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Autore: Artemys    14/05/2011    4 recensioni
Bella Swan non è la ragazza fragile che finge di essere. La sua goffaggine è studiata, la sua incapacità di mentire è frutto di una recitazione praticamente perfetta.
Una maschera che ha imparato a cesellare da quando aveva undici anni, sotto la guida di sua nonna, insieme ad altre due ragazze che condividono il suo stesso triste destino.
Isabella, Arsinoe e Fatima.
Future guide dei clan che, da secoli, combattono una guerra silenziosa. Regine di una realtà sconosciuta anche a coloro che fanno della segretezza la loro unica legge.
Addestrate ad un solo scopo: uccidere vampiri.
Ma cosa succederebbe se Bella, lasciata sola dalle altre due, scoprisse che non tutti i vampiri sono assassini? Se decidesse di avvicinare uno di loro per infiltrarsi in quel mondo? Sarebbe capace di lasciare fuori i sentimenti?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Eccomi qui. Siccome sono a casa malata e sull’altra fic ho un blocco dello scrittore da far schifo, ho deciso di buttarmi su questa. Così, per distrarmi un po’. Proprio perché è una distrazione, mi scuso, ma non garantisco la qualità del prodotto XP. No, sul serio, non ho la pretesa che sia venuto bene, sinceramente lo posto senza nemmeno rileggerlo, perché non mi va. Se ci sono cose nei contenuti che non tornano mi dispiace, ma non mi va di lavorarci più di tanto. Nella mia testa le cose funzionano, e se c’è qualche dettaglio tecnico che non collima con la storia originale o non è verosimile… beh, mi permetto di obbiettare che “verosimiglianza” e “Twilight” non dovrebbero nemmeno stare insieme nella stessa frase, già adesso mi vergogno per averle separate solo con una “e” XD.
Comunque, a parte gli scherzi, ripeto che non so dove andrà a finire questa storia, va avanti un po’ per conto suo, partendo da un’idea base buttata un po’ lì e prendendo in prestito altri concetti che, chi lo conosce se ne accorgerà, appartengono alla serie manga di Vampire Knight (ebbene si, lo leggo e mi piace ^^ problemi?! *brandisce minacciosa la sega elettrica*).
Ringrazio tantissimo tutte coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite/ricordate/seguite, chi ha recensito, e anche chi ha letto silenziosamente. Davvero, mi ha sorpreso molto che questa storia, fatta così, un po’ per ingannare il tempo, abbia riscosso tanto successo. Non me l’aspettavo! =)
Va bene, chiudo qui e vi lascio al secondo capitolo, decisamente più lungo del precedente. Spero che nessuna sia facilmente impressionabile, è vero che non ho mai scritto niente del genere, in nessun senso, ma non mi sembra comunque di essere stata troppo sanguinaria. Fatemi sapere cosa ne pensate^^
Buona lettura!

Artemys.











3moon


Cinder




You must know,’ said Estella, condescending to me as a beautiful woman might,
‘that I have no heart- if that has anything to do with my memory.
[...] so,’ said Estella, ‘I must be taken as I have been made.
The success is not mine, the failure is not mine, but the two together make me.”
Dickens, Charles. Great Expectations





Le notti a Phoenix sono molto calde.
L’aria è secca, porta con sé gli odori della terra arsa dal sole e dei pochi arbusti che crescono nel deserto. Può sembrare strano, ma anche la sabbia ha un suo proprio profumo.
Una leggera brezza spira da est, portandomi alle narici l’odore di strino della carne bruciata. Da qualche parte, lungo Kingsford Road, qualcuno sta facendo una grigliata.
Adoro la macchina di Phil e il suo tettuccio apribile. Non ho idea di che auto si tratti, mi basta sapere che è veloce, nera e silenziosa.
Grazie al cielo, la mia reputazione di figlia matura e affidabile mi permette di ottenere facilmente quello che voglio.
Il Black Rose si trova in periferia, il che rende le cose più facili. L’entrata principale ha davanti un ampio parcheggio, in cui vedo già le macchine della mia compagnia, con i fari accesi.
Quel cretino di Lance ha i fari con la luce verde… idiota.
Farebbe qualsiasi cosa per distinguersi, per apparire come il ribelle e il trasgressivo di casa. Con gente poco informata potrebbe anche riuscirci, se consideriamo i fari non omologati come l’ultimo dei suoi espedienti.
Ma con me non attacca.
Quando uno è figlio di papà, e fighetto fino al midollo, queste mascherate non fanno altro che dimostrare quanto sia superficiale.
Se non altro, è facile adeguarsi e passare relativamente inosservati, quando si frequentano certe compagnie.
Entro nel parcheggio premendo il piede sull’acceleratore.
