Tibor,
spaventato da quella rabbia che vedeva per la prima
volta, fuggì in tutta fretta dalla stanza, senza curarsi che
qualcuno potesse
vederlo; per sua fortuna, era ancora molto presto e i festeggiamenti si
erano
protratti fino a tarda notte, i corridoi erano completamente deserti.
Andrè lo
aveva seguito, sbattendogli la porta dietro, ed era tornato a stringere
fra le
braccia Oscar che gli sfiorava la schiena con l’intento di
calmarlo.
“Cosa
credevi di fare?!”.
“Come?
Che cosa intendi dire Andrè?”.
La
afferrò per le braccia scostandola bruscamente da
sé. “Hai
capito cosa voleva quando ti ha chiesto di raggiungerlo? Volevi forse
che ti
violentasse?!”.
Oscar lo
guardò negli occhi smarrita; non lo aveva mai visto
tanto arrabbiato, non credeva nemmeno che potesse giungere a tale
livore e
anche se sapeva bene che non fosse indirizzato a lei, ne era spaventata.
“Io
non potevo lasciare che ti uccidesse, avrei fatto
qualsiasi cosa!”, esclamò, tentando di recuperare
la sua sicurezza.
Andrè
lasciò andare un sospiro, chinandosi fino a toccare la
fronte di Oscar con la propria e la abbracciò, baciandole la
tempia.
“Se
Tibor fosse arrivato fino in fondo, quel colpo me lo
sarei fatto sparare in testa”.
La
sentì irrigidirsi fra le sue braccia e le tirò su
il viso,
sfiorandolo con il dorso della mano. Le passò il pollice
sulle labbra, come a
voler cancellare ciò che le aveva fatto Tibor, e Oscar vide
un velo di lacrime
offuscargli lo sguardo.
“Andrè,
non è successo, ti prego calmati”.
“Stava
per succedere, Oscar, ed io non avrei potuto fare
nulla se non farmi ammazzare”.
Oscar gli
posò le mani sul volto, senza curarsi delle coperte
che le scivolarono dal corpo, e si sollevò sulle punte per
baciarlo,
allacciandogli le braccia intorno al collo; Andrè la
strinse, lasciando vagare
le mani sulla sua pelle.
“Tentare
di sedurmi non mi farà passare l’arrabbiatura,
Oscar”.
La vide
arrossire di sdegno e rise, baciandola fino a
toglierle il fiato.
“Andrè,
dobbiamo andarcene al più presto. Non voglio più
rischiare che succeda una cosa del genere, sono stanca di avere Tibor
fra i
piedi”.
Andrè
annuì, abbracciando stretta Oscar. Non avrebbe voluto
portarla via così presto ma se Tibor era arrivato al punto
di intrufolarsi
nella loro stanza per ucciderlo e addirittura abusare di lei, non
c’era tempo
da perdere.
“Se
vuoi partire adesso, dobbiamo organizzare il viaggio e
partire al massimo fra un paio di giorni. L’inverno avanzato
non ci
consentirebbe di raggiungere la Transilvania”.
Oscar distolse
lo sguardo dagli occhi di Andrè e si avvicinò
alla finestra, scostando la tenda quel tanto che bastava per osservare
il
panorama fuori. Era decisa più che mai a partire insieme a
lui ma pensava che
le fosse concesso più tempo per dire addio al mondo che
conosceva. Udì i passi
di suo marito nella stanza e qualche minuto dopo sentì il
calore della veste da
camera che le fece indossare, vestendone una a sua volta. La
abbracciò per la
vita, lasciando che si adagiasse contro di lui.
“Sei
pentita?”.
“No.
Sono solo sorpresa dalla repentinità della nostra
partenza. Non potrei mai pentirmi di aver scelto di condividere la mia
vita con
te”.
Andrè
sorrise accarezzandole delicatamente il ventre e Oscar
lo fermò posando la mano sulla sua. Prima che pronunciasse
una sola parola, lei
voltò la testa per guardarlo e gli sorrise.
“E
se… ecco, non siamo stati attenti…”.
Lui rise,
baciandole la fronte. “Se fosse accaduto, sarei
l’uomo più felice della terra, Oscar”.
