Una
volta sceso dal treno, Marco si ritrovò sotto l’immensa cupola a forma di mezzo
cilindro della stazione di Milano Centrale. Lì c’era molta meno gente rispetto
a Torino, ma in compenso faceva un caldo da morire.
- Uff! Che caldo! – esclamò Marco, agitando un depliant
informativo di Trenitalia a mo’ di ventaglio – Forse avrei dovuto mettermi
qualcosa di più leggero… Accidenti a mio padre che mi ha addobbato come un
manichino per prendere una stupida macchina! – si lamentò, proseguendo poi
verso l’interno della stazione.
L’assenza
di gente era un chiaro sintomo della crisi del turismo. Ricordava anni in cui
quella stessa stazione in quel periodo dell’anno era gremita di gente: turisti,
gruppi parrocchiali, e tanti altri tipi di persone assortite, che andavano a
visitare la città della Madonnina. Lui andava sempre a trovare il suo ragazzo,
da quattro anni a quella parte, e di anno in anno aveva notato questa tendenza
al ribasso del numero dei turisti.
-
Capperi, e meno male che continuano a dire “meno male che Silvio c’è” … e se
non c’era? Veniva il deserto, qui? –
Camminò
verso l’uscita, e qui fu investito da una scarica di raggi solari a picco, che
istantaneamente lo fecero sudare.
- Oh
porca paletta! Fa un caldo bestiale, qui! Se non mi tolgo la giacca, rischio di
finire arrosto! –
Esclamando
tra sé e sé, provò a togliersi la giacca, quando fu intercettato da quattro
ragazzini di etnia rom.
-
Ehi ciao amico, ci dai un euro per andare a mangiare? – disse uno. Era alto e
portava un paio di pantaloni corti, ciabatte infradito ed una sudicia maglietta
gialla.
- Dai, solo un euro. – disse un altro.
-
Anche a me, dai, dai. Sei buono! – questo era più giovane, avrà avuto sì e no
sei anni, ma si era già aggrappato ai pantaloni di Marco. Questi cercò di
divincolarsi, ma non servì a nulla. Anche a Torino c’erano rom ed immigrati, ma
per lo meno non l’avevano mai toccato. Evidentemente alcuni dei loro genitori
lavoravano per suo padre, per cui sarebbe stato un inutile spreco di energie
andare a chiedergli l’elemosina, e poi per quel poco che usciva Marco, si
poteva dire che non conoscesse bene il mondo esterno.
-
Buoni, buoni – cercò di calmarli Marco, tenendo stretta sul petto la sua borsa
a tracolla con dentro la cartellina blu necessaria allo sdoganamento dell’auto
di suo padre – Vi do cinque euro – disse, tirando fuori il portafogli. Quelli
si calmarono, mentre lui li porgeva al ragazzo più alto. Avuti i denari, tutti
i ragazzini scapparono via, ringraziandolo da lontano con cenni delle braccia.
Lui ridacchiò, quindi proseguì per la sua strada.
-
Dunque, dunque… la concessionaria è esattamente in Via Redecesio.
Quindi, facendo un po’ di calcoli… - rifletté, guardando una mappa della
metropolitana milanese. Con tutte quelle linee che si incrociavano, non capiva niente.
Se solo suo padre gli avesse detto a quale fermata scendere, sarebbe stato
tutto più facile. Gli venne un’idea.
- Scusi, buon uomo! – chiese, ad un anziano signore con gli
occhiali ed il cappello che passava di là – Che linea devo prendere per Redecesio? –
-
Sta scherzando? – lo apostrofò il signore – Lei non è di qui, vero? –
- Eh
no, infatti sono di Torino. – disse, con un sorriso a
trentadue denti. A quella rivelazione, l’uomo scosse la testa e si mise ad
imprecare.
