contornati d’oro. 
La donna rispose calma: «Ti ringrazio, ma non saranno le lusinghe a farti vincere.»
«Ahah, hai ragione.», replicò lui, lanciandosi all’attacco. La Divino non si mosse.
Non schiva? Beh, peggio per lei!Pensò, eseguendo un veloce fendente. La ragazza continuò a rimanere immobile, la spada che si avvicinava velocemente sul suo capo.
N-no! La ucciderò!
Yamamoto riuscì a fermarsi giusto in tempo, e la lama rimase bloccata a 1 centimetro dalla testa.
«Sei troppo tenero.»
In un lampo, Emera comparve a dieci metri di distanza da lui. Sopra il capo del Vongola, erano sospesi cinque shuriken luminosi.
Ma cosa…!, fu l’ultimo suo pensiero, prima che un’esplosione di luce lo circondasse.
Quando riaprì gli occhi rimase scioccato: ora, invece di vedere tutto nero, come prima, vedeva tutto bianco.
 
Il Decimo Boss dei Vongola, mentre era intento a scappare, percepì lo sgomento del suo compare.
Y-Yamamoto…
«So benissimo cosa sta succedendo intorno a noi. Il tuo Guardiano della Pioggia… E’ in difficoltà, vero?», disse Urano, un sorrisetto arrogante stampato sul volto.
Tsuna era combattuto: cosa doveva fare? Doveva forse sperare che i suoi amici se la cavassero, e fuggire come un topo? Oppure doveva contrattaccare? Ma quel tipo lo terrorizzava! E se si fosse sacrificato, lasciandosi sconfiggere, per salvare i suoi compagni?
 
Tuttavia, nonostante gli “sforzi” di Tsuna per mantenere il primato, qualcuno che se la faceva sotto più di lui c’era. Il Guardiano del Fulmine, Lambo, che fino a pochi momenti fa saltellava allegro, era infatti in preda al panico: non solo era circondato da una densa oscurità, ma davanti a lui c’era un brutto vecchio decrepito, il quale teneva in mano 5 inquietanti anelli di ferro.
«Ma che bel bambino…», iniziò, «Sono sicu... Coff… sicuro che anche se dispongo di soli 5 Cerchi del Tempo, potro assorbire la tua energia vitle senza… akh… senza problemi.»
Il piccolo Bovino si spaventò ancora di più nel vedere l’orribile ghigno che si era dipinto sul volto di Crono.
«AAAAH! Il brutto vecchio mi fa pauraaaaaa!!! Voglio andare viaaa! UAAAH!», frignò, tirando fuori il Bazooka dei 10 Anni e puntandoselo alla tempia. Tuttavia, una volta premuto il grilletto, si accorse che non aveva avuto alcun effetto.
«Sciocco frignone!», disse il Divino ridendo. «Credi forse che tu possa usare il mio prototipo contro di me?! Non ho idea di come tu sia entrato in possesso di quell’arma, ma sappi che finchè sono nei paraggi non potrai utilizzarl… Cough… utilizzarla!»
le lacrime, simili ad una cascata, iniziarono a scendere copiose dal volto del Vongola.
Il malefico vecchio iniziò ad avvicinarsi.
«E ora lasciati uccidere velocemente…»
 
Il Juudaime osservava terrorizzato il suo avversario volteggiare in aria circondato da  un’aura scarlatta.
«Sto iniziando a stancarmi.», avvertì Urano, scocciato. «Se non hai intenzione di combattere, allora MUORI.»
Il Boss dei Divino si lanciò in picchiata verso Tsuna, il quale era sul punto di scappare, quando avvertì la paura del suo Guardiano del Fulmine.
OH NO! Mi ero dimenticato di Lambo! Lui non ha speranze!
Il giovane volante si stava avvicinando velocemente.
Non… Posso metterlo in pericolo.
Il Boss dei Vongola non si mosse, e chiuse gli occhi, il viso contratto in una smorfia di dolorosa attesa.
Ho preso la mia decisione!
 
