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Autore: loonaty    15/05/2011    0 recensioni
Le parole hanno un peso diverso dove tutto ciò che può venire immaginato prende forma.
Il Re e la Regina.
Una scacchiera.
I colori ancora tutti da decidere.
Il Vetro è fragile anche quando è Nero.
Il Caramello dolce nonostante sia bruciato.
–Ma che senso ha usare tutti gli altri pezzi se il re e la regina insieme possono battere tutti? Guarda i tuoi … - Indicò le due pedine nere ai lati opposti della scacchiera. –Sono così distanti tra loro, come fanno a salvare il regno senza aiutarsi a vicenda?-
Genere: Comico, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SONETTO



-Scacco matto!- Urlò Sandy saltando in piedi entusiasta.
-Io butto dentro, con te non si può giocare!- Una ragazzetta lentigginosa ed imbronciata incrociò le braccia riducendo i suoi occhi a fessura. –Tu bari Sandy – Soffiò tra gli incisivi distanti.
L’amica le fece la linguaccia. –Io non baro … -
-No, certo, giochi secondo regole in cui il re scavalca i pedoni, la regina muove due turni di fila e tutti gli altri restano fermi dove sono!-
Sandy assunse un’espressione sconfortata. –Ma che senso ha usare tutti gli altri pezzi se il re e la regina insieme possono battere tutti? Guarda i tuoi … - Indicò le due pedine nere ai lati opposti della scacchiera. –Sono così distanti tra loro, come fanno a salvare il regno senza aiutarsi a vicenda?-
La ragazza lentigginosa, che inoltre aveva anche i capelli di un arancio sfuggente, la fissò attonita. Probabilmente tentava di capire se l’amica c’era o ci faceva. Anche se, considerando come ora mordicchiava la palle del pollice lappandola con la lingua come un poppante, probabilmente c’era proprio di suo. Sospirò rassegnata. –Tu fumi troppo!-
Sandy sgranò gli occhi color caramello bruciato. – Non è vero! Solo una sigaretta a settimana!- L’amica storse il naso. –I bambini non dovrebbero fumare- Borbottò recuperando la borsa stropicciata che aveva calciato, come una bestia rognosa, in un angolo della stanza, tra il divanetto ed il termosifone. Un po’ discosto dalla scacchiera sul tavolino di finto cristallo che si erano apprestate a sfruttare. La cinghia della tracolla sbatte rumorosamente contro il ferro dello scaldino per poi andare a sistemarsi al suo posto tra la spallina del reggiseno, in rilievo sotto la t-shirt aderente, e il bordo del gilet di jeans che, come ogni giorno da settimane, pendeva sfilacciato oltre la sua spalla. Sandy osservò  la scena con la punta del pollice in bocca. La scrutò, seguendo tutto nei minimi dettagli. I suoi denti, o meglio, il suo dente e mezzo, slittarono sulla superficie gommosa che le ricopriva le unghie lunghe. Il gel bianco perla che aveva comprato l’altro ieri faceva il suo dovere impedendole di rosicchiarsi le mani fino all’osso. –Dove vai?- Le domandò vedendola dirigersi verso la porta. L’altra si girò. –Vado a casa, sono quasi le otto imbranata!- Sandy si guardò in torno in cerca del cellulare, dopo averlo localizzato sull’altra sponda del divano vi si buttò a pesce facendo una capriola e sedendosi sul bracciolo. Afferrò il telefonino e, una volta aperto lo sportellino si accorse che, effettivamente, l’amica aveva ragione e mancavano meno di dieci minuti alle otto, ergo, meno di dieci minuti alle sue lezioni serali. In questo lasso di tempo la chioma arancio evidenziatore di Melissa sparì oltre l’ingresso seguita dalla porta che sbatteva e dal “din-dlon” che precedeva l’aprirsi delle porte dell’ascensore.
Sandy corse su per le scale a chiocciola tentando di far rimanere nei limiti prescritti dal suo fiocco le ciocche biondo scuro sfumate con gocce di cioccolato qua e là. Era una condanna avere i capelli così lisci che niente potesse tenerli a posto. Corse davanti allo specchio afferrando al volo la matita prima che franasse sul tappeto assieme a tutti gli altri trucchi impilati in malo modo sul bordo smussato della toilette rosa antico. Con lo specchio enorme ed ovale che pareva ingoiare la stanza. Mentre tentava con eleganza di non far fare la fine dello spiedino al suo bulbo oculare, cosa non poi troppo elegante, notò di sbircio l’angolo di un foglio a righe che sbucava dal cassetto. La fronte si corrucciò mentre le labbra più o meno carnose si schiudevano sul volto imbronciato da bambina, mettendo in mostra l’incisivo spezzato a cui mancava un buon terzo. La sua mano andò a serrarsi sul manico del cassetto mentre una sensazione di dejavù  la assaliva. Lasciò cadere a terra la matita e tirò con cautela l’angolo spiegazzato. La pagina ne venne fuori con un fruscio lento.  Bianca. Si arricciarono le labbra mentre l’espressione accigliata prendeva vita sul suo volto e dimentica dell’ora si lasciava cadere sullo sgabello imbottito e rivestito di carminio velluto.  Perse entrambi i lati del foglio con le mani e poi lo voltò tendendolo sulle ginocchia.

