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Autore: queenseptienna    10/05/2011    1 recensioni
Lord Michael Pritch fa un acquisto piuttosto azzardato. Un robot non è facile da mantenere, soprattutto quando manca totalmente di voglia di lavorare. Billie dovrebbe obbedire agli ordini del suo padrone, eppure, pur essendo un robot, è un ribelle della peggior specie. Nonostante il carattere "umano" di Billie e i suoi scontri con la governante di casa, Milord si affeziona ogni giorno di più a quel robottino dagli occhi verdi. Lo ama fino allo spasimo, ma gli esseri umani non sono stati creati per amare degli automatismi meccanici. Una favola romantica in salsa steampunk che va contro il razzismo sessuale, dove non importa essere maschio o femmina, uomo o robot. Infine una piccola visione del Creatore di tutte le cose, che non è poi così terribile come la gente crede che sia. Anzi, ha parecchio senso dell'umorismo.
Genere: Comico, Erotico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4 - Autoriparazione




Dopo gli ultimi avvenimenti, Lord Pritch si mise definitivamente l’anima in pace, abbandonando l’idea di usare le parti di Billie per rifare il semiasse della carrozza di famiglia. La paura che aveva provato all’idea di averlo perso, gli aveva fatto finalmente comprendere come non volesse affatto disfarsi di quell’inutile androide.
Inutile, inutile ed ancora… inutile.

