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Autore: hotaru    06/05/2011    3 recensioni
- E com'è questa storia? -.
Forse era vero che solo Luna ne conservava memoria, dato che controllava il passato, perché sia Artemis che Diana si voltarono verso di lei.
La gatta nera si leccò lentamente una zampa, per poi passarsela sul muso ed esordire:
- Conosci Plutone, bambina? -.
Prima classificata al contest "La Tempesta" di Vienne e al contest "Un Segreto in Soffitta" di DarkRose86 e iaia86@
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Artemis, Chibiusa, Luna, Makoto/Morea
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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4- Tutto a posto Tutto a posto


- Plutone? Che cos'è? - era una parola che non aveva mai sentito, o perlomeno così le sembrava.
- Un pianeta – rispose Luna, accennando al cielo fuori dalle finestre, in quel momento nascosto da parecchie nubi grigie – L'ultimo pianeta del sistema solare -.
- Un pianeta... - mormorò Chibiusa – Come la Terra? -.
- Esattamente – annuì la gatta, abbracciando poi la soffitta con lo sguardo – Uno dei vecchi abitanti di questa casa era un orologiaio e un falegname molto dotato, perlopiù appassionato d'astronomia, che si innamorò di una splendida ragazza. Tuttavia lei morì prima che potessero sposarsi, e non ebbe più pace: non dormiva mai e trascorreva le notti osservando il cielo e le sue stelle. In famiglia si dice che impazzì, perché ad un certo punto lo udirono parlare con uno degli astri che solitamente osservava: il pianeta Plutone. Era convinto che, se tale pianeta portava il nome dell'antico dio degli Inferi, avesse l'effettivo potere di controllare la morte -.
Luna prese fiato, mentre Chibiusa pendeva dalle sue labbra.
- Forse era impazzito davvero, perché sognava che Plutone gli riportasse indietro la sua amata, e lo pregava con fervore. Ma non sta a noi parlare male del nostro creatore – accennò all'orologio – Nell'antichità il regno dei morti era considerato un varco temporale, il punto di passaggio da una dimensione all'altra, e per questo costruì quel pendolo -.
- Il pendolo? -.
- Volle costruire un orologio che non fosse controllato dal tempo, ma che controllasse il tempo. Avanti e indietro, come un pendolo. Perché se fosse riuscito a tornare indietro, sarebbe tornata anche la sua amata -.
- Oh... - quindi era tutta... - una magia? -.
- Sì, una magia generata da un sogno – annuì Luna, imitata dagli altri due gatti.
- Ma... come è successo? È stato come nel film "Pinocchio", dove la Fata Turchina dà vita al burattino perché Geppetto aveva pregato una stella? -.
- Più o meno – Luna sembrava poco convinta - ... credo. Perché vedi, noi abbiamo preso vita solo dopo questa magia. Non sappiamo bene come sia successo, anche se osservavamo il nostro creatore già da prima -.
- Questo lo ricordo bene anch'io – intervenne Diana, con la sua vocina dolce e sottile – Era così triste... -.
- E alla fine ci è riuscito? A riportare in vita la sua amata? - domandò Chibiusa, anche se temeva di no: Diana non l'avrebbe definito un amore infelice, altrimenti.
Infatti Artemis scosse la testa.
- Non fece in tempo a rendersi conto di aver costruito un orologio in grado di controllare il tempo: venne portato via prima e rinchiuso in un manicomio -.
- Che cosa? Da chi? -.
- Dalla sua stessa famiglia -.
Chibiusa ammutolì, sconvolta. Lei non aveva raccontato ai suoi genitori che cosa stava accadendo esattamente: se l'avesse fatto, l'avrebbero creduta una pazza? L'avrebbero rinchiusa da qualche parte, lontano da loro?
La bambina scosse violentemente la testa, per scacciare quell'orribile pensiero: no, non l'avrebbero fatto, e comunque bastava non raccontare loro niente. Bastava che rimanesse un segreto tra lei e quei tre gatti.
- Comunque – fece Luna in tono quasi materno – se vuoi riportare le cose alla normalità basta farci tornare nella posizione in cui ci hai trovato: con Diana al centro, gli occhi chiusi -.
- E come? -.
Fu Diana a sorriderle, come se la considerasse ormai un'amica.
- Girando la chiave -.