Il ruggito del motore annuncia il mio arrivo, accolto da urla e schiamazzi di saluto dal gruppetto.
Sono tentata dal fare una parcheggiata alla Fast and Furious, ma mi trattengo.
Certe cose è meglio che mi abitui a non farle più, non collimerebbero con la maschera che indosserò da domani in poi.
Scendo dall’auto, stando ben attenta che l’orlo del vestito che indosso non salga nel movimento.
Mi arriva fino a metà coscia, cadendo a campana dai fianchi.
Le cose importanti è meglio che restino coperte, e non sto parlando della biancheria!
Trovo Pam che allontana il braccio di Lance, impegnato nel tentativo di ghermirle la vita, muovendo la testa e usando la lunga treccia come una frusta. Si dirige verso di me e mi affianca appoggiandosi alla portiera della mia auto.
Anche lei è vestita di nero, il suo corpo flessuoso è fasciato da un top e un paio di pantaloni di pelle che lasciano scoperta una considerevole quantità di epidermide, e, a parer mio, fin troppo poco spazio all’immaginazione. Vero è che ognuna ha il suo stile, magari quello da "panterona" è il suo, con la sua carnagione olivastra e i capelli corvini che ha può anche starci, ma è così minuta che, al posto suo, avrei puntato su uno stile più "innocente". Bisogna che, prima di andarmene, facciamo un discorso sui tipi di approccio che le convengono di più durante la caccia. È migliorata moltissimo in questi ultimi mesi, ma non mi sento tranquilla a lasciarla qui a fare esperimenti rischiosi se non sono certa che sappia come gestirli. Mi volto per bisbigliarle all'orecchio...
“Ehi, Bella!” mi saluta Lance, passandosi una mano tra i capelli castani e disordinati, come per darsi un tono.
“Lance… Gente…” è il mio laconico saluto. Va beh, magari le discussioni serie le rimando a dopo.
Il gruppo mi saluta con allegria. Un’allegria che mi puzza molto di alcol…
Sì, Trisha e Stacy si stanno contendendo una bottiglia di Vodka ormai agli sgoccioli.
Questi sono già mezzi ubriachi e sono solo le undici.
Intercetto un’occhiata scocciata di Pam, probabilmente l’unica che non ha toccato né alcol né roba fino ad ora.
Guarda te che gente ci tocca frequentare… ma, se non altro, sanno rendersi utili, di tanto in tanto.
Dall’altra parte del parcheggio, un altro gruppo di ragazzi interpreta praticamente la stessa scenetta.
Il solito sabato sera da adolescenti, insomma.
Tra loro ci sono però due persone che sicuramente non sono semplici adolescenti.
Un forte aroma di eucalipto e lillà mi arriva alle narici.
Cerco con gli occhi l’attenzione di Pam, ma lei sta già trafficando con la pochette nera che si porta dietro.
Ne estrae una scatolina di metallo che conosco bene.
La apre, si porta l’indice tra le labbra, lo immerge nella scatoletta e, quando lo tira fuori, ricoperto da un sottile velo di polvere bianca, se lo rimette in bocca succhiandolo.
Nel frattempo, io apro il ciondolo a forma di conchiglia che porto appeso al collo e, come lei, mi porto in bocca una piccola quantità di polverina, succhiandomi il dito come se fosse ricoperto di zucchero.
Vedo Lance che ci fissa, le pupille dilatate dall’ebbrezza dell’alcol.
Starà pensando le sue solite porcate, ne sono certa. Quello non pensa con il cervello.
“Bella, Pam, non ci offrite un po’ di sballo?” biascica Nigel, lo strafattone della banda.
“Come se non avessi le tasche piene di roba…” replica caustica Pam, richiudendo subito la sua scatoletta e infilandola nella pochette.
“Infatti” ghigna lui, con quell’aria da drogato che si porta in giro fin dalle prime ore del mattino. Una volta si è fumato una canna in classe, davanti all’insegnante.
Lo so, è nel banco davanti a me.
“Vedete quindi di non rovinarmi la piazza, voi due. Se vi mettete a darla in giro gratis, poi io a chi vendo?!” chiarisce lui, probabilmente credendo di fare la figura dell’uomo d’affari.
“Tranquillo” rispondo io, sorridendogli angelica. “A noi non piace condividere. E comunque, quando si parla di darla in giro gratis, lo sanno tutti che bisogna rivolgersi a Trisha”.
La combriccola scoppia a ridere, mentre la diretta interessata, assolutamente refrattaria a qualsiasi senso del pudore, mi fa l’occhiolino con aria saputa, per poi buttare le braccia al collo del primo malcapitato essere di sesso maschile a tiro e ficcargli la lingua in bocca.