Nel pomeriggio,
Andrè decise di andare a trovare i suoi
genitori, dopo aver lasciato Oscar in compagnia di madame Jarjayes.
Doveva
chiedere il parere dei principi Beleznay prima di partire ma era
disposto a intraprendere
da solo il viaggio con Oscar se avessero espresso il desiderio di
restare in
Francia.
Zalán e
Ariadné furono stupiti della sua
visita, sicuri com’erano che avrebbe trascorso
l’intera giornata con sua moglie;
l’espressione grave del suo viso li avvisò che
doveva essere accaduto qualcosa
ma nessuno dei due poteva nemmeno immaginare la verità.
“Andrè,
pensavamo che preferissi rimanere con Oscar oggi”.
“Lo
avrei voluto, madre, però è successo qualcosa
stamani che
non posso ignorare”.
Ariadné
si irrigidì e Zalán le strinse la
mano nella sua,
intuendo i suoi timori. “Avete forse deciso di rimanere in
Francia?”, chiese
senza giri di parole.
“Come?
Oh no, affatto padre. Anzi, se sono qui, è per
chiedervi di anticipare il viaggio e andare via al più
presto. Tibor si è
introdotto nei miei appartamenti stamattina, intendeva uccidermi e
usare
violenza a Oscar… io non posso più restare
così vicino a lui, stavo per
sparargli!”.
Zalán si
alzò, passeggiando nervosamente
nella stanza. Era livido di rabbia e mancò poco che
sferrasse un pugno contro
la finestra. “Io quello lo ammazzo sul serio”.
“Calmati
Zalán, ucciderlo
servirebbe solo a
metterti nei guai. Almeno fin tanto che ci troviamo in
Francia”.
Andrè
spostava lo sguardo dall’uno all’altra, preoccupato
da
quali potessero essere le loro intenzioni una volta giunti in
Transilvania.
“Madre,
voi non dovete…”.
“Quello
che dobbiamo fare è affar nostro, Andrè.
Preoccupati
che tu e Oscar siate pronti a partire, domani”.
Andrè
trasalì scorgendo una cruda determinazione negli occhi
color ghiaccio della donna; aveva imparato quanto potessero essere duri
e
spietati gli abitanti di Transilvania e si sorprese a pregare per
l’anima di
Tibor. Poi, improvvisa com’era venuta, quella rabbia
sparì, lasciando il posto
a un luminoso sorriso.
“Non
ti angustiare adesso, hai recuperato tutti i tuoi
ricordi e sei sposato con la donna che ami, dovresti sorridere tutto il
tempo!”.
Lui si
sforzò di sorriderle, prendendole le mani nelle sue.
“E’ anche merito vostro madre. Se voi non foste
stati tanto generosi da
adottarmi non avrei potuto realizzare il mio sogno”.
Ariadné
ricambiò la stretta e Zalán gli
posò una mano sulla spalla. “Non avremmo potuto
fare
altrimenti, ti vogliamo bene. Sei nostro figlio”.
Andrè
si chinò a baciare le mani della principessa,
stringendole con amore. Nanny era stata la nonna migliore che potesse
immaginare ma aveva sempre sentito la mancanza dei suoi genitori e i
principi
ungheresi avevano fatto di tutto per sopperirvi, riuscendoci quasi
completamente. Con loro e Oscar al suo fianco, poteva finalmente avere
una
famiglia.
Quando raggiunse
Oscar, Andrè la trovò intenta a consolare
sua madre che le si era gettata fra le braccia, sotto lo sguardo
commosso del
generale Jarjayes. Doveva aver detto loro ciò che era
accaduto e la decisione
di partire immediatamente e per qualche attimo Andrè si
sentì responsabile di
tutto quel dolore; se non fosse stato bersaglio della gelosia di Tibor,
Oscar
non avrebbe dovuto lasciare la Francia e la sua famiglia.
“Andrè”.
“Generale
Jarjayes”.
“Andrè,
voglio che tu mi giuri di nuovo che la renderai
felice. È doloroso per me separarmi da Oscar e ho bisogno di
sapere che la
lascerò andare incontro alla sua
serenità”.
Andrè
guardò il generale dritto negli occhi, deciso a
confermargli ciò che chiedeva. Rendere felice Oscar era
tutto ciò che
desiderava dalla vita.
