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Autore: MaTiSsE    16/05/2011    1 recensioni
L'amore ci farà a pezzi. Love will tear us apart, again. Ancora. Perchè l'amore può far male da morire.
E questa è la storia di un amore, sofferto ma vero ed intenso.
Un amore fra tre persone diverse eppure così vicine, Iride, Marta e Gabriele. Tre individui le cui esistenze saranno legate indissolubilmente per tutto il resto dei propri giorni ed anche oltre.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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iride2 CAPITOLO 2




Aveva soltanto sette anni Iride la prima volta che i suoi occhi verdi avevano incontrato quelli scuri e scintillanti di Marta.



Era ancora fin troppo chiaro e nitido quel momento, anche a distanza di quasi quattordici anni.


In quel  corridoio luminoso della sua nuova scuola elementare aveva camminato piano, ascoltando l'eco dei suoi passi. 
Mano nella mano col papà.
Dalle aule troppo grandi arrivavano distintamente all'orecchio voci di bambini sconosciuti, voci perse e lontane. 
Ancora il cuore le batteva ansioso ed agitato al solo pensiero di quei suoni quasi sinistri, certamente estranei.

Attaccati alle pareti se ne stavano, inermi, disegni  fatti da mani inesperte, ingenue e maldestre: i colori fuoriuscivano dal bordo in maniera piuttosto sgraziata. Le trasmettevano una sensazione inspiegabile di orrore, al minimo di angoscia.

Sentiva lo stomaco contorcersi ed un nodo  l'aveva stretta alla gola all'idea di doversi nuovamente presentare ad una classe di sconosciuti.
All'idea di integrarsi, farsi conoscere.

Le moine degli altri bimbi non le interessavano, né le loro chiacchiere strampalate.

Il concetto di "socializzazione" era ultimo nella lista delle sue priorità quotidiane: Iride parlava poco e soltanto se interrogata. Raramente il papà riusciva a strapparle un mezzo racconto su come fosse andata la sua giornata o su cosa le avesse preparato di buono la nonna per pranzo. Tra l'altro, mangiava quanto un uccellino, per cui l'argomento "alimentazione" era preferibilmente l'ultimo da utilizzare nel caso si desiderasse intavolare una conversazione seria con lei.


"Iride, sei contenta? Fra poco conoscerai tanti bambini, potrai farti dei nuovi amichetti!"


La voce del papà giungeva  nitida alle orecchie di Iride.
Nebulosa, frastagliata e terribilmente fastidiosa, tornava a tormentarla dal mare dei suoi ricordi: d
opo quattordici anni ancora si ostinava a coprirsi la testa col cuscino per non ascoltarla.


Odiava suo padre e lo amava indiscutibilmente al contempo: se non fosse stato per lui non avrebbe mai conosciuto Marta. Dopo quattordici anni, tuttavia, non sapeva decidersi se quella conoscenza fosse stata un bene o un male.

Nel dubbio, preferiva odiarlo.
E lo aveva odiato anche quel giorno - il suo primo giorno nella nuova scuola - mentre camminava in un corridoio estraneo assieme a lui.


*


Proprio a causa di suo padre si erano trasferiti da poco in quella nuova città.
Tutto per colpa di quello stramaledetto lavoro che lui amava tanto, forse più di quanto amasse lei.

Docente di lingua e letteratura italiana da diversi anni, il professor Bertrani aveva infatti ottenuto incarico, dopo svariate peripezie, presso un istituto superiore con sede in una cittadina differente da quella di origine. La notizia era stata da lui  accolta con molta gioia giacché era davvero troppo stanco di insegnare a quei mocciosi disinteressati delle medie. Era certo che gli studenti liceali avrebbero prestato maggiore attenzione alle sue lezioni. Del resto quel lavoro era tutta la sua vita, Dante Alighieri il suo migliore amico; nessuno, meglio di lui, avrebbe potuto spiegare a dei giovani, deliziosi, curiosi adolescenti, tutte le meraviglie della propria lingua.

Dio, quanto si sbagliava, poveretto.

Ignorava, all'epoca, quanto potesse essere svogliato uno studente medio del liceo.