Il ragazzo in questione è Jason, l’ultimo acquisto della compagnia. È un ottimo ballerino di breakdance, un chitarrista niente male, estremamente carino… sarebbe anche il ragazzo di Stacy, ma né lei né Trisha sembrano considerarlo un ostacolo a questa esibizione.
Nemmeno lui in realtà, visto che le sta palpando il sedere.
Ma dico io...
Quando finalmente i due si scollano decidiamo di entrare, e ci avviamo verso il locale.
Anche l’altro gruppetto sembra avere la stessa idea e ci segue.
Lance si mette tre me e Pam, prendendoci entrambe per la vita.
Nessuna delle due si scompone più di tanto, ci siamo abituate.
Non appena varchiamo la soglie del locale, entrambe pestiamo accidentalmente i piedi di Lance con i tacchi a spillo.
Mentre lui resta dolorante in mezzo all’ingresso, noi due ci inoltriamo in mezzo alla folla del Black Rose, già pieno di gente
La pista da ballo è immersa nella penombra, illuminata dai lampi delle luci psichedeliche, che vanno a ritmo con la musica. Una canzone qualsiasi, di quelle pulsanti, banali, commerciali, eppure irresistibilmente travolgenti. I bagliori simili a flash fanno sembrare che tutti quei corpi si muovano al rallentatore.
Ho già caldo, il mio cuore ha preso a battere ad un ritmo più serrato mentre il mio corpo segue meccanicamente quello dettato dalla musica.
Sto ballando in mezzo a questa massa brulicante, con Pam poco lontana da me. Presto raggiungiamo uno dei cubi ai lati della pista e vi saliamo sopra, guadagnando una visione sopraelevata.
In mezzo a tutti quegli odori: sudore, alcol, profumi, fumo di sigaretta e fumo di ghiaccio secco, intercetto di nuovo quegli aromi freschi e dolci allo stesso tempo. Eucalipto e lillà.
I miei occhi scorrono sulla folla danzante e presto trovo quello che cerco.
Una testa bionda e una bruna, pelle pallidissima, un riverbero appena accennato sugli zigomi quando la luce lampeggia, profonde occhiaie simili a ustioni sotto agli occhi e, posso vederlo anche da qui, una sfumatura sanguigna nelle iridi nere.
Continuando a ballare faccio un segno a Pam, quasi casuale, con la mano verso destra.
Lei mi risponde con un cenno affermativo della testa, che ad altri sarebbe sembrato solo un movimento dato dal ballo frenetico.
Contemporaneamente scendiamo dal cubo, mentre la canzone sfuma lentamente in un’altra e il ritmo cambia appena, accompagnato questa volta dai flash di luci blu e rosse.
Puntiamo verso i due ragazzi, che per fortuna sono alti e si vedono bene anche da terra, considerando pure i dieci centimetri di tacco che mi supportano.
Camminare in linea retta in mezzo ad una discoteca piena di gente è notoriamente impossibile.
Per non farci spintonare troppo da una parte all’altra, continuiamo a ballare, muovendoci sinuose, come seguendo il moto di un’onda.
Finalmente arriviamo vicino ai due, già attorniati dal consueto stuolo di ragazze con gli ormoni a mille. Perfettamente comprensibile.
Certo, non faccio fatica a capire perché sbavino in quel modo. Sono cinica, sono realista, ma non cieca.
La differenza è che io mi aspetto tanta bellezza. Non mi confonde, né mi abbaglia.
Perché so cosa nasconde.
Ma anche io posso essere abbagliante.
Certo, forse solo per quelli come loro, ma posso.
Devo.
Con un gesto deciso, scanso un paio di ragazzine petulanti dal mio cammino, imitata da Pam.
Il profumo di eucalipto è fortissimo adesso che il moro è davanti a me.
Continuo a muovermi languida, lentamente, cercando il suo sguardo.
Solo una formalità, solo per non risultare diversa dalle altre che gli si strusciano addosso, cercando la sua attenzione.
Perfettamente inutile, dal momento che i suoi occhi sono già su di me, completamente dimentichi della ragazza che balla tra le sue braccia.
Faccio in tempo a notare che è un brunetta vestita di rosa, non avrà nemmeno quindici anni, che è già stata messa da parte.
Lui mi si avvicina di un passo, i suoi occhi rossi percorrono tutta la mia figura, soffermandosi insistentemente sul mio collo scoperto.
Con un movimento della testa lascio ricadere i capelli in avanti, coprendo con quella labile barriera la pelle delicata della gola.
Oh sì, gli da fastidio. Lo vedo nella smorfia appena accennata della sua bocca.
Sta facendo di tutto per non mostrare i denti, o meglio, le zanne.
È saggio fare i dispetti ad un vampiro?
Quando sai gestire la cosa, sì.
