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Autore: Neal C_    06/05/2011    1 recensioni
[Storia temporaneamente sospesa]
Pochi governano sulla terra di Filesis: la confraternita della Mano Bianca.
I monaci, uomini dai poteri magici innati e membri della confraternita, sono addestrati a mantenere l’ordine nel mondo.
E nonostante la prosperità, la ricchezza e il fiorire di commerci, dopo una breve pace, il mondo è di nuovo in guerra.
La guerra contro i Ribelli che inneggiano alla libertà, alla giustizia e vogliono la fine del dominio della Casta.
Una donna, un ragazzino. Una ex-monaco, uno dei Ribelli. Minimo comun denominatore: fuga.
In fuga dal passato, in viaggio verso un futuro pieno di errori che si lasceranno alle spalle e non riusciranno a dimenticare.
Entrambi verranno a contatto con una forza antica quanto la terra che calpestano, se non di più. Nessuno dei due la riconoscerà.
Quando lo faranno dovranno convincersi che le leggende sono vere. E che le apparenze ingannano.
è la mia prima pubblicazione su EFP. Prendete la mira e sparate a zero.
E siate schifosamente sinceri.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shara

Il morbo

Al tramonto cominciò ad intravedere del fumo che si perdeva nell’aria come  lo zucchero si scioglie velocemente nell’acqua. Affrettò il passo, gli stivali che battevano come zoccoli sul terreno. Vide spuntare un manipolo di casupole disposte a elle:  le abitazioni erano in orizzontale e culminava con un’ala laterale, dove c’era qualche edificio pubblico e un piccolo pozzo. Erano tutte in tufo e in pietra, quella pietra semimorbida che l’acqua tranquillamente erode; il pozzo era delimitato da un recinto di sassi robusti.
Così era composta la periferia di Neietta, di tante elle disposte a corona, come i petali di un fiore di ninfea. Ma il fumo si faceva sempre più nero e pareva fosse stato acceso un vero falò. La stagione era estiva e la natura era rigogliosa, dunque non si trattava della cerimonia del vecchio: con l’equinozio di autunno finiva l’anno e le foglie degli alberi che cadevano, simbolo dell’anno vecchio che si allontanava, erano ammucchiate nelle piazze principali di tutti i paesini e si accendevano grandi roghi finchè tutto il vecchio non era smaltito. L’anno ufficialmente iniziava con il solstizio di inverno e i giorni che andavano dalla fine dell’anno prima all’inizio del nuovo erano giornate di festa per tutta la popolazione che abbandonava le proprie occupazioni e impiegava il proprio tempo liberamente. Persino le autorità si affrancavano dal loro compito ed erano più frequenti disordini, risse in taverna o divergenze di ogni genere.
Shara si lasciò guidare dalla curiosità e seguì la scia come un topo corre dietro al profumo del formaggio, emmenthal con i buchi della migliore qualità. A cinque chilometri di distanza c’erano gli altri insediamenti ad elle e nessuno di questi, tranne quelli più esterni a raggiera, erano protetti da una cinta di solide mura.
La giovane si fermò presso un pozzo, ansante, stordita per l’emozione, tanto che dovette sedersi sulla ghiaia del terreno. Non era più dispersa in un luogo  deserto e sulle soglie delle case c’erano le vecchie sedute sui gradini ad osservare i passanti e a filare la seta; Le mani erano piccole, affusolate e agili, mentre alla scarsa vista suppliva una dimestichezza invidiabile con i fili e gli aghi che danzavano fra le dita. Altre piccole presenze erano i bambini che solitamente correvano e giocavano, lanciando schiamazzi ma stavolta erano silenziosi e raccolti intorno ad una grossa panca, proprio ai piedi del pozzo. Erano figli di umili origini e  alcuni di loro erano a torso nudo, il corpicino magro in mostra. Era tutto un confabulare e Shara non tardò ad innervosirsi, data l’aria pesante che affliggeva il posto. Vide una bimbetta di cinque o sei anni che la additava davanti ai compagni, fissandola con palese interesse. Le fece cenno con la mano di avvicinarsi, e la incoraggiò con un bel sorriso. Ma la piccola rimaneva dov’era e sul volto della giovane si dipinse un’espressione furba e divertita. Infilò nella sua bisaccia una mano e rovistò un po’. Ne trasse infine un povero anellino di rame che aveva dei bei riflessi rossi e lo pose sulla mano in bella vista. Quindi lo offrì alla piccola, con gran successo: la bambina lo afferrò fulminea e cominciò a rigirarselo fra le mani. Shara ne approfittò per domandare con voce dolce e rassicurante:
“Buon giorno a te, piccola, dove siamo?”
Fu molto intenerita dalla vocettina che sgorgava da quella boccuccia, acuta e infantile:
“Neia...Giro...”
La giovane viaggiatrice annuì: era esattamente come pensava, si trovava nella periferia di Neietta, divisa in Tala o centro e Neia o Giro, la parte esterna circolare.
La bambina si lasciò cadere a terra e cominciò ad intrecciare attorno all’anellino foglie e fili d’erba dei ciuffi che spuntavano numerosi dalla ghiaia.
“E, dimmi” storse appena il naso davanti all’odore di bruciato che si diffondeva nell’aria “cos’è tutto questo fumo?”
La piccola spalancò gli occhi  e la guardò con appena un po’ di timore nello sguardo e la voce tremula.  “stanno bruciando gli cattivi spiriti”
La ragazza impallidì: “come?”
Davanti a quel terrore la piccola interlocutrice annuì come aveva talvolta visto fare ai grandi che la circondavano  e assunse un’aria grave che risultò grottesca e ridicola. Shara avrebbe riso davanti a quella mascherata infantile se non fosse rimasta così sconvolta da quelle rivelazioni. Gli “ spiriti cattivi” potevano anche essere ribelli, o semplicemente persone innocenti, sospettate di non si sa quali crimini.
 
