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Autore: StephEnKing1985    20/05/2011    1 recensioni
Tornano, a grande richiesta, Andrea, Emanuele e Marco. I prediletti di Notrix, protagonisti della serie che ha avuto inizio con "Semplicemente... Un bacio", tornano in questa nuova fiction svestendosi dei soliti ruoli:
Marco è il rampollo di un ricco industriale piemontese, che nonostante l'agio e la ricchezza, non è felice, a causa del padre dispotico e della condizione di noia generale che caratterizza la sua vita. Le sue uniche gioie sono i suoi fumetti manga ed una relazione a distanza con un ragazzo di Milano. Un giorno il giovane Marco viene mandato proprio a Milano dal padre a ritirare una lussuosa automobile. Pur essendo stato molte volte in quella città, Marco non conosce bene le strade, e si perderà. In più, l'auto gli verrà rubata da una banda di pericolosi corridori clandestini. Impossibilitato ad intraprendere qualunque azione, Marco capisce che l'unico modo per poter tornare a casa è di riprendersi l'auto. Fiction urban adventure, con il solito pizzico di shonen-ai che non guasta mai e con un cast d'eccezione, già protagonista di altre tre fiction firmate Notrix.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Non si degnò neanche di aiutare il povero (si fa per dire) Ricky, che dopo aver battuto la testa contro l’armadio stava perdendo un po’ di sangue

Non si degnò neanche di aiutare il povero (si fa per dire) Ricky, che dopo aver battuto la testa contro l’armadio stava perdendo un po’ di sangue. Solo ora si rendeva conto di aver fatto una cazzata: e se Ricky avesse menzionato il suo nome e cognome?

Improbabile. E poi che spiegazione avrebbe dato? Che era un suo amico venuto da lontano per salutarlo? Anche Ricky come il suo fidanzato (oramai ex) non era dichiarato, e forse ci teneva più di tutti a mantenere le apparenze, data la vita piena di relazioni sociali che conduceva.

Solo non mi aspettavo che tra le tue relazioni ci fosse una puttana bionda di nome Brian, brutto porco. Pensò Marco, camminando sul marciapiede, cercando di ricordare la strada che aveva fatto in taxi. Praticamente un’impresa, visto che il luogo da dove erano partiti e dove era parcheggiata l’auto nuova di suo padre era molto distante da lì. Incominciò a chiedersi se non fosse stato il caso di chiamare una nuova vettura. Già, e con quale telefono? A meno che non avesse fermato un passante per la strada, i negozi erano tutti chiusi, quindi non si poteva sperare di fare una telefonata al servizio radiotaxi. Tornare da Ricky? Giammai! Quell’idea era proprio fuori discussione, almeno dopo ciò che era stato costretto a vedere.

- Marco! – si sentì chiamare da lontano. Girandosi, vide un ciuffo di capelli biondi che si muovevano a ritmo della corsetta, un paio di occhiali scuri su un visino perfetto e l’immagine di Brian che si avvicinava sgambettando. Ora le scarpe verdi e la maglietta avevano un proprietario.

Ignorò la chiamata, accelerando il passo.

- Marco! – Brian gli andò vicino. Sbuffò un po’ di fiato per la fatica di correre, poi allungò la mano e prese il gomito di Marco. – Aspetta – disse – Io devo parlarti. –

- Ah sì, e di cosa? – fece Marco, e al tempo stesso diede uno strattone al braccio che costrinse Brian a mollare la presa.

- Sono stato un cretino, e vorrei scusarmi. –

- Torna dal tuo amante. Vai a scopartelo allegramente, io e te non abbiamo più nulla da dirci. – replicò Marco, freddo e con le mani in tasca. Oltretutto la colluttazione gli aveva sgualcito il vestito, e di questo non ne fu molto contento. Si levò la giacca, allentandosi un po’ la cravatta.

- Senti… vieni, andiamo a casa mia. Abito qui, a pochi passi. –

Marco si fermò. Forse non era tutto sbagliato ciò che stava accadendo, e se quel pisquanello aveva anche a disposizione un’auto per portarlo fino a dove aveva lasciato il giocattolino nuovo di papà, forse non l’avrebbe ammazzato. Forse.

 

*****

 

L’appartamento di Brian era un bell’appartamentino al primo piano. Viveva con i suoi genitori, che al momento non c’erano, e suo fratello, un impiegato presso un’azienda di produzioni elettriche.

- Ho conosciuto Ricky grazie a mio fratello. – stava spiegando Brian mentre versava il caffè nella tazzina di Marco – lo abbiamo invitato qui a casa nostra una sera, e lui non ha mai smesso di tenermi gli occhi addosso… e così… beh… -

- Te lo sei preso. – concluse Marco per lui, sorseggiando il caffè.

Sospirando, Brian annuì e si sedette. Le sue mani erano chiuse in un unico pugno, con le dita intrecciate. Il ciuffo biondo ora copriva gli occhi, e forse qualcos’altro. Dall’espressione sembrava che da un momento all’altro il ragazzo si sarebbe messo a piangere.

- Quanti anni hai, Brian? –

- Eh…? Diciotto. – rispose. Marco lo guardò torvo, ben sapendo che stava mentendo – E va bene, ne ho diciassette e mezzo… faccio ancora la quarta superiore. –

- Da quanto frequentavi Ricky? –

- Circa un anno. Ovviamente non ci vedevamo spesso. Non sapevo nemmeno che tu esistessi. Mi ha sempre fatto credere che fosse single. Che stronzo… - scosse la testa, incrociando le braccia sul petto. Marco pensò che Ricky fosse stato doppiamente stronzo, e non c’era alcun paragone tra la situazione di Marco e quella di Brian. Li aveva trattati entrambi malissimo allo stesso modo, e questa convinzione rafforzò la sua autostima per averlo lasciato lì a soffrire col suo dolore. Per un anno aveva fatto una doppia vita, e se non fosse stato per questo casuale viaggio fuori porta a Milano, sicuramente avrebbe continuato… Grazie papà, a te ed alle tue stupide auto, pensò Marco, stancamente.

