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Autore: Miss Demy    12/05/2011    18 recensioni
Cosa è accaduto veramente durante gli episodi di "Sailor Moon"? E se la Toei Animation avesse tagliato alcune scene, non mostrandoci gli episodi per intero?
Per gli amanti della coppia Usako-Mamo-chan, ecco una mia rivisitazione degli episodi in cui avremmo tanto voluto vedere il loro rapporto più esteso, non tagliato.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Un po' tutti, Usagi/Bunny
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda serie
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Cap.2: L'amore rinasce. Ep 77, serie 2



Anche quella mattina la corsa su per le scale era stata una sofferenza per le sue gambe rendendole il fiato sempre più corto. Correva, correva, cercando di raggiungere il prima possibile la sua classe.
Correva… correva… non riusciva più a respirare sentendo la gola secca ma continuava a correre; fino a quando fu costretta a spalancare gli occhi e cercare di rallentare il passo - ormai troppo veloce – per evitare di scontrarsi con Umino che stava per uscire dall’aula. La capocciata fu dolorosa e inevitabile!

L’insegnante della prima ora era assente e Usagi tirò un respiro di sollievo anche se, a saperlo prima, si sarebbe concessa un’abbondante colazione.

Una volta entrata in classe, vide i suoi compagni impegnati ad intrecciare fili per creare braccialetti; fu così che Umino e Naru la informarono di un nuovo negozio specializzato nella realizzazione di braccialetti portafortuna; braccialetti che avrebbero realizzato i desideri espressi.
 

Naru e Umino erano la prova vivente che avessero funzionato; infatti, da semplici compagni di classe il loro rapporto era diventato sempre più intimo e affiatato.
 

Usagi osservò il volantino del negozio e quando Naru le disse che regalando il braccialetto alla persona amata l’avrebbe conquistata, ne rimase piacevolmente sorpresa.
 

Il suo entusiasmo all’idea di quel genere di braccialetti ‘magici’ svanì subito, però.
 

Il suo pensiero andò subito al suo Mamo-chan. Il ricordo di lui, di tutte le volte che la allontanava, che le parlava con voce infastidita, con tono freddo, scostante, privo di sentimento, le procurava una fitta al cuore, un bruciore al petto che faceva male, ogni volta allo stesso modo; un dolore che lei sapeva non si sarebbe assopito col tempo. La confusione nella sua testa era sempre presente, le martellava il cervello ogni volta che cercava di darsi una risposta, tutte le volte che provava a capire perché lui l’avesse lasciata. E ogni volta, la consapevolezza che non avrebbe avuto una risposta, che lui non le avrebbe mai detto il motivo per cui aveva messo fine a quella storia nata da poco ma che in realtà li rendeva uniti da sempre, la faceva dannare. Non era giusto dover rinunciare a lui, non senza sapere il motivo, almeno.
 

Quelle ore scolastiche sembrarono non terminare mai per Usagi quel giorno e quando la campanella suonò, sentendosi piacevolmente sollevata, si affrettò a tornare a casa. Sola, per le vie di Tokyo, ogni tanto ripensava a Naru e Umino; lui era innamorato della ragazza dal caschetto castano da un po’ e finalmente – da quanto aveva capito – il braccialetto portafortuna gli aveva dato la gioia di vedere il suo desiderio realizzato.

Sospirò, ripensando a Serenity ed Endymion; da quando aveva ricordato tutto, da quando anche Mamo-chan aveva ricordato i dolci baci sul Silver MIllennium, l’amore sincero e inviolabile, puro, che li aveva visti protagonisti indiscussi fra balli in maschera e una guerra nata tra i due Regni, si erano ripromessi che sarebbero rimasti assieme per sempre; il destino li aveva messi sulla stessa via, dando una seconda possibilità a Serenity ed Endymion per quell’amore sofferto, privato ingiustamente ma che loro due, Usagi e Mamoru, potevano riscattare.

Si erano punzecchiati troppe volte, quasi fino all’esasperazione, però sapevano entrambi che qualcosa li legava, li univa e li faceva stare bene quando erano assieme.
Era una sensazione bellissima, che avvolgeva il loro cuore in un calore mai avvertito prima. E da quando avevano ricordato, avevano dato un nome a quella sensazione: Amore. Ecco cos’era il sentimento che li legava, che li faceva stare bene nonostante i battibecchi e li rendeva fiacchi al pensiero che non si sarebbero scontrati per caso per le vie della città. Da quando avevano ricordato, Mamoru non era più l’odioso ragazzo che la prendeva in giro bensì era ritornato a essere il suo Mamo-chan. Suo lo era da sempre, Mamo-chan perché in quel secolo, in quella nuova vita, il nome era differente.
Ma in fondo, cos’era un nome? Una rosa, anche con un altro nome, non avrebbe mantenuto il suo inconfondibile e unico profumo?*
E così, anche lui, quel bellissimo ragazzo dai capelli corvini, gli occhi blu come l’oceano, lo sguardo intenso e il calore unico e rassicurante che le trasmetteva quando era tra le sue braccia, sia che si chiamasse Endymion, sia che si chiamasse Mamoru, per lei rappresentava un unico sentimento: l’Amore.
Si erano promessi che sarebbero stati assieme per sempre. Lui aveva promesso. Promesso che le sarebbe stato accanto per sempre, garantendole che sarebbe rimasto al suo fianco per qualsiasi cosa. Voleva riconquistarlo. Cosa poteva fare? Magari i braccialetti portafortuna avrebbero funzionato pure per lei. Si sarebbe impegnata mentre avrebbe realizzato il portafortuna, e avrebbe espresso il desiderio con tutto il cuore, con tutta l’anima che – se era vero ciò che diceva Umino – sarebbe riuscita a riconquistare il suo Mamo-chan.