A te, de l'essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso
Mentre ne' calici
Il vin scintilla
Sì come l'anima
Ne la pupilla;
Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D'amor parole,
E corre un fremito
D'imene arcano
Da' monti e palpita
Fecondo il piano;
A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana Helevorn,
Re del convito. […]
 
Cos’era? Una formula magica? Sandy ghignò. Lo sapeva da quando aveva sei anni, da quando sua madre era morta e suo padre era ormai troppo ubriaco anche per abusare di lei, che la magia era un’inutile invenzione. Se la magia fosse esistita probabilmente ora lei non dovrebbe mantenere suo padre nella casa di cura nonostante i suoi diciannove anni suonati. E poi cos’era quella correzione nell’ultimo verso? Perché sudava freddo?
-Te invoco, o Satana … - Socchiuse gli occhi cercando di ricordare. –Carducci … - Sì, era il frammento di una poesia di Carducci non c’era dubbio. Eppure quella correzione … La scrittura non le apparteneva. La poesia era senza dubbio stata scritta da lei, in giovane età per giunta. L’aveva forse trovata in qualche libretto di poesie della mamma . (Un foglio di carta ben piegato sotto il fondo di un baule) Cosa significava Helevorn? Chi era per essere paragonato a Satana? E perché lei stava lì ad arrovellarsi il cervello su uno stramaledettissimo pezzo di carta (mistero) invece che correre a lezione?
Afferrò il cellulare facendo scattare lo sportellino mentre correva in strada con il cappotto buttato malamente sulle spalle. Maledizione sarebbe arrivata in ritardo di almeno un quarto d’ora. Lei ed il suo stupido scetticismo! (Di questo non sei tu che ti dovresti lamentare)
 
Il banco era stretto e scomodo. I quaderni scivolavano dal bordo come se fosse cosparso d’olio e le biro rotolavano a terra interrompendo ogni volta le parole dell’insegnante che la trafiggeva e si strofinava i baffi, mentre, come olio stesso, i suoi occhi le cadevano nella scollatura e sorrideva, facendole cenno di avanzare di qualche banco, “vieni, tanto c’è posto”, “no grazie, sto benissimo qui dove sto”. L’uomo storse i baffi contrariato. La osservò velenoso, i capillari rossi ben visibili nelle sclere ingiallite dal fumo. Se farà cadere un’altra biro stavolta le metterà una nota. Sandy sospirò tentando di stare attenta. Vorrebbe agguantare il suo fulard grigio perla con le pailette sul bordo inferiore e le frange intrecciate che le aveva regalato la sua compagna di banco dopo la gita in Turchia alla quale non aveva partecipato. Vorrebbe nascondere lo scollo a V della maglietta consunta che aveva dimenticato di cambiare prima di uscire. Con un sospiro sollevò un libro creando una sorta di barriera tra lei e quegli occhi vogliosi di qualcosa che non desiderava dare. E, tra scheggiature e scarabocchi, sulla superficie beige del banco, campeggiava un foglio a righe ordinatamente scritto, con una biro cancellabile. Il sonetto a Satana doveva essersi infilato nella sua tasca mentre veniva a scuola. Strano, perché ricordava di averlo sbattuto sulla sua toilette avviando un effetto domino tra una vastità di campioni vuoti di profumi. Con la stilografica cominciò a tormentare un angolo della pagina. Ascoltava passivamente il discorso di quell’uomo perverso che si definiva professore. La matematica non l’aveva mai ispirata quanto la psicologia eppure ne seguiva un corso serale per restare in pari con quei dannati studi inframmezzati dal lavoro. Non aveva tempo per pensare a scempiaggini come elfi e folletti e fate.
 
… Fata? Oh, no, io non sono una fata. Io sono qualcosa il di più, io sono il Re. Sono vetro nero, come la notte. Di certo non sono una fata. Io le fate le regno.-
Il mantello nero svolazza nell’inchino biondi fili brillano alla luce soffusa.
 
La biro cade.
Non è possibile.
   
 
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