Quando diventa una delle ultime forme di divertimento che ti sono rimaste, pure.
E poi, perché sprecare un’occasione del genere?!
Un vampiro che ha l’autocontrollo per resistere dentro ad una discoteca piena di adolescenti con gli ormoni in subbuglio, è semplicemente una rarità.
Se fossi meno pratica di queste cose, probabilmente penserei che è meno pericoloso degli altri.
Ma proprio questa sua capacità di controllarsi, di trattenersi, lo rende più letale.
Si avvicina a me, ormai sento il suo odore fresco e penetrante con un’intensità fastidiosa.
Ogni mio muscolo vorrebbe tendersi alla fuga, il mio cuore vorrebbe mettersi a correre… ma la mente prevale sugli istinti1.
Nonna Marie mi ha insegnato bene.
Rimango rilassata, il battito appena accelerato, quel tanto che basta ad incolpare l’emozione o l’imbarazzo.
Sono calma mentre la sua mano mi sfiora ai lati del viso, scostando dietro le spalle le cortine di capelli con un gesto leggero e delicato che colpirebbe chiunque altra. Chi per l’eleganza, chi per la delusione del mancato contatto con le sue dita…
Io ci vedo solo l’astuzia del predatore che non vuole far scappare la preda, ancora apparentemente inconsapevole del pericolo.
Come se non sentissi già da questa distanza il freddo e l’elettricità emanati dal suo corpo.
Si avvicina ancora e mi posa delicatamente le palme sui fianchi. Lo vedo chinarsi per sussurrami all’orecchio, ma so che è solo una scusa per assaporare ancora di più il mio profumo.
D’altra parte, non è certo la mia bellezza ordinaria o la mia discutibile sensualità ad attirarlo.
Il mio odore, l’odore del mio sangue, è particolarmente dissetante, per quelli come lui.
Fa parte della mia natura, del mio dono.
Improvvisamente mi viene in mente l’espressione di Fatima, la prima volta che nonna Marie ci ha spiegato quest’aspetto della nostra maledizione.
“Che botta di culo” aveva sbottato, con la sua solita grazia.
Adesso, come allora, un sorriso mi sale alle labbra. Giusto in tempo perché lui lo interpreti come un assenso alla sua domanda.
“Mi concedi questo ballo?” mi ha sussurrato galante all’orecchio. L'ho sentito benissimo, nonostante il frastuono della musica che pompa dalle casse a tutto volume.
Non posso fare a meno di pensare che la sua voce sia calda e densa. Mi viene in mente lo sciroppo d’acero colato sui pancakes.
Io odio lo sciroppo d’acero.
Troppo dolce, appena lo tocchi ti resta una patina taccolenta sulle dita, e auguri a levarsela.
Suadente, educato, affascinante.
Il sogno di ogni ragazza, roba che Nigel e Lance se la sognano.
Sarebbe facile cadere ai suoi piedi, se non sapessi perché le sue spalle, a cui mi avvinghio per il ballo, sono così solide e scolpite.
Se non sapessi perché, improvvisamente, ho la pelle d’oca per il freddo.
Se non vedessi quel leggero riverbero sulla sua pelle, appena la luce di un riflettore lo colpisce con una particolare angolazione.
Se i miei sensi non fossero abbastanza sviluppati da sentire l’assenza del battito cardiaco quando mi stringe di più a sé, facendo scontrare per un attimo il mio petto col suo torace marmoreo.
Tengo i miei occhi fissi nei suoi e vedo già gli effetti che la mia presenza sta avendo su di lui.
È così impegnato nel controllarsi, che non pensa nemmeno per un istante che possa esistere una creatura in grado di ammaliarlo come lui ha fatto con tutte le ragazze qui attorno.
Nella sua arroganza di essere immortale, non lo sfiora nemmeno l’idea che possa esistere qualcosa di simile a me.
Non immagina nemmeno che io possa costituire un pericolo per lui.
Quello che i vampiri non hanno mai capito, è che esiste sempre un pesce più grosso.2
Ora è come ubriaco.
Continuiamo a ballare, intorno a noi le ragazze che lo accerchiavano mi guardano con odio e invidia.
Fate pure, finché non mi intralciate potete anche trucidarmi con gli occhi.
Io, intanto, tengo i miei fissi in quelli di questa creatura che vi attrae tanto.
Le sue iridi sono scure, deve avere molta sete. Non resisterà ancora per molto, con me così vicina.
Infatti, mentre i bassi della canzone vengono gradualmente sostituiti dagli effetti elettronici di quella successiva, lui accosta di nuovo la sua bocca al mio orecchio.
“Ti va di trovare un posto più tranquillo, per starcene un po’ da soli?” mi alletta con la sua voce bassa e sensuale, un po’ più roca di prima.
Ormai sta cedendo.