I suoi pensieri tristi ma tuttavia ancora carichi di una fioca luce di speranza, furono interrotti da Makoto che, notandola triste, le si avvicinò assieme ad Ami.
La Principessa di Giove vide lo sguardo malinconico dell’amica e domandò cosa la turbasse, anche Ami intervenne, supponendo che Usagi – come al solito – avesse rimediato qualche insufficienza; la ragazza dai lunghi codini dorati, accennando un sorriso rassicurante, però, negò, affermando di non aver nessun tipo di preoccupazione. Capì che non era in grado di mascherare i suoi stati d’animo, la sofferenza che provava nel cuore, la paura di dover rinunciare al suo Mamo-chan per sempre.
Lei era sempre troppo sincera, i suoi occhi azzurri e limpidi riuscivano a mostrare la sua anima. Un’anima che in quel periodo era tormentata. E loro erano le sue più care amiche, le sue guerriere, le sue guardiane. Non avrebbe mai potuto fingere con loro. Cercò di rassicurarle mostrando un sorriso pieno di entusiasmo e accennando al negozio dei braccialetti di cui le avevano parlato Naru e Umino.
Non poteva guardarle negli occhi, però, altrimenti avrebbero capito che il suo era un ingenuo modo pieno di buone intenzioni per non farle preoccupare per lei.
Si voltò, dando loro le spalle ma continuando a rassicurarle. E fu proprio quando la sua voce stava diventando sempre più convincente, allegra, bugiarda, che i suoi occhi luminosi si posarono sulla persona che si era appena immessa sulla sua via. Di nuovo. Ancora una volta.
Per un istante il respiro le morì in bocca, il cuore mancò un battito. Era Mamo-chan, il suo Mamo-chan, possibile che il desiderio di volerlo rivedere si fosse realizzato? Possibile che quei braccialetti magici e la voglia di vedere realizzati i propri desideri funzionassero?
Ci fu un attimo, un preciso istante, in cui i suoi occhi furono rapiti da quelli blu e profondi di lui, avrebbe anche potuto annegare in quegli occhi magnetici.
Un attimo, e poi lui distolse lo sguardo, riprendendo a camminare come se la sua presenza fosse del tutto indifferente a colui che aveva promesso. Aveva promesso di stare tutta la vita assieme a lei. E non aveva promesso a parole. Lui aveva sempre parlato col cuore, riflettendo i suoi sentimenti puri e sinceri attraverso i suoi occhi sempre pieni d’amore e di protezione.
Non poteva continuare a permetterlo, non poteva cercare di capire da sola il motivo del suo cambiamento. Lei doveva sapere. Lui doveva spiegarle.

Gli andò incontro, correndo, cercando di fermarlo. “Mamo-chan, aspetta!”, ma la punta della sua scarpa fece attrito sul cemento facendola inciampare. Il dolore alle ginocchia scoperte dalla gonna della divisa scolastica fu forte, non le permise di rialzarsi subito, però doveva sapere, non ce la faceva più ad andare avanti così.
Lui si voltò subito verso di lei al suono di quel lamento e, vedendola a terra, i suoi occhi sembrarono letteralmente tremare all’immagine di lei, la sua Usako, sofferente, che si strofinava le ginocchia come a voler attenuare il dolore.
Avrebbe voluto andare da lei e aiutarla a rialzarsi, avrebbe voluto accarezzare le sue ginocchia e alleviare il suo dolore, avrebbe voluto stringerla a sé e dirle che lui la amava, non la aveva dimenticata, non voleva rinunciare a lei. Però non poteva fare ciò. Per via degli incubi, delle minacce, per via di Usagi, di Serenity, della sua vita. Essa valeva più di ogni altra cosa.
Tornò a camminare cercando di allontanarsi da lei, la ragazza che inevitabilmente era destinato a incontrare, alla quale era inevitabilmente legato e dalla quale doveva rimanere ingiustamente lontano.

