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Autore: Fragile    17/05/2011    2 recensioni
-Abbella Francesì fermate ‘nattimo eddai..- lo sentii rimproverarmi divertito, il labbro superiore che scopriva la gengiva con un ghigno. Mi voltai cercando di stare calma. Mi aveva scambiato per una turista in modo estremamente strafottente, non era la fine del mondo.
Ama il prossimo, Mia, anche il prossimo testa di cazzo.
Biondo, questo l’avevo già notato, indubbiamente un tipo particolare. Piercing al labbro, ciuffo spettinato che SAPEVO trattava come fosse suo figlio e probabilmente la sera gli raccontava le favole. La maglietta a stampe vintage gli fasciava il bel corpo asciutto, lanciando il messaggio “Sono quattro giorni che penso a cosa mettermi ma tu devi pensare che sia una tenuta improvvisata e che ci sto bene solo perchè ho STILE”. Anche a una prima occhiata era impossibile non inquadrarlo: il tipo strano ma sexy, troppo sicuro di se; generalmente è una tipologia di essere umano che incontri brillo alle feste, ma sempre abbastanza cosciente da avere il pieno controllo della situazione e sfoderare ai massimi livelli il suo innato savoir faire .
NOTA: il rating della storia diventerà Rosso in alcuni capitoli. Dato che quelli fin'ora inseriti non lo necessitano, lo modificherò coerentemente con l'andamento della storia.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota preventiva dell’autrice:
Alcune brevi parti di dialogo sono scritte in francese. Nel caso non riuscissi a comprenderle, esse sono tradotte in bianco alla fine della frase. Quello che devi fare è passarci sopra evidenziandole in modo da riuscire a leggerne la traduzione. Per renderne facilmente visibile la posizione le ho racchiuse tra due apici * *.
 
Buona lettura.
 


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La prima cosa che pensai quando mi ritrovai davanti la mia cara, vecchia, familiare gradinata di Piazza di Spagna è che negli ultimi tempi mi ero davvero rammollita. Gli ultimi quattro anni li avevo passati a vagabondare per l’ Europa come una nomade: mesi e mesi facendo lavori che prima nemmeno pensavo esistessero, ammirando monumenti, marciando su strade sporche o tirate a lucido, conoscendo gente, incrociando vite. Ed era da quattro anni che non mi sentivo così a casa.
 
Ottima idea tirare fuori il sentimentalismo, brava.
 
Scrollai le spalle cercando di scacciare quella sensazione e m’incamminai lungo la scalinata guardandomi attorno incuriosita. Nulla sembrava cambiato di una virgola: i gradini ghermiti di gente, il nitrire dei cavalli, il sole che tramontava placido oltre Via Condotti. Nell’aspettarmi, tutto era rimasto esattamente uguale.
 
-Miàà! Miààà! Où vas-tu? Arrêté s’il vuos plait!!- * Mia! Mia! Dove vai? Fermati per favore!*
 
Sorrisi. La mia compagna di viaggio, visibilmente accaldata, mi raggiunse correndo scomposta. Aveva i capelli color miele spettinati all’altezza delle spalle, i vestiti sgualciti dal viaggio e gli occhi lucidi per l’emozione. Ci eravamo conosciute a Grenoble quasi sei mesi prima. Famiglia per bene, fidanzato per bene, amiche per bene, università, lavoro, doveri: come lei, molti è per questo che partono, per lasciarsi tutto alle spalle.
 
-Sei in Italia, Manon. Siamo tutti ignoranti qui. Qualsiasi cosa tu dica, se la dici in francese l’unica risposta che puoi ottenere è “Profiteroles” o al massimo “Crème Brulè”, dai più colti. Nous ne comprenons pas le francais!- la incalzai sorridendo. *Noi non capiamo il francese *
 
Parve concentrarsi e divenne ancora più rossa in volto. Così conciata, senza un filo di trucco, con l’aria stravolta di chi non è abituato alla scomodità dei lunghi viaggi e sommersa da valigie grandi la metà di lei, sembrava proprio una bambina.
 
-Molto bene Mià!- esclamò soddisfatta, storpiando il mio nome con quel fastidioso accento che una delle cause della mia fuga dalla Francia. Mi fece un sorriso radioso che non riuscii ad interpretare e iniziò a scendere le scale, precedendomi.
Si sprimacciò i vestiti, si schiarì la voce e ebbe la faccia tosta di concedersi, così su due piedi, un primo assaggio del leggendario, autentico maschio italiano.
 
Chi dice che i francesi hanno la puzza sotto il naso non ha capito un cazzo dei ragazzi di ventidue anni. Se c’è una cosa che ho capito nel mio viaggiare è che i ragazzi di ventidue anni, hanno ventidue anni in tutto il mondo, Francia compresa.
 
-Buonjorno Ragassì! Io sono Manon, sono Francese!- sbiascicò con convinzione, in un tripudio di R moscie ed evidente imbarazzo. 
Mi arresi all’ idea di dover trattenere le risate per un imminente figuraccia, sistemai la borsa a tracolla e mi avvicinai per non perdere la scena.
 
Erano in quattro, avranno avuto poco più di vent’ anni, seduti scomposti sulle gradinate a chiacchierare. Avevo conosciuto talmente tanti esseri umani negli ultimi anni, che la catalogazione automatica del mio cervello li aveva già registrati come innocui. Non sarebbe stato necessario estrarre il tirapugni dalla borsa: ergo, erano assunti come test d’italiano per Manon.
-Est ce que quelqu'un peut parler français?- continuò lei dopo alcuni commenti e saluti divertiti dei ragazzi. Scoppiò una fragorosa risata e Manon si distese. * Qualcuno sa parlare francese?*
-Oui,oui! Je parl perfectament il frances madmuasell!!- rispose ilare un tizio moro e allampanato, incespicando sulle parole inventate.
-Ma smettila Cesare, che sei semianalfabeta pure in italiano!- ingiunse il ragazzo alla sua destra, tutto barbetta incolta e aria gentile. Anche lui sorrideva, e ci guardava con curiosità.
 
Era quel tipico momento della conversazione in cui tutti sorridono, chi per mascherare l’imbarazzo, chi perchè la situazione lo sta effettivamente divertendo. Io lo facevo per sembrare il più anonima possibile: avevo solo voglia di trovare un letto, stendermi, e non pensare a niente fino al giorno seguente. Poi, magari senza farmi prendere dal panico, sarebbe stato utile realizzare che stavo finendo i soldi, avevo un fottuto bisogno di un lavoro e avevo scelto un paese in cui c’era crisi.
 
Mi raccomando, Mia, non rischiare di avere un’ esistenza troppo facile.
 
-NO! Je parl frances te jur!- continuava Cesare nello schiamazzo generale.
Manon faticava a comprendere le chiacchiere dei ragazzi che parlavano a ruota libera e pareva visibilmente a disagio. Tutt’altro che riluttante, intervenni.
-Allèz Manon. Nous devons trouver où dormir ce nuit.- * Andiamo Manon! Dobbiamo trovare un posto in cui dormire questa notte *
Sentivo lo sguardo di uno dei ragazzi puntato addosso, sul viso aveva dipinta un espressione divertita e strafottente da “tipico testa di cazzo”. Ero pericolosamente vicino allo sfigurarla col tirapugni. Peccato perché gli altri sembravano amichevoli.
 
Respira Mia, allontana la tua collera e pensa ad andare via in maniera civile e legalmente non perseguibile.
 
-Ils diront tous leurs amis que vous avez des seins énormes: pour eux, c'est bien. Ils ont rien à foutre de ce que vous dites!- imprecai per convincerla, e salutando i ragazzi con la mano, mi incamminai per la scalinata. *Diranno a tutti i loro amici che hai delle tette grandissime, per loro va bene così. A loro non frega un cazzo di quello che dici.*
 
Gli occhi azzurro ghiaccio del biondo mi stavano ancora solleticando la nuca.
-Abbella Francesì fermate ‘nattimo eddai..- lo sentii rimproverarmi divertito, il labbro superiore che scopriva la gengiva con un ghigno. Mi voltai cercando di stare calma. Mi aveva scambiato per una turista in modo estremamente strafottente, non era la fine del mondo.
 
Ama il prossimo, Mia, anche il prossimo testa di cazzo.
 
Biondo, questo l’avevo già notato, indubbiamente un tipo particolare. Piercing al labbro, ciuffo spettinato che SAPEVO trattava come fosse suo figlio e probabilmente la sera gli raccontava le favole. La  maglietta a stampe vintage gli fasciava il bel corpo asciutto,  lanciando il messaggio “Sono quattro giorni che penso a cosa mettermi ma tu devi pensare che sia una tenuta improvvisata e che ci sto bene solo perchè ho STILE”. Anche a una prima occhiata era impossibile non inquadrarlo: il tipo strano ma sexy, troppo sicuro di se; generalmente è una tipologia di essere umano che incontri brillo alle feste, ma sempre abbastanza cosciente da avere il pieno controllo della situazione e sfoderare ai massimi livelli il suo innato savoir faire .
 
Feci per rispondere il più educatamente possibile con un “Vaffanculo, addio” ma lui mi diede un’ ulteriore spudorata occhiata dall’alto al basso e proseguì
-Ah già, tu non parli, eh? Scommettiamo Francesì chemme bastano ‘n paio de minuti pe fatte ‘mparà a urlare ‘n italiano?- continuò con aria da sbruffone.
-Pardon?- * Scusami?* Manon lo guardava interrogativa. Già non capiva praticamente niente della lingua Italiana nonostante il suo master a Grenoble, figuriamoci del dialetto romano.
 
Lo guardai dritto negli occhi e pensai di sputargli in faccia, tanto per chiarire la mia posizione. Giudicai più opportuno utilizzare le facoltà intellettive, tanto per non cominciare la mia permanenza in Italia con un arresto o un osso rotto.
Mi schiarii la voce e tenni gli occhi incollati ai suoi. Ghiaccio puro, ma più azzurro. Strafottenti a tal punto che avrei voluto staccarglieli e infilarmeli in tasca. Respiro, passo, respiro.
 
Non spaccargli la testa o quello la spacca a te. Mia, controllati.
 
-Siete raffinati proprio come vi ricordavo, voi ragazzi italiani- attaccai.
-L’ultima volta che ne ho scopato uno, però, sono quasi sicura che mi avesse offerto una cena. Le tattiche devono essere cambiate negli ultimi anni.-
Tirai fuori una sigaretta dalla tasca imponendomi di non spegnerla addosso a nessuno. Breve pausa ad effetto e poi ripresi, biascicando con la sigaretta tra le labbra: - Ma, solo a titolo informativo, qualche turista straniera in questo modo te la da davvero?-
 
Accaddero due cose contemporaneamente. Cesare e il bel ragazzo castano che fino a quel momento si era limitato a osservare la scena, scoppiarono in grida euforiche e risate incredule.  E strano-ma-sexy sbiancò.
 
Sì, Jhonny Depp, sono più italiana di te.
 
-Oddio, cioè ti prego, sposami!- ingiunse Cesare tra una risata e l’altra.
- Non prendertela con Andrea. Ha un disturbo ossessivo-compulsivo, lui ci prova con tutte, basta che si muovano ancora.- riprese quello con l’aria gentile.
- O che il corpo sia ancora caldo..-
Era il ragazzo castano che ancora non aveva parlato. Si alzò in piedi lentamente, sorridendomi. Mi tese la mano.
-Gabriele. Quello dotato di una dignità. E’ un vero piacere. – scherzò radioso.
 
Cercai di concentrarmi su questo nuovo individuo. Indubbiamente molto attraente, aveva una voce profonda e musicale ed un’aria gentile. Sembrava piuttosto amichevole, a dire il vero erano tutti amichevoli: quel genere di persone che mi avevano risollevato il morale centinaia di volte, durante i miei viaggi. Tutti, tranne ciuffetto biondo. Andrea, evidentemente. Bel nome da testa di cazzo.
Gli strinsi la mano il più affabilmente possibile, e così feci con gli altri, lanciando sguardi incalzanti a Manon. In un raptus delle sue più alte facoltà mentali, lei liberò la mano dalle innumerevoli borse che teneva sollevate e prese a stringere la mano a tutti ripetendo “Manon” e “Enchantèe” sempre più compiaciuta.
Mi rassegnai all’idea che saremmo rimaste su quei gradini ancora per un po’.
 
Una voce che assurdamente il mio cervello registrò come familiare mi solleticò le orecchie. -Bambolina, non puoi essertela presa. Quello che intendevo è che sei talmente uno schianto che ti porterei a letto con me anche se fossi muta, o peggio francese. Non è un’ opportunità che hanno tutte le ragazze- ammise con studiata noncuranza. Mi fece un sorriso di sbieco che mascherava bene l’ imbarazzo per l’accaduto, e piano piano il nodo allo stomaco si allentò.
A un livello davvero poco lecito, mi compiacqui della sua faccia tosta.
 
- Infatti sono commossa.- berciai, scherzosamente sulla difensiva. -Quello che, invece, intendevo io, era: se fossi muta piuttosto che venire a letto con te mi farei un ciclo di sedute da un bravo logopedista.- finsi un sorriso di scherno. O forse finsi di fingere un sorriso.
 
Riprenditi, Mia. Adesso.
 
