Di che segno sei?
Tutta colpa di Miranda
Ci sono persone sparse in tutto il mondo che
collezionano farfalle, altre francobolli, oppure cartoline o qualsiasi altra cosa
(solitamente più è inutile ed ingombrante e meglio è), ma Miranda Lotto
collezionava qualcosa di unico nel suo genere: colloqui di lavoro.
Nel suo curriculum spiccava subito la laurea in
lettere e filosofia, un titolo di studio dalla sensazionale capacità di
permetterle di fare tutto e niente allo stesso tempo, nonché una miriade di
esperienze lavorative dei più svariati generi: dalla segretaria alla cameriera,
dalla centralinista alla maestra, e via discorrendo…
Per Miranda il problema non era ottenere il posto di
lavoro (ormai era talmente esperta nei colloqui che sapeva esattamente cosa
dire, come dirlo e che espressione assumere nel dirlo); più che altro era
riuscire a mantenerlo questo lavoro. A causa della sua sbadataggine finiva
sempre per combinare qualche pasticcio in meno di una giornata lavorativa, così
da venire licenziata giusto in tempo per presentarsi ad un colloquio per cui
aveva già preso appuntamento il giorno stesso, ben consapevole che non avrebbe
mantenuto il posto per più di qualche ora anche lì.
Di fatti, nella sua routine quotidiana rientrava
l’acquisto del giornale degli annunci e la ricerca di ogni tipo di offerta
lavorativa a lei idonea.
Quella volta non era andata diversamente. Teneva in
mano la sua personale agenda in cui aveva segnato almeno un appuntamento al
giorno. Purtroppo, Miranda non era dotata della capacità di guardare in due
direzioni contemporaneamente, per cui avendo gli occhi fissi sull’agendina
viola non poteva vedere il gigantesco camion dei traslochi parcheggiato davanti
al palazzo dove abitava.
Lo vide solo quando vi sbatté la fronte, e sì che non
passava inosservato con il suo sgargiante color giallo evidenziatore.
“Ma cosa…?” Si massaggiò la fronte dolorante su cui
stava già sbocciando un livido, mentre aggirava l’ingombrante ostacolo per
entrare nell’edificio. Si rese conto che era davvero tardi e (come era accaduto
poco prima) per guardare l’orologio che aveva al polso non si avvide dei tre
gradini davanti al portone.
Li vide solo quando vi inciampò sbattendo l’altro lato
della fronte sul terzo di essi.
Nel frattempo, un Lavi stanco e con un visibile callo
alla mano per via del lavoro manuale che gli era stato propinato dal diabolico
nonno si domandava da quando avessero messo uno zerbino viola davanti al portone
del palazzo.
Solo quando notò che il suddetto zerbino respirava, e
si muoveva persino, capì che in realtà era Miranda, la sua vicina di casa,
tanto imbranata quanto gentile.
“Ciao, Miranda!” la salutò con un sorriso smagliante
porgendole la mano per alzarsi: ormai era inutile chiederle cosa ci facesse lì
in terra, la sua goffaggine era ben nota a tutti coloro che la conoscevano.
“Buon pomeriggio, Lavi. Scusami, sono inciampata.”
Ecco un’altra particolarità di Miranda: si scusava sempre, anche quando non
aveva colpa, tanto che Lavi aveva dedotto che la parola ‘Scusa’ per lei fosse
solo un semplice intercalare come ‘cioè’, ‘allora’, ‘dunque’ et simila. E se si provava
a dirle qualcosa come ‘Non occorre che ti scusi, Miranda’, lei rispondeva con
un puntuale ‘Scusa’ per poi accorgersi della gaffe e dire ‘Mi dispiace’ o
qualsiasi altro sinonimo.
“Ti sei fatta male?” le chiese lui, notando l’ematoma
violaceo che si stava espandendo a chiazza d’olio sulla fronte, anche se in
parte coperto dalla frangia bruna.
“Oh no, andrà via subito.” Ormai il suo corpo era così
abituato a subire cadute, botte e oggetti in testa che sembrava aver sviluppato
una capacità di guarigione accelerata rispetto al normale.
Intanto, due omoni dell’azienda dei traslochi, nelle
loro appariscenti tutine giallo limone, si fecero largo tra i due per entrare
nel palazzo.
La curiosità di Lavi emerse all’istante: dopo aver
passato tutto il giorno solo in biblioteca aveva il fisiologico bisogno di
parlare con qualcuno. “Sembra che l’appartamento sopra il nostro piano sia
stato affittato. Mi domando chi sia tanto pazzo da decidere di abitare in
quella casa, viste tutte le storie che si raccontano. Oh, a proposito di pazzi:
non immaginerai mai cosa mi è successo questa mattina…”
Miranda ascoltava il racconto di Lavi annuendo come un
automa di tanto in tanto per fargli capire che stava seguendo il suo logorroico
monologo, ma intanto pensava ai minuti che inesorabili scorrevano e al suo
ennesimo colloquio di lavoro a cui avrebbe rischiato di arrivare tardi se la
lingua del ragazzo non si fosse seccata il prima possibile. Certo, avrebbe
potuto fargli notare che aveva un impegno (per non parlare del fatto che doveva
comprare il giornale e cercare altri annuncio lavorativi per il giorno
seguente), ma la sua educazione le impediva di stopparlo, sebbene non riusciva
a captare ogni singola parola del discorso.