“Ti prego, aspetta” lo bloccò lei, ancora a terra, “io continuo a pensarci, mi chiedo perché mi hai lasciata però non riesco a trovare una risposta.” La sua voce era dolce, gentile, piena d’amore e – allo stesso tempo – di malinconia, di confusione.
“Ascoltami, avrò il motivo di sapere per cui non mi vuoi più vedere, non credi?” Il tono diveniva sempre più affannato, lei sempre più ansiosa al pensiero che lui se ne andasse senza rispondere, ignorandola semplicemente come era solito fare.
“Avrò il diritto di sapere perché non mi vuoi più bene” riprese arrossendo. Si stava mostrando ridicola? Stava facendo la parte della stupida ragazzina che non si arrendeva a un rifiuto? No. Non era così, e lei lo sapeva. Lo sapeva ricordando i suoi occhi pieni di amore fino al giorno in cui la aveva lasciata. Lo sapeva ogni volta che Tuxedo Kamen interveniva per proteggere Sailor Moon. Usagi lo sapeva che ci sarebbe dovuto essere un motivo per tutto ciò e lei doveva conoscerlo.

Rimanendo di spalle, lui voltò lo sguardo verso di lei.
E per quello sguardo, lacrime amare piene di pura sofferenza che partiva dal suo cuore e si diramava in tutto il suo corpo, uscirono dagli occhi belli e sempre gioiosi di Usagi.
“Se non mi dai un motivo non potrò mettermi il cuore in pace” riprese con voce tremante.

Mamoru distolse lo sguardo, gli faceva troppo male vederla in quello stato, lo faceva soffrire la vista della sua Usako che piangeva per lui. Per lui che avrebbe soltanto voluto vederla felice, per lui che amava vedere la sua euforia e la sua allegria per qualsiasi cosa. Per lui che in realtà la amava.
“Ho delle ragioni personali, non te lo posso dire” rispose bruscamente prima di allontanarsi sempre di più, prima di andare via. Via da lei, da quel dolcissimo e ingenuo tormento che lo pregava di rimanere. Non poteva più restare lì però, faceva troppo male; anche se probabilmente agli occhi di Usagi, di Makoto e di Ami, risultava semplicemente un insensibile, lui soffriva tanto perché se era vero che agiva per il bene di Usagi, i suoi sentimenti erano troppo forti, troppo contrastanti con la ragione.

Usagi rimase lì, per terra, sfogandosi per il senso di impotenza che la assaliva, facendo uscire le lacrime che aveva cercato di trattenere davanti a lui e seguendo quell’immagine che tanto amava e che pian piano diveniva sempre più lontana fino a scomparire dalla sua visuale.

Makoto fece qualche passo in avanti prima di piegarsi sulle gambe e, poggiando una mano sulla spalla dell’amica, disse:
“Vedrai Usa-chan, si sistemerà tutto.”
Ma Usagi scosse la testa, amareggiata, e asciugando le lacrime col palmo della mano rispose: “No, è tutto inutile, orami è finita.”
Ami le tese una mano e Usagi, alzando il viso, incontrò gli occhi turchesi della ragazza dal caschetto blu. “Ci sarà una spiegazione, vedrai” la rincuorò aiutandola a rialzarsi.
Makoto non avrebbe mai voluto vedere Usagi in quello stato; lei l’aveva sempre protetta dai prepotenti grazie alla sua forza. Capì però che in quel caso la forza non sarebbe servita per proteggere l’amica. Neppure altre parole di conforto l’avrebbero aiutata perché il problema di Usagi era Mamoru e finché non avrebbero capito qual era il motivo per cui l’avesse lasciata, l’unica cosa che poteva fare era cercare di rasserenarla e tenerla lontano dal pensiero di lui e della sua decisione misteriosa. Prendendo la cartella della ragazza e porgendogliela le fece coraggio.
“Prima parlavi di un negozio di braccialetti, giusto?” Usagi annuì guardandola nelle iridi verdi e luminose.
“Di che si tratta?” chiese cercando di distoglierla dal pensiero di Mamoru e di rasserenarla.
Usagi raccontò meglio del negozio, dei braccialetti, del corso per imparare a intrecciare i fili e dei poteri che avevano, come testimoniavano i suoi due compagni di classe.
“Usa-chan, è splendido!” esclamò entusiasta Makoto poggiando una mano sulla spalla dell’amica, “vedrai, con questo braccialetto anche Mamoru tornerà ad amarti!”
Nonostante il sorriso sulle labbra di Makoto e Ami, Usagi rimase seria, malinconica e, scuotendo la testa, rispose:
“No, ci avevo pensato anche io ma adesso credo sia del tutto inutile.”
“Su, Usagi, devi essere positiva, tentare non nuoce e poi, almeno potrai dire di averci provato!” Ami con la sua dolcezza riusciva sempre a rincuorarla e a convincerla.
“Facciamo così, oggi io e Ami ti accompagniamo al negozio, va bene?” Makoto facendole l’occhiolino, riuscì a farla sorridere.
“Va bene, proviamo” disse soltanto, anche se, dentro di sé, dopo averlo rivisto, dopo aver ascoltato le sue parole gelide, paragonabili a lame affilate per il suo cuore, dopo aver letto indifferenza nei suoi occhi profondi, non ne era più convinta come quando aveva appena letto il volantino.