Ad ogni modo, il trasferimento aveva avuto notevoli risvolti positivi anche in termini logistici: aveva, infatti, consentito loro di avvicinarsi maggiormente alla nonna di Iride, cosicché quest'ultima avrebbe potuto prendersi più facilmente cura della sua piccola, strampalata nipotina, nelle ore in cui il papà era fuori per il lavoro.
Per un padre solo l'aiuto esterno, specie se proveniente da una donna, può significare molto. E Dio solo sa quanto Iride avesse bisogno di una figura femminile che si occupasse di lei.

Fatto sta, comunque, che, se avessero evitato quello spostamento, Marta non sarebbe mai entrata nella sua vita.

Prima in punta di piedi. Poi come un ciclone.

Certo, Iride avrebbe perso tanti, troppi momenti di felicità.
In molte occasioni non avrebbe sorriso.
Ma forse, ora, quel suo costante desiderio di non essere neanche nata sarebbe stato un tantino più mitigato.
Certamente meno intenso e bruciante di com'era adesso, nel pieno della gioventù, dopo aver sperimentato la gioia più vera ed averla persa definitivamente.


"La vedi quella signora lì? E' la tua nuova maestra"


Cazzo papà. Sta' zitto.


Maledetta sia la voce della memoria! Molto fastidiosa, troppo invadente, assolutamente impossibile da scacciare.


"Professor Bertrani. Sua figlia è davvero bellissima, complimenti."
"Grazie mille! Iride, saluta la tua maestra, da brava."


La rivedeva ancora con i suoi occhi di bimba e dalla medesima altezza: la maestra, altri non era che un bella signora in tailleur ed, in generale, dall'aspetto ben curato. Aveva offerto la mano a suo padre e, dopo una frazione di secondo, si era chinata su di lei per lasciarle un bacio tra i capelli  rossi.
Iride aveva visto penzolare davanti ai suoi occhi il medaglione d'oro che portava al collo.
Il suo profumo l'aveva stordita e confusa; per un attimo, i suoi capelli biondissimi le avevano solleticato la guancia.

Iride non aveva risposto direttamente al suo saluto ma, sollevando la piccola mano, aveva sfiorato leggermente quella chioma vaporosa.

Perchè conosceva quel particolare tipo di biondo, così luminoso, quasi etereo.
Era lo stesso colore dei capelli di sua madre, quella donna sconosciuta che le ammiccava da dietro il vetro, un po' impolverato, di un vecchio portafotografie.

Iride, non aveva memoria diretta di sua madre. Era morta dandola alla luce.
Ma il colore dei suoi capelli, quello sì, ce l'aveva ben stampato in mente. Aveva consumato con gli occhi tutti gli album fotografici in cui era ritratta: trovava meravigliosi quegli sbuffi biondi e vaporosi che le contornavano il viso, quegli occhi azzurri così vaghi e luminosi. E più volte, osservando quelle foto, si era toccata la sua chioma rossa, osservandola con astio e domandandosi perchè Gesù Bambino non le avesse regalato gli stessi capelli della mamma.
Erano gli stessi momenti in cui, pur essendo bambina, si era chiesta cosa mai avesse trovato di interessante una creatura eterea e deliziosa come sua madre in quell'uomo così noioso e decisamente più anziano che era il professor Bertrani.

Ma questa era un'altra storia.



"Iride. Si dà il buongiorno alla maestra. Non essere maleducata."
"Non importa, professore. Questa bambolina mi sembra davvero molto dolce. Vuoi venire con me, Iride? Ti presento i tuoi nuovi compagni."

La maestra le aveva dato un buffetto tenerissimo sul naso, sospingendola poi in aula.
Iride aveva fatto appena in tempo a salutare velocemente suo padre, agitando la mano. Dopotutto era una bimba educata.
Probabilmente la donna, da buona educatrice, aveva compreso fin troppo rapidamente l'antifona: meglio introdurre subito la bambina in classe piuttosto che protrarre l'agonia inutilmente. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la nuova realtà: meglio tagliare corto subito: si comprendeva benissimo quanto Iride fosse schiva del resto. No?