Beh, era andata. Aveva creduto di avere un fidanzato per più di un anno ed ora era punto e accapo. Niente più messaggini dolci prima di dormire, niente conversazioni-fiume tra una lezione e l’altra dell’università… e soprattutto… niente più sesso, che era una delle cose principali per cui Marco aveva eletto Ricky a suo fidanzato.

La sua insaziabilità a letto era soltanto pari alla sua bellezza. Ogni volta che Marco aveva fatto l’amore con lui, era stato come volare, ed ogni volta era sicuro che la volta dopo sarebbe stata migliore, ancor più soddisfacente. E poi essere stretto fra le sue braccia una volta raggiunto l’amplesso, sentire il suo respiro sul petto mentre dormiva, ascoltare le sue parole quando parlava nel sonno… Tutte cose che adesso, almeno per un po’, avrebbe dovuto mettere da parte.

- E adesso? – domandò Brian, interrompendo il corso dei pensieri di Marco.

- Cosa? –

- E adesso cosa facciamo? –

- Tu non lo so – rispose Marco – Io so solo che devo tornare a Torino. Si è fatto parecchio tardi, e se mio padre non mi vede senza la sua auto, le mie corna non saranno più l’unico problema, perché mio padre mi ucciderà. – concluse, ben sapendo che il padre sicuramente non era ancora tornato a casa. – Anzi, a proposito. Potrei fare una telefonata? –

 

*****

 

- Pronto? – rispose una voce all’altro capo del telefono.

- Papà? Ciao, sono Marco. – disse Marco, sorridendo.

- Ehi, dimmi, Marco. Hai preso la macchina? – domandò il padre, come se fosse stato lui il primo a chiamare. Marco annuì, con la cornetta in mano, aggiungendo un sì.

- Oh, molto bene. E dove sei ora? –

- Sono a Milano. Mi sono fermato a salutare un amico. –

- Amico? Che amico? – domandò suo padre, dopo un momento di pausa.

- Uno dell’università, papà. Non lo conosci… si chiama Brian. –

Mentre era in cucina, Brian fece capolino dalla porta e gli sorrise. Marco ricambiò il sorriso, e quello gli fece l’occhiolino.

- Ah, davvero? E com’è? – la domanda di suo padre lo lasciò un po’ spiazzato.

- I… in che senso, papà? – domandò Marco balbettando.

- Descrivimelo fisicamente, no? Figlio tontolone. –

         - E’ magro, biondo, occhi chiari. È studente… - cercò di inventarsi una facoltà – di matematica. – Brian scoppiò a ridere in silenzio, e fece dei chiari segnali con le dita portate fino alla bocca per dire che a lui la matematica faceva vomitare. Marco arrossì, cercando di calmarsi. Poi suo padre disse – Capisco. Allora ti dico una cosa. Resta lì ancora un giorno, d’accordo? –

Sbalordito da tanta cordialità, Marco chiese il perché.

- Perché … ecco… - rispose suo padre balbettando – Perché devono venire a casa alcuni miei amici, e ho bisogno che le stanze siano libere. Quindi, stai pure ancora un giorno. – concluse il padre.

- Oh, d’accordo. – annuì Marco. Stranamente il padre era troppo morbido con lui, quella sera. Era forse la distanza oppure c’era qualcos’altro? Immaginò suo padre seduto in poltrona a guardare la televisione, solo che accanto a lui non c’era sua madre ma bensì un’amante, una ragazza bella e tutta curve che lo coccolava provocatoriamente Il pensiero lo fece ridere. Udendo la risata, il Signor Alfio si alterò. 

- Comunque ci tengo a che tu non faccia cazzate, d’accordo? Ricorda che quell’auto che hai preso non è tua! Quindi parcheggiala bene, non lasciarla incustodita, non lasciare oggetti personali sui sedili… - e partì con un migliaio di altre raccomandazioni, alle quali Marco rispose di sì senza altri complimenti.

Chiusa la conversazione, Marco ringraziò Brian per la sua gentilezza. Era vero che gli aveva rubato il fidanzato, ma in quanto a fregatura, erano sulla stessa barca.

- Vuoi restare qui per la notte? – domandò Brian, facendo capolino dalla porta della cucina.

- Eh? – fece Marco – No, grazie. Sei gentile, ma penso che me ne tornerò a casa… - non gli disse che il padre gli aveva detto di restare lì a Milano, semplicemente perché non voleva rimanere a casa dell’amante del suo oramai ex fidanzato.

- Dai, mi farebbe piacere. – sorrise Brian, di un sorriso molto dolce che per poco a Marco fece mancare il fiato.

- Grazie, ma veramente… hai già fatto troppo per me. – sorrise imbarazzato Marco.

- Un caffè non mi regalerà un’aureola. Siamo stati fregati dallo stesso uomo, per cui mi sembra il minimo che ci sosteniamo a vicenda… - ribatté Brian, incrociando le braccia. A quell’affermazione, Marco non seppe cosa rispondere, se non facendo spallucce.

- Comunque – riprese Brian – Se proprio vuoi andare… va bene… - Sospirò. – Uh! Aspetta. