Non
si degnò neanche di aiutare il povero (si fa per dire) Ricky, che dopo aver
battuto la testa contro l’armadio stava perdendo un po’ di sangue. Solo ora si rendeva conto di aver fatto una cazzata: e se
Ricky avesse menzionato il suo nome e cognome?
Improbabile.
E poi che spiegazione avrebbe dato? Che era un suo amico venuto da lontano per
salutarlo? Anche Ricky come il suo fidanzato (oramai ex) non era dichiarato, e
forse ci teneva più di tutti a mantenere le apparenze, data la vita piena di
relazioni sociali che conduceva.
Solo non mi aspettavo che tra le tue
relazioni ci fosse una puttana bionda di nome Brian, brutto porco. Pensò Marco,
camminando sul marciapiede, cercando di ricordare la strada che aveva fatto in
taxi. Praticamente un’impresa, visto che il luogo da dove erano partiti e dove
era parcheggiata l’auto nuova di suo padre era molto distante da lì. Incominciò
a chiedersi se non fosse stato il caso di chiamare una nuova vettura. Già, e
con quale telefono? A meno che non avesse fermato un passante per la strada, i
negozi erano tutti chiusi, quindi non si poteva sperare di fare una telefonata
al servizio radiotaxi. Tornare da Ricky? Giammai! Quell’idea era proprio fuori
discussione, almeno dopo ciò che era stato costretto a
vedere.
-
Marco! – si sentì chiamare da lontano. Girandosi, vide un ciuffo di capelli
biondi che si muovevano a ritmo della corsetta, un paio di occhiali scuri su un
visino perfetto e l’immagine di Brian che si avvicinava sgambettando. Ora le
scarpe verdi e la maglietta avevano un proprietario.
Ignorò
la chiamata, accelerando il passo.
-
Marco! – Brian gli andò vicino. Sbuffò un po’ di fiato per la fatica di
correre, poi allungò la mano e prese il gomito di Marco. – Aspetta – disse – Io
devo parlarti. –
- Ah
sì, e di cosa? – fece Marco, e al tempo stesso diede uno strattone al braccio
che costrinse Brian a mollare la presa.
-
Sono stato un cretino, e vorrei scusarmi. –
-
Torna dal tuo amante. Vai a scopartelo allegramente, io e te
non abbiamo più nulla da dirci. – replicò Marco, freddo e con le mani in tasca.
Oltretutto la colluttazione gli aveva sgualcito il vestito, e di questo non ne fu molto contento. Si levò la giacca,
allentandosi un po’ la cravatta.
-
Senti… vieni, andiamo a casa mia. Abito qui, a pochi passi. –
Marco
si fermò. Forse non era tutto sbagliato ciò che stava accadendo, e se quel pisquanello aveva anche a disposizione un’auto per portarlo
fino a dove aveva lasciato il giocattolino nuovo di
papà, forse non l’avrebbe ammazzato. Forse.
*****
L’appartamento
di Brian era un bell’appartamentino al primo piano. Viveva con i suoi genitori,
che al momento non c’erano, e suo fratello, un impiegato presso un’azienda di
produzioni elettriche.
- Ho
conosciuto Ricky grazie a mio fratello. – stava spiegando Brian mentre versava
il caffè nella tazzina di Marco – lo abbiamo invitato qui a casa nostra una
sera, e lui non ha mai smesso di tenermi gli occhi addosso… e così… beh… -
- Te
lo sei preso. – concluse Marco per lui, sorseggiando il caffè.
Sospirando,
Brian annuì e si sedette. Le sue mani erano chiuse in un unico pugno, con le
dita intrecciate. Il ciuffo biondo ora copriva gli occhi, e forse
qualcos’altro. Dall’espressione sembrava che da un momento all’altro il ragazzo
si sarebbe messo a piangere.
-
Quanti anni hai, Brian? –
-
Eh…? Diciotto. – rispose. Marco lo guardò torvo, ben sapendo che stava mentendo
– E va bene, ne ho diciassette e mezzo… faccio ancora la quarta superiore. –
- Da
quanto frequentavi Ricky? –
-
Circa un anno. Ovviamente non ci vedevamo spesso. Non sapevo nemmeno che tu
esistessi. Mi ha sempre fatto credere che fosse single. Che stronzo… - scosse
la testa, incrociando le braccia sul petto. Marco pensò che Ricky fosse stato
doppiamente stronzo, e non c’era alcun paragone tra la situazione di Marco e
quella di Brian. Li aveva trattati entrambi malissimo allo stesso modo, e
questa convinzione rafforzò la sua autostima per averlo lasciato lì a soffrire
col suo dolore. Per un anno aveva fatto una doppia vita, e se non fosse stato
per questo casuale viaggio fuori porta a Milano, sicuramente avrebbe
continuato… Grazie papà, a te ed alle tue
stupide auto, pensò Marco, stancamente.
Beh,
era andata. Aveva creduto di avere un fidanzato per più di un anno ed ora era
punto e accapo. Niente più messaggini dolci prima di dormire, niente
conversazioni-fiume tra una lezione e l’altra dell’università… e soprattutto…
niente più sesso, che era una delle cose principali per cui Marco aveva eletto
Ricky a suo fidanzato.