Ed allora il papà le aveva soltanto sfiorato leggermente la spalla lasciando che la figlia facesse tranquillamente il suo ingresso in aula.

Una classe luminosa piena di bambini affaccendati.

Qualcuno di loro scriveva grossi numeri alla lavagna, usando il gesso colorato; qualcun altro rideva, tirando le treccine della propria compagna di banco.
Altri parlavano, più in disparte.

E poi, in un angolo, era comparsa lei. Dal nulla.
Una piccola madonnina dalla pelle chiarissima ed i capelli boccolosi, scuri.
Scuri come i suoi occhi.

Se ne stava in piedi su di una seggiola, la piccola peste, ammaestrando una minuscola ciurma di seguaci sognanti.
Impartiva ordini a destra ed a manca e tutti parevano piuttosto felici di assecondarla.

Iride l'avva guardata subito con stima. Sorpresa.

"Marta Morganti! Immediatamente giù da quella sedia! Non posso lasciarti sola un attimo, benedetta bambina!"


La presenza dell'insegnate aveva costretto tutti i bambini a tornare al proprio posto. Anche Marta, riluttante, era saltata giù dalla sedia benché dal suo sguardo fosse trapelato un certo disappunto.

Iride aveva guardato immediatamente la maestra: la sua voce era mutata in un istante, lasciandola sbigottita. Troppo dolce con lei, Iride; troppo scontrosa con quella strana bambina dai capelli scuri.
Non le era piaciuto per niente, cosicché il suo concetto di "educatrice", appioppato alla medesima donna, era subito andato a farsi benedire.

Per solidarietà con Marta, Iride aveva subito strappato la propria mano da quella curata ed ingioiellata della maestra. Le piacevano già all'epoca gli spiriti liberi e detestava chi tentasse di sopprimerli.

Ma la maestra non le aveva dato peso, tutt'altro. Eppure lei ci sperava.
Piuttosto le si era avvicinata all'orecchio, parlandole dolcemente.

"Mi dispiace, Iride. L'unico posto libero è quello accanto a Marta. Ma non preoccuparti: se ti darà fastidio dovrai dirmelo subito ed io la punirò."

Punire?
Chi? Quella creatura così deliziosa che se ne stava seduta con piglio arrogante, la boccuccia atteggiata ad una smorfia di risentimento?

Le parole dell'insegnante erano risuonate irriverenti e fastidiose come una blasfemia alle orecchie di Iride che, immediatamente era corsa a prender posto accanto a Marta.

A distanza di anni Iride avrebbe ripetuto, senza alcun indugio, quale fosse stato il motivo che l'aveva spinta ad amare Marta sin da subito, senza ripensamenti: il suo carattere. Quella personalità forte e sicura che nessun bambino, se non pochi eletti, mostra a sette anni.
Quel carattere che lei non riusciva a tirare fuori.

Anzi: stando seduta di fianco ad una bimbetta tanto sveglia e disinvolta com'era Marta, Iride era finita addirittura con l'intimidirsi ancora di più. Per i primi dieci minuti della loro convivenza forzata aveva sentito il suo sguardo su di lei ed una illogica frenesia l'aveva colta alla bocca dello stomaco. Sapeva che Marta la stava guardando, ne poteva cogliere facilmente l'ombra scura delle sue iridi con la coda dell'occhio. Ma non le aveva rivolto parola e lei aveva fatto altrettanto, troppo paurosa per azzardare tanto. Ma aveva continuato a sentirsi imbarazzata e quando la maestra aveva chiesto loro di fare un bel disegno che rappresentasse la primavera, la mano era finita col tremarle mentre tirava fuori le matite colorate dal suo portapastelli. Le era tremata così tanto che, di quelle matite, diverse erano finite col cadere nello spazio tra la sua sedia e quella di Marta. A rallentatore aveva seguito con gli occhi l'impatto sul pavimento del pastello blu cobalto, quello del rosa antico e della matita ocra che lei amava molto poichè il nome di quel colore suonava infinitamente strano, quasi "esotico" all'orecchio. Ed ancora aveva seguito l'intero contenuto dell'astuccio mentre, con una degna acrobazia, approdava sulle mattonelle color senape dell'aula .