Nel frattempo, due ragazzi si malmenavano brutalmente: uno era Sasagawa Ryohei, capitano del club di boxe della Namimori, nonché Guardiano del Sole; l’altro si chiamava Ares, della famiglia Divino, ed era il possessore della Fiamma della Forza.
I due si squadravano per qualche minuto, e poi iniziavano a mollarsi grandinate di pugni, finché non si stancavano; allora si staccavano l’uno dall’altro e ricominciavano il ciclo. Durante il passaggio delle occhiate, il Vongola riesaminò per l’ennesima volta il suo avversario: al contrario dei suoi compagni, quest’ultimo portava vestiti moderni, consistenti in t-shirt rossa, jeans corti e strappati e scarpe da ginnastica. Il suo viso era quello di un ragazzo giovane, dell’età di Sawada, ma il resto del corpo, alto e slanciato, lasciava intendere che fosse più grande di almeno tre anni. I capelli erano lisci, corti e dal colore scarlatto, come gli occhi.
Vedendo lo sguardo interrogativo del suo avversario, il Divino parlò.
«Che c’è? Altra epoca, altri vestiti. Non sono mica stupido come i miei compagni!», disse ridendo. Ma, dopo l’ennesima scarica di cazzotti di entrambi le parti, il suo volto si era fatto serio.
«Di un po’, perché combatti?»
Sasagawa rispose deciso: «Per i miei amici, ma soprattutto per vivere sempre all’estremo! E tu?»
Il rosso esitò.
«Per la mia famiglia… credo… ma… n-non sono sicuro… Comunque!», disse riprendendosi: «Quello che conta ora è batterti! Preparati!»
«SI!», rispose energico il Guardiano del Sole, per poi lanciarsi di nuovo contro di lui.
 
«Non ti sei ancora deciso ad affrontarmi o a perire?!»
Urano era irritato: la sua preda, che sembrava essersi finalmente arresa, si era improvvisamente scansata.
Tsuna non aprì bocca, tuttavia formulò mentalmente la risposta.
Avevo intenzione di lasciarmi colpire, ma la forza di volontà del Fratellone mi ha convinto che c’è ancora speranza! E poi, sicuramente Hibari starà vincendo, e Chrome avrà già evocato Mukuro per aiutarla! Non devo temere!
Ma avrebbe dovuto temere eccome.
 
Hibari Kyoya era stupefatto. Il suo avversario aveva evitato tutti i suoi colpi con estrema facilità, e non pareva nemmeno sudato. Del resto, non avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto: il suo avversario, Asclepio, sembrava davvero uno tosto: era vestito con un singolare panciotto viola (il cui colore ben si adattava con quello degli occhi, sempre viola, ma con un certo pallore) sopra una smagliante camicia bianca; indossava stivali col risvolto sopra eleganti pantaloni neri; i capelli neri erano pettinati col riporto, per mostrare la fronte spaziosa, che in quel momento era aggrottata, dimostrando che il ragazzo mostrava un forte disappunto verso il Vongola.
«Che tristezza. Le future generazioni saranno delle pappemolli. Mi chiedo, fra 200 anni come saranno i giovani mafiosi, degli incapaci totali?», disse, sollevando il meraviglioso specchio che aveva tenuto in mano sin dall’inizio dell’incontro: era un oggetto peculiare, fatto interamente d’oro; il manico raffigurava un serpente attorcigliato; il vetro era nero come la pece, e non si intravedeva alcun riflesso; ma la cosa più assurda di quell’arnese erano le piccole ali rosse, grandi come quelle di un pipistrello, che spuntavano fuori dal retro dell’arma.
Il guardiano della nuvola non sopportava quel tipo, e non solo per il suo carattere serio e critico, ma anche per la sua smoderata arroganza. Come osava guardarsi allo specchio mentre combattevano? Ma ora gliel’avrebbe fatta vedere, a quello sbruffone.
Si stava per lanciare all’attacco quando…
«Cercherai di colpirmi alla gamba sinistra entrando in scivolata.», iniziò il Divino inespressivo. «Poi, dopo aver miseramente fallito, cercherai di assestarmi un colpo al viso con i tuoi tonfa, ma fallirai ancora. Successivamente, rivelerai dei piccoli aghi nelle tue armi e me ne sparerai addosso una quantità notevole, ma neanche questo tentativo andrà a segno. Infine, spazientito, cercherai di prendere il tuo Vongola Gear, ma io ti fermerò così.»
Hibari era strabiliato, tanto da non accorgersi che stava iniziando a sollevarsi da terra. Quando se ne rese conto, era troppo tardi, e un vortice di vento viola lo aveva ormai circondato. Improvvisamente, sentì come delle lame invisibili squarciare la sua carne, e quando il tornado si placò, il suo vestito era logoro, ed era ricoperto di sangue. Davanti a lui, Asclepio manteneva la sua aria di sdegno.
«Contro di te, mi basta utilizzare la mia Fiamma della Conoscenza per vedere i tuoi attacchi futuri, e ti dirò, non vali nemmeno questo minuscolo sforzo. Patetico…»
 
«…Veramente patetico.», continuava a ripetere Erebo, lagnandosi come un bambino si lagna davanti ad un giocattolo rotto.
«Perché a me capitano sempre i nemici deboli ed insignificanti?», continuò guardando Chrome, che tremava timorosa.
«BAH, prima finiamo e meglio è.», si disse, creando un’enorme spada nera con uno schiocco di dita.
«Addio, Vongola.»
Chrome chiuse gli occhi. Era forse quella la fine?