Sono roghi?di uomini o veramente creature magiche?

Da quanto aveva appreso non erano rimaste creature magiche su Filesis bensì erano tutte state sterminate dai monaci. Per un attimo si chiese se la bambina avrebbe saputo dirle di più e quindi lo sguardo saettò intorno esplorando i confini della piazza, nella speranza di scorgere un adulto. C’erano le anziane del villaggio intente a lavorare ma neppure loro erano affidabili messaggere. Infine si decise a interpellare la piccola che la scrutava con aria via via più sospettosa.
“Chi sono questi spiriti cattivi? Uomini? Bestie?”
Poteva darsi che si sbagliasse, che fossero animali indomabili che erano stati soppressi e le ossa bruciate...
“Sono uomini, i grandi” il tono fu duro, impietoso, come se la piccola fosse giudice di ogni atto, in un grande processo in cui tutti erano implicati.
“E cosa hanno fatto di male?”
“Avevano i cattivi segni”
Shara la guardò senza capire: quali segni?
Bandito ogni terrore le ordinò, con tono non più gentile e accomodante: “fammi vedere”
La bambina la prese per mano e cominciò a tirarla verso le casupole che dovevano essere il quartiere residenziale. Avevano superato il pozzo e un enorme recinto, forse il luogo del mercato. Oltrepassarono anche fatiscenti baracche di legno, stalle da cui provenivano nitriti, grugniti e altri versi, accompagnati da odori di stalla vari. Ma, giunta in prossimità della piazza la piccola guida cominciò ad allontanarsi dal centro. Frattanto gli occhi stanchi e quelli curiosi di vecchi e bambini avevano trovato un nuovo spettacolo che rompesse la monotonia di quel giorno lavorativo. Shara sentiva ogni suo movimento osservato e cercava di mantenere un’andatura normale quando in realtà avrebbe voluto mettersi a correre, di gran fretta. Dopo diversi passi oltre la piazza cominciò ad intravedersi una catasta di legno e corpi, come identificò in seguito la giovane. La piccola guida si fermò ad una distanza di tre metri dal cumulo, e alzò la manina indicando il desolante paesaggio.
“Quelli” aggiunse, come se la straniera non potesse capirlo.
Shara fece per avvicinarsi ai cadaveri, molti carbonizzati, alcuni ancora intatti, ma la bimba le strinse le dita che ancora aveva fra le mani fino a farle male. “Non andare, oppure diventi come loro”
La rimproverò, impertinente. Shara sciolse la stretta, scrollandosela di dosso e coprì la distanza di tre passi, ma la bimbetta non si mosse. Discostato dall’ammasso stava il corpo martoriato di una donna, una ragazzina, forse ventenne. Sulla pelle c’erano macchie arancioni di un’estensione impressionante. I bordi erano bianchi e spaccati e, in alcuni punti la pelle pareva ricucita con un filo biancastro. In queste piaghe bianche si annidava del pus giallastro che rendeva tutto ancora più ributtante. Persino la lingua della vittima era di un arancione acceso. Le macchie deturpavano il ventre e la pancia mentre sulla schiena erano rade. Shara non seppe trattenersi e vomitò di lato;
 la bocca che si riempiva di amaro mentre gli ritornava su il sapore salatissimo della carne. Poi riportò lo sguardo su quella disgustosa malattia, o infezione che fosse.

