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Autore: Miss Demy    23/12/2010    19 recensioni
Cosa è accaduto veramente durante gli episodi di "Sailor Moon"? E se la Toei Animation avesse tagliato alcune scene, non mostrandoci gli episodi per intero?
Per gli amanti della coppia Usako-Mamo-chan, ecco una mia rivisitazione degli episodi in cui avremmo tanto voluto vedere il loro rapporto più esteso, non tagliato.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Un po' tutti, Usagi/Bunny
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda serie
Capitoli:
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Incubi. Ep. 69, serie 2


“Mamoru, il mio sogno si realizza, finalmente ci stiamo sposando…”
“Mamo-chan!” 
Un sussulto di consapevolezza riportò Usagi alla realtà. Un brivido di dolore le percorse la schiena non appena aprì gli occhi e si rese conto di aver fatto, ancora una volta, lo stesso sogno.
Una bruttissima sensazione di amarezza e sconforto di nuovo si era impadronita di lei. Il sogno era appena finito, l’incubo appena ricominciato.
Sì, perché ormai, da quando Mamoru l’aveva lasciata senza un valido motivo, per lei vivere era diventato un incubo.
Un incubo ininterrotto, che durava tutta la giornata, togliendole il respiro ogniqualvolta incontrava casualmente il suo amato Mamoru per le vie della città. Ormai bastava anche la cosa più semplice per riportarglielo in mente e ciò la faceva impazzire.
E ancora di più la faceva impazzire e le soffocava il respiro, l’indifferenza e l’arroganza con cui lui le diceva di lasciarlo in pace e che non la amava più tutte le volte che si incontravano. Avrebbe preferito morire piuttosto che sentirgli pronunciare quelle parole.
Ma lei non si arrendeva, sapeva ed era fiduciosa nella profondità del loro amore.
Un amore che andava oltre il tempo, un rapporto che aveva sconfitto le avversità.
Tante volte Mamoru l’aveva protetta e difesa, a rischio della propria vita.
Troppe volte l’aveva guardata con occhi pieni d’amore e di dolcezza, facendole capire che le sarebbe stato sempre accanto proteggendola, rendendola tranquilla perché avrebbe avuto sempre lui accanto.
Non importa se nelle vesti di Tuxedo Kamen o semplicemente Mamoru, lui ci sarebbe stato per la sua amata testolina buffa. Sempre.
Era per questo motivo che non si metteva l’animo in pace, lei sapeva che Mamoru non era sincero, che le aveva mentito. Sapeva che lui la amava da morire. Lo sentiva.
Ora però il sogno che faceva ultimamente, in cui poteva vedere Mamoru dolce e amorevole nei suoi confronti, e che ormai considerava irrealizzabile, era svanito e lei era tornata alla triste e dura realtà.

Era una domenica mattina ed erano soltanto le otto. Dalla finestra che aveva lasciata socchiusa la sera precedente, entrava un buonissimo odore di ciliegio in fiore. Si respirava già l’aria d’estate, calda e a volte soffocante.
Avrebbe potuto riaddormentarsi, ma non ci riusciva. Era troppo triste e amareggiata. Il caldo poi di certo non la aiutava a riprendere sonno. Si rigirava in continuazione sul letto. Smaniosa. Un altro giorno iniziato male. Un altro giorno senza il suo Mamoru.
Non aveva voglia di leggere i suoi fumetti preferiti né di giocare ai videogiochi.
Decise quindi di alzarsi e di andare a fare una passeggiata, magari si sarebbe distratta un po’ e, con un po’ di fortuna, lo avrebbe rivisto.
Indossò una maglietta rosa senza maniche e una gonna corta molto leggera, per far fronte al caldo che si preannunciava, continuando a pensare al suo amato Mamoru, sperando di rivederlo.
In tutto ciò che faceva, il suo unico pensiero era Mamoru.

Le mancava da morire, soprattutto quando si svegliava da quei dolci sogni. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per poterlo riabbracciare e sentire il suo calore, stretta fra le sue braccia, a contatto col suo cuore. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere di nuovo baciata dolcemente da lui, per sentirgli dire che anche lui la amava. Più ci pensava più impazziva.
Poi, il destino entrò in gioco. Lo vide, assorto nei suoi pensieri, con le braccia su un ponticello. Chissà se anche lui ogni tanto pensava a lei. Quanto avrebbe voluto, come al solito suo, correre ad abbracciarlo. Purtroppo adesso non poteva.

Si avvicinò a lui, cercando le parole giuste da usare per non irritarlo e per non farlo andare via. In fondo lui le aveva detto tantissime volte che voleva essere lasciato in pace ma lei proprio non riusciva a non parlargli.

Lui la notò subito e per un attimo gli mancò il respiro.
“Perché, perché devo separarmi da lei? Che cosa potrebbe succederle?” aveva appena finito di pensare, malinconico e dispiaciuto dopo aver fatto anche lui lo stesso incubo che ormai lo stava distruggendo. Lui la amava, e la avrebbe amata finché avrebbe avuto vita, ma non poteva rischiare che la sua amata Usagi morisse. Era meglio così, avrebbero sofferto entrambi ma poi lei magari si sarebbe rassegnata, magari avrebbe conosciuto un ragazzo che l’avrebbe trattata con dolcezza, come lei meritava, e così, col tempo, lo avrebbe dimenticato.
Per questo aveva deciso di trattarla con indifferenza e usando toni duri. Era necessario, anche se questa decisione lo uccideva. Non ce la faceva a vederla con gli occhi lucidi ogni volta che dolcemente gli parlava, ogni volta che lui la trattava male. Si sentiva un verme, non era giusto. Usagi era la ragazza più dolce che conoscesse e lui la faceva stare male. Nonostante ciò, lei continuava ad essere dolce e affettuosa, cercando di nascondergli il suo dolore e la sua sofferenza. Lui lo capiva e ne soffriva ancora di più. Vedendola triste avrebbe tanto voluto spingerla verso di sé e abbracciarla forte, sentirla sua, accarezzarla, baciarla, toglierle la tristezza dal viso e dal cuore, scusarsi. Non avrebbe avuto bisogno di parlare, perché lei avrebbe percepito semplicemente dai suoi occhi e dalle sue carezze che l’amava più della sua stessa vita. Ma non poteva. Era troppo rischioso.  

“Ciao Mamoru, non credi anche tu che sia stato il destino a farci incontrare di nuovo?” Con mani giunte e un viso triste ma al contempo felice di vederlo, Usagi lo riportò alla realtà.
“Vuoi smetterla?” rispose duramente lui, spostando il discorso su Chibiusa. Avrebbe voluto dirle che aveva ragione che, destino o meno, lui voleva stare insieme a lei per tutta la vita e poi le avrebbe dato un tenero bacio rendendola felice. Ma anche stavolta le aveva parlato con freddezza. La sua vicinanza lo uccideva, era enorme la tentazione di sentirla sua, così come la voglia di toccarla, di accarezzarle le tenere guance, di prendere quelle piccole mani e baciarle, avendo così la certezza che, al contrario dei suoi sogni, stesse bene. Ma non poteva essere egoista, l’amava troppo.
Andò via, con la scusa dello jogging, sentendo la sua voce chiedergli di restare. Una voce ora triste, non più colma di speranza come quando lo aveva salutato poco prima. “Perdonami Usagi” aveva detto dentro di sé, sperando che le sue parole le giungessero al cuore. “Perdonami, amore mio se non resto con te” si era detto, ripensandola tutta sola e malinconica, mentre lo vedeva girarle le spalle e andarsene.
Lei per l’ennesima volta si era sentita morire. Dopo il sogno, di nuovo l’incubo. Cosa poteva fare? Come avrebbe potuto riconquistarlo? Non lo sapeva, ogni idea le sembrava inutile, però qualcosa doveva fare. Aveva fatto tanto per stare con lui, adesso non poteva essere tutto finito.
In questi casi la cosa migliore era parlare con le sue più care e fidate amiche; loro sicuramente l’avrebbero consigliata e confortata. Come sempre.

Da una cabina telefonica chiamò Rei. La ragazza era al tempio assieme alle altre.
“Usagi, dove sei? Luna dice che stamattina non ti ha vista.”
“Sì, sono uscita presto, ero un po’ giù di morale e avevo voglia di prendere una boccata d’aria.”
“Usagi, siamo tutte qui, hai dimenticato che dovevamo incontrarci per parlare di Chibiusa e di Crystal Tokyo? Su, raggiungici.”
“Mm… che ne dite se ci vediamo in centro? Sono davanti ad una gelateria, potremmo mangiare un gelato e parlarne… fa troppo caldo per restare chiuse in casa. Ti prego dimmi di sì, ne ho tanto bisogno…”
“E va bene! Come posso dirti di no se lo chiedi con quella voce sconsolata”
Usagi era sollevata, tra poco le sue amiche l’avrebbero raggiunta e anche se per parlare dei nemici e di Crystal Tokyo, la loro stessa presenza l’avrebbe rincuorata.
Si sedette su una panchina al riparo dal sole e le aspettò. Con il viso poggiato sulle mani, ripensò a Mamoru, alla sua indifferenza, alla sua freddezza.

 

“I suoi occhi… ” pensava, gli occhi del suo Mamoru non riuscivano ad ingannarla, a mentirle, loro erano sempre sinceri e lei, in quegli occhi color oceano, poteva ritrovare tutto il suo amore, la sofferenza provata ogni volta che le parlava con distacco. Ecco perché non si sarebbe data per vinta. Ecco perché lo avrebbe riconquistato.
 

“Usagi, a che pensi?” chiese una voce amica, riportandola alla realtà.
“Makoto, ragazze, vi stavo aspettando!” Il tempo, assorta nei suoi pensieri, era trascorso velocemente.
“Pronte per il gelato?” chiese Minako.
“Sì!” rispose Usagi, alzandosi, con un dolce sorriso sulle labbra.
Uscendo dalla gelateria con i loro gelati in mano, le ragazze si sedettero al riparo dal sole cocente per discutere sulle varie informazioni ottenute fin a quel momento e cercare un modo per saperne di più sui nemici e su Chibiusa, ma Usagi sembrava non prestare attenzione. Avrebbe preferito confidarsi con le sue più care amiche e ricevere consigli su come riconquistare Mamoru, magari cercando di sapere le loro opinioni sul perché lui l’avesse lasciata, ma ora la cosa più urgente era pensare ai nemici. Combattere era la sua missione, sì, ma Mamoru era tutta la sua vita.


Mamoru aveva fatto jogging, cercando di capire cosa sarebbe potuto succedere a Usagi se fosse rimasto con lei. Non voleva spararsi da lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa per stare con lei. Chi era colui che gli parlava in sogno? Perché voleva dividerli? Aveva perfino pensato che fosse solo un sogno e che non avrebbe dovuto dargli importanza. Ma tale pensiero era stato cancellato dalla sua mente quando anche il vetro del portafoto, in cui erano ritratti assieme, si era rotto. Aveva avuto la certezza che non si trattasse di un semplice sogno, ma di un brutto presagio.
Non avendo lezione, né tanto meno voglia di studiare, andò al locale del suo amico Motoki a prendere un caffè, cercando di non pensare più a ciò che lo stava ormai uccidendo dentro.
Il ragazzo era seduto su uno sgabello, riposandosi in attesa che i clienti ordinassero qualcosa, Mamoru lo notò subito non appena entro nel locale. Gli si avvicinò, sedendogli accanto.
Motoki si voltò subito, udendo i passi sempre più vicini. Notò nell’amico un’aria triste e malinconica, non era la prima volta che lo vedeva così e ciò era strano.
Da quando conosceva Mamoru, infatti, seppur egli non fosse molto estroverso, non lo aveva visto mai così pensieroso come negli ultimi tempi, ma non glielo aveva fatto mai notare.
Stavolta invece non resistette, in fondo erano amici e lui avrebbe voluto fare qualcosa per l’amico in difficoltà.
Mamoru fu contento. Da quando aveva lasciato Usagi, era tornato ad essere solo. Usagi era diventata tutto per lui. La sua ragazza, la sua confidente, la sua famiglia. L’aveva reso felice riempiendo la sua vita piena di gioia e allegria. Non era più solo. Peccato che questa meravigliosa sensazione non fosse durata molto. Aveva dovuto rinunciare a lei, tornando nella sua solitudine e ora, sapere di avere qualcuno con cui confidarsi lo tirò un po’ su di morale e, seppur non potesse rivelargli tutta la verità, si lasciò andare, chiedendo un consiglio.
Poiché il suo non era un semplice sogno, ma un presagio di disgrazie, e dato che Usagi non avrebbe mai accettato l’idea di separarsi da lui per il suo bene, non restava altro che farsi odiare da lei.
Sì, doveva farsi odiare da colei che amava. Solo così lei non avrebbe più sofferto per lui. L’odio della sua Usagi nei propri confronti lo avrebbe ucciso, i suoi occhi sempre dolci, sarebbero diventati pieni di rabbia e di odio e ciò gli avrebbe frantumato il cuore. Lui l’amava, ma il suo bene e la sua vita valevano tutto, proprio per questo avrebbe accettato l’odio e disprezzo nei suoi confronti. Usagi valeva questo e molto più.
Chiese consiglio a Motoki.
“Come dovrei comportarmi per farmi odiare da una ragazza?” domandò, senza specificare che la ragazza in questione era Usagi. Quella testolina buffa che tante volte aveva preso in giro proprio davanti a lui, quella ragazzina che all’inizio era infatuata di Motoki e di cui adesso, se ci pensava, era un po’ geloso.
Motoki non capiva.
“C’è una ragazza che deve assolutamente dimenticarmi, voglio che mi detesti, che mi disprezzi.”
Motoki era ancora più confuso di prima, in ogni caso non ebbe il tempo di rispondere che qualcuno si avvicinò loro.
“Ciao Mamoru!”
Una ragazza molto carina, certo non come la sua Usagi, dai capelli ramati e gli occhi verdi si era avvicinata al bancone, tenendo un vassoio fra le mani e con un allegro sorriso in viso, salutando il ragazzo.
“Unazuki, ciao! E’ da un po’ che non ci vediamo! Che ci fai qui!”
“Sono venuta a dare una mano al mio fratellone, in questo periodo il locale è sempre pieno!” rispose lei con aria allegra, avvicinandosi a Motoki.
“E già! Unazuki resterà qui per un po’, così potrò dedicarmi di più allo studio” aggiunse il fratello, stringendola a sé dalle spalle.
Mamoru conosceva Unazuki, la sorella di Motoki, ormai da un po’, anche se non la vedeva spesso in giro. Lei frequentava lo stesso liceo di Rei e lui l’università, i due edifici erano parecchio distanti fra loro e non vi era occasione di incontrarsi spesso.
Per un attimo un’idea gli balenò in mente, un’idea cattiva ma a fin di bene.
Cercò di cacciarla dalla mente. Usagi doveva odiarlo ma non in questo modo. Usagi era buona, dolce, gentile, non meritava questo.
“Oddio! È tardissimo! L’autobus è già passato, adesso come faccio… ” disse spalancando gli occhi, allarmata, Unazuki non appena guardò l’orologio che portava al polso.
“Che succede?” chiese Mamoru, voltandosi verso di lei, riportato alla realtà da quell’esclamazione.
“Dovevo raggiungere il mio fidanzato, ma adesso non so più come fare” rispose lei a testa bassa con tono sconsolato.
Anche se gli sembrava troppo crudele, forse qualcuno lo stava aiutando, forse gli stava suggerendo un’idea che tanto cercava.
Adesso, a malincuore, sapeva come farsi odiare da colei che amava alla follia. L’avrebbe fatta ingelosire, facendole capire che era sincero quando diceva di non amarla più.
“Non ti preoccupare, ti do un passaggio con la moto” disse, alzandosi dallo sgabello e porgendole il casco che aveva portato con sé.
In mente tanti pensieri e sensi di colpa lo assalirono. Aveva avuto l’occasione di farsi odiare. Adesso doveva metterla in atto.
Era più facile a dirsi che a farsi.
Salì in moto, Unazuki fece lo stesso non appena ebbe indossato il casco.
Quanto avrebbe voluto che ci fosse Usagi insieme a lui, quanto avrebbe desiderato sentire quella dolcissima voce, a volte un po’ stridula, ridere piena di allegria. Avrebbe voluto sentire il contatto del suo corpo alla sua schiena, mentre le diceva di stringersi a lui. Ma forse non ce ne sarebbe stato bisogno, Usagi lo avrebbe abbracciato per tutto il tempo, avrebbe riso stretta a lui, sarebbe stata felice. Lo avrebbe reso felice.
Invece con lui c’era Unazuki. Per tutto il tragitto non parlarono, lui aveva in mente solo Usagi.
“Dove potrebbe essere?” pensava nella sua mente, perlustrando le strade del centro. Sicuramente lei era ancora fuori casa, la conosceva e sapeva che preferiva stare in mezzo alla gente, per non concentrarsi su ciò che la faceva soffrire, quando si sentiva triste; sapeva che la causa era lui e si sentiva in colpa per quello che le aveva fatto e che avrebbe continuato a farle.
Doveva trovarla, doveva approfittare dell’occasione per farsi odiare.
La vide.
Pensò fosse uno scherzo della sua mente, visto che ormai la sua ossessione lo portava a vederla ovunque, ma non era un’illusione. Era lei. Proprio lei, insieme alle sue amiche, con un gelato in mano e un’espressione triste ma meravigliosamente dolce in viso, assorta nei suoi pensieri.
Doveva farsi notare prima che la luce del semaforo diventasse verde.
Un rombo di motore avrebbe sicuramente attratto la sua attenzione, non perché lei amasse i motori ma perché quel rumore assordante le dava fastidio.

“Chi è che fa tutto questo chiasso, sto cercando di riflettere” con voce infastidita da quel rumore odioso, Usagi si voltò a guardare l’artefice.
Non ci poteva credere. Era Mamoru, il suo Mamoru, in sella a quella moto rumorosa. Aveva alzato la visiera del casco non appena si era accorto di lei. Come a volersi fare notare a tutti i costi. Non era solo però. Una ragazza dalle gambe scoperte era dietro di lui.
Chi era? Cosa voleva da lui?
Si alzò di scatto, correndo verso di lui. Il cuore le si era fermato. Il respiro le era venuto meno.
Forse stava solo esagerando, forse era solo una sua parente.
“Mamoru, chi è questa ragazza? Non l’ ho mai vista. È una tua lontana parente? È forse tua cugina?” Cercava di auto convincersi che fosse proprio così, che lui l’amava ancora e non avrebbe mai avuto un’altra ragazza. Lo sperava con tutto il cuore, però temeva la risposta negativa. Allora perché lo aveva chiesto? Forse non avrebbe dovuto, a volte è meglio non sapere la verità. Quasi si pentì di averlo chiesto. Quasi sperò di non sapere nulla.

“Come ti permetti di farmi queste domande? Se non sbaglio ti ho già detto di lasciarmi in pace.” Ancora una volta era stato brusco e scontroso, riabbassando la visiera del casco e guardandola negli occhi.
“Abbracciami, o rischi di cadere!” continuò, rivolgendosi stavolta alla ragazza stretta a lui, anche se il suo obiettivo era Usagi.
Aveva voluto ferirla e dai suoi occhi azzurri, increduli e lucidi, ne aveva avuto la certezza. Ma perché? Perché se ciò gli toglieva il respiro? Perché se ciò lo uccideva? Perché proprio a colei che amava più di qualsiasi altra cosa, a colei per cui avrebbe dato la propria vita? Non riusciva più a parlare.