La
sua insaziabilità a letto era soltanto pari alla sua bellezza. Ogni volta che
Marco aveva fatto l’amore con lui, era stato come volare, ed ogni volta era
sicuro che la volta dopo sarebbe stata migliore, ancor
più soddisfacente. E poi essere stretto fra le sue braccia una volta raggiunto
l’amplesso, sentire il suo respiro sul petto mentre dormiva, ascoltare le sue
parole quando parlava nel sonno… Tutte cose che adesso, almeno per un po’,
avrebbe dovuto mettere da parte.
- E
adesso? – domandò Brian, interrompendo il corso dei pensieri di Marco.
- Cosa?
–
- E
adesso cosa facciamo? –
- Tu
non lo so – rispose Marco – Io so solo che devo tornare a Torino. Si è fatto
parecchio tardi, e se mio padre non mi vede senza la sua auto, le mie corna non
saranno più l’unico problema, perché mio padre mi ucciderà. – concluse, ben
sapendo che il padre sicuramente non era ancora tornato a casa. – Anzi, a
proposito. Potrei fare una telefonata? –
*****
-
Pronto? – rispose una voce all’altro capo del telefono.
-
Papà? Ciao, sono Marco. – disse Marco, sorridendo.
- Ehi,
dimmi, Marco. Hai preso la macchina? – domandò il
padre, come se fosse stato lui il primo a chiamare. Marco annuì, con la
cornetta in mano, aggiungendo un sì.
-
Oh, molto bene. E dove sei ora? –
-
Sono a Milano. Mi sono fermato a salutare un amico. –
-
Amico? Che amico? – domandò suo padre, dopo un momento di pausa.
-
Uno dell’università, papà. Non lo conosci… si chiama Brian. –
Mentre
era in cucina, Brian fece capolino dalla porta e gli sorrise.
Marco ricambiò il sorriso, e quello gli fece l’occhiolino.
-
Ah, davvero? E com’è? – la domanda di suo padre lo lasciò un po’ spiazzato.
- I…
in che senso, papà? – domandò Marco balbettando.
-
Descrivimelo fisicamente, no? Figlio tontolone. –
- E’ magro, biondo, occhi chiari. È
studente… - cercò di inventarsi una facoltà – di matematica. – Brian scoppiò a
ridere in silenzio, e fece dei chiari segnali con le dita portate fino alla
bocca per dire che a lui la matematica faceva vomitare. Marco arrossì, cercando
di calmarsi. Poi suo padre disse – Capisco. Allora ti dico una cosa. Resta lì
ancora un giorno, d’accordo? –
Sbalordito
da tanta cordialità, Marco chiese il perché.
-
Perché … ecco… - rispose suo padre balbettando – Perché devono venire a casa
alcuni miei amici, e ho bisogno che le stanze siano libere. Quindi, stai pure
ancora un giorno. – concluse il padre.
-
Oh, d’accordo. – annuì Marco. Stranamente il padre era troppo morbido con lui,
quella sera. Era forse la distanza oppure c’era qualcos’altro? Immaginò suo
padre seduto in poltrona a guardare la televisione, solo che accanto a lui non
c’era sua madre ma bensì un’amante, una ragazza bella e tutta
curve che lo coccolava provocatoriamente Il pensiero lo fece ridere.
Udendo la risata, il Signor Alfio si alterò.
-
Comunque ci tengo a che tu non faccia cazzate, d’accordo? Ricorda che
quell’auto che hai preso non è tua! Quindi parcheggiala bene, non lasciarla
incustodita, non lasciare oggetti personali sui sedili… - e partì con un
migliaio di altre raccomandazioni, alle quali Marco rispose di sì senza altri
complimenti.
Chiusa
la conversazione, Marco ringraziò Brian per la sua gentilezza. Era vero che gli
aveva rubato il fidanzato, ma in quanto a fregatura, erano sulla stessa barca.
-
Vuoi restare qui per la notte? – domandò Brian, facendo capolino dalla porta
della cucina.
-
Eh? – fece Marco – No, grazie. Sei gentile, ma penso che me ne tornerò a casa…
- non gli disse che il padre gli aveva detto di restare lì a Milano,
semplicemente perché non voleva rimanere a casa dell’amante del suo oramai ex
fidanzato.
-
Dai, mi farebbe piacere. – sorrise Brian, di un
sorriso molto dolce che per poco a Marco fece mancare il fiato.
-
Grazie, ma veramente… hai già fatto troppo per me. – sorrise imbarazzato Marco.
- Un
caffè non mi regalerà un’aureola. Siamo stati fregati dallo stesso uomo, per
cui mi sembra il minimo che ci sosteniamo a vicenda… - ribatté Brian,
incrociando le braccia. A quell’affermazione, Marco non seppe cosa rispondere,
se non facendo spallucce.
-
Comunque – riprese Brian – Se proprio vuoi andare… va bene… - Sospirò. – Uh!
Aspetta. – Corse in cucina e tornò poco dopo con un bigliettino con su scritto un numero.