Io mi stacco appena da lui, rivolgendogli uno sguardo carico di malizia, e lo prendo per mano.
Per una frazione di secondo cerco gli occhi di Pam, stretta tra le braccia del vampiro biondo come lo ero io un attimo fa.
Lei coglie la mia occhiata, ai limiti del suo campo visivo, e la vedo increspare appena le labbra.
Poi le do le spalle e, col vampiro bruno per mano, mi inoltro nella ressa del locale, cercando di guadagnare l’uscita.
Abbandonata la pista da ballo, mi dirigo con passo sicuro verso quel corridoio, nascosto dietro un paravento con disegni orientale, che porta all’uscita sul retro.
Lungo il percorso non gli lascio mai la mano, tenendolo appena un passo dietro a me, volgendomi di tanto in tanto per sorridergli lascivamente.
Ancora non ho deciso se questa è la parte che mi diverte o mi disgusta di più. Fare la gatta morta non è decisamente nelle mie corde, ma è buffo pensare a quanto può essere facile irretire un vampiro.
La porta antincendio è davanti a noi, spingo sul maniglione rosso e in un attimo siamo fuori.
Anche se l’aria è calda, in confronto alla cappa afosa del locale, qui all’aperto sembra frizzante, fresca.
L’ideale per rimanere lucida.
Ma per il vampiro alle mie spalle non c’è speranza di recuperare la lucidità.
Anche qui fuori il mio odore è forte per lui, ormai gli sono entrata dentro.
Il vicolo è grigio e spoglio.
In fondo ci sono un cassonetto e alcuni bidoni di metallo. Mi torneranno utili, dopo.
Faccio cinque passi in avanti, mi fermo coi piedi paralleli, le gambe leggermente divaricate.
La luce della luna piena cade a picco sulla mia testa, inondando lo spazio angusto del suo chiarore lattiginoso.
Reclino il capo all’indietro, lasciando cadere i capelli a cascata sulla schiena, la pelle morbida e delicata del collo scoperta.
Sembra che me ne stia qui, abbandonata nella contemplazione della volta celesta, in attesa.
Anche ad un essere umano sembrerebbe un invito.
Figuriamoci ad un vampiro.
Lo sento avvicinarsi a grandi falcate alle mie spalle. Veloce, ma non abbastanza perché io non mi accorga del suo movimento.
Si ferma, incombente sulla mia figura minuta.
Posa le mani sui miei fianchi, il suo tocco è leggero, ma non morbido.
Sta facendo di tutto per non chiudere le dita ad artiglio.
L’ho capito fin dal primo momento che questo è uno a cui piace prendersela con calma.
Probabilmente ci prova gusto ad ingannare le sue prede fino all’ultimo istante.
Resto immobile mentre con la punta del naso scende a sfiorarmi la spalla.
Lo assecondo nella sua sceneggiata e appoggio le spalle al suo torace.
Faccio salire il braccio per sfiorargli la nuca con la punta delle dita.
Le passo sui suoi capelli con la stessa lentezza con cui lui fa scorrere il naso sulla mia spalla, lungo la clavicola.
La mia testa è ferma, dritta, e lui porta una mano dal mio fianco alla guancia, ormai completamente dimentico del gelo della sua pelle che si scontra col calore della mia.
Con finta gentilezza mi reclina la testa di lato, mentre col naso arriva all’incavo tra la mia spalla e il collo.
Con altrettanto finto abbandono assecondo il suo movimento, spostando la mano dai suoi capelli al lato della testa, per poi scostarmene appena di pochi centimetri.
Lui pare non rendersene nemmeno conto.
Porta le labbra al mio orecchio.
Io penso intensamente alla leggera pressione del materiale freddo e metallico che preme sulla pelle della mia coscia.
Penso all’esatta sensazione che proverei nel sentirlo nell’incavo della mia mano serrata su di esso.
“Questo ti farà un po’ male…” ghigna sadico il succhiasangue ad un soffio dal mio orecchio.
Il pensiero è più veloce di qualsiasi gesto o parola.
Il suono sordo dello sparo scoppia nel silenzio della notte, rimbalzando sulle pareti del vicolo, mentre contemporaneamente io mi abbasso sulle ginocchia, accovacciandomi a terra.
Porto le mani a ripararmi la testa, nella destra stringo la pistola da cui è partito il colpo.
Vedo pezzi di roccia bianca cadere a pochi passi da me, con attaccate ciocche di capelli bruni.
Mi rialzo in piedi, girando su me stessa.
Il corpo marmoreo del vampiro è ancora in piedi, davanti a me.
La testa non c’è più.
I suoi pezzi sono sparsi a terra.
Sento dei passi dietro la porta antincendio.
Nel momento stesso in cui la vedo girare sui cardini, punto la pistola davanti a me, ad altezza d’uomo.