“Chi e’ quella biondina Mamoru?” con aria sorpresa chiese Unazuki.
Seppure dietro la visiera, quegli occhi stupendi, pieni d’amore, lo avevano appena annientato. Non ce la faceva più.
“È soltanto una ragazzina!” rispose con voce beffarda, ridendo, umiliando la piccola e dolce Usagi mentre ripartiva, ignorandola completamente, come se per lui non esistesse più. Come se tutto ciò che avesse fatto finora non fosse bastato. Come se non fossero ancora finite le sofferenze che voleva infliggerle, occorreva anche quello per avere la certezza che stavolta lei lo odiasse sul serio e si mettesse l’anima in pace.

Perché faceva così male? Perché, se dicono che di amore non muore, lei era morta in quel momento?
Il suo dolore, il suo sconforto, la sua incredulità erano padroni della sua anima.
Pianse, da bagnare il pavimento, da consumare quegli occhi così belli e sempre pieni di gioia che amava donare a chi la guardava.
“Sono solo una ragazzina” continuava a ripetere, a se stessa e alle amiche che ormai la vedevano in uno stato indescrivibile.
C’era già passata Usagi a stare lontano da Mamoru, rapito e reso un nemico da Beryl. Quella volta era un incantesimo però e, con il potere dell’amore, lo aveva riportato ad essere la persona buona e generosa che tanto amava.
Aveva sofferto vedendolo combattere contro di sé, ma poi l’amore aveva trionfato.
E adesso? Adesso che lui non l’amava più?
Che stupida era stata. Illusa che lui la avrebbe amata sempre, legato ai ricordi di un tempo lontano.
Stupida ragazzina. Ecco cos’era. Una stupida, piagnucolona ragazzina. E lui lo aveva capito e la aveva lasciata.
Non si dava pace. Era in preda alla disperazione.
Non riusciva a frenare le lacrime.

“Usagi, su, vedrai che ci sarà una spiegazione” le aveva detto Makoto, porgendole un fazzolettino.
“Ma sì, vedrai che non voleva ferire i tuoi sentimenti” anche Rei cercava di confortarla, poggiandole le mani sulle spalle, sperando che le loro parole potessero esserle di conforto.
“Non ce la faccio, non riesco più a vivere. Forse ha ragione Mamoru, sono solo una ragazzina piagnucolona. Che se ne fa di me? Lui merita una ragazza matura.”
Cercava di convincersi di ciò che aveva detto, ma il cuore le si era frantumato.
“Senti Usagi, qualunque cosa abbia spinto a Mamoru a prendere questa decisione, lo farà ricredere e gli farà capire quanto profondo sia il vostro amore.” Ami con le sue parole sempre sagge cercava di trasmettere un po’ di positività.
“Amore… amore… non c’è più amore da parte di Mamoru per me. Devo rassegnarmi, ora sta con un’altra.”
“Ma non è detto che quella sia la sua ragazza. Usagi, cerca di non esagerare, piangendo non risolverai nulla.”
“Luna, lo so, sono le stesse parole che mi disse Tuxedo Kamen la prima volta che mi trasformai in Sailor Moon” disse ancora più sconfortata, con lo sguardo perso nel nulla. Era assurdo, più cercava di non pensarlo, più tutto le ricordava quei dolci momenti. Il suo eroe che arrivava sempre a salvarla. Il suo amato Tuxedo Kamen sempre dolce e protettivo.  
Ma perché, perché? Perché ancora una volta il destino non voleva la loro unione e felicità?

Makoto, con un sorriso pieno di entusiasmo voleva farla riprendere. “E’ ora di pranzo, perché non restiamo assieme? Vi preparo un pranzetto squisito. Ti va, Usagi?”
“No, ti ringrazio Makoto ma non ho proprio fame” aveva risposto, scuotendo la testa, mantenendo lo sguardo perso nel vuoto.
“Usagi, torniamo a casa.” Luna le si era avvicinata, accarezzando con il morbido viso la sua gamba.
“No. Preferisco rimanere un po’ da sola. Per favore.”
“Ti farebbe bene, invece, stare in compagnia. Noi magari non possiamo fare molto, però non vogliamo vederti così.”
“Sì, Usagi, Minako ha ragione, vieni con noi e dopo pranzo, se proprio vuoi, ti lasciamo da sola.”
“Ma sì, Rei, forse avete ragione voi. Mi avete convinta. Andiamo.”

Durante il tragitto per arrivare al tempio, Usagi non fece altro che pensare al senso di vuoto e di solitudine che Mamoru aveva lasciato in lei.
Sola. Adesso era sola. Che cosa avrebbe fatto d’ora in poi?
Da quando aveva conosciuto Mamoru qualcosa dentro di lei era cambiato. Inizialmente non lo sopportava proprio. Troppo arrogante e presuntuoso. “Ma chi si crede di essere? Perché non si fa gli affari suoi” si diceva, con tono irritato, quando si incontravano. Lui non perdeva mai occasione per provocarla e innervosirla. Lo odiava, lo detestava e più questo sentimento negativo cresceva dentro di sé, coincidenza del destino, lo incontrava sempre più spesso, come se qualcuno o qualcosa volesse farli conoscere meglio. “Il mondo è piccolo… a volte un po’ troppo” pensava dopo i vari battibecchi.
Poi, pian piano, aveva iniziato a conoscerlo meglio. Lui usciva con Rei e inevitabilmente si incontravano, anche se di sfuggita. Lui aveva cercato di farla sorridere quando la aveva vista triste, seguendola dietro un vicolo dove lei, per evitare di litigare con lui per le sue stupide battutine, si era nascosta. Sempre lui, vedendola in difficoltà, le aveva dato consigli quando lei li chiedeva a Motoki, l’uomo dei suoi sogni. Ma lei non provava nulla per lui, persino quando una famosa pittrice aveva chiesto loro di farle da modelli, quasi si sentiva in colpa nei confronti di Rei.
Però, pian piano che lo conosceva, la sua compagnia diveniva meno fastidiosa dell’inizio. Lui sembrava meno pungente, meno dispettoso.
Ma neanche questo le importava. Per quanto lui fosse carino, era troppo presuntuoso, ecco perché andava d’accordo con Rei.
Appunto, Rei. Non avrebbe mai pensato ad un ragazzo che piaceva alla sua amica.
E poi c’era Tuxedo Kamen. Coraggioso, protettivo, dolce, gentile, sempre pronto ad intervenire in suo aiuto quando era in difficoltà.
Tuxedo Kamen era l’uomo che amava.
E poi…
Poi scoprì che Tuxedo Kamen e Mamoru erano la stessa persona.
Dolce ma arrogante, protettivo ma spiritoso, gentile ma antipatico.
Un contrasto che in fondo, glielo fece amare ancora di più.
Aveva rischiato la vita per proteggerla. Non una, ma due volte.