Le ragazze fecero un tratto di strada assieme prima di salutarsi per imboccare strade diverse. Si diedero appuntamento nel pomeriggio, Makoto e Ami sarebbero andate a prenderla a casa, evitando così che Usagi potesse avere ripensamenti.

Arrivarono le 17.30, Usagi andò ad aprire sentendo il campanello suonare. Le sue amiche erano lì, sulla soglia di casa, pronte a darle il sostegno e l’incoraggiamento necessario.
Mostrò loro il volantino e insieme si diressero verso il negozio.
Una volta lì, alzando gli occhi, rimasero attratte dal maestoso palazzo; non sembrava il semplice negozietto di portafortuna. Usagi era titubante, forse aveva sbagliato, forse continuando a sperare nei poteri dei braccialetti si sarebbe soltanto illusa, come quando aveva addirittura bevuto un’enorme pozione d’amore nella speranza di riuscire a riconquistare Mamo-chan. Forse stava sbagliando di nuovo.
Coi piedi ben piantati al cemento, guardò indecisa l’interno della struttura attraverso le porte scorrevoli, sempre più convinta ad andare via.
Furono le parole di Makoto, piene di positività e di allegria, a farla desistere dalla voglia di tornare a casa.
Entrarono, tutte e tre, dando uno sguardo all’interno. Una commessa dai capelli biondi legati in una coda bassa e gli occhi neri come il carbone, le accolse con un gentile sorriso. Usagi acquistò il cestino con tutto l’occorrente per la realizzazione dei portafortuna e venne accompagnata dalle due amiche all’interno dell’aula dove si svolgeva il corso. Provò a seguire la spiegazione dell’insegnante ma per lei quel genere di lavoretti manuali era davvero difficile. Eppure si sarebbe impegnata, avrebbe messo tutta la pazienza e la buona volontà perché la voglia di riavere Mamo-chan, di udire le parole piene d’amore nei suoi confronti, superava tutto. Per lui avrebbe anche studiato il libretto delle istruzioni.
Quando il corso terminò, tornò a casa. Chibiusa notando il sacchetto blu che teneva in mano domandò:
“Cos’hai comprato, Usagi?” cercando di sbirciare all’interno.
Usagi estrasse dalla busta i fili colorati, spiegando dei braccialetti e dei loro poteri.
Chibiusa sorrise, sperava tanto che il desiderio della ragazza si realizzasse. Anche se probabilmente non lo avrebbe mai confessato, per lei Usagi e Mamoru erano davvero belli assieme e ogni volta che stava con entrambi un calore piacevole le scaldava il cuore, proprio come quando era coi suoi genitori nel futuro. Usagi soffriva, e lei lo capiva, lo vedeva, era evidente. Non era più la ragazza allegra e solare che aveva conosciuto quando era arrivata nel ventesimo secolo, la sua voce era sempre triste e i suoi occhi spenti. Le mancava la vecchia Usagi, quella con cui litigava per le attenzioni di Mamoru, quella a cui faceva i dispetti.
Rimase davanti alla porta della stanza della ragazza mentre la osservava aprire il libretto delle istruzioni e attaccare i fili con lo scotch al tavolino basso.

Usagi iniziò a far passare i fili colorati fra loro, seguendo le istruzioni e ripensando alla spiegazione dell’insegnate, però era troppo complicato per lei. Non era abile con quel tipo di lavori, soprattutto se nessuno potesse correggerla quando capiva di stare sbagliando. Sospirò spazientita notando che il suo braccialetto dai fili verdi e arancio, che, stando alla spiegazione dei colori, rappresentavano l’amore ritrovato, in certi tratti non era uguale a quello della figura. Per un attimo sentì le palpebre pesanti; quel pomeriggio non aveva potuto riposare per andare al corso dei braccialetti; sbadigliando, poggiò le braccia sul tavolino a sostenerle il viso. Si concesse qualche minuto di riposo prima di riprendere e terminare il braccialetto per il suo Mamo-chan.
Col pensiero del ragazzo, chiuse gli occhi, ritrovandolo presto accanto a sé, in uno smoking bianco, che le sorrideva e la chiamava per nome con voce piena di dolcezza, mentre insieme percorrevano la navata centrale della Chiesa nella quale sarebbero diventati marito e moglie. Proprio mentre i suoi occhi si perdevano in quelli di lui, mentre il suo viso si avvicinava a quello del suo ragazzo per suggellare quell’unione sacra dinnanzi a Dio; una voce minacciò Mamoru di lasciarla mentre lei, Usagi, Serenity, iniziava a sprofondare allontana dosi sempre di più da lui che urlava il suo nome.

Usagi spalancò gli occhi. Era un sogno in cui sposava il suo Mamo-chan. Lo aveva sognato di nuovo. Ancora una volta. Differente dai precedenti, però, per il fatto che quella voce minacciosa non l’aveva mai udita; lei che veniva trascinata verso un baratro, era una visione nuova.
Cosa significava tutto ciò? Probabilmente era il suo subconscio che riversava nei sogni la sua paura di perderlo per sempre. Sì, probabilmente era così pensò. Si alzò avvicinandosi alla cassettiera e prendendo tra le mani la cornice con la foto che ritraeva lei il suo Mamoru insieme. Felici. Il vetro si ruppe proprio mentre ripensò alle immagini e alla minaccia. Sussultò. Cosa stava accadendo? Oramai era evidente che non si fosse trattato solo di un sogno; la minaccia era reale, proprio come il vetro frantumato che ancora aveva in mano. Doveva capire. Solo una persona poteva aiutarla a capire. La stessa persona che era con lei nel sogno, la stessa che veniva intimorita dalla voce.

Corse fuori dalla stanza, scese le scale, ritrovandosi Chibiusa e Luna sorprese di vederla agitata.
“Dove vai, Usagi?” chiese la gattina preoccupata non appena la ragazza abbassò la maniglia della porta d’ingresso.
“Devo andare da Mamoru” si limitò a dire prima di correre fuori.
Chibiusa salì in camera della ragazza, notando il braccialetto sul tavolo; era carino ma non era terminato.
“Luna, Usagi ha dimenticato il braccialetto, dobbiamo portarglielo.” E così dicendo, aprì la porta e seguì la ragazza ormai lontana. Luna le andò dietro pensando a quanto lei e Usagi fossero simili negli atteggiamenti e nei modi di fare.
Sotto il palazzo in cui si trovava l’appartamento di Mamoru non c’era nessuno. Usagi era già dentro pensarono la bambina e la gatta.
Decisero di non salire. In fondo, forse era meglio che rimanessero da soli. Forse si sarebbero chiariti, finalmente.