Sparo.
Di nuovo lo scoppio sordo rimbalza sui muri, attutito dalla musica proveniente dall’interno del locale.
Questa volta vedo la testa del vampiro, quello biondo, saltare per aria, disintegrarsi, mentre io e Pam ci abbassiamo di nuovo per non essere colpite in faccia dai frammenti duri come la pietra.
Pam si rialza in piedi e, senza degnare di uno sguardo i resti polverizzati della sua preda, spinge con noncuranza in mezzo alle scapole il corpo rimasto in piedi, facendolo cadere a terra.
Con altrettanta indifferenza, io faccio lo stesso con la mia vittima, mentre lei richiude la porta di servizio, dando qualche calcio alle gambe del cadavere per agevolare l’operazione.
Io rinfilo la pistola nella fascia che tengo intorno alla coscia, sotto al vestito, ed estraggo dallo stivale il mio fidato coltello.
Mentre a terra i vari pezzettini delle due teste polverizzate cominciano a fremere, Pam li raccoglie uno ad uno.
Io, intanto, mi dedico a tagliare gli arti dai corpi dei vampiri decapitati. La lama del mio coltello affonda come nel burro.
“Vuota due di quei bidoni dentro al cassonetto, dovrebbero fare al caso nostro” ordino a Pam, che esegue subito, in silenzio.
Una volta vuoti, porta i due contenitori metallici vicino a me, e io comincio a buttare dentro ad uno braccia e gambe.
Il trucco è sforzarsi di pensare che siano parti di un manichino.
Nell’altro facciamo entrare i tronchi dei corpi mutilati e Pam butta dentro i frammenti delle teste che ha raccolto.
Nel frattempo le prendo la pochette nera e ne estraggo un fiaschetto da liquori e ne verso il contenuto trasparente nei bidoni.
Passo la pochette a Pam, mentre faccio in modo che la vodka bagni il più possibile i resti di quei mostri.
La mora al mio fianco prende fuori una scatoletta di fiammiferi e ne accende due, buttando prima uno e poi l’altro sul liquido altamente infiammabile.
I cadaveri prendono subito fuoco, producendo due colonne di quel fumo denso, scuro e dolciastro che ha riempito gli anni della mia adolescenza.
Mentre i due falò continuano a bruciare, io e Pam ci dedichiamo a raccogliere gli ultimi frammenti bianchi rimasti in giro, buttandoli di tanto in tanto tra le fiamme.
Una volta terminata anche quest’ultima operazione, ci allontaniamo un po’ dai due incendi e appoggiamo le spalle alla parete fredda di mattoni.
L’aria notturna ci rinfresca la pelle del viso, ma non è sufficiente a scacciare l’odore del fumo di quei roghi.
Pam, al mio fianco, si lascia andare ad un sospiro.
Immagino di sollievo. Queste serate non sono mai una passeggiata, neanche quando ci sei abituata.
Lei, poi, è solo da poco che è passata all’azione sul campo.
Sono comunque grata che Elisabeth l’abbia affidata a me.
È una ragazza in gamba, si adatta a qualsiasi situazione, e non va nel panico.
Ancora non è pronta per andare a caccia da sola, ma mi assicurerò che venga affiancata a qualcuno che sappia finire quello che io ho cominciato.
“Tutto bene?” le chiedo, osservandola mentre reclina il capo contro il muro, alla ricerca di un po’ d’aria che le dia sollievo.
Questo non è un odore a cui ci si abitua facilmente. I primi tempi, anche a me dava la nausea.
Lei annuisce, deglutendo un po’ di saliva. Sicuramente, con l’emozione e il calore, avrà la gola secca.
Prendo di nuovo la pochette dalle sue mani e ne estraggo un bottiglietta mignon contenente del liquido ambrato.
La stappo e ne annuso l’aroma caldo e penetrante. Sicuramente alcolico.
“Che cos’è?” chiedo, con un sospetto in mente.
Lei mi guarda e ghigna sardonica.
“Vin Santo”
Io inarco un sopracciglio stupita e scoppio a ridere, seguita a ruota da Pam.
Certo che questa ragazza ha senso dell’umorismo.3
Scrollo la testa, ancora scossa dalle risate, e le passo la sua bottiglietta di vin santo.
“Che scema sei! Bevi, prima di crollarmi qui”.
Lei, con un’alzata di spalle, ingolla un sorso e mi restituisce il contenitore mezzo vuoto.
“Butta giù! Un brindisi all’ultima caccia insieme” sorride ammiccando.
Io la guardo un momento interdetta, poi faccio come dice e vuoto il resto del liquido nella mia bocca.
Una sensazione di calore mi invade, dandomi una scossa piacevole in tutto il corpo.