Non successe nulla. La ragazza aprì gli occhi per vedere cosa aveva trattenuto il  suo avversario, e rimase stupita: davanti a lei c’era il suo Boss.
«Non la toccare.», disse flemmatico Tsunayoshi Sawada, la Fiamma del Cielo che splendeva violenta sul suo cranio.
Erebo era sconvolto.
Cosa? Questo ragazzo ha oltrepassato il Tartaro?! No, non può essere.
Il Juudaime si avventò immediatamente contro di lui, e solo allora il ragazzo capì.
Ma certo!
Schioccò le dita, e il presunto Decimo esplose in piccole fiammelle blu.
«Sei brava, ragazza, per un attimo ci sono quasi cascato. Ma non puoi competere con me. Infatti, la Nebbia riesce solo a nascondere ciò che circonda, ma l’Oscurità lo inghiotte totalmente, e lo fa scomparire. E’ solo naturale che le tue illusioni possano essere facilmente distrutte dal mio elemento.», disse con aria superiore, mentre si massaggiava la spalla destra, dolorante dopo aver subito l’attacco dell’illusione, attacco che aveva salvato la vita alla ragazza… almeno per pochi secondi.
«Tuttavia, non accetto che un essere inferiore come te mi prenda in giro… penso che ti farò soffrire un poco.»
Un altro schiocco di dita e Chrome si ritrovò legata da enormi tentacoli di materia oscura. Cercò di liberarsi, ma i tentacoli non mollavano la presa, e presto la avvolsero completamente. L’ultima cosa che i suoi occhi viola videro prima che l’ultimo spiraglio non ancora toccato dall’oscurità scomparisse fu il suo nemico che sorrideva trionfante. Urlò.
 
Ormai Tsuna non aveva più dubbi. Prima, aveva scoperto che incredibilmente Hibari stava perdendo, e poi era arrivato quell’urlo. Non sapeva se si fosse manifestato normalmente o fosse risuonato solo nella sua mente, ma sapeva che c’era stato, e che la voce che l’aveva emesso era quella di Chrome. Dalla posizione inginocchiata in cui era si alzò lentamente, e guardò il suo avversario con due occhi severi, e tuttavia misericordiosi, che dicevano chiaramente: facciamola finita.
Urano capì al volo.
«E’ così allora…», disse tranquillo. «Elogio il tuo altruismo, Decimo Boss dei Vongola. Tuttavia.... IL MIO ODIO E’ ANCORA ACCESO!»
Si lanciò dunque contro il Vongola, che rimase impassibile. Il colpo lo centrò in pieno petto, squarciandolo linearmente. Il sangue iniziò a sgorgare copioso dall’enorme ferita, e Sawada Tsunayoshi si accasciò a terra. Era finita.
 
E’ finita… è finalmente finita… I miei amici saranno salvi. Non mi pento di ciò che ho deciso. Del resto, io sono inutile… un buono a nulla… non volevo nemmeno diventare il Boss dei Vongola. Volevo solo… stare… con i miei… amici…
Mi guardo intorno, e non vedo niente… così questa è la morte… o forse è lo stadio immediatamente precedente? Non ne sono sicuro…
Sei uno sciocco.
Questa voce… Reborn?
Come fai a dire che una volta finito te, non stermineranno anche tutti gli altri? Pensavo di averti insegnato ad essere un po’ più sveglio.
No… ce la faranno anche senza di me… io sono inutile.
Inutile? Non capisci niente. Loro fanno tutto per te! Se tu combatti, combatteranno anche loro. Se tu soffri, soffriranno anche loro. Se tu muori… moriranno anche loro. Forse dovresti fare la stessa cosa. La tua Famiglia sta dando il massimo per te. E’ ora che tu dia il massimo per lei.
… io…
Combatti.
Io…
 
Urano si allontanò. Era finita. Si era vendicato di coloro che avevano preso tutto alla sua Famiglia. E ora, un nuovo futuro lo attendeva, tutto per lui… Un futuro, per rimpiazzare il passato.
Guardò il Cerchio del Tempo attivarsi, e iniziare a sputare le sue fiamme verdastre sul corpo del suo avversario. Già si pregustava il momento in cui l’odiato Decimo Boss dei Vongola sarebbe scomparso, quando…
«N-non è possibile!», disse, mentre osservava quello che ormai riteneva un cadavere rialzarsi a fatica da terra, resistendo all’energia che “l’arbitro”  gli stava scaricando addosso. I suoi occhi erano ora tranquilli, e più luminosi di prima. Sulla testa, una fiammella arancione danzava minacciosa. Il Guardiano del Cielo aprì lentamente la bocca e proferì una semplice parola, ma dal significato profondo come gli abissi del mare.
«Combatterò.»

 
  
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