-
Grazie. Cos’è? –
- Il
mio cellulare. Chiamami qualche volta. – E sorrise nuovamente.
- Lo
farò senz’altro. – rispose Marco, sorridendo.
-
Milano non è una città amichevole per i forestieri. So che tu venivi qui ogni tanto, ma stare a casa di un amante non è la stessa
cosa di stare in giro per strada. Sappilo. – Lo raccomandò con uno sguardo
preoccupato. Poi aggiunse – Se per caso hai bisogno d’aiuto, chiamami. –
-
Speriamo di no! – esclamò Marco, e si mise a ridere. Brian rise con lui.
*****
Ma va’ a quel paese, schifoso che mi hai
rubato il fidanzato. Col cavolo che rimango da te. Chiama qualcuno dei tuoi
amici per farti fare compagnia, io non resto. Vaffanculo!
Pensò
tra sé e sé mentre guidava l’auto, diretto forse verso l’autostrada, o almeno
così sembrava. Ripensare a Ricky che l’aveva ingannato per così tanto tempo,
gli bruciò il cuore. Ma come poteva essere stato così idiota da non capire che
una relazione a distanza è pur sempre una relazione instabile? Cercò di non
pensarci, trattenendo le lacrime che erano pronte a sgorgare copiose dai suoi
occhi. La verità era che aveva bisogno di un altro fidanzato, se non altro
perché sentiva bisogno di sesso più che mai.
Se è soltanto quello il tuo problema,
puoi sempre fermarti in un locale qui a Milano e prenderne quanto ne vuoi. Sei
un bel ragazzo, sei ricco, hai una casa di proprietà… A cosa ti serve un
fidanzato?
La
voce era quella del suo “io” interiore, con cui sovente aveva dei colloqui.
-
Forse perché trovo che due persone debbano prima avere
dei sentimenti, per scopare, no? –
Ma smettila. E poi non sei stato santo
nemmeno tu, dato che ad ogni bel fusto che ti passava davanti, ti veniva il
cosino duro come un sasso. Prova a negarlo!
-
Non lo nego – rispose con calma Marco – Ma io non ci sono andato a letto come
ha fatto quello stronzo di Ricky, cazzo!!! – sbottò.
In ogni caso, non stare a correre dietro
ai sentimentalismi. Vai, offri il tuo sedere a chi lo vuole, godi un po’ … e
poi se sei stato bravo a far godere anche il tuo partner ad ore, ti richiamerà
per il secondo round, altrimenti … via uno, avanti un
altro. È così che funziona, che ha sempre funzionato, che sempre funzionerà. Lo
sappiamo benissimo tutt’e due.
E
sì. Ormai aveva imparato ad accettare che la sua voce interiore fosse il Marco
che lui non era mai stato: ovvero pratico, spigliato, a tratti cinico e furbo.
-
Bene, spero solo che quando tornerò a casa, tu potrai darmi una mano a scovarne
uno di qualità… - mormorò Marco, sempre guidando. Fuori, in strada, vide un
cartello verde che indicava la direzione da seguire per raggiungere
l’autostrada verso Torino.
La
strada si apriva con un tratto asfaltato, che scorreva dritta per i primi
cinque chilometri, per poi procedere piuttosto a zig-zag verso un complesso di
alveari cittadini, dei palazzi molto alti che si stagliavano nel blu del
crepuscolo, arrivando a sembrare dei giganti addormentati
complice l’assenza totale di illuminazione all’infuori dei fari della
Mercedes di Marco.
- Brrr. Questo posto mi mette i brividi. – disse, per poi
accorgersi che non aveva ancora chiuso le sicure agli sportelli. Pigiò un
bottoncino con sopra disegnata una chiave sulla plancia dei comandi e le
serrature delle due portiere scattarono con un clic.
Intanto
il percorso continuava ad essere asfaltato, ma c’era qualcosa che non quadrava.
Non c’erano auto lì in giro, neanche una di passaggio. Niente illuminazione,
nessuno che circolasse. Marco scalò la marcia e rallentò, cercando di fare il
punto della situazione. Sulla plancia dei comandi, tra le altre cose c’era il
navigatore satellitare integrato. E va
bene… vediamo se questo coso funziona. Pensò, e pigiò alcuni tasti sullo
schermo.
- Il
dispositivo deve essere configurato. Collegare il dispositivo ad un computer
tramite il cavo USB che trovate… - disse il computer di bordo con voce
metallica, e nel mentre sullo schermo compariva un’animazione che faceva vedere
dove era posizionato il cavetto nell’automobile. Marco fermò totalmente il
veicolo, e spense il motore.
- ‘Fanculo. – disse tra i denti –
Tecnologia moderna un cazzo. – si stese sul sedile, chiudendo gli occhi. In
basso, attaccato al sedile, c’era un interruttore. Lo pigiò, e lo schienale del
sedile iniziò lentamente ad andare giù… lo tirò giù quasi tutto, fino ad
assumere una posizione sdraiata. Chiuse gli occhi.
Non è prudente stare qui, Marco. Disse la sua
voce interiore, ma lui rispose che aveva solo bisogno di riposarsi un attimo.
Era troppo frastornato. Troppo.