Pensava a questo, ai momenti in cui lui aveva preferito morire per lei. “Solo una persona che ti ama si sacrificherebbe” si ripeteva nella sua testa, camminando lentamente, insieme alle altre, con occhi fissi per terra.
Aveva chiamato casa per dire che non sarebbe tornata per pranzo.
Makoto ai fornelli preparò un pranzetto squisito, pietanze a cui Usagi solitamente non riusciva a resistere e che mangiava con entusiasmo.
Ora invece l’entusiasmo era venuto meno. Non era la solita Usagi.
Era in un mondo tutto suo, fatto di pensieri e di ricordi.
“Povera Usagi, è veramente assurda questa situazione” commentò Ami a bassa voce, osservando dalla cucina Usagi nella sala adiacente, appoggiata con le braccia e il viso sul tavolino basso e lo sguardo triste e perso nel vuoto.
“Io non ci capisco niente. Fino a qualche settimana fa lui la amava e poi all’improvviso la lascia senza un motivo apparente” osservò Minako.
Rei, pensierosa, era rimasta insieme alle tre ragazze ad osservare Usagi: “E’ molto stano, non è da Mamoru, sono sicura che lui la ami ancora.”
Sapevano tutte quanto lui la amasse, ma soprattutto sapevano quanto profondo fosse l’amore di Usagi per Mamoru. Un amore così grande da far apparire da una sua lacrima versata per lui il potente cristallo d’argento e risvegliare così la principessa Serenity.
“Eccoti qui, Usagi!”
Usagi si sollevò per un istante da quella posizione, mettendosi dritta sulla schiena: “Chibiusa, che ci fai qui? Perché non torni a casa?” rispose con aria scocciata, ritornando subito dopo con la guancia poggiata al tavolino.
“Usagi, i tuoi sono dovuti uscire, ero sola a casa. Posso restare qui?”
“Ma certo, Chibiusa, ci fa piacere!” rispose Rei entrando nella stanza.
“Ma cos’hai, Usagi?” domandò la piccola, accorgendosi del malumore della ragazza.
Usagi non rispose, il suo sguardo era ancora perso nel vuoto. Immobile.
“E’ per Mamoru, non è vero?”
Stavolta Usagi si limitò di annuire, ferma in quella posizione.
Attimi di silenzio, poi, con aria scoraggiata, priva di speranza, lentamente aggiunse:
“Lo amo. Dio solo sa quanto lo amo. Darei la mia vita per lui… ma lui non mi ama più. Lui non mi vuole più. Non sono più niente per lui.”

Fin a quel momento, da quando era arrivata dal cielo, Chibiusa e Usagi avevano sempre litigato, soprattutto per le attenzioni di Mamoru.
Ma adesso, sentendo quanta sofferenza e quanto dolore ci fossero in quelle parole, capì quanto amore provasse Usagi per Mamoru.
In fondo le piaceva vederli assieme e saperli felici. Era la prima cosa che aveva visto appena arrivata in città.
Aveva assistito al loro primo bacio. E poi, quando stava insieme a loro due, quando erano solo loro tre, provava una bellissima sensazione di calore nel cuore.
Aveva capito quanto Usagi fosse gelosa, persino di una bambina.
Usagi era innamorata. Usagi voleva renderlo felice e lui la guardava con occhi pieni d’amore. Rendendola ancora più felice.
Ma adesso Usagi era infelice.
“Vedrai, si sistemerà tutto!” disse, sorridendo e piena di positività, la bambina. Stringendo tra le mani il suo strano giocattolo a forma di faccia di Luna.
“Il pranzo è pronto!” Makoto entrò nella stanza, con in mano un vassoio pieno di prelibatezze.
Pranzarono assieme, cercando di ridere e farle tornare il buon umore, anche se i loro sforzi non riuscirono nell’intento. Usagi però, nonostante la tristezza, mangiò tutto ciò che Makoto aveva preparato.
Era tutto squisito. Come al solito.
Rimasero insieme tutto il pomeriggio.
Poi, approfittando del fatto che Chibiusa si fosse addormentata, ripresero il discorso da dove lo avevano interrotto quella mattina.
Sebbene non fosse il momento più opportuno, dovevano parlare di loro. I nemici.
Verso le 19.00 le ragazze salutarono Rei e si avviarono verso le rispettive dimore.
Usagi e Chibiusa, arrivate all’incrocio, salutarono Ami, Minako e Makoto e presto arrivarono a casa.
I suoi genitori erano dovuti uscire e sarebbero ritornati molto tardi.
In frigo non c’era nulla di pronto e Usagi non era di certo un granché tra i fornelli.
“Chibiusa, aspettami qui, io vado a comprare qualcosa di pronto, torno presto.”
“Va bene, ma non metterci tanto” rispose la piccola, non convinta delle parole della ragazza.

Quella sera le vie erano deserte, molte persone avevano approfittato del week-end e del caldo per andare al mare, allontanandosi dalla città.
“Caspita! È già chiuso!” esclamò leggendo il cartello del take away, dove si serviva quando era sola a casa e non aveva voglia di cucinare.
Con la testa bassa, si voltò e si diresse verso casa. Pazienza, avrebbe dovuto cucinare!
Lentamente, con lo sguardo fisso a terra, nel vuoto, le fu inevitabile ripensare a quella mattina. Chissà dov’era Mamoru. Cosa stava facendo,  ma soprattutto, chissà con chi era. Era certa che ormai nei suoi pensieri lei non ci fosse più e a maggior ragione, non fosse più nel suo cuore.
Le restavano oramai i ricordi. Dolcissimi ricordi di momenti in cui lui la amava.
Iniziò a piangere. Voleva far uscire tutto il suo dolore.
 
Di nuovo sconforto però, di nuovo amarezza, di nuovo infelicità.
Sentimenti che la fecero ricadere in un tunnel da cui non sarebbe più uscita. Lei non voleva uscirne, voleva solamente piangere.
Piangere da consumarsi gli occhi, piangere da stare ancora peggio.
Piangere da contrarre l’addome così tanto da non riuscire più a respirare.
Si fermò un attimo per poteri calmare. In una stradina deserta, buia, dove nessuno dei pochi passanti poteva vederla in quello stato. Si poggiò con la schiena contro la parete umida, giusto il tempo per riprendere fiato.
Rimase qualche minuto in quella posizione, ad ascoltare il silenzio della città.
Poi, senza poter credere che stesse accadendo veramente, strofinò gli occhi per evitare che le lacrime le avessero annebbiato la vista.
Non si sbagliava.
In quella stradina deserta, silenziosa, buia da far paura, riuscì a scorgere sempre meglio la sagoma di qualcuno che si stava avvicinando.
In quell’attimo in cui riuscirono reciprocamente a scorgersi, il mondo,  così come il tempo, sembrò fermarsi.

Usagi spalancò gli occhi. Il cuore le batté così forte che per poco non le usciva dal petto. Con una mano chiusa a pugno cercò di frenarlo, invano.
Si scostò dalla parete, portandosi dritta. In silenzio.

“Che cosa ci fai qui? Perché non sei a casa? Questo non è un posto sicuro dove una ragazza può rimanere da sola.” Quelle parole pronunciate così forte da riecheggiare tra i muri, erano piene di rabbia, pian piano sempre più furiose, come un rimprovero.
Ma Usagi non rispose. Riprese a piangere, abbassando lo sguardo.
Si vergognava, non voleva farsi vedere in quello stato. Non da lui. Ma era più forte di lei. Era proprio per lui che in fondo stava piangendo. Per il suo Mamoru.
Udì i suoi passi avvicinarsi sempre più a lei. Due mani le si poggiarono sulle spalle scoperte. Non sapeva se fosse terribile o piacevolissimo, ma quel contatto, dopo ormai parecchio tempo, le fece provare un brivido.
Lei aveva bisogno di quel contatto. Quando era felice e voleva condividere la sua gioia, quando era triste e aveva bisogno di un conforto.  Lei aveva bisogno di lui. Sempre.
Sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi di fronte a sé. Non parlò, parlarono i suoi occhi per lei.

“Usagi, non piangere più; và a casa” udì. Stavolta le parole del ragazzo erano calme, quasi dolci.
Continuò a fissarlo, senza parlare. Poi annuì lentamente, per far capire che aveva compreso.
Istintivamente  portò le braccia attorno al busto del ragazzo, stringendo la sua camicia rosa.
Lui rimase immobile, pietrificato. Continuava a fissarla nell’azzurro dei suoi occhi. Sapeva che era sbagliato, ma non riusciva a muoversi.
In quell’istante avrebbe voluto che il tempo si fermasse. Avrebbe desiderato di restare con lei senza che ciò fosse sbagliato, proibito.
Ma lo era.
“Usagi…” disse, togliendo le mani dalle sue spalle.
Lei però, prima che Mamoru potesse allontanarsi, si strinse ancora di più a lui, portando la testa a contatto con il suo cuore:
“Solo un altro minuto. Solo un’ultima volta. Per favore” chiese dolcemente, mentre le lacrime ripresero a scenderle sul viso.
“Poi ti lascerò andare, magari quella ragazza carina di stamattina ti starà aspettando.” Stavolta piangeva e singhiozzava mentre pronunciava quelle parole. Perché lo aveva detto? Forse inconsciamente sperava che lui smentisse le sue parole, dicendo che non c’era nessun’altra.

Lui rimase stupito e sconvolto da quelle parole. Era riuscito a farla ingelosire, l’aveva fatta soffrire tanto, forse troppo facendole credere che avesse un’altra ragazza. Ma non era riuscito a farsi odiare. Capì, allora, che lei non lo avrebbe mai odiato, perché lo amava troppo. Non avrebbe mai potuto.
Il suono di quel pianto amaro gli pugnalò il cuore. Quello era un incubo per entrambi.
Si sentì così in colpa che non sapeva più cosa fare. Avrebbe tanto voluto dirle che non c’era nessuna ragazza, che per lui esisteva solo lei. Perché doveva farle così male? Non era giusto. Non a lei. Non a lei per cui avrebbe dato la propria vita.
Vedendo che continuava a piangere sempre di più e a stringerlo forte, capì che forse per quella volta, in un angolo isolato lontano da tutto e da tutti, poteva lasciarsi andare. Poteva essere se stesso.
Abbassò la testa, poggiando il mento su quella tanto amata testolina buffa. Strinse la sua Usagi forte a sé, con una mano tra i biondi capelli e l’altra sulla schiena.
Un bellissimo senso di calore e di amore li pervase.
Sapevano che sarebbe durato poco, ma in quei brevi attimi riuscirono a percepire il loro amore reciproco.

“Oh Mamo-chan…” Tra le sue braccia l’incubo sembrava finito, ma sapeva che in fondo non lo era, che non doveva illudersi. Mamoru stava ormai con un’altra.

"Ma perché non posso stare con te, amore mio? Perché non posso stringerti a me tutte le volte che voglio e dirti che ti amo, Usagi?" pensava Mamoru mentre la abbracciava.
Capì però che era giunto il momento, a malincuore, di lasciarla andare, di lasciarla vivere. Era necessario.
"Mamoru, io..." sospirò lei che, senza fare in tempo a completare la frase, si ritrovò di nuovo lontana dal lui e dal suo caloroso abbraccio.
Era durato pochi attimi, ma lo aveva desiderato così tanto, che ne fu contenta ugualmente. Quel contatto l'aveva rigenerata ma il distacco era stato straziante.
"Và a casa Usagi, su!" La sua voce voleva risultare dura come al solito ma era semplicemente malinconica, quasi amorevole.
Si guardarono negli occhi.

 

Pieni di lacrime e di sconforto quelli di lei, di dolore e sensi di colpa quelli di lui.
"Sappi che io ti amerò sempre, Mamoru. Ci sarò sempre per te."
Lui abbassò lo guardo, quelle parole piene d'amore gli fecero capire ancora una volta che, nonostante tutti i tentativi avesse fatto d'ora in avanti, lei non lo avrebbe mai odiato, ma avrebbe solo sofferto.
"Vattene Usagi, vai a casa!" rispose, con voce tremante e lo sguardo basso, appoggiandosi alla parete, in attesa che lei se ne andasse. Sarebbe andato via anche lui, ma quello era un luogo che a lui non piaceva e voleva assicurarsi che lei fosse lontana da lì prima di tornare a casa.
Lei però non gli ubbidì, ma, scuotendo la testa, gli si mise davanti, stringendogli i polsi e tentando di bloccarlo. I suoi occhi erano lucidi, prese un respiro profondo e disse:

 

"Non me ne vado, non prima di sapere perché non mi ami più." Un altro respiro profondo, poi, cercando di trattenere le lacrime:
 