Che cos’è questo morbo? Dove ne ho già sentito parlare?

Infezia vermiglia. Era un’allergia mortale che si manifestava come una semplice scottatura, ma le macchie erano arancioni invece che rosse. L’infezione metteva radici e tirava il tessuto, impedendo al sangue di circolare lungo la macchia. All’interno si formavano i grumi di sangue che mantenevano la pelle arancione ma che causavano poi la morte della persona. I bordi invece sbiancavano e il virus tendeva tanto la pelle che questa di spezzava e comparivano quelle orrende cicatrici piene di solo pus, perché di sangue non ne era rimasto. La persona moriva dopo poche ore dalla comparsa di quelle spaccature. Era un virus, un piccolo animaletto che mangiava i tessuti cutanei e li ricuciva finchè questi, troppo tesi, si rompevano. Il processo era lento poiché le macchie non ricoprivano tutta una superficie e lasciavano alcuni vasi che continuavano a far circolare il sangue, malgrado le zone di isolamento. Quando invece si creavano le cicatrici pian piano si chiudevano tutti i vasi sanguigni e nel giro di un giorno risultavano totalmente otturati. Sarebbe stata una morte piuttosto indolore se le vittime non avessero risentito di alcun tormento e il loro cuore avesse semplicemente smesso di battere.  Eppure, come ogni scottatura cominciava a bruciare, quindi si perdeva la sensibilità nel punto in cui c’era la macchia. Ritornava più tardi accompagnata da un dolore fisso, che aumenta sempre di più come una spina che a poco a poco si tramuta in un intero rovo. Dunque si provava una sensazione di stiramento, indolenzimento che provocavano un gran mal di testa, ma la lacerazione era il momento più doloroso. La spina nel fianco faceva il suo strappo ed agiva come un pugnale che affonda nella carne con veemenza.
Mentre tutte quelle nozioni affioravano nella memoria la giovane si avvilì al pensiero delle superstizioni che le aveva raccontato la bambina per spiegare quella carneficina.
Doveva dare loro la possibilità di curare il morbo e che pensassero pure alla magia nera. Lei era certa di non prenderla poiché il suo organismo era protetto da innumerevoli incantesimi che avrebbero dovuto arrestare il processo di vecchiaia a cui erano destinati quelli della sua specie. Abbandonò il cadavere per terra ma non osò avvicinarsi alla piccola ancora in attesa di sue nuove che la guardava con curiosità; se fosse stata portatore sano allora avrebbe avuto la sua morte sulla coscienza. Poi pensò che la piccola non sarebbe morta, poiché lei l’avrebbe curata e protetta da ogni malattia. Forse l’avrebbero accettata là come guaritrice e lei avrebbe trovato il suo posto. Sicura di sé, si diresse verso la bambina e si inginocchiò vicino a lei, prendendole la mano e accarezzandogli la guancia con dolcezza.
“Come ti chiami piccola?”
La bimba rabbrividì, come se avvertisse lo spirito maligno che aveva accusato prima penetrare le sue difese.
“Yeuka”
Shara la prese per le spalle e le strinse con forza.
“Yeuka, adesso ti chiederò di fare delle cose molto importanti. Ti prego di mostrarmi casa tua perché possa chiedere ospitalità. Me lo permetti? Per il cibo non vi darò problemi ma ho bisogno di un tetto.”