- di
Torino? Ma và a dà
via i ciapp, Juventino de
- Balengu! – replicò Marco, poi aggiunse – E
comunque per sua informazione, io i “ciapp” come li
chiama lei, li do’ solo al mio fidanzato, néh! – e si
aggiustò la cravatta mentre lo diceva. Vicino a lui passò una
coppietta, che lo guardò e mormorò a mezza voce “Un altro culattone. Non se ne può più…”
-
Ehi! Ma ce l’avete tutti con me, oggi??? – E così
dicendo, saltò sul treno sotterraneo che era appena arrivato, senza sapere bene
dove l’avrebbe portato.
Nel
vagone che si era scelto non c’era nessuno. Soltanto lui ed un mistico
silenzio, quasi innaturale. Sulle poltrone, un bel po’ di giornali lasciati lì
da passeggeri sporcaccioni, che Marco prese e iniziò a leggere.
-
Bah, sono di ieri… - mormorò, mentre si sedeva sulla poltroncina di plastica -
…”Esodo da Milano.” – strillava il titolo della prima pagina, che Marco lesse
ad alta voce – Si stima che nelle prossime settimane Milano sarà deserta; il
picco più basso di presenze si registrerà nelle due settimane a cavallo di
Ferragosto… -
Continuò
a leggere per un bel po’, osservando le fermate che il treno faceva. Non sapeva
bene dove stava andando, ma si augurò che fosse la strada giusta. In fondo,
doveva andare a Milano Est, e forse il treno viaggiava in quella direzione. Massì, pensò, se tante volte dovessi perdermi, ho sempre con me il mio portafogli ed
il mio cellulare. Cosa può accadermi di tanto brutto?
Poi
l’occhio gli cadde su una pagina del giornale. Questa volta il titolo incitava
alla prudenza a causa del caldo soffocante degli ultimi giorni. Effettivamente
da quando era sceso dal treno si era sentito soffocare dalla cappa di calore
che avvolgeva la città, e ancora adesso, nonostante si fosse tirato su le
maniche della camicia, sentiva ancora caldo. L’unica cosa che gli venne in
mente per cercare di sopportare il caldo era di mettersi nudo, ma non poteva,
quindi si limitò ad usare il giornale che aveva letto come un ventaglio.
L’immagine
di sé stesso nudo lo riportò indietro nel tempo alle prime volte in cui si
vedeva con il suo ragazzo Ricky. Si erano conosciuti proprio in estate, sulla
riviera toscana… Lui, appena diciottenne, aveva una bella casa in affitto,
viveva da solo e ogni tanto i suoi venivano a trovarlo. Ci verresti a vedere casa mia? Gli aveva chiesto un giorno. Marco
aveva risposto di sì, felicemente. Chiacchierarono a lungo, quel giorno… poi,
dopo le chiacchiere, venne l’amore. Ricordò come si erano spogliati, l’uno di
fronte all’altro… Ricky era semplicemente stupendo, con quel suo fisico
definito e muscoloso. Sé stesso invece era un po’ gracilino, ma tutto sommato
un bel ragazzo. Ricky lo prese e lo penetrò a fondo, con quella foga che
soltanto i ragazzini riescono ad avere. E dopo quel giorno, ce ne furono altri,
e dopo quegli altri, passarono tre anni in una relazione a distanza, che vedeva
Marco a Torino e Ricky a Milano; ciascuno con la propria vita, ma uniti dal
loro amore.
Per
sua espressa volontà, quel giorno non l’aveva avvertito del suo arrivo. Gli
avrebbe fatto una sorpresa. E meno male che il treno era vuoto: avessero visto
come gongolava di gioia, l’avrebbero preso per scemo. Fece per prendere il
cellulare dalla tasca della tracolla, ma si trattenne. Non voleva rovinare la
sorpresa. Sarebbe andato lì a casa sua, avrebbe aperto la porta (strano ma
vero, Ricky gli aveva concesso il lusso di avere le chiavi) e gli sarebbe corso
incontro a braccia aperte. Una scena che nella mente di Marco, in quei minuti
si ripeteva come un filmato in looping. Dolce e spettacolare al tempo stesso.
Il
viaggio intanto continuava. Tra poco il treno sarebbe uscito dai limiti della
città, per entrare in periferia.