“… Insomma, ho rischiato davvero di morire questa
mattina! È un’esperienza che non augurerei a nessuno, nemmeno al mio peggior
nemico. Spero di non dover ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con quel Kanda, altrimenti non credo che sopravvivrei…”
“Hai detto Kanda?” domandò
allarmata Miranda. “Oh, scusa, scusa, non volevo interromperti!”
“Sì, ho detto proprio Kanda.
Perché?” Era chiaro che la sua vicina sembrava sapere qualcosa al riguardo di
quello strano incontro avvenuto la mattina, e subito un brivido di paura
percorse la schiena di Lavi facendogli rizzare i corti capelli sulla nuca.
“Ehm… bhè… ecco…”
“Miranda, sai forse qualcosa al riguardo? Perché se è
così devi dirmelo subito!”
Intanto, il trasloco continuava alle loro spalle.
“Io sono mortificata, ma non pensavo che sarebbero
andate così le cose. Scusami, è tutta colpa mia!” Che Miranda fosse una donna
propensa al melodrammatico era cosa nota a Lavi, ma in quel momento e visto
l’argomento su cui si discuteva, il giovane non era certo che quella fosse una
delle sue solite esagerazioni… tutt’altro. Qualcosa dentro di lui gli suggeriva
che invece era fin troppo poco il dispiacere della sua vicina.
“Va bene, calmati. Non è successo niente” provò a
rincuorarla, sorridendole poi per farle credere che fosse tutto a posto.
“Raccontami dall’inizio.”
“Tu conosci il mio fidanzato, Marie, giusto?”
“Sì.”
“Ecco, il suo fratellastro stava cercando urgentemente
un appartamento in affitto ad un buon prezzo. Ne aveva trovati alcuni, ma pare
che avesse avuto degli screzi con i proprietari o i vicini di casa prima ancora
di andarci ad abitare. Così io gli ho suggerito l’appartamento sopra il nostro,
pensando che visto che tu sei un ragazzo così socievole non avresti avuto
problemi con lui come invece era accaduto con altri. Oh, mi sento così in colpa
adesso!”
Lavi si prese qualche secondo per elaborare le
informazioni che gli erano appena state fornite, guardando alternativamente
Miranda e il camion dei traslochi dietro di lui.
No, calma, forse stava solo giungendo a delle
conclusioni affrettate!
Stando a quanto gli era stato riferito dalla donna, Yuu Kanda, proprio quel Yuu Kanda, lo stesso che aveva
incontrato-scontrato quella mattina e di cui aveva trovato notizie su internet,
era andato lì per cercare casa. Fin qui era abbastanza chiaro, ma visto come
era andata la loro prima conversazione (tra incomprensioni sulla sessualità di
uno e scampata morte dell’altro) era impensabile, illogico, inconcepibile,
inimmaginabile, insensato, inspiegabile, inammissibile che quel tale avesse
comunque deciso di andare a vivere lì.
Sì, non poteva essere! Lavi si convinse di ciò,
sperando con ogni fibra del suo corpo che non fosse così.
“Suvvia, Miranda, pensaci. Dopo quello che è capitato,
dubito fortemente che lui…”
“E fate più attenzione con quei mobili!”
Quella voce! Nonostante Lavi l’avesse sentita solo una
volta non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerla subito.
Non poteva essere lui. Ci doveva essere uno sbaglio.
Non aveva alcun senso, eppure…
Si voltò per appurare che quella che aveva sentito non
era la voce di Yuu Kanda,
ma solo un parto, o meglio, un aborto della sua fantasia… e invece no.
Lui era lì, più accigliato che mai per come il
trasloco procedeva a rilento e per la mancanza di cura con cui i suoi mobili
venivano trasportati. Non certo un inizio promettente.
“Sono morto” disse solo Lavi, meditando di scrivere
testamento una volta salito sopra a casa e magari di telefonare al vecchio e
dispotico nonno per dirgli che, nonostante fosse una mummia bisbetica,
nonostante fosse un rompiballe di prima categoria, nonostante lo picchiasse
sempre, nonostante lo volesse costringere ad una vita di castità e devozione al
solo lavoro della biblioteca, gli voleva bene lo stesso.
Kanda si girò verso di lui, lo fissò per
qualche istante con aria di sfida e poi distolse lo sguardo per continuare ad
inveire contro gli addetti al trasloco.