“Non
mi perdonerei se Oscar fosse meno che felice un solo
giorno della sua vita”.
“Ti
ringrazio Andrè”.
“Però,
devo chiedervi perdono generale”.
“Perdono
di cosa?”.
Andrè
chinò il capo, contrito. “Se non fossi stato io il
bersaglio di quel pazzo di Tibor, non sarei stato costretto a portare
via
Oscar”.
“Stai
partendo per salvare mia figlia. Non c’è colpa in
questo”.
“Vi
ringrazio molto generale Jarjayes”.
François
de Jarjayes strinse la mano di Andrè, guardandolo
con sincero affetto. Non lo aveva mai ammesso a nessuno se non a se
stesso ma
era molto felice che fosse vivo e avesse sposato Oscar
perché sapeva che era
l’unico degno di stare al fianco della sua amata figlia.
Consolare
Marguerite non fu altrettanto semplice; inutile
ripeterle che avrebbero fatto loro visita ogni anno e che avrebbe a sua
volta
potuto raggiungerli quando l’avesse desiderato. Tutte le sue
figlie erano
sposate e vivevano in Francia e l’idea di perdere proprio
Oscar che più a lungo
di tutte aveva vissuto nella casa paterna, le era insopportabile.
Sembrò
calmarsi un poco soltanto quando sua figlia le spiegò che si
allontanava per
salvaguardare la propria incolumità ma che lasciare i propri
genitori e la
Francia le era di peso.
“Figlia
mia promettimi che mi scriverai spesso. Voglio sapere
quando mi darete dei nipoti”.
Oscar
arrossì vistosamente, scoccando un’occhiataccia ad
Andrè che ridacchiava divertito. “Certamente
madre. Qualora Andrè ed io
decidessimo di avere dei figli, sareste la prima a saperlo”.
Marguerite la
abbracciò, finalmente sorridente. “Sii felice
Oscar. È l’unica cosa che io e tuo padre abbiamo
sempre voluto per te”.
“Lo
sarò di certo, madre mia”.
Dicembre
1792
Cinque anni.
Tanto è passato da quando ho finalmente
ritrovato la mia vita e il mio amore in Francia. Liliána è
sempre più bella, a quattro anni è il
ritratto di sua madre se non fosse per gli occhi verdi che sono
certamente
opera mia[1]!
Il
‘timore’ di Oscar si rivelò fondato e la
nostra bambina nacque nell’agosto
successivo al nostro matrimonio, incredibilmente proprio il 16 come me.
La
decisione di darle un nome ungherese è stata comune, in
fondo è nata in Ungheria
ed è in questo regno che crescerà; ora
più che mai sappiamo che non torneremo
in Francia, quello non è più il paese che abbiamo
lasciato.
La
popolazione, esasperata dalla fame e dai continui rialzi della
tassazione, ha
infine dato il via a una rivolta, a quella che chiamano Rivoluzione.
Il Cavaliere Nero, che senza saperlo è stato
l’artefice della mia felicità, era soltanto
un’avanguardia dei malumori della
gente e del dissenso incarnato dai cosiddetti Giacobini.
Certo,
non posso dire di non capirli: io sono stato fortunato, pur se un
servo, sono
stato cresciuto accanto a Oscar, ho ricevuto la sua stessa educazione e
infine
ho incontrato i Beleznay che hanno fatto di me un principe
perché potessi
sposarla. Tuttavia, se fossimo rimasti in Francia, sono certo che avrei
preso
parte attivamente alla rivolta, dalla parte del popolo francese,
s’intende; e
sono anche sicuro che Oscar sarebbe stata al mio fianco, è
nata nobile ma è soprattutto
nobile d’animo e non ha mai tollerato le vessazioni rivolte
al popolo.
In
effetti, dopo la presa della Bastiglia ricevemmo la visita di un
soldato
mandato da un certo Bernard Chatelet che si è rivelato
essere il marito della
nostra Rosalie e niente meno che la persona celata dietro la maschera
del
Cavaliere Nero! Il militare ci disse di chiamarsi Alain de Soisson, un
soldato
della Guardia Metropolitana che aveva combattuto al fianco del popolo
insieme a
tutti quelli della sua compagnia. Bernard, che aveva sentito parlare di
Oscar
da sua moglie, la invitava a tornare in Francia come cittadina per
collaborare
alla riorganizzazione del paese e del suo esercito.