-Lo dici perché non hai ancora avuto modo di vedere come corteggiamo le ragazze qui in Italia.- tubò con il labbro inferiore tirato in un sorriso strafottente, l’ anellino d'argento che ne seguiva la linea sottile.  Alzai gli occhi al cielo ed emisi, con un certo sforzo, un suono il più possibile sprezzante.
Detto ciò si alzò in piedi con misurata lentezza, ma tese la mano alla mia compagna di viaggio.
-Enchantèe Mademoiselle. Je m’appelle Andrea.- cinguettò con la sua voce profonda esibendo un accento nemmeno troppo stentato. *Molto piacere signorina, il mio nome è Andrea. *

Spaccone.
 
-Io sono Mia. – attaccai rivolta a tutti e nessuno di preciso. – Siamo appena arrivate da Grenoble, Manon abitava da quelle parti.-
-Mia. Bel nome! Non è molto usato qua, però. I tuoi sono tedeschi?- chiese Michele, il ragazzo dall’aria gentile.
-No, ma probabilmente lo era la birra che si erano bevuti.- azzardai, buttando il mozzicone della sigaretta ormai terminata.
Fumavo di rado, e solo quando ero veramente tesa, o preoccupata. Di solito una sigaretta era un segnale di allarme, la calma prima della tempesta.
 
Cazzo rilassati, Wolverine.
 
Risate tranquille mentre prendevamo a scendere la scalinata, portandoci vicino alla fontana.
-Dunque, bambolina..- attaccò Andrea con aria interrogativa – c’è qualche altro motivo per cui sei qui a Roma, intendo oltre a quello ovvio di fornire materiale succulento ai miei amici?- pausa, si voltò a guardarmi, sfacciato – E ai miei ormoni?-
Non abboccai. -Sono in viaggio per l’Europa da qualche anno. Avevo voglia di vedere come ve la passavate da queste parti. Sai com’è, calpestare qualche pietra vecchia, mangiare un po’ di pizza, cose così-
 
Sentirmi a casa mia. Tra la mia gente.
 
-Insomma, sei bella tosta.- berciò Andrea, lo sguardo fisso su di me, lapidario e intenso. Mi voltai e guardai l’acqua scorrere. Non sapevo se stesse dicendo sul serio ma quel che era certo è che aveva ragione, ce l’avrei fatta anche quella volta, ce la facevo sempre.
-Noi ora dobbiamo proprio andare, è tardi e ancora dobbiamo sistemarci.- buttai lì  alzando il mio borsone in maniera eloquente– Manon, s’il vous plait, andiamo! E’ stato un vero piacere conoscervi!-
Manon salutò affettuosamente i suoi nuovi amici sfoderando le sue migliori perle d’Italiano.
 
Se mai cinguetterò in quel modo nel parlare con un uomo, spero che il Padre Eterno nel frattempo abbia imparato ad usare il lanciafiamme. Ed abbia una buona mira.
 
-L’unica cosa che posso dirvi è di tenere presente che è immorale e credo anche illegale in qualche stato essere a Roma e non mangiare una pizza dar “Poeta”! – esclamò Cesare con aria solenne. –Quindi se ricapitate da queste parti, vero Michè?, noi due ce trovate llà e possiamo mettere una buona parola con la polizia nel frattempo –
Sorrisi e salutai di nuovo. –Cercate di non fare disastri.-
-Ciao bambolina. Comportati bene.-
Mi incamminai per la strada, Manon che mi trotterellava dietro come un cucciolo. Il sorriso non se ne andava dal viso.
 
Rammollita. Rammollita. Rammollita.
 
Il sole era quasi del tutto calato, e disegnava le ultime ombre, lunghe e sbilenche, dietro le signore agghindate che passeggiavano per le vetrine. Qualcuna di loro ci guardava arcigna da dietro un collier di Cartier o una fascia di Tiffany.
 
Sì, tesoro, ho addosso una camicetta pagata nove sterline al mercato di Camden Town.
 
Io e Manon camminavamo silenziosamente l’una accanto all’altra, godendoci la nostra prima serata romana. Nell’avanzare i negozi si facevano sempre più di seconda mano, le persone sempre più rade, ma ero abituata a viaggiare nell’ombra cercando di evitare i pericoli. E, inoltre, avevo già deciso dove eravamo dirette e, nonostante l’idea non mi esaltasse, ero abbastanza sicura che per quella notte ce la saremmo cavate. Sorrisi a Manon, rassicurandola:
-Ora prendiamo la metro e poi avremo ancora un po’ da camminare. Ma arriveremo non preoccuparti. Vincenzo ci ospiterà per questa notte e domani ci inventeremo qualcosa.-
 
Sì, Mia. Vincenzo vi ospiterà, smettila di sudare freddo.
 