Usagi bussò più volte alla porta di Mamoru, pregandolo di aprirle.
Al suono di quella voce il ragazzo trasalì; chiudendo il libro che stava studiando, sentì il cuore mancare un battito. L’aveva pensata, si era domandato tante volte quel giorno come stesse, se le ginocchia le facessero ancora male, se le sue amiche fossero riuscite a consolarla.
Per un istante, uno soltanto, invidiò colei che amava. Lei aveva loro, le sue principesse e amiche, sempre pronte a proteggerla, sempre pronte a starle accanto e a farla confidare per poi donarle parole di conforto. E poi aveva la sua mamma, dolce e premurosa, e suo padre, geloso e protettivo.
Ma lui? Lui no. Lui era solo, come sempre. Non aveva una mamma che gli sorridesse, trasmettendogli un po’ di serenità quando lo vedeva preoccupato, non aveva un padre con cui parlare da uomo a uomo affrontando quei discorsi da grandi che un ragazzo fa insieme al padre nel periodo dell’adolescenza. Non aveva amici con cui sfogarsi, a cui parlare di Serenity, della minaccia, della paura di perdere Usagi e della voglia di difendere Sailor Moon anche con la sua stessa vita. Perché per lui, Sailor Moon, Usako, era quello. Vita.
E la sua Vita era lì, fuori da quella porta, che lo supplicava di aprire.
Inspirò, cercando di stamparsi in viso quello sguardo odioso, come se sperasse di allontanarla da sé.
“Parla piano, non sai che ore sono?” ordinò con voce arrogante aprendo e guardandola con sguardo gelido.
Ma lei non si lasciò intimorire da lui. Lei doveva sapere.
“Perdonami, ho una cosa urgente da chiederti e vorrei subito una risposta” rispose tutto d’un fiato con la gentilezza e la dolcezza che erano solo sue.
“Mi dispiace per te ma non ho niente da dirti, va’ a casa!” ordinò lui richiudendo la porta.
Ancora una volta non si arrese.
“Mamoru, ti prego, dimmi almeno se hai fatto un brutto sogno recentemente.”
Alle parole brutto sogno, Mamoru riaprì la porta, spalancando gli occhi per l’incredulità.
“Brutto sogno?” domandò, più per ripetere a se stesso che non aveva capito male; lei aveva detto proprio quelle parole.
Lei annuì, entrando per poi richiudere la porta alle sue spalle.
“Sembri preoccupato, Mamo, ho detto qualcosa che ti ha turbato?” Vedere il suo Mamo-chan triste, pensieroso, la faceva star male.
“Di che si tratta?” chiese semplicemente lui, poggiandosi al mobile del corridoio e facendo scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni.
Usagi, col capo chino sulla moquette, iniziò a raccontare di lei, di lui, della Chiesa in cui si sarebbero sposati.
Lui la bloccò subito quando lei parlò di loro che percorrevano la navata assieme.
Non poteva essere lo stesso sogno, si era tormentato tanto per colpa di quel sogno. Non poteva tormentare pure lei.
“C’era qualcos’altro nel sogno?” cercò di capire meglio.
Lei annuì, con le mani chiuse al petto.
“Una voce che ti minacciava di lasciarmi, Mamoru” rispose sinceramente continuando a guardarlo negli occhi.
“L’ho sognato anche io” aggiunse lui pieno di sconforto.
“Sì, ma c’era dell’altro” riprese lei, “io sprofondavo sempre di più davanti ai tuoi occhi terrorizzati mentre urlavi il mio nome.”
Rivide quegli occhi, di fronte a lei, sul serio quella volta. Erano confusi.
“Ora capisco, anche tu hai fatto quel brutto sogno” riuscì a dire mentre incontrava il suo viso spaventato.
“Sì, infatti, è uguale al tuo” affermò, “però dobbiamo pensare che si tratta solo di un incubo, non è la realtà.” Cercò di rasserenarlo; non l’aveva mai visto così turbato.
“Niente affatto! La voce mi diceva che saresti morta.” Usagi, nonostante la tensione provata per via dell’incubo, delle coincidenze, del vetro rotto tra le sue mani, provò un calore al cuore. Si sentiva più leggera, più serena. finalmente capì qual era la ragione per cui lui l’avesse lasciata. Lui la amava. L’aveva lasciata per proteggerla, per evitare che non le accadesse nulla.
Un sorriso nacque sulle sue labbra.
“Oh, Mamo-chan, quindi non è vero che hai smesso di amarmi, mentivi, è così?”
Ma lui non rispose. E lei capì che non si stava sbagliando. Lui la amava, voleva proteggerla ancora una volta perché la amava. E lei non poteva più rimanere senza di lui, senza il suo calore avvolgente, senza quelle labbra che le facevano toccare il cielo con un dito quando le avvicinava alle sue.
“Dimentichiamo tutto questo, pensiamo a noi.” Voleva essere più convincente possibile. Voleva dimenticare tutto quel periodo passato senza di lui, i momenti in camera a piangere dannandosi l’anima in cerca di una risposta. Voleva soltanto pensare a lei, a lui, assieme.
“Pensi che non ci abbia provato? È stato impossibile, tutte le notti ero ossessionato dallo stesso sogno.” Il suo tono era agitato; aveva finalmente rivelato il motivo del suo assurdo comportamento. Abbassando gli occhi per non incontrare quelli ingenui di lei che lo rendevano fragile, inerme, riprese. “Ora sono convinto che sia una premonizione e non voglio rischiare che tu muoia, mi capisci Usagi?”
Lui lo faceva per lei. Lei doveva capire.
“Che senso ha vivere per me se non posso starti accanto ogni ora del giorno?” Usagi cercava di farlo riflettere, di fargli capire che la vita andava vissuta insieme alle persone amate, la vita era fatta di piccole cose che rendevano felici solo se le si condividevano con le persone che si amavano. Altrimenti niente aveva senso, neppure la sua vita.
I suoi occhi ormai lucidi lo fissavano, lui alzò lo sguardo e quando incontrò quelli di lei che lo ammaliavano, che lo catturavano con innocenza, per un attimo sentì delle scosse dentro di sé che si propagavano in tutto il suo corpo. La voglia di stringerla e non lasciarla andare era troppa, la voglia di custodirla tra le sue braccia come un tesoro prezioso cresceva sempre di più. Il desiderio di baciare le sue labbra e sentirla, sentirla sua, solo sua, stava diventando un’ossessione.
Lei cercò di avvicinarsi ma la paura di vederla morire prevalse in lui.
“Sta’ zitta, ormai ho deciso” ordinò a voce alta, poi, stringendo un pugno per cercare di sfogare la sua ira per quel destino beffardo che si stava prendendo gioco di loro, la spinse indietro.
“Noi non dobbiamo più vederci né frequentarci” aggiunse facendola uscire contro la sua volontà prima di richiudere la porta.
Usagi non poteva accettarlo, lei sarebbe voluta rimanere lì, con lui. Era quello il suo posto. Accanto all’uomo che amava e che la amava.
Non poteva arrendersi, dovevano rimanere uniti anche se ciò avrebbe comportato la sua morte. Lo pregò, lo scongiurò di farla rientrare, battendo i pugni sempre più insistentemente sulla porta mentre le lacrime le rigavano le guance e il respiro le si affannava.

Quel suono, quel lamento straziante pugnalò Mamoru dritto al cuore. Avrebbe preferito morire in quel momento pur di non sentirla piangere e disperarsi. Si poggiò alla porta, la stessa che la divideva dalla ragazza accasciata a terra in preda allo sconforto.
Voleva farla entrare, rientrare nella sua casa e nella sua vita. Da quella vita da cui era uscita nonostante non avesse mai lasciato il suo cuore.
Deglutì, abbassando gli occhi e permettendo alle lacrime di cadere a terra.