E devo controllarti meglio, poiché all’alba del domani compariranno i primi sintomi e io sarò la tua salvatrice. Sarò la salvezza di tutto il paese.

La bambina annuì, ignara del pensiero egoista della giovane straniera premurosa. E di nuovo prese a tirarla stavolta per il mantello. Shara si affrettò a seguirla, mentre un senso di contentezza e soddisfazione la invadeva. Neppure un attimo pensò al rischio che correva la sua piccola guida, tanto sicura delle sue capacità e si lasciò guidare, con un’espressione sul viso troppo allegra che non si addiceva minimamente al dramma che la circondava.
Yeuka entrò in una delle casupole di legno, dalle pareti non troppo alte che rispettavano la scarsa altezza degli abitanti del luogo e Shara dovette abbassare la testa per fare il suo ingresso nella piccola dimora. Il tetto era composto da una specie di impasto che doveva essere l’insieme di paglia e fango solidificati e la giovane straniera poté avvertire come alla base di quella tettoia primitiva ci fosse un incanto di solido. Era la migliore soluzione contro la pioggia che erodeva il fango e scioglieva l’impasto. Il terreno era ricoperto di stuoie di canne e c’era un grande tappeto al centro. La stanza era unica e gli ambienti erano divisi da tanti paraventi. C’erano quattro paraventi, ai quattro angoli della stanza quadrata e molti ricordi riaffiorarono nella mente di Shara. Quegli ambienti dietro i paraventi erano le stanze da letto, una per le ragazze, una per i ragazzi, una per i genitori e una di riserva o forse per gli ospiti, relitto di un tempo in cui gli stranieri erano ben venuti. Al centro del tappeto un tavolo basso e delle stoffe che fungevano da posti a sedere. Sotto il tavolo e sotto il tappeto c’era una buca fresca nel terreno dove venivano conservate le provviste e appariva come un pozzo, rivestito di pietra dura e fredda, al riparo da bestie e insetti vari. Sulle pareti laterali c’erano lunghissime cassapanche di legno massiccio in cui veniva conservata ogni cosa, dalle vettovaglie, agli attrezzi di cucina, ai vestiti, agli utensili per il cucito, caccia, pesca o lavoro per la casa. Essi si distinguevano dalle varie pareti poiché l’entrata delle dimore era sempre rivolta a sud e la mobilia si classificava di ponente, di levante e di settentrione.
 Occupavano tutte le pareti ma non erano alte più di una sessantina di centimetri da terra. Tutta la mobilia nelle cittadine del nord era bassissima e praticamente si dormiva e si mangiava per terra; si viveva per terra e gli abitanti non soffrivano della loro bassezza.
Quando Yeuka rientrò portando per mano la straniera, una donna  era seduta presso il mobile di ponente, intenta a spolverarlo con uno straccio bagnato, forse canapa grezza che strofinava e accompagnava ad una mistura di acqua e limone. Alzò la testa e il suo sguardo corse subito al meridione, verso l’entrata. Accolse Shara con un’occhiata diffidente e un mezzo sorriso che non avrebbe incoraggiato viaggiatori sperduti meno motivati della ragazza. Lei torreggiava sulla donnina dal volto paffuto e roseo, gli occhi allungati e lunghe ciglia, ma quello che più lasciò stupefatta la nuova arrivata erano dei lunghissimi capelli che arrivavano alle ginocchia della donna, chiari e in alcuni punti completamente bianchi. Era il peso della vecchiaia che piegava il sorriso della signora in una smorfia e affiorava lo sguardo di chi avrebbe preferito veder meno e viver di più.
“Mama” chiamò Yeuka, spalancando gli occhioni di uno spiccato verde, gli stessi occhi della madre che  scrutava la straniera ancora più rabbuiata. “Addovo loe chi la trovata?Chiloe ie chielo vole?” *(1)
Aveva una parlata strascicata e pasticciava con le parole al punto che Shara si chiese dove la figlia avesse appreso quel verbo così limpido, lento e misurato. Si sentì in dovere di intervenire e di spiegare quell’intrusione: “Sono una viaggiatrice che cerca riparo per poche notti, giusto per riprendersi da una lunga camminata nel deserto e per affrontare un nuovo viaggio. Ho incontrato tua figlia e mi sono rivolta a lei.”
Non vi fu alcuna apparente reazione da parte della donna e, dopo essersi fissati per un tempo che parve infinito la madre di Yeuka ribatté in tono secco e di rimprovero: “Non c’è posto per i viaggiatori che si avventurano fuori, di questi tempi.”
 La constatazione colpì Shara come un pugno che cade sulla spalla di uno sventurato sovrappensiero. “Signora, io non ti darò alcun fastidio, ti chiedo solo un tetto e non ti importunerò oltre; ho accettato per disperazione la proposta che mi ha fatto tua figlia e ti ripeto la stessa preghiera.”
La donna lanciò un’occhiata di fuoco a Yeuka ma la piccola non colse il truce sguardo, intenta com’era a fissare un piccolo rampicante che si faceva strada tra le canne del paravento alla sinistra del mobile. Shara acuì il tono, facendolo vibrare di passione, una commedia che recitava lei sola, davanti alla dura verità che sbatte la porta in faccia con disinvoltura: “Lavorerò per te e saprò sdebitarmi; in qualche modo ti ripagherò di questa grande carità che mi fai”
La donna fece un cenno secco con la testa e ribatté, scura in volto: “Entra pure e sistema le tue cose nell’angolo di levante, a meridione.”
Distolse lo sguardo e parve già essersi dimenticata dell’ospite scomodo. Shara brillò di felicità e sorrise, chinando appena il capo: “Ti ringrazio.”