Non sono una che beve, ma ogni tanto ci vuole.
Tanto per stasera i miei sensi super sviluppati da cacciatrice possono anche mettersi a riposo.
“Grazie” esclamo restituendole nuovamente la bottiglietta.
Lei annuisce, rimettendola in borsa.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, osservando il cielo stellato.
“Starai bene?” mi chiede senza guardarmi, ma sento l’apprensione nella sua voce.
Che dolce.
Mi ha appena vista sparare a sangue freddo in mezzo agli occhi ad un essere senziente e farlo a pezzi come una bistecca, non è nemmeno la prima volta che mi vede intenta in queste amene attività, lei stessa è stata addestrata ad agire con la medesima freddezza, eppure riesce ad essere così umanamente tenera, preoccupata per la mia sorte.
“Me la caverò” annuisco sicura.
Volto il capo verso di lei e le rivolgo un sorriso sincero.
“Anche tu starai bene. Ho già chiesto ad Elisabeth di affiancarti a Dylan. Sono stata in missione con lei diverse volte, e posso assicurarti che con lei sarai in buone mani. Nel giro di un anno, potresti anche essere pronta per cacciare da sola”
Lei mi sorride, in parte rassicurata, in parte gratificata, in parte malinconica.
“Mi mancherai” dice, so che è sincera.
“Anche tu” le rispondo con altrettanta sincerità.
È una delle tante persone che mi mancheranno.
Ma dopo il distacco da mia nonna, da Arsinoe e da Fatima, ormai ci ho fatto il callo.
Aspettiamo ancora una decina di minuti.
Quando ormai le fiamme hanno divorato i cadaveri dei vampiri, prendiamo i coperchi dei bidoni e li chiudiamo, soffocando le ultime lingue di fuoco.
“Hai la tua macchina?” chiedo mentre mi arrampico sul bordo del cassonetto e ne estraggo due pezzi di cartone.
“Si, possiamo metterli nel mio porta bagagli” dice pragmatica lei, prendendo il cartone che le sto passando e strappandolo in due, come me, per farne delle presine improvvisate.
Con le mani protette dalla superficie arroventata, solleviamo i due bidoni per le maniglie e ci avviamo verso il parcheggio.
Una volta arrivate alla macchina, Pam apre l’ampio baule, mentre io tolgo il coperchio da uno dei bidoni e vi immergo il braccio.
Quando lo estraggo, nella mia mano tengo una manciata di braci.
Già grigie, già fredde.
Faccio per prendere il mio ciondolo a forma di conchiglia, ma Pam mi ferma, tendendomi di nuovo la bottiglietta mignon vuota.
“Ce ne sta di più” dice semplicemente.
Con un sorriso tirato accetto il dono.
Contraggo il pugno polverizzando definitivamente le braci e faccio fluire la cenere dentro il contenitore di vetro.
Pam mi fissa mentre ripeto l’operazione, fino a che la bottiglietta non è piena e richiusa col suo tappo.
“Bella…” mormora quando mi vede buttarla sul sedile del passeggero della macchina di Phil, parcheggiata accanto alla sua.
“Lascia perdere, Pam. È il mio corpo, la mia vita. Nessuno ti dice che devi imitarmi, anzi” dico seccamente.
Lei resta in silenzio qualche secondo, poi ritenta.
“Ma Elisabeth dice che…”
“Elisabeth dice un sacco di cose” sbotto. “Ha detto a mia nonna che io, Fatima e Arsinoe saremmo rimaste insieme, e ora una è a New York e l’altra a Parigi!”
Se mia nonna fosse ancora viva, una cosa del genere non sarebbe mai successa.
Lei sapeva che avevamo bisogno di restare unite.
“Sì, ma…” tenta di nuovo Pam, con scarsa convinzione.
Io mi giro verso di lei, puntando i miei occhi nei suoi.
“Niente ma, Pamela! Mia nonna è stata la più grande Artemide degli ultimi due secoli, è l’unica ad essere morta di vecchiaia, e aveva centoventi anni. Anche alla sua età era abbastanza sveglia e in forze da addestrare me e le mie compagne, ed è grazie alla Cenere Grezza. Se io decido di fare altrettanto, è solo perché sono destinata a prendere il suo posto. Se Elisabeth non lo capisce, è solo perché lei è Selene! Ha ricevuto un addestramento diverso, non è nella sua natura. E comunque, come ti ho già detto e ripetuto mille volte, nessuno ti dice di fare come me” concludo, con un tono che non ammette repliche.
Lei mi fissa ancora un istante, poi, davanti al mio sguardo di ghiaccio, abbassa gli occhi.
“Scusa… Hai ragione, non sono affari miei” mormora.
Io sospiro. Con una scrollata di spalle richiudo il bidone e comincio a caricarlo sulla sua auto.
