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Autore: Arashinoharuka    09/05/2011    2 recensioni
E mentre suo padre – si, il tuo ex, in fondo, puoi non parlarci mai, ma ci sei stata insieme, nonostante quello che hai deciso dopo la tua fottuta depressione post parto del cazzo – Dio mio, potevi abortire! – le raccontava con parole più schiette e dolorose del solito una storia in realtà già sentita, a lei tornavano in mente i momenti in cui teneva in braccio la sua sorellina tutta anonima, tranne gli occhi, che piangeva e urlava e lei la consolava, chiedendosi perché non ho anche io solo tre anni?.
E le torna in mente lui, suo padre, che le dice: non è ammissibile. Comportamento. Relazione. Lasciati. Colpa. Scelta. Discutere. Non è ammissibile.
Le ronzano in testa centinaia di migliaia di frasi e immagini che i suoi neuroni le sparano alla velocità della luce su dal subconscio. Tutte diverse. L’unica cosa che hanno in comune, è che adesso sono tutte colorate di verde e di rosso.
Tutte balle. Artificiose bugie che ti sono andate comode per anni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA.
Sì, le NdA all’inizio,perché vorrei che le ultime parole che ho scritto per questa storia chiudessero tutto. E’ una storia terribilmente personale, composta da neanche due pagine di word e un mese di vita di merda che mi si riversa addosso. Se trovate che sia offensiva, o inserita nella sezione sbagliata, vi pregherei di non segnalarmi, e di conseguenza portare al ban del mio account, credo, ma di dirmelo in una recensione e provvederò a rimuovere o spostare la storia da me. Grazie. Il titolo è una frase di ‘Gematria The Killing Name’ degli Slipknot. Gli avvenimenti descritti sono in parte realmente accaduti, nonostante i personaggi siano opportunamente inventati, oppure descritti in modo vago, senza dettagli quali nomi o recapiti.
Un’altra cosa: se non vi piace, sono fatti vostri. Non apprezzo le prese in giro, non rido di me stessa e sono una fierissima ‘scorfana brontolona’ come Marlin in ‘Alla Ricerca Di Nemo’, d’accordo?
*Frankie
 
 
 