Usagi rimase a terra, con le mani aperte a sorreggerle il viso per qualche minuto prima di alzarsi e andare via. Lei non poteva più stare lì, lui non la voleva più e dato che ormai sapeva il motivo, capì che lui non si sarebbe convinto facilmente, lui non si sarebbe più convinto a tornare con lei e affrontare tutto assieme.

Lui rimase con la schiena aderente alla porta, con la testa poggiata al legno duro e freddo anche dopo aver sentito i passi di lei farsi sempre più lontani fino a divenire impercettibili.
La fine di quel suono, il rumore del silenzio, gli strinse il cuore in una morsa. Lei non c’era più. Non era più lì, con lui, ma il suo profumo inconfondibile e unico inebriava ancora le sue narici. Se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere i suoi occhi tristi, ascoltare la sua voce spaventata e tremante, poteva ancora udire i pugni che sbattevano sulla porta implorandolo di farla restare, chiedendogli amore. Lo stesso amore per il quale l’aveva lasciata. Se alzava le palpebre, però, era di nuovo solo. Senza di lei. Lei che per pochi attimi aveva donato vita a quell’appartamento abituato al buio. Usagi era la luce. Una luce che scaldava il cuore con la sua vitalità, con quell’allegria che metteva il buon umore. Una luce che donava amore solo con uno sguardo pieno di tenerezza. Usagi era la luce che aveva illuminato la sua vita nera, donandole raggi di arcobaleno. Usagi era l’amore, la vita, la luce. Era la sua famiglia.
Al solo pensiero di doverla lasciare andare per sempre, all’idea che non avrebbe più rivisto la sua Vita, la sua Luce, si sentì soffocare. Aveva già avuto quegli attimi di smarrimento, di naturale debolezza dettata in parte dall’egoismo. Ma poi l’Amore prevaleva e la vita di Usagi veniva messa al primo posto.
Quella volta però fu diverso. Sapeva che Usagi non lo avrebbe lasciato tranquillo, non si sarebbe arresa dato che aveva conosciuto quali fossero le sue ragioni.
La avrebbe – inevitabilmente – rivista. Era destino che si incontrassero per le vie di Tokyo. Si incontravano sempre. Lei lo avrebbe bloccato, chiesto di ripensarci, guardato con occhi supplichevoli e pieni d’amore e di luce che lo avrebbero sciolto come neve al sole. Lui non avrebbe potuto sbatterla fuori di casa. Non avrebbe potuto evitarla per sempre. Pian piano si sarebbe arreso, o forse no. Ad ogni modo, sarebbe impazzito sempre di più. E non per se stesso ma per Usako, per l’immagine di lei che avrebbe pianto e si sarebbe disperata ogni volta. Odiava vederla piangere, e non perché non sopportava le piagnucolone, bensì perché soffriva vedendola soffrire.
Portò le mani alle tempie; il cervello sembrava gli stesse uscendo dal cranio.

Destino maledetto, pensò.
Destino…
Un destino che li voleva uniti, che li aveva messi sulla stessa via, che li aveva fatti rinascere, reincarnare in due corpi per poter rivendicare quell’amore tanto desiderato, voluto ma violato per colpa della gelosia e dell’invidia.
Ripensò a Endymion. Lui sì che era un uomo. Un Principe e un uomo valoroso. Lui sì che era un eroe. Aveva protetto la sua donna, il suo Amore, aveva preferito Lei andando incontro a una guerra contro Beryl pur di non lasciare andare Serenity.
Endymion non si era arreso alle minacce di Beryl, era morto pur di non lasciarla sola tra le grinfie di quella strega.
E Serenity? Anche lei era morta per difendere il loro amore, per non vivere senza di lui.
E Selene? Morta. Per la vita di sua figlia. Per donare a Serenity, a Endymion una seconda possibilità.
Si sentì un idiota. Troppe persone innocenti erano morte per Endymion e il suo amore per la sua Princess. Erano morte per lui. Lui era Endymion.
Finalmente capì. Aveva sbagliato. Tutto.
Non aveva tenuto onore a Endymion, a Serenity, alla regina Selene, a tutti quegli innocenti periti in guerra. Aveva vanificato il sacrificio di una regina, di regno, di un Amore.
Avrebbe dovuto prendere esempio da quelle persone valorose e coraggiose che avevano affrontato le insidie insieme. Perché le grandi lotte, le avversità, si combattono assieme. L’unione faceva la forza. Serenity ed Endymion, anche se in un modo diverso, avevano vinto grazie all’amore.
Il suo potere malvagio di cui l’aveva investito il Dark Kingdom, era stato sconfitto dall’amore di Sailor Moon per lui.
Tutte le avversità le avevano affrontate e vinte assieme.
Doveva rimanerle accanto, custodirla tra le sue braccia per proteggerla da chiunque volesse farle del male, doveva amarla alla luce del sole. Perché Usako era la luce, una luce che in quel momento realizzò avesse bisogno di amore. Di lui. Se Usagi era la sua Vita, lui era la Vita per lei.