La vita in quella piccola periferia era monotona come ben presto si accorse Shara. La madre di Yeuka non faceva altro che lavare la casa, spolverare, cucinare e raccogliere qualche erba. Quella sera stessa incontrò la parte restante della famiglia e si stupì di non vedere maschi fra le cinque femmine che erano sedute al lungo tavolo centrale, a testa alta che si rivolgevano al padre con un pizzico di autorità. Erano tutte in giovane età e la più grande non aveva sedici anni. Erano cinque chiome bionde e lisce, raccolte in lunghe trecce e sembravano tante matriosche tanto erano simili, seppure a diversa grandezza. Yeuka era la più piccola e, fin a quel momento, Shara non aveva visto alcun ragazzo frequentare quella casa. Poi, il primo giorno, la piccola si lasciò scappare poche secche parole e la straniera approfittò subito per saperne di più;
“Sono stufa di aspettare Mine e Reuk, non torneranno più”
“perche dici così? Chi sono queste persone?”
“sono i miei fratelli che sono partiti e hanno detto che torneranno.”
“Quanto tempo fa l’hanno detto?”
“Non lo so, io non c’ero.”
“Eri partita?”
“No, non ero ancora nata, non li ho mai visti.”
Gli uomini sembravano spariti in quel paese eppure Shara non ricordava ai suoi tempi che i ragazzi fossero così rari. Non ne vide mai uno per le stradine del villaggio e neppure incrociò voci che non fossero lo schiamazzo dei bambini, il lamento delle vecchie e le pettegole giovinette di campagna che, pure nella loro semplicità, facevano sciocche fantasie sul loro futuro. Tutto questo notò Shara che osservava disperatamente Yeuka e spiava ogni suo movimento per cercare su di lei i sintomi dell’ infezia ma con scarso successo. Che la piccola fosse una portatrice sana? I dubbi rimasero per pochi giorni finchè, una notte, la ragazza sorprese Yeuka a immergere i piedini nell’acqua e, sulle caviglie si estendevano piccole macchie arancio che minacciavano di allargarsi in fretta. Era tardi e tutto era spento e in riposo eppure la porta di casa cigolava e Shara, incapace di dormire per il caldo, si era affrettata a seguire la presenza che aveva lasciato tutti gli steccati della casa aperti. Nella notte, scorse la piccola figura di Yeuka che sedeva su un grosso sasso, i piedi a bagno in un catino di rozzo legno intagliato. Rimase a guardare la piccola che si strofinava le caviglie, dapprima senza capire, poi un’espressione di trionfo le si dipinse sul viso. Uscì velocemente dall’ombra e inscenò la parte della giovane amica in pensiero.
“Yeuka, che succede? Che fai alzata a quest’ora di notte?”
La bambina affondò i piedi nell’acqua scura.
“Con i piedi sporchi ho imbrattato tutto il tappeto e la stuoia e allora li sto lavando. ”
In un attimo Shara era al suo fianco come una madre premurosa:
“Così tardi t’è venuto il pensiero? Vai a letto, vai...”
Alla vista del marchio arancione avvertì un sensazione di caldo e il volto le si infiammò per la gioia ma nella notte tutto è nero e agisce inosservato colui che non vuole essere scoperto.
Balbettò poche parole, un finto stupore mimato ad arte:
“il morbo...sei malata...una cura”
Tirò  un profondo respiro e chiese sudando freddo. “Come è accaduto?”
La piccola interlocutrice scosse la testa lentamente:
“Io...non lo so, ma ho...paura”
La straniera, acquistata confidenza con la bimba , aggiunse in tono grave e serio:
“Tu  guarirai, te lo prometto.”
Regnò un silenzio carico di attesa e fu Yeuka a interromperlo, con una nota di angoscia che, per la prima volta, vibrava nella sua vocetta infantile.
“Ma non dirlo alla mama, ti prego”