Una volta ristabilitosi, Billie aveva ripreso a svolgere le proprie incombenze di maggiordomo con la stessa flemma di prima, solo che adesso si teneva bene alla larga dalla governante. Il conte avrebbe voluto sgridarlo per la sua indolenza, ma per qualche ragione, ogni qualvolta posava gli occhi su di lui, si ricordava di cosa celassero quegli abiti formali e gli si squagliava letteralmente il cervello.
E la cosa che lo mandava in bestia era che quel dannato se ne accorgeva, sempre.
Così in casa era iniziata una guerriglia personale tra lui e quell’affare, condotta a colpi di strusciamenti, occhiatine maliziose e battutine allusive da parte di quest’ultimo, che gli mandavano regolarmente il sangue al cervello ed anche…più in basso. Il conte si ritrovò spesso a chiedersi quali dannatissimi files avesse usato Moore per programmarlo, visto che, con ogni probabilità, Billie racchiudeva in sé l’anima di una ballerina di café-chantant o, più esattamente, di una prostituta da bordello.
Tanto per fare un esempio…un giorno Michael, più esasperato del solito, l’aveva rimproverato con severità per l’ennesimo errore compiuto durante lo svolgimento dei propri compiti. Beh, per tutta risposta, quel piccolo diavolo aveva iniziato a lamentare un finto dolore ai propri circuiti, vicino al punto in cui, tempo prima, aveva ricevuto la famosa padellata. Alla vista dei suoi enormi occhioni verdi, lucidi di lacrime artificiali, il suo ingenuo e stupidissimo padrone si era sentito stringere il cuore, si era sciolto in brodo di giuggiole e lo aveva perdonato immediatamente, porgendogli addirittura le proprie scuse per essere stato troppo brusco.
Di una cosa, però, Pritch non si era mai preoccupato, e cioè dove Billie passasse la notte, quando tutti dormivano tranne lui, poiché non era in grado di farlo. Quando quel quesito bussò alla sua mente, Michael ipotizzò che l’androide trascorresse la nottata ad ordire piani diabolici contro la governante ed a quel punto, solo ed esclusivamente per evitare di vedersi servire in tavola i tentacoli di Miss Tender impanati, decise d’indagare. Dopotutto, che male c’era? In fondo stava semplicemente badando ai propri interessi, controllando che un oggetto di sua proprietà - un oggetto eccitante, lascivo e malizioso… Fermati, Michel, si redarguì, basta pensieri sconvenienti! – non stesse combinando guai, come quella volta che l’aveva sorpreso fuori dalla stanza della governante, armato di una grossa forbice da cucina.
Forte di questo autoconvincimento, la sera seguente il conte si alzò dal letto, indossò le babbucce che Lady Carol, la sua deliziosa prozia di novantasei anni che viveva nel Kent, gli aveva regalato, ed iniziò a trafficare per accendere il lume, cercando di non dare fuoco all’intera tappezzeria. Non era abituato a fare alcunché senza l’intervento della servitù tuttavia, in un modo o nell’altro, riuscì nell’intento e dopo qualche istante s’inoltrò nel lungo corridoio, incespicando di tanto in tanto a causa della camicia da notte che gli si impigliava fra le gambe.
Percorse l’abitazione in lungo e in largo senza trovare traccia del robot e, ormai sfiduciato, stava facendo ritorno nella propria camera, quando all’improvviso, dietro un tendaggio damascato rimasto un po’ sollevato, scorse una porta in legno grezzo che intuì essere quella del famoso sgabuzzino. Da sotto la soglia proveniva una lama di luce e Pritch spense con un soffio il proprio lume, piombando nel buio. Allungò a tentoni la propria mano cercando la maniglia e, una volta trovatala, l’abbassò dolcemente, senza produrre alcun rumore, riuscendo poi ad infilare la testa nello spiraglio e vedere così Billie girato di schiena. La parte superiore del suo corpo era priva di abiti e stava con le spalle un po’ curve ed il capo chinato, ma Michael non riusciva a comprenderne il motivo, almeno finché l’androide non si voltò, causandogli un ansito strozzato.
Sul petto di Billie c’era una specie di cavità aperta, piena di fili, congegni ed organi pulsanti e vagamente rossastri, collegati da circuiti che mandavano bagliori elettrici. L’automa stava autoriparando quello che aveva tutta l’aria di essere uno stomaco. Pritch si scoprì affascinato nel vederlo trafficare e lo sentì borbottare qualcosa in merito a Miss Tender, che gli aveva sferrato una tentacolata piuttosto potente, dritta nel ventre.
Sarà il caso che mi decida a licenziare quella donna… Pensò il nobiluomo, mentre Billie dava un’ultima aggiustatina ad un polmone e richiudeva lo sportello, che si fuse perfettamente con la sua epidermide sintetica, senza lasciare alcuna traccia. Il robot fece una piccola smorfia e si sedette sull’unica sedia della piccola stanza, che non disponeva neppure di un letto poiché Billie non ne aveva necessità. Nonostante il bizzarro spettacolo a cui aveva appena assistito, però, quello che più di tutto stupì Pritch fu scorgere l’androide afferrare un libro, chiaramente proveniente dalla biblioteca di palazzo, ed iniziare a sfogliarlo come avrebbe fatto una qualsiasi persona. Di sicuro leggeva ad una velocità più che tripla rispetto ad un essere umano, e questo gli permise di divorare almeno un centinaio di pagine in pochi minuti d’orologio.
Tuttavia, dopo all’incirca un quarto d’ora, il conte iniziò a sentirsi congelare, fermo com’era in quel gelido corridoio con indosso solo una camicia leggera e, sbuffando, cercò di muoversi per riscaldarsi un po’. Purtroppo per lui, l’apparato auditivo del robot era estremamente sofisticato e quindi fu semplice per quest’ultimo registrare al volo i rumori, benché minimi, prodotti dall’inaspettato voyeur. In un attimo Billie posò il libro, si precipitò alla porta, la spalancò e Michael ruzzolò all’interno della stanza, visto che si stava sostenendo proprio al battente della stessa.
- Milord! - la voce di Billie era sorpresa e, che Dio lo perdonasse… pensò il conte, piacevolmente calda - Cosa ci fa qui, Lord Pritch? Desidera qualche servigio? –
Il biondo si stupì moltissimo di non percepire alcun doppio senso nella frase - cosa che, da un certo punto di vista, lo lasciò basito - e si lasciò aiutare da quelle braccia, fragili all’apparenza, ma in realtà realizzate in titanio.
- Sto bene, sto bene. Non mi serve nulla, io… Beh, controllavo solo che tu non avessi riportato conseguenze, dopo l’ennesimo attacco di Miss Tender - rispose, arrossendo appena.
Guardò verso il basso: Billie gli arrivava sì e no al mento e, con quegli occhi verdi ed i capelli neri senza brillantina, sembrava davvero un delicato ragazzino da proteggere. In verità, però, era un automa e lui non doveva dimenticarselo, anche se questa considerazione non pareva affatto spegnere il desiderio che iniziava a pulsargli incessantemente nei lombi.
- Vuole che la riaccompagni nei suoi appartamenti, signore? - riprese il robot, senza lasciare la presa delle sue mani, che erano inaspettatamente e piacevolmente tiepide - Prendo il lume e… -
Michael non ci pensò più di tanto: era troppo, troppo bello per lasciarselo scappare! Senza aggiungere verbo, chinò la testa e le loro bocche s’incontrarono in un qualcosa che aveva ben poco di artificiale ed, invece, molto di umano.
   
 
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