 
La situazione è semplice da immaginare. C’è una donna, sulla trentina, assolutamente anonima, capelli castani e occhi chiari e vestiti poco pretenziosi.
È seduta su un tappeto persiano decisamente ereditato da qualche parente morto.
In braccio tiene una bambina di, quanti? Due, tre anni? Si, dev’essere così. La bambina ha capelli castani come lei e occhi di un azzurro spaventoso. Non hai sicuramente mai visto degli occhi di quel colore. La forma è perfettamente quella di una mandorla, le ciglia sono curvate dolcemente e la minuscola ruga al di sotto della palpebra inferiore le dà un tocco grazioso di umanità. Perché non stiamo parlando della bimba più bella del mondo, o di una specie di fata bambina, è solo la figlia della donna che la tiene in braccio. L’unica cosa bellissima in lei sono quei fottuti occhi. Il resto, come sua madre, è anonimo.
Ha le braccia paffute come tutti i bambini piccoli, le manine con le fossette in corrispondenza delle nocche e le guancie rotonde e rosee.
Ah, si e la bambina – con l’aiuto della mamma – tiene in mano un libro, di quelli con le pagine coi disegni prestampati da colorare coi pennarelli.
È aperto a una pagina con una principessa dal vestito ampio – di quelli che ti immagini rosa confetto – e dai lunghissimi capelli vagamente ondulati – di quelli che ti immagini biondo platino,  in mezzo ad un paesaggio verdeggiante – di quelli che ti immagini nel mondo non esistano più da qualche secolo, ma esistono, basta cercarli.
E a fianco a loro c’è un astuccio di plastica trasparente dai bordi di stoffa plastificata rosa, la cerniera aperta, che è pieno di pennarelli finiti e matite consumate. Probabilmente ereditati dalla sorella o dal fratello maggiore che, al liceo, o all’università, non li usa più.
E la mamma con la sua voce anonima, alla sua bambina tutta anonima tranne gli occhi, dice: di che colore facciamo il sole?
E la bambina, ci prova, dice, mmmh, iaiio, e pesca un minuscolo pastello giallo dall’astuccio e colora goffamente sbavando il sole in mezzo al cielo già scarabocchiato di azzurro pennarello.
E la mamma: oh, il giallo. E di che colore lo facciamo questo fiorellino?, e prende un pennarello viola. Chiede: lo facciamo viola?
E la bambina: mmmh, vioia.
E colora petali, pistilli e gambo col pennarello che stride sulla carta lucida riversandoci sopra il poco colore sbiadito rimasto.
Quindi la mamma dice: coloriamo l’erba, adesso?, e prende un pastello verde e lo mette nella mano paffuta di sua figlia, e la guida dolcemente nel colorare il prato sotto la principessa stereotipata di un verde decisamente troppo acceso.
Avete presente quella sorella maggiore che possedeva quei colori una volta, quando era piccola a sua volta?
Immaginatevela affacciata dalla porta della sua camera, incapace di chiudercisi dentro. dateci dentro con l’immaginazione, la scena comincia a diventare complicata.
Quindi, questa ragazza – avrà sedici, diciassette anni, sì, è al liceo, quindi – che origlia la conversazione tra quella donna – non sperateci, non è sua madre, questa non è una famiglia felice, non si vede? – e la sua sorellina. Le viene un nodo in gola. Sua madre non aveva mai colorato con lei a quel modo. E mentre sente la mamma dire: e adesso coloriamo i capelli della bimba?, pensa automaticamente:
E le bugie di che colore le facciamo?.
Sì, sai, quelle bugie che consistono nel tenere qualcosa nascosto a tua figlia per anni. Quelle le facciamo di rosso, rosso sangue eh? Ti va? Prendi il pennarello rosso. Colora le labbra della principessa: ricoprile per bene di rossetto e bugie.
E invece, queste altre, queste che invece sono bugie spudorate perché non hai voglia di spiegare tutt’altro? O, molto simili, quelle che fai spontaneamente nascere dicendo: ‘non sono cose che ti riguardano, torna in camera tua’?
Queste le facciamo di verde, va bene? Verde come la nausea che ti viene al solo pensiero del rifiuto di quella semplice spiegazione. In fondo lei voleva solo sapere perché stavi piangendo. Allora è deciso che queste sono verdi? Mi passi il pastello verde per favore? Si queste le coloro io, grazie, ecco, vedi, questi sono gli occhi della principessa. Gli occhi che assassinano duramente qualsiasi sguardo indagatore, qualsiasi timida domanda: ‘è successo qualcosa?’.
E dimmi, invece, le rivelazioni di che colore le facciamo? Il dolore derivato da queste di che colore lo facciamo?
Sai – no, non lo sai, lei non ha mai avuto il coraggio di dirtelo – suo padre parla troppo con lei, beh, troppo per i tuoi gusti. Avere un rapporto di dibattito e discussione coi tuoi figli è un’anomalia nella società odierna, pare.
No ma – prima che te ne vai, per favore – vedi suo padre le ha detto queste cose. Suo padre glielo ha detto, non voleva farlo, ha sbagliato, ma le ha detto, che tu non avevi mai voluto avere figli. Poi si è corretto: ma non è corsa ad abortire. E lei, a quel punto allora ha pensato, vai a fare in culo, papà.
Lo so che non ha abortito.
Doveva farmela proprio vivere, questa vita di merda, quindi mi ha tenuta. Lo so. Me l’ha detto anche lei.
Ma lui ha continuato, perché non ha sentito quello che lei ha pensato, perché lei sperava che lo sentisse ma non l’ha fatto. E ha detto: e poi ha avuto una depressione post parto – e a questo punto lei ha smesso di ascoltare, qualche parole o sintagma che le arrivava distrattamente alle orecchie mentre sbriciolava il pane e lo spargeva sulla tovaglia, guardando la propria lenta forza distruttiva.
E sentiva, ogni tanto: nostra relazione.
Ogni tanto: lasciati.
Ogni tanto: colpa sua.
Ogni tanto: la sua scelta.
E poi ancora: discutere.
E ancora: decisione.
E lei intanto canticchiava mentalmente una canzone concentrandosi sul testo concitato per riuscire a non ascoltare.
E mentre suo padre – si, il tuo ex, in fondo, puoi non parlarci mai, ma ci sei stata insieme, nonostante quello che hai deciso dopo la tua fottuta depressione post parto del cazzo – Dio mio, potevi abortire! – le raccontava con parole più schiette e dolorose del solito una storia in realtà già sentita, a lei tornavano in mente i momenti in cui teneva in braccio la sua sorellina tutta anonima, tranne gli occhi, che piangeva e urlava e lei la consolava, chiedendosi perché non ho anche io solo tre anni?.
E le torna in mente lui, suo padre, che le dice: non è ammissibile. Comportamento. Relazione. Lasciati. Colpa. Scelta. Discutere. Non è ammissibile.
Le ronzano in testa centinaia di migliaia di frasi e immagini che i suoi neuroni le sparano alla velocità della luce su dal subconscio. Tutte diverse. L’unica cosa che hanno in comune, è che adesso sono tutte colorate di verde e di rosso.
Tutte balle. Artificiose bugie che ti sono andate comode per anni.
Ricordati però che stiamo parlando della ragazza affacciata dalla sua camera che guarda quella donna e sua sorella che colorano una principessa.
E, ah si, ti ricordi, anche, che questa è solo un’immagine della tua mente?
Se quella ragazza non urla, chi potrebbe sentirla? Nessuno.
E se lei urlasse solo nella tua mente – si, immaginala piegata a terra ad urlare. Non ti senti a disagio anche tu, a vederla contorcersi urlando sul pavimento? – tu, saresti capace di sentirla?
   
 
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