Note
*(1) "Dov’è che l’hai trovata? Chi è e che vuole?"


L'angolo dell'autrice

Bentrovati! Accusatemi pure di troppo realismo, giuro che non mi offendo xD

Spero che non appaia troppo cruda la descrizione del morbo. Ma direi che c'è di peggio. Semmai potrete dire che è inutilmente lunga e quasi morbosa e anche in quel caso avrei una risposta!
Non è colpa mia se la nostra studiosa "miss voglio cambiare il mondo che è tutto marcio" ha una memoria invidiabile, anzi, mettiamola così, fa parte della sua sterminata cultura di ex-monaco pentito. E, come tutte le persone che hanno studiato e pensano di sapere qualcosa, è un tantino presuntuosa e abbastanza imprudente da sperimentare la sua cura su una povera bambina innocente. Le andrà bene?

Quello della pericolosissima malattia infettiva è praticamente un topos, è usato e abusato. Il primo che io ricordi era un certo tizio di nome Tucidide e gli altri hanno tutti scopiazzato, me compresa ù.ù
A parte questo mi affascinava anche la mentalità primitiva del popolo che crede ancora agli spiriti maligni e mi sono divertita un sacco a descrivere che aria tira in un paesino sperduto, o meglio nella periferia  un po' campagnola di una grande città.
Detto questo ringrazio come mio solito evm, Kill Bill, Nihal992 e Giu09 a cui mi sto proprio affezionando *_*
Vabbè il discorso è il solito, grazie a chi legge, a chi non legge, a cappuccetto rosso, alla strega cattiva e tutta Puffolandia.
Magari  Grande Puffo mi manderà qualche altra bella recensione...
Sayonara gente!

Misa
  
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