Manon parve capire, perché non fece domande e mi restituì un cenno di assenso. Era inequivocabilmente distrutta e la capivo perfettamente.
-“Vincenso”.- soppesò la parola pensierosa, qualche minuto più tardi.- Est ce que il est la traduction italienne  de “Vincent”?- * Vincenzo.. è la traduzione italiana di Vincent?*

- No, Manon. E’ il corrispettivo italiano di Aurélien!- scherzai, alzando la voce per coprire il rombo della metro. Stette in silenzio per un po’ cercando di capire. Era davvero buffa, non si poteva dire che il senso dell’umorismo fosse il suo forte.
-OOo! Tu schersìì!- soggiunse divertita dopo qualche sguardo incerto. –Sono molto stanca, Mià. Ma credo che.. come si disce? Ne vale la pena, oui.- concluse, accoccolandosi nel seggiolino della metro.
 
Non passarono nemmeno venti minuti di chiacchiere italo-francesi, quando ci fermammo davanti a una costruzione a due piani col tetto a spioventi, piccola e squallida come la ricordavo. Sapeva terribilmente di casa.
Mi guardai stancamente riflessa nel finestrino di una macchina parcheggiata sul ciglio della strada. Una ragazza un po’ ricurva sotto il peso di un lungo viaggio mi rivolse un sorriso incerto. Mi avvicinai a osservare i capelli: lunghissime ciocche ondulate di un biondo dorato le ricadevano disordinate sulla schiena e sul petto. Gli occhi blu, incavati, rimanevano sempre fieri ed espressivi. Lentiggini sparse qua e la evidenziavano il pallore della pelle. 
Il mio aspetto aveva di certo conosciuto momenti migliori.
 
Domani bisogna fare un po’ di restauro, bambolina.
 
Mi ritrovai a sorridere di quel nome. Continuava a ronzarmi in testa e non sapevo come scacciarlo, nemmeno in quelle condizioni. Patetico. Era davvero patetico. Scrollai le spalle e mi feci coraggio, rileggendo un paio di volte il nome scritto sul campanello. Vincenzo Casale.
 
Gran botta di culo, Mia. Non si è trasferito.
 
Una parte di me era contenta, indubbiamente estasiata all’idea di non dover passare una notte in un pub sconosciuto, o peggio rannicchiata sotto il lampione di una qualche strada di periferia. Una piccola parte, però, sperava che la casa fosse stata venduta, magari chiusa, magari demolita.
 
A questo punto, tesoro, devi suonare il campanello. Funziona così: suoni-chiedi-dormi. L’ordine inverso non può funzionare.
 
Brevi flash nella mia mente spingevano per ricordarmi l’ultima volta che ero stata lì. La neve che cadeva, luci in lontananza. Non potevo permetterlo.
 
Suona, ORA!.
 
Premetti quel maledetto pulsante mentre Manon, appoggiata al muretto del cancello in stato semi-comatoso, aspettava.
Sentii il trillo provenire dall’interno della casa e la voce di un bambino che strillava. Il sangue pompava a una velocità pericolosa e iniziavo a chiedermi se non fosse stata una cazzata recarmi lì. Sentii il rumore della chiave che girava nella serratura, poi quello di un chiavistello che veniva liberato.
-Chi è?– una voce nell’oscurità, profonda e cadenzata.
Che cazzo stavo facendo? Avevo davvero deciso di buttare nel cesso i progressi degli ultimi quattro anni?
- Sono Mia, Vince.- mi spostai per lasciare che la luce del lampione mi illuminasse e ricacciai a forza il groppo che mi attanagliava la gola.
–Sono tornata. -

 
 



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Nota dell'autrice:

Caro lettore, se sei arrivato sin qui significa che hai letto questo capitolo.
E, che quest’ultimo ti sia piaciuto o meno, hai perso qualche minuto della tua vita per onorare un lavoro che mi è costato giorni di sudore e perfezionamenti. Per questo ti chiedo, dato che ormai hai ritagliato un pezettino della tua giornata per me, di lasciare un commento, darmi qualche consiglio.
Puoi dirmi solamente se ti è piaciuto il capitolo, se sei curioso di conoscerne il continuo, puoi farmi notare quell’errore di sintassi che non ti farà dormire stanotte o rispondermi con un sonetto di Sheakespeare. Dammi la possibilità di migliorare.
Non dirò di più in questa sede, se non che ti ringrazio per il tempo dedicatomi.

xxx
Giulia.
   
 
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