Improvvisamente sentì il richiamo dell’Amore, Sailor Moon era in pericolo, lui lo percepiva ogni volta e ogni volta la rabbia e la paura di vederla soccombere durante i combattimenti si impadronivano di lui. Usagi non doveva essere toccata. Usako era inviolabile.

Tuxedo Kamen arrivò giusto in tempo, dando a Sailor Moon la possibilità di intervenire con il suo scettro e sconfiggere il demone.
Osservandola dopo che Esmeraude svanì, trovò il coraggio di parlarle, di dirle che avrebbero dovuto lottare uniti, solo in quel modo avrebbero potuto sconfiggere i nemici.
“Questo lo so” rispose, confusa, la Paladina della legge. Non capiva, perché Mamo-chan parlava in quel modo? Avevano sempre combattuto assieme, perché diceva quelle cose solo in quell’occasione?
Lo guardò, riuscendo a immaginare il suo volto anche senza la mascherina. Percepì i suoi occhi fissarla. Durò pochi attimi prima che lui abbassò lo sguardo, imbarazzato dalla presenza delle Senshi, desideroso di parlarle, di spiegarle, di dirle Ti amo.
Ma lei non aveva letto il suo desiderio, come avrebbe potuto dato che l’aveva sbattuta fuori di casa poco prima? Però ormai non poteva più fare a meno di lei, non poteva più tenere per se stesso tutto l’amore che era riservato solo a lei. Solo a Usako.
Deglutì, non poteva farlo davanti alle altre. Salutò correndo via tra i palazzi della città.

Solo nella notte, sciolse la trasformazione, ritornando nella sua giacca verde e nei suoi pantaloni beige. Non aveva voglia di tornare a casa. La avrebbe rivista lì, mentalmente, avrebbe percepito il suo profumo. E Avrebbe fatto male.
Poggiato alla ringhiera di ferro di un terrazzo, dal quale era possibile ammirare il panorama, alzò gli occhi verso la luna. “Usagi” sospirò, sentendo ancora i sensi di colpa per come l’aveva trattata, per come aveva violato quell’amore nato e perito su quel satellite che rifletteva i propri raggi sul mare rendendolo argentato.
“Mamo-chan!”
Quella voce; la avrebbe riconosciuta dovunque. Sembrava un sogno, eppure era meglio; Usagi correva verso di lui, in volto spaventata e affannata.
Probabilmente temeva un altro rifiuto, l’ennesimo ammonimento a lasciarlo stare.
Sorrise, era felice. La luce era rientrata nella sua vita.
“Usako” invocò pieno di gioia aprendo le braccia e avvolgendola in un caldo abbraccio. Un abbraccio che non le avrebbe più fatto mancare.
Lei strofinò la testa sul suo petto, sentendolo, realizzando che fosse tutto vero.
Mamoru affondò la testa sui capelli biondi e profumati della sua Usako prima che lei sollevasse la testa per incontrare i suoi occhi.
Lo disse con gli occhi Ti amo e lei capì, sorridendo, prima di abbassare le palpebre e sentire il calore che proveniva dalle labbra di lui che premevano sulle sue.
Un brivido percorse le loro schiene, in quel momento sembrò che la luna splendesse ancora di più, per loro, per testimoniare quell’amore e ringraziarli per aver riscattato ancora una volta il loro amore passato.
Le avrebbe spiegato il suo comportamento, il suo sbaglio e ciò che gli aveva fatto capire che avesse commesso un errore lasciandola. Prima però voleva solo stringerla forte e baciarla, farle sentire che era lì con lei, che la amava e non l’avrebbe lasciata andare mai più. Per tutto il resto, ci sarebbe stato tempo. In fondo, c’era tutta una vita davanti.

Fine


Note:
 

*: La frase è ripresa da Romeo e Giulietta di Shakespeare.
 


Il punto dell’autrice


Questo capitolo nasce per esaudire – nel mio piccolo – il desiderio di molti di capire questo episodio. Perché lui la sbatte fuori e dopo dieci minuti cambia idea dopo averla fatta dannare per ben 17 episodi? Ecco, questa è la mia versione spero vi sia piaciuta.
Non ho approfondito molte parti per non ripetere tutto l’episodio e rendere la lettura scontata. Mi son soffermata più che altro su Mamo e i suoi pensieri.
Per il resto, spero di sapere una vostra opinione sul cap., ne sarei felice!
Un enorme ringraziamento va alla bravissima CharlotteWeasley per aver realizzato il logo di 'Sailor Moon Uncutted' (oltre che quello per 'La Melodia del Cuore'). Grazie Mille!
Un bacio e a presto!


Demy

   
 
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