"Sono sbadata, sono piagnucolona, nelle situazioni di pericolo non do il massimo, lo so. Però ti amo da morire, ti amo più della mia stessa vita. Non voglio vivere senza di te."
Lui non si mosse, rimase con lo sguardo basso, i suoi occhi dolci i pieni d’amore lo avrebbero ucciso. "Maledizione Usagi, non rendere tutto così difficile" pensava confuso.
Mantenendo le mani su quelle di Mamoru, lei iniziò ad accarezzargli i palmi con i pollici. Adesso lui  non ce la faceva più, la sua vicinanza, il suo contatto, il suo respiro, lo stavano facendo impazzire.
Cercò di liberarsi da quella presa e lei lo lasciò libero, rimanendogli ferma ad un passo di distanza con gli occhi su di lui, in attesa di risposte.
Appena ebbe le mani di nuovo libere, con una di esse la strinse a lui, eliminando quella breve distanza, con l'altra sotto il suo mento, le sollevò il viso e la baciò.
Un brivido percorse entrambi. Una sensazione di amore e serenità attraversò i loro corpi.
Fu un bacio pieno di dolcezza, pieno di calore. Pieno di amore.
Lui la teneva stretta a sé, tenendola per la schiena con una mano e con l’latra accarezzandole i capelli e scendendo per la schiena, avvertendo così l'unione dei loro corpi a contatto.
Lei per un attimo rimase incredula, non avrebbe mai creduto che lui l'avesse baciata. Ne fu felice, forse l'incubo era finito.
Gli portò le braccia dietro la nuca, accarezzandogli i capelli.
Un dolce bacio, poi un altro, un altro ancora. Come se ognuno di essi fosse l'ultimo. Come se ciascuno di essi, con gli occhi chiusi, dovesse essere assaporato come una prelibatezza.
Usagi spostò una mano dai capelli corvini per potergli accarezzare il viso perfettamente sbarbato.
Proprio durante quelle carezze di quella tenera e piccola mano sul suo viso, Mamoru riuscì a vedere nuovamente Serenity che con sguardo triste e spaventato si allontanava da lui morendo. Di nuovo la stessa visione del sogno.
Si spostò bruscamente da Usagi, terrorizzato.
Capì che era stato un errore, un dolcissimo, meraviglioso errore.
Aveva appena messo in pericolo la sua preziosa Usagi. Si maledì per ciò.
Le voltò le spalle e, con tutta la rabbia e la cattiveria che aveva nei confronti di colui che gli stava rovinando la vita, disse:
“Sto con un’altra. Ora che hai avuto quello che volevi vattene. Non cercarmi più, non ti voglio più vedere.”
Usagi, immobile, spalancò gli occhi. Le mancò il respiro, il cuore sembrava avesse smesso di batterle. Ora, se fosse mai possibile, faceva ancora più male. Adesso che aveva ancora sulle labbra il suo sapore, credeva che sarebbe morta.
Lui, senza voltarsi, si allontanò verso la direzione da cui era arrivato. Due lacrime gli caddero sulle guance e finirono per terra, ma era buio e Usagi non poté accorgersene.

Usagi capì che doveva tornare a casa, si era fatto molto tardi e lei non se ne era resa conto. A quest’ora sicuramente erano persino tornati i suoi, per non parlare di Chibiusa che aveva lasciato da sola.
Si diresse verso la stessa direzione che aveva preso Mamoru.
Alla fine della stradina c’era un semaforo. Mamoru era in attesa che scattasse il verde per i pedoni prima di attraversare.
Notò Usagi che, uscita dalla via, a testa bassa aveva sbadatamente appena attraversato, non accorgendosi che il semaforo indicasse il rosso. 
Sfortunatamente in quel preciso istante un camion sfrecciò a tutta velocità. Usagi se ne accorse dal rumore del mezzo che si avvicinava sempre più rapidamente.
Presa dal panico, rimase immobile. Credeva fosse la fine.
Improvvisamente Mamoru, notando la scena, impaurito si scaraventò verso di lei urlando il suo nome.
La afferrò per la vita e la spinse verso la banchina opposta, togliendola così dalla strada.
Spingendola caddero a terra. Lui aveva cercato di metterle le mani sotto la testa per evitare che lei, sotto di lui, si facesse male, ma Usagi purtroppo aveva battuto ugualmente la nuca, urlando dal dolore con gli occhi chiusi.
Sollevandosi un po’, tanto per non farle male, seppur rimanendo sopra di lei, le mise una mano sotto la nuca, accarezzandogliela.
“Usagi, Usagi, come ti senti?” urlava, pieno di ulteriori sensi di colpa. Sì, perché in fondo sapeva che se lei, distratta, aveva attraversato senza guardare, la colpa era sua e di come la aveva trattata.
Ma Usagi non rispose, si lamentava solamente.
Con l’altra mano accarezzò il suo dolce e soffice viso.
“Usagi, rispondimi, apri gli occhi!” Le sue parole erano agitate, spaventate, ma dolci e piene d’amore.
Lei aprì gli occhi, lentamente, vedendo i suoi occhi blu in preda alla paura, sentendo il contatto tra i loro corpi.
“Come ti senti?”
“Sto bene, sto bene. Non preoccuparti. Grazie di avermi salvata.”
La aiutò a rialzarsi, notando che la gonna durante la caduta si era alzata, lasciandole le gambe e le mutandine scoperte. Arrossì  e distolse lo sguardo, imbarazzato. Era bella, per quanto fosse ancora solo una quattordicenne, era maledettamente bella e non sarebbe mai potuta essere sua. E se l’incidente col camion fosse collegato alla minaccia dei sogni? Se fosse dovuto al bacio che le aveva dato poco prima?
Basta. Aveva appena capito di aver giocato con il fuoco, ma a bruciarsi era stata lei.
Si voltò, dandole le spalle e disse:
“Stai più attenta la prossima volta, perché né io né Tuxedo Kamen verremo più in tuo aiuto.”
Sarà stata la botta in testa o uno scudo invisibile attorno al suo cuore cReitosi dopo tutti i colpi ricevuti dalle sue parole, ma stavolta Usagi non si sconvolse più di tanto. Ormai il concetto era chiaro.

Tornò a casa. Ora era l’unica cosa che voleva fare.
L’appetito le era passato, voleva andare a dormire. Era stremata.
I suoi erano tornati. Sul frigo sua mamma le aveva lasciato un bigliettino con su scritto:

"Se avessi fame, in frigo ci sono le polpette di riso che ti piacciono tanto. Buonanotte tesoro".

Sorrise. Aveva bisogno di sapere che qualcuno le volesse bene e si preoccupasse per lei.
Andò in camera sua e indossò il suo pigiama rosa.
Si sdraiò, ma la tensione era troppa. Moltissime emozioni in un giorno solo…
Mamoru con un’altra, Mamoru che la baciava, Mamoru che la salvava da un camion, Mamoru che le diceva che non sarebbe più intervenuto per proteggerla.
Si alzò e, senza accendere la luce per non svegliare nessuno, aprì il frigo e iniziò a mangiare tutte le cose buone che la mamma aveva preparato amorevolmente per lei. Era come un conforto. Ne aveva bisogno.
Luna la vide, distrutta, con lo sguardo spento.
Non poteva permettere che si lasciasse andare in quella maniera.
“Usagi, se continui a mangiare in quel modo diventerai una cicciona” disse, capendo che Usagi non mangiava per fame, ma per affogare i suoi dispiaceri nel cibo.
Ma a lei non importava, ormai Mamoru stava con un’altra, glielo aveva confermato. Che senso aveva ormai restare magra, essere bella se tanto lui non l’avrebbe mai più guardata?