I gatti erano saltati di nuovo nella mezzaluna sopra il quadrante, tornando ad essere le sagome bidimensionali che aveva visto Chibiusa fino a quel momento. Lei si arrampicò ancora una volta sulla poltrona, alzandosi in punta di piedi e mormorando un saluto a quei tre felini magici nati da un sogno. Fece poi come le avevano detto: girò la chiave inserita nel quadrante in senso opposto, più volte, finché Luna non lasciò il posto a Diana e quest'ultima richiuse i grandi occhi, posati su un eterno presente. A Chibiusa dispiacque un po' non aver potuto vedere l'immagine di Artemis dominare sulla mezzaluna, ma non aveva alcuna intenzione di provocare altri guai.
Anzi, per evitare che qualcun altro potesse trovare l'orologio e modificare di nuovo il corso del tempo- anche se circoscritto a quell'edificio- pensò di prendere un'ulteriore precauzione: tolse la chiave. Quella chiave di metallo a forma di cuore, impreziosita dalla sua piccola pietra rossa. Se per combinare quel guaio e poi rimettere le cose a posto era bastato girarla, era meglio che nessuno lo facesse più.
La tolse dal quadrante e se la infilò in tasca, orgogliosa del senso di responsabilità che stava dimostrando. Se l'avessero saputo, anche i suoi genitori sarebbero stati fieri di lei.
Quando tornò giù, sospirò di sollievo nel vedere tutti i suoi soliti compagni e le maestre che ben conosceva; anche se le dispiaceva un po' di non aver potuto conoscere un po' meglio sua madre bambina.


- Chibiusa, oggi una delle tue maestre, la signorina Kino, mi ha detto che non ti sei comportata molto bene – disse sua madre quella sera a cena, gli occhi azzurri improvvisamente seri.
- Eh? La maestra Makoto? - lei che non si era comportata bene? Ma se era riuscita a sistemare tutto! D'accordo che non l'aveva raccontato a nessuno, ma... che cosa aveva fatto di male? - Cos'ho fatto? -.
Suo padre non sembrava sorpreso: il che significava che Usagi gli aveva già parlato prima di cena e avevano deciso di affrontare il discorso insieme.
- Ha detto di averti vista uscire dalla porta che va al piano di sopra, quella che nasconde le scale. Si è scusata molto, perché non riesce a capire come hai fatto a salire se è di solito chiusa a chiave, e non si spiega nemmeno perché nessuno ti abbia visto – scambiò uno sguardo col marito, poi continuò: – Non lo capisco nemmeno io, ma... disubbidire a certi divieti è pericoloso, Chibiusa. Potevi farti male -.
- Io... -.
- Le scale sono ripide, e se fosse successo qualcosa avrebbero anche potuto non sentirti – aggiunse suo padre, guardandola severamente.
- Che cosa ti è saltato in mente? - chiese infine sua madre.
- Ma... - Chibiusa non sapeva cosa rispondere. Non si era accorta che la maestra Makoto l'avesse vista, anche se aveva fatto attenzione, e non aveva idea di che scusa inventare. Lei era tornata su in soffitta per rimettere le cose a posto, e c'era riuscita. Era stata la causa di tutto, questo sì, ma la prima volta che era andata di sopra era stato per aiutare la maestra, e non pensava che... le aveva detto lei che poteva dare un'occhiata in giro! - Io non volevo fare niente di male! -.
- È stato un comportamento incosciente – rispose suo padre.
- Anche se non ti sei fatta niente – aggiunse sua madre.
No, questo no. Lei era salita di nuovo in soffitta per riparare ad un suo guaio. Era stata responsabile, non incosciente.
- Non è vero. Io ci sono andata per... - stava per raccontare tutto, ma si bloccò quando le tornarono alla mente le parole di Luna. Lo rinchiusero in manicomio. La sua famiglia.
Lei non poteva credere che i suoi genitori avrebbero fatto una cosa del genere, ma sicuramente non lo pensava nemmeno quell'orologiaio innamorato. E i suoi genitori sembravano davvero arrabbiati, come avrebbe fatto a convincerli che...
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, e prima di scoppiare a piangere scappò in camera, chiudendo la porta. Frugò nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto, e le venne in mano la chiave dell'orologio- quella maledetta chiave. Sentì sua madre avvicinarsi lungo il corridoio, chiamandola: - Chibiusa... -.
Il labbro le tremò. Lei si era comportata come avrebbero voluto loro, non doveva essere sgridata!
Le lacrime scendevano copiose e il suo naso aveva urgentemente bisogno di essere soffiato. La porta della sua camera non aveva una chiave: senza pensare, provò ad infilare quella che aveva in mano nella serratura. Entrò alla perfezione.
Girò la chiave a più mandate e poi si raggomitolò sul letto, sulla sua coperta stampata ad unicorni, sentendosi vittima di una profonda ingiustizia.






Spero che Usagi non vi sembri OOC, in queste poche battute: in ogni caso, come aveva ben intuito la giudice di un contest, la sua severità è causata soprattutto dalla preoccupazione per Chibiusa. E poi... quando mai Usagi si è fatta problemi a cantargliene quattro? XD
Inoltre... avete riconosciuto la chiave? ^^
   
 
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