Ritmato ed esasperante, il toc toc ripetuto del legno sul pavimento aveva indotto qualche occhio indiscreto  a voltarsi nella direzione di Iride.

Ad ogni
nuovo picchiettio, amplificato e sfocato nel vuoto luminoso della stanza, veniva soffocata una risatina di scherno,
poichè la nuova arrivata doveva essere senz'altro una tipa impacciata.
Iride aveva avvertito le guance imporporarsi. 

Detestava i bambini come lei. Dal profondo del cuore. Erano cattivi. Già a sette anni conoscevano la competizione, l'idea della superiorità, la capacità, consapevole e crudele, di mettere in cattiva luce i propri coetanei. E sapevano ridere degli altri e delle loro debolezze, dei loro fuorionda imbarazzanti.
Lei non ne era capace e non faceva altro che soccombere.

Erano state proprio quelle risatine di scherno a metterle ansia. La stessa ansia che a volte la prendeva al petto, di notte, quando svegliandosi di soprassalto dopo un incubo chiamava la mamma. Ma la mamma non c'era, la mamma non sarebbe mai venuta. Lei, sua madre, non l'aveva conosciuta e non l'avrebbe conosciuta mai. Avrebbe dovuto accontentarsi del papà, ma ad Iride suo padre non piaceva: troppo freddo, troppo sterile. Così lontano da lei. Ed allora le mancava l'aria, improvvisamente. Cominciava facendo un lungo respiro senza incorporare ossigeno, ed allora ne tirava un altro ed un altro ancora per sopperire all'incapacità dei suoi polmoni ma senza risultato. Alla fine della tiritera si ritrovava sempre a fare i conti con una crisi respiratoria senza eguali.

Ma non ora. Non davanti a tutti quanti. Ti prego Gesù Bambino, non adesso.

Gesù Bambino non l'aveva ascoltata, in quell'occasione. All'ennesimo eco di una risata che sopraggiungeva impertinente al suo orecchio Iride aveva cominciato ad annaspare come travolta da un'onda in pieno oceano. Aveva le guance in fiamme e gli occhi sgranati: non era mai riuscita a capire come fermare quei brutti scherzi che le faceva la parte più cattiva ed incontrollata di sé e questa cosa la mandava in bestia.

Eppure, qualcosa era accaduto.
Una manina delicata, un tocco gentile sul suo braccio pallido.
Ed una vocina dolcissima ed accorata.
Marta.

"Ehy.." - Aveva sussurrato piano. - "....Ehy....va tutto bene, non ti agitare."

Iride l'aveva guardata con la coda dell'occhio, senza pronunciare parola e piena di sgomento. Ed anche un po' di sospetto.

"Adesso li faccio smettere io...Ma tu stai tranquilla, non è successo niente."

Ed allora Marta si era alzata e, voltandosi verso il resto della classe, aveva ammonito quelli che, tra tutti, ancora sfoggiavano un ghigno soddisfatto sul musino con un eloquente:

"Siete solo un branco di deficienti! Ecco cosa siete. Ve ne approfittate perchè è nuova e non conosce nessuno. Ma se non la smettete giuro che mollo un pugno in faccia a tutti. Pure a te Carlo.." - Aveva sibilato infine all'indirizzo di un ragazzino disgustosamente grasso e panciuto, dalla risata sguaiata ed il doppio mento. Lui aveva smesso d'improvviso di ridere rivolgendole uno sguardo assassino, almeno nelle intenzioni, con quei suoi occhietti neri e porcini. Ad Iride aveva fatto venire il voltastomaco ma Marta non vi aveva prestato attenzione: di tutta risposta, anzi, gli aveva tirato fuori la lingua.

"Marta! Torna seduta immediatamente se non vuoi finire in punizione!" - La voce della maestra aveva un tono fintamente autoritario: si leggeva chiaramente che aveva ripreso la bambina soltanto perchè rientrava nel suo ruolo. Ma le mancava quel cenno vibrante e severo che Iride aveva udito soltanto poco tempo prima quando pure la maestra aveva rimproverato la piccola ribelle.