“Ehm, Lavi…” richiamò la sua attenzione una titubante
Miranda, che comprendeva il suo terrore al momento. “Io dovrei andare adesso.
Ci vediamo domani.”
Lavi la guardò allontanarsi senza riuscire a fermarla.
Era rimasto solo con il suo carnefice.
Ci vediamo domani aveva detto Miranda, ma il giovane
non era certo che sarebbe rimasto vivo per ancora molto tempo.
Strinse i pugni con forza. Dopotutto era pur sempre un
suo coetaneo, anche se il fatto che l’altro era armato non era un dettaglio del
tutto trascurabile. Gli avrebbe parlato, chiesto scusa per l’ennesima volta e
magari avrebbe cercato di capire perché avesse deciso di trasferirsi lì (la sua
curiosità non si arrestava neanche dinanzi la prospettiva di una morte lenta e
dolorosa).
Gli si avvicinò a testa alta. “Ciao.”
“CHE.” Cos’era?
Lavi non lo capì, ma sempre meglio quello di un
delicato ‘Sparisci’ o un più raffinato ‘Vaffanculo’.
“Non abbiamo iniziato nel modo giusto questa mattina e
ci tengo a ribadire le mie scuse per il malinteso che tu ben sai. Ad ogni modo,
pare che da adesso saremo vicini, quindi che ne dici di ricominciare tutto da
capo?” Sfoggiò il sorriso più smagliante del suo repertorio (per ogni occasione
ne aveva uno adatto, un po’ come un accessorio: quello per ammaliare una
ragazza; quello per evitare una multa sul bus per mancanza di biglietto…).
Kanda lo guardò scettico dalla testa ai
piedi, quasi gli stesse dando un punteggio da uno a dieci sul suo personale Idiotometro (rarissimo strumento di difficile utilizzo che
permette di misurare la stupidità umana), ma non disse nulla.
Per Lavi un silenzio era più che incoraggiante.
“Piacere di conoscerti: mi chiamo Lavi.” Allungò la mano verso di lui, sebbene
sapesse che questi non gliel’avrebbe stretta.
Era forse un sorriso quello che si distese sul volto
di Kanda? Se lo era, Lavi dovette ammettere che era
il sorriso più inquietante che avesse mai visto. Fu tentato di ritrarre la mano
prima di vederla volare via dal rispettivo polso con annessa fontanella di
sangue: non era stata una grande idea vedere Kill
Bill la settimana prima.
“Un coniglio di nome e di fatto” disse Kanda.
Perché coniglio? Si domandò Lavi, per poi cercare di
darsi una risposta.
‘Di fatto’ perché non aveva certo dato prova di
coraggio e sangue freddo quella mattina; ma perché anche ‘di nome’? Rifletté su
quest’ultimo enigma, trovando la soluzione quasi immediatamente: probabilmente,
essendo straniero, Kanda doveva aver frainteso il suo
nome, capendo Rabi (ovvero Rabbit)
anziché Lavi.
Dilemma esistenziale: fargli notare l’errore o fare
finta di accettare quel nomignolo? Nel primo caso avrebbe rischiato il
linciaggio.
In fondo i conigli sono animali dolci, teneri e coccolosi: chi mai al mondo sarebbe tanto crudele da far
loro del male? Poteva essere una somiglianza che gli avrebbe giovato in futuro.
“Un coniglio: carino come soprannome. Tu invece sei Yuu Kanda…”
“Kanda!” sottolineò questi,
odiando l’idea di sentir pronunciare il proprio nome con tanta leggerezza,
specialmente da un coniglio idiota come quello (in verità non c’era molta
differenza tra Lavi e una qualsiasi altra persona).
“OK” confermò Lavi, tirandosi un po’ indietro e
alzando le mani in segno di resa. Parlare con lui era come camminare su una
strada cosparsa di chiodi arrugginiti, vetri rotti e qualsiasi altro oggetto
tagliente: un solo errore e poteva dire addio a una qualunque parte del corpo.
Sembrava un tipo molto sicuro di sé: magari usando la
tecnica dell’adulazione sarebbe riuscito ad ammorbidirlo un po’ (non tanto,
giusto quel po’ che bastava per non rischiare di ritrovarsi nuovamente in un tête-à-tête con
la sua katana). “Sai, non avrei mai pensato che un giorno sarebbe venuto un VIP
ad abitare nel mio palazzo, ma…” Lavi non ebbe il tempo di finire la frase che
si ritrovò il volto di Kanda praticamente a pochi
millimetri dal viso e le mani di questi che gli tiravano la maglietta per
tenerlo pericolosamente vicino a sé.
La tattica
dell’adulazione si era rivelata un colossale fiasco!
“Patrigno!”
rettificò Kanda alle loro spalle.
Ma come
poteva essere diventato così un ragazzo cresciuto con un uomo simile?
Se Yuu-kun dovesse darti problemi o se dovesse avere lui
problemi non esitare a contattarmi.