Chibiusa, girandosi nel letto di Usagi e non trovandola, scese in cucina e udì le parole della ragazza con le quali si rassegnava al fatto che Mamoru avesse un’altra.
La piccola rimase colpita. Non voleva che lui avesse un’altra ragazza. Lei voleva vedere Mamoru e Usagi insieme, voleva che Mamoru amasse Usagi allo stesso modo in cui lei amava lui. Voleva riprovare quella sensazione di pace e amore quando stavano tutti e tre assieme. Perché Mamoru non amava più Usagi? Lei doveva saperlo e doveva fare sapere a Mamoru che Usagi lo amava più della sua stessa vita.
Corse fuori, doveva andare da lui e dirgli tutto.
Ironia della sorte, anche lei distrattamente non si accorse di un camion che sfrecciava a tutta velocità. Fortunatamente riuscì a schivarlo ma, per la forte paura e lo spavento, emise di nuovo quella luce accecante, come tutte le volte che era agitata. Ciò attirò l’attenzione dei nemici e non solo.

 

Usagi infatti, corse verso di lei, vedendo la bambina in pericolo, trasformandosi in Sailor Moon senza farsi notare da lei né dai nemici. Avrebbe sfogato la sua rabbia contro questi ultimi.
Ma loro ebbero la meglio. Un demone chiamato Incubo stordì la paladina della legge.
Adesso Usagi non riusciva più ad alzarsi e a combattere, era troppo stanca. Sapeva che doveva proteggere Chibiusa, ma non ce la faceva, voleva dormire.
Arrivarono le altre guerriere, ma Incubo colpì la bella combattente che veste alla marinara, infliggendole un sonno mortale. Sailor Moon non si sarebbe mai più svegliata, avrebbe fatto degli incubi e, sentendosi senza energie, sarebbe morta. Nei suoi peggiori incubi c’era Mamoru che la lasciava, che si allontanava senza aspettarla.
Più lo vedeva nei suoi incubi, più si indeboliva. Stavolta era davvero la fine, stavolta lui non sarebbe soccorso in suo aiuto. Stavolta era meglio morire.
Si lasciò andare, il suo corpo divenne gelido, il suo battito sempre più lento.
Adesso nessuno poteva salvarla, le ragazze ci avevano provato, invano.
Solo una persona, poteva riuscirci. Colui che possedeva il suo cuore, colui senza il quale per Usagi nulla aveva più un senso.
Luna capì che solo lui poteva aiutarla, solo il suo amore poteva farla risvegliare. Non era la favola della bella addormentata che Usagi leggeva a Chibiusa la sera prima di addormentarsi, sognando ad occhi aperti. No. Ma sapeva che Usagi e Mamoru erano legati da un amore profondo, indissolubile. Un amore senza il quale avevano preferito morire in passato, un amore senza il quale lei voleva non vivere più. Di nuovo.

Usagi le aveva raccontato, mentre mangiava dal frigo, che Tuxedo Kamen non sarebbe più intervenuto in suo aiuto e Luna non poteva permettere che Usagi morisse.
 

Corse verso casa del ragazzo, alla velocità della luce. Ogni attimo era prezioso.
 


Mamoru era tornato subito a casa dopo aver lasciato Usagi.
Era esausto anche lui. Si sdraiò a letto e pensò a lei.
“Povera piccola mia, chissà quanto male ti ho fatto con le mie parole dure e cattive, quanta paura avrai avuto dopo l’incidente scampato. Dolcissima Usagi, chissà quanto avrai sperato, illudendoti, con quel bacio che ti ho dato.

 

Chissà quante emozioni avrai provato quando ti stringevi forte a me che ti accarezzavo.”
Era come se volesse che le sue parole giungessero a lei.
Chiuse gli occhi e si addormentò. Il suo sonno durò poco, perché Luna entrò nella sua stanza.

“Mamoru, Sailor Moon è in grave pericolo, rischia la vita. Soltanto tu puoi farle riprendere conoscenza. È una questione di vita o di morte. Sei l’unico che ha la possibilità di salvarla, ti prego, vieni con me.”
“Io non posso fare niente.”
“Io lo so che nutri sentimenti di affetto profondo per lei. L’hai amata per tanto tempo. Perché adesso hai deciso di abbandonarla?” Luna, con le lacrime agli occhi, non riusciva a capire.
“Non voglio ma…”
“Sailor Moon sta morendo e tu non fai niente.” Stavolta le sue parole risuonavano come un rimprovero.
Solo così Mamoru capì che non poteva permettere che per colpa sua la sua amata Usako morisse.
Adesso il tempo sembrava scorrere troppo velocemente, adesso temeva che il tempo avrebbe giocato contro di lui.
Usagi stava morendo, e se non fosse arrivato in tempo? Non se lo sarebbe perdonato mai. A stento si perdonava il modo in cui l’aveva fatta piangere e stare male. Se Usagi fosse morta per colpa sua e della sua testardaggine lui sarebbe morto insieme a lei.
Prese la moto e più veloce della luce, corse da lei.

La vide. Le Sailor erano accanto a lei, Venus la teneva fra le braccia.
Quando anche loro si accorsero di lui, indietreggiarono.
Sapevano che solo lui poteva aiutarla. Solo il loro amore avrebbe sconfitto, anche stavolta, il male.
Adesso non gli importava più dei sogni, degli incubi, delle minacce. Adesso non voleva più dar loro retta. Quando la vide, sdraiata su una gelida panchina, l’unica cosa che fece fu stringerla forte a sé, come a volerla riscaldare con tutto l’amore che provava per lei. Solo per lei. Sempre per lei. Rivide l’immagine di Serenity che tristemente scompariva. E se si fosse avverata la premunizione?
Ma poi lei, con le sue poche forze rimaste, pronunciò con una dolcezza incredibile il suo nome.
Era viva. Chiese perdono, per tutto il male che le aveva fatto, per non essere stato lì a proteggerla. Era stato stupido dirle che Tuxedo Kamen non sarebbe più intervenuto.
La strinse forte a sé e le diede un dolce bacio sulle labbra.
Le trasmise il suo amore, la sua fedeltà, la sua eterna devozione.
Lei aprì miracolosamente gli occhi. Il potere del loro amore aveva restituito la vita a Sailor Moon.
“La favola si avvera come nella bella addormentata” aveva pensato Chibiusa.
In quel caso, però, la principessa si chiamava Serenity e il principe Endymion.
Non era una favola. Era la realtà.
Una realtà dove il loro eterno amore avrebbe superato tutte difficoltà e le avversità che si sarebbero presentate in avanti. Sempre.
Un amore così unico e speciale che andava oltre l'infinito, oltre l'eternità.
 

Fine  



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