Prendere
quella decisione fu quanto di più difficile avessimo
affrontato nella nostra
vita. L’orgoglio ci spingeva a partire subito alla volta del
nostro paese
martoriato, con il cuore colmo della stessa speranza che aveva guidato
i
Rivoluzionari; ma Liliána aveva appena compiuto un anno e
questo ci fece
desistere: lasciarla in Ungheria e separarci da lei non era nemmeno da
considerare, tanto meno portarla con noi nel bel mezzo di una guerra
che
infuriava in tutta la Francia. Sapevamo che i nostri familiari stavano
bene e
così, pur se a malincuore, lasciammo che il soldato de
Soisson ripartisse solo
com’era giunto, strappandogli però la promessa di
tornare a trovarci assieme a
Bernard e Rosalie.
I
nostri ripensamenti si sono completamente annullati quando abbiamo
saputo delle
atrocità seguite al rovesciamento della monarchia francese;
appena qualche mese
fa, gli ultimi cortigiani fedeli alla Corona sono stati orrendamente
trucidati
e dal tono delle ultime lettere di Rosalie, credo che fra non molto i
sovrani
stessi saranno condannati alla ghigliottina. Tutto questo non
è quello che i Giacobini
sognavano, non è quello che noi immaginavamo quando siamo
stati resi partecipi
dei cambiamenti iniziati ad avvenire in Francia.
Oscar
è particolarmente preoccupata per le sorti della Regina
Maria Antonietta e non
posso dire di non capirla: sono state grandi amiche per
vent’anni e la sovrana
ha svolto una grossa parte nel coronamento del nostro sogno
d’amore. Anche mia
madre teme per la sua vita e spesso la sorprendo a piangere fissando un
ritratto che le aveva donato la stessa Maria Antonietta; ho imparato
che le sue
sensazioni sono spesso foriere di verità e tremo al pensiero
di dover un giorno
dare a Oscar questa terribile notizia.
Il
tetto del castello che rosseggia fra le cime degli alberi in lontananza
mi
distoglie dalle mie riflessioni, indicandomi di essere quasi arrivato a
casa. È
stata una giornata pesante e non vedo l’ora di tornare da
Oscar e Liliána;
stamani non ho permesso a mia moglie di seguirmi, sembra molto stanca
ed è
pallidissima, l’ho sentita dare di stomaco tutte le mattine
nelle ultime
settimane. Sono preoccupato per lei ma mi ripeto che non
dev’essere niente di
grave, non può essersi ammalata proprio adesso che siamo
felici.
Non
abbiamo altri pensieri al momento, da quando Tibor è
deceduto in un incidente,
tre anni fa; i cavalli che trainavano la sua carrozza si sono
improvvisamente
imbizzarriti, terminando la loro folle corsa sul fondo di un dirupo.
L’unico
sopravvissuto è stato Petre, che guidava il veicolo e quindi
si trovava a
cassetta, potendo così saltare prima dello schianto, e anche
se il corpo di mio
cugino non è mai stato recuperato, non penso che possa
essere ancora vivo. Ho
provato a chiedere a Jan per quale motivo ci fosse il suo amico come
cocchiere
ma non ho ricevuto risposta; è rimasto ostinatamente muto
anche quando ho
azzardato che l’incidente fosse stato provocato dallo stesso
Petre come unico
mezzo per riscattarsi agli occhi di mio padre.
È
stato allora che ho affrontato Zalán, chiedendo spiegazioni
su ciò che era
davvero accaduto; non ha ammesso un suo coinvolgimento ma mi ha
ordinato con
molta durezza di non intromettermi mai più fra lui e i suoi
uomini. Mio padre è
un colonnello dell’esercito austriaco e Jan e Petre fanno
parte della sua
guardia personale e anche del suo reggimento. La Transilvania
è una zona
particolare, una delle prime terre coinvolte se il conflitto tra
l’Impero
Asburgico e l’Impero Ottomano dovesse mai rifarsi acuto; per
questo motivo, Zalán
ha bisogno di mostrarsi duro e spietato se vuole mantenere il rispetto
dei suoi
soldati ed io non posso permettermi di mettere in dubbio la sua
autorità, era
questa la lezione.
Mi
fermo sulla soglia del salone quando sento la voce di
Liliána chiamarmi,
seguita da quella di Oscar. Sono entrambe sedute a giocare sul tappeto,
davanti
al camino acceso, uscire in giardino a dicembre, in Transilvania,
sarebbe quasi
un suicidio. Le raggiungo e siedo anch’io, accanto a loro,
abbracciando la mia
bambina che mi si è lanciata fra le braccia.
“Dove
sei stato, Andrè? E’ molto tardi, stavo per uscire
a cercarti”.
“Mi
dispiace Oscar, sono stato giù al villaggio; pensavo di
tornare prima ma non
potevo spingere Augustus al galoppo nella neve alta”.
La
vedo annuire e rannicchiarsi contro di me e stringo anche lei; non mi
stancherò
mai di tenerla fra le braccia, di sentire le sue labbra sulle mie, la
sua pelle
serica sotto le dita. Le bacio la fronte, restando con le labbra posate
e la
sento cingermi la vita con un braccio mentre l’altra mano si
sposta a cercare
la mia e la porta fino al suo ventre. La guardo, in cerca di una
risposta, e mi
rivolge un sorriso radioso, avvicinando le labbra al mio orecchio.
“Congratulazioni,
papà”.
La
guardo, confuso da quella rivelazione; sono felicissimo che ci sia
Liliána e la
mia contentezza raggiungerebbe vette inesplorate con un altro bambino.
“Davvero
Oscar? Aspetti un bambino?”.
“No”,
sorride lei, lasciandomi ancora più sconvolto. “Aspettiamo un bambino, si fanno in due
Grandier!”.
Scoppia
a ridere abbracciandomi e non posso fare a meno di ridere con lei della
mia
ingenuità. Non ha mai smesso di chiamarmi Grandier, quando
scherza o è
arrabbiata, e questo mi rende assurdamente felice: è
l’ennesima prova del fatto
che ama davvero il suo amico d’infanzia,
l’attendente, Andrè.
Solo
me, in questa vita e nella prossima.
Solo
lei, per tutta la mia esistenza e oltre.
Solo
Andrè e Oscar.
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[1] Inizialmente
avevo pensato a un figlio maschio ma ho
cambiato idea davanti a una delle fanart che si trovano sul sito
MonCoeur (non
posso inserire il link mi pare di capire dal regolamento ma se lo
trovate
rifatevi gli occhi, l’autrice disegna come la Ikeda *-*) dove
si può vedere
Andrè con la sua bambina (che è praticamente una
minuscola Oscar) fra le braccia mentre Oscar gli sgancia
il pannolino XD
Ebbene, eccomi
infine giunta alla fine di questa lunga storia,
l’ennesimo sogno di una fan che non può ancora
rassegnarsi alla fine dell’anime/manga
di Lady Oscar.
Spero non vi
dispiaccia il cambiamento di registro finale,
con la storia raccontata da Andrè; l’ho fatto
perché in fondo è lui il
protagonista della fanfiction, il verde d’Ungheria del titolo
è riferito al
colore dei suoi occhi e il riscatto era dovuto a lui più che
a Oscar. Non fraintendetemi,
mi dispiace molto anche per Oscar ma la morte di Andrè
è quella che proprio non
riesco a digerire e che mi fa piangere ogni volta che rivedo
l’anime o rileggo
il manga. Un piccolo cameo per il nostro Alain, non ho resistito :P
Non so con quali
parole dirvi quanto vi sono grata per avermi
accompagnata in questo “viaggio” e avermi spronata
a continuare, spesso ho
scritto solo per voi, per ringraziarvi della vostra costanza con la mia.
Non penso che
scriverò altro in questa sezione, per una serie
di motivi che non dirò perché non mi hanno
riguardata personalmente ma spero di
leggere qualcosa di vostro e potervi commentare.
Grazie, grazie e
ancora grazie, spero vi verrà voglia di
rileggermi ogni tanto ;)
Arigatou (_ _)