Lei fa lo stesso, rimanendo zitta.
“Non devi prendertela, non ce l’ho con te” la rassicuro, cercando di mantenere la voce ferma. “Ma ci sono cose che non si possono capire, quando non si ha… la mia prospettiva di vita”.
Lei annuisce, con una smorfia dispiaciuta.
Finiti di caricare i bidoni, chiudiamo la portiera del bagagliaio.
“Portali subito alla base. Deciderà poi Katia quanta cenere mandare in raffineria e quanta alla fusione. Ah, e di a Chris che questa volta la quantità di esplosivo era perfetta: pezzi né troppo grandi né troppo piccoli” le raccomando mentre si appresta a salire in macchina, una jeep verde scuro.
Lei sorride e annuisce, sedendosi dietro al volante.
“Hai qualche ordinazione dell’ultimo minuto? Sono sicura che se mi lasci il tuo indirizzo di Forks non ci saranno problemi a farti spedire scorte…”
“Tranquilla, ho qualche ricarica di munizioni con me, e anche se non mi aspetto di trovare vampiri da quelle parti, ho comunque un deposito d’emergenza nascosto laggiù. Nel caso dovessi avere bisogno di qualcosa, posso sempre fare un salto alla base di Tacoma. E comunque, figurati se alla base non hanno l’indirizzo di casa di mio padre! Sapranno anche il numero di scarpe che porta, come minimo” sbuffo acida.
Pam ride della mia espressione e ci scambiamo un’occhiata complice.
“Allora… buon viaggio e…” esita lei con un sorriso, “Ci vediamo!”
“Ci vediamo” confermo io, sorridendo a mia volta.
Ci salutiamo con un abbraccio, poi ci separiamo.
Lei, diretta per l’ennesima volta al quartier generale, dove consegnerà la cenere di vampiro, di cui una parte verrà filtrata e raffinata per produrre la polvere bianca che usa anche lei, come gli altri, per potenziare temporaneamente le proprie abilità e i propri sensi, mentre l’altra verrà utilizzata per essere fusa insieme ai metalli con cui vengono forgiate le nostre armi, le uniche in grado di uccidere anche i vampiri.
Io, con la macchina di Phil, percorro per l’ultima volta la strada verso casa.
Domani prenderò l’aereo che mi porterà nel piovoso stato di Washington, in cui non metto piede da tre anni. Da domani, indosserò a tempo pieno la maschera della ragazza goffa, matura, timida, imbranata, e incapace di mentire. Quella con cui mi conoscono i miei genitori. Quella che sarebbe la mia vera natura se, a undici anni, non fossi stata attaccata da un vampiro e mia nonna non mi avesse salvata.
Da quel giorno ho cominciato il mio addestramento da cacciatrice e sono entrata a far parte del clan. Quello di cui mia madre non sa niente, perché non ha ereditato il dono da mia nonna.
Da allora è cominciata la mia trasformazione.
Forgiata nella mente e nel corpo, prima dall’addestramento e dagli insegnamenti di mia nonna, poi grazie alla Cenere grezza di vampiro. Quella che nessuno, oltre a mia nonna, ha osato prendere da molto tempo, perché, a differenza della Cenere raffinata nei nostri laboratori, porta mutazioni permanenti. Piano piano, il mio corpo è diventato più forte, veloce e resistente. I miei sensi, già acuiti dal dono, si sono amplificati ulteriormente. E le mie abilità paranormali, come quella di materializzare una pistola dalla guaina legata alla mia coscia nella mia mano, si sono perfezioniate, anche se non sono nulla in confronto a quelle di Fatima e Arsinoe.
Anche loro usano la Cenere grezza, perché anche loro hanno imparato da mia nonna.
Noi siamo state addestrate per essere il prossimo Trio. Quando Elisabeth, l’ultima della vecchia generazione, morirà, diventeremo le guide più potenti che i clan dei cacciatori, sparsi in tutto il mondo, abbiano mai avuto.
Poco importa se per questo dovremo rinunciare a un po’ della nostra umanità.





Note d'autore:
  1. riconoscete le parole di Edward? Dai, su che non è difficile ^^
  2. frase presa da Qui Gon Jinn in “Star Wars- La minaccia fantasma”
  3. ok, il vin santo non è vino benedetto, non so nemmeno se in America lo conoscono, visto che è una raffinatezza che io ho scoperto in Trentino. Mi sembrava ironico però che una cacciatrice si portasse dietro un goccetto di vin santo, sapete no, per quella superstizione secondo cui le cose sacre tengono lontani i vampiri. Cosa che ovviamente non conta per quelli della Meyer, ma mi sembrava carino mettere una cosa del genere, un po’ come la croce antica in casa Cullen.
   
 
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