Probabilmente non piaceva neanche a lei quell'ondata derisoria che aveva colpito Iride senza motivo.

"Grazie" - Aveva sillabato Iride silenziosa, quando la situazione era rientrata, guardando Marta con la coda dell'occhio. Ne intravedeva le fattezze al di sotto della sua cascata rossa di capelli, quelli che le coprivano la faccia. Nonostante l'avesse tolta dagli impicci provava comunque troppo imbarazzo nel rivolgerle la parola in maniera disinvolta: era una bimba timida, del resto.
Ma Marta era diversa da lei, questo era chiaro. Era una bambina solare, allegra, a tratti autoritaria - l'aveva mostrato sin da subito - e piena d'iniziative. L'aveva guardata, in risposta a quel ringraziamento appena biascicato, e senza farsi udire dalla maestra aveva riso.

"Prego! E togliti i capelli dalla faccia, non ti vedo!"
"Io..."

Non le aveva neanche consentito di parlare ulteriormente. Glieli aveva scostati lei quei ciuffi rossi dalla fronte e dalle guance, allungando la sua manina verso il volto di Iride in un gesto perentorio e risoluto. Quasi invadente, si sarebbe detto, se ad Iride fosse dispiaciuto: ma tutto sommato l'aveva trovato piacevole. Marta era gentile. Socievole. Mai nessuno - nessuno che non fossero i nonni e gli zii, per intenderci - le aveva mai mostrato tanta disinteressata confidenza, specie dopo un tempo di conoscenza così breve.
Iride non aveva amiche, le pareva tutto assolutamente strano e speciale, anche quella carezza così improvvisa per allontanarle i capelli dal viso.

"Oh!" - Aveva mormorato Marta in un soffio. - "Che...che occhi bellissimi hai! Non li ho mai visti così verdi..!"

Iride aveva sorriso, appena ma sinceramente.

"Anche tu hai degli occhi molto belli. Così scuri mi piacciono."

"Marta ed Iride..." - Aveva sillabato la maestra, voltandosi nella loro direzione - "Pensate di poter svolgere i vostri compiti oppure devo già separarvi? E mi rivolgo soprattutto a te, Marta..Conosco la tua lingua lunga, smettila di chiacchierare!"
"Sì, maestra."

Iride aveva guardato di nuovo Marta. Aveva soltanto finto di scusarsi, la piccola attrice. In realtà se la rideva sotto i baffi. Le aveva fatto pure una linguaccia, alla maestra, strizzando poi l'occhio a lei. Ed allora Iride le aveva rivolto un sorriso. Un sorriso grande e luminoso, come non ne faceva da tempo. Come forse non aveva mai fatto.
E strappando un foglio di carta dal retro del quaderno, istintivamente, aveva fatto una cosa che mai, mai la Iride che lei conosceva - a soli sette anni - si sarebbe mai immaginata di fare: aveva scritto a Marta, semplicemente "Vuoi essere mia amica?Mi chiamo Iride."

Le piaceva Marta, le era piaciuta sin da subito. Perchè era irriverente e simpatica. Perchè si apriva al mondo con la spensieratezza della sua età. Perchè - l'aveva capito subito - era tutto quello che lei non sarebbe mai stata.

Aveva poi appiattito il foglio, piegandolo quattro volte, ordinatamente, spingendolo successivamente in direzione della sua compagna di banco. 
Marta l'aveva guardata con curiosità - non con sospetto - e dopo, dando un'occhiata rapida, le aveva semplicemente detto di sì con la testa.

Forse quello era stato il giorno più bello ed innocente di tutta la vita di Iride.    



*

"Iride, quando hai l'ultima ecografia?"

Iride se ne stava stesa sul suo letto, ad occhi chiusi.
Occhi chiusi per non guardare la sconcertante protuberanza che usciva fuori - irriverente ed orribilmente visibile - dal suo ventre. Quand'era in quella posizione era ancora più chiara, esplicita ed evidente (se non invadente) e lei proprio non riusciva a sopportarla.
In sottofondo una musica malinconica. Le luci spente. No, decisamente non era di buon umore, suo padre doveva saperlo bene.
Quando fece capolino nella stanza arretrò. Forse Iride si era addormentata dimenticando lo stereo acceso.

Sarebbe stato meglio spegnerlo.

"No, papà. Sono sveglia. E sta' fermo" - Lo anticipò facilmente - "... non mi dà fastidio la musica..."
"Oh, scusami. Ho visto la stanza al buio...Credevo dormissi.."
"No...Sai che dormo poco.."

Era certa che suo padre avesse annuito mentre continuiva a poggiarsi alla porta. Non aveva aperto gli occhi ma se lo figurava perfettamente, incerto e titubante sul da farsi. Parlarle ancora? Andare via? Certamente, quella figlia gli faceva paura. Troppo silenziosa, quasi funerea, anche adesso che aspettava un bambino. Qualsiasi altra ragazza, al posto suo, sarebbe stata felice: un figlio in arrivo, un ragazzo che l'adorava. Qualsiasi ragazza avrebbe sorriso al mattino, fatto shopping in attesa di conoscere la faccina tenera del proprio bambino, avrebbe pensato alla tonalità di azzurro più adatta alle pareti della sua stanza, avrebbe accarezzato il pancione con dolcezza nell'attesa.
Una qualsiasi ragazza che non si chiamasse Iride Maria Bertrani.

Ma il danno era già fatto e quel danno era lei.
Un danno per suo padre, per Gabriele, per suo figlio. E per Marta. Perchè quel "danno" aveva reso impossibile la vita delle persone a lei care ed avrebbe guastato anche l'esistenza di chi ancora non era arrivato.
Se lo figurava già suo figlio: un Iride in versione maschile, un piccolo Kurt Cobain dall'aria disperata e già votato al suicidio a dieci anni.

Sospirò. In sottofondo le parole della canzone che stava ascoltando le vorticavano dentro. La testa le scoppiava.


...
La tregua che non c'e' 
Mi uccide l'anima ...

"Iride?"
"Uh?" - Aveva aperto gli occhi.
"Quando hai l'ecografia?"
"Io...Me...Che giorno è oggi?"
"Lunedì, tesoro."
"Mercoledì, allora. Sì. Mercoledì mattina."

Con le scadenze era precissisima.

"Bene."

Fece per andarsene. Poi timido, tornò indietro. Anche questo era previsto. E calcolato. Lo conosceva come le sue tasche, così come conosceva tutte le - poche - persone che le erano state attorno in quegli anni. Aveva un capacità innata di comprendere gli altri, anticipandone gesti e parole.

"Iride...?"

...E perde l'anima 
Tu gioia morbida...

Aveva richiuso le palpebre lei. Certe situazioni, certe parole, certe emozioni, bisogna gustarsele chiudendo i sensi al resto del mondo. Altrimenti ti distrai. E non va bene.

"Che c'è ancora?"
"Tu...Ecco...Tu e..."
"....Gabriele..."
"Sì, bene. Tu e Gabriele avete intenzione di..."
"...Sposarci? Neanche per idea."

Tre. Due. Uno.
Clic dell'interruttore. Suo padre aveva acceso la luce.

Che cazzo di fastidio!

Ma anche questo era calcolato. Prevedibile e scontato. Sapeva che si sarebbe agitato in quel modo.

"Iride io...Io non capisco! Va bene non sposarsi ma insomma...è ridicolo! Quando il bambino nascerà cos'hai intenzione di fare? Restartene qui con me e tuo figlio mentre suo padre - con cui sei fidanzata, tra l'altro - vive in una casa diversa? E non montarmi scuse inutili, tanto lo so che sei tu a non volertene andare di qui! Fosse per Gabriele ti avrebbe sposata da un pezzo. Impazzisce per te!"
"Papà, non ti agitare. Stai blaterando inutilmente. Ho detto che non mi sposo, non che non andrò a vivere assieme a Gabriele.."

Si era sentita in dovere di parlare, dopotutto. Giunta a quel punto preferiva interrompere gli sproloqui di suo padre dandogli la felice ed attesa notizia.

"Il padre di Gabriele sta...Costruendo...O forse ha comprato, non lo so..Una casa qui vicino. E' lì che andremo a vivere. Per adesso non è pronta, comunque. Quindi cerca di calmarti. Tuo nipote avrà una normale famiglia."

Tuo nipote, aveva detto. Come se quel bambino non le appartenesse. Come se non fosse anzitutto "suo figlio" e poi tutto il resto. Doveva mordersi la lingua. Le dispiaceva, comunque, non dargli tutto l'amore che avrebbe meritato.

Suo padre neanche l'aveva colta quell'infelice affermazione. D'improvviso si era entusiasmato: quella casa in costruzione era tutto ciò che desiderava per la vita di sua figlia.
Suo padre amava le famiglie convenzionali e se non poteva vederla vestita di bianco almeno desiderava che Iride condividesse il resto dei suoi giorni con quel giovane che aveva scelto come padre di suo figlio. Dopotutto, era questo che chiedeva e dettava la morale comune.

"Oh ma...Oh beh, questo cambia tutto allora. Iride, è una notizia splendida! Avresti dovuto dirmelo prima.."
"Certo, certo. Scusami."
"No, scusami tu, tesoro. E' una magnifica, magnifica notizia!" - Aveva ripetuto - "Dovremmo festeggiarla."
"Non ora, papà."
"Oh no, assolutamente. Più in là. quando sarà nato il bamb...A proposito! Come lo chiamerete, lo sai già?"
"No."
"Dovreste sbrigarvi! Manca poco!"
"Sì, ci penseremo."
"Bene...Io vado allora, ti lascio in pace."
"Ok, papà." - Non aspettava altro.
"Ah...Mercoledì ti accompagno anche io, naturalmente!"
"Naturalmente."
"Bene. Ciao Iride, a domani.."
"Notte, papà."

Aveva riaperto gli occhi udendo nuovamente il click dell'interruttore. Era di nuovo al buio. Suo padre si era chiuso la porta dietro di sè.
Meno male.
Aveva allungato un braccio, cercando lo stereo posto a brevissima distanza dal letto, per sua scelta. Infine, aveva pigiato un tasto in particolare, sicura: conosceva a memoria ogni dettaglio della sua camera e dei suoi oggetti. Avrebbe potuto essere cieca e muoversi comunque perfettamente al suo interno.

La canzone si era riavviata e la malinconia, dentro di lei, era tornatapiù prepotente e più viva.

Tu gioia morbida...

Quella parola era tutto. Quella gioia morbida che per lei era Marta.
Aveva chiuso  gli occhi e l'aveva rivista, bruna, bella e luminosa come la ricordava lei.

Aveva sorriso, per la prima volta in quella giornata. Per la prima volta dopo un po' di tempo. E si era addormentata cullata da quelle parole e dall'immagine della persona che aveva amato di più. Perchè nei suoi sogni Marta ancora non la odiava ed era nei suoi sogni che Iride si rifugiava per ritrovare la pace.










*

Ho aggiornato con estremo ritardo, lo so, abbiate pazienza :)
Volevo ringraziare la mia amica eli777 per tutto il sostegno e l'aiuto che mi sta dando per questa fanfic...Eli senza di te forse non ci sarebbe questo 2° capitolo, il tuo entusiasmo è stato contagioso! ;)
A tal proposito, se seguite il fandom di Twilight, vi consiglio proprio la sua storia, "Un'altra opportunità"
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=550854
....Non perchè è amica mia ma si tratta si una fanfic meravigliosa...Se vi capiterà di leggerla ve ne renderete conto da soli! :)

Detto questo, volevo soltanto dirvi che la canzone di cui trovate qualche strofa in fondo al capitolo è "Morbida" dei Verdena (da qui il titolo al capitolo), gruppo che amo e stimo da anni...Mi fa piangere ogni volta :)
Spero vorrete lasciarmi un parere al capitolo....Grazie in anticipo anche a chi si limiterà solo a leggere ed arrivederci al prossimo aggiornamento (spero sarà più veloce^^)
Matisse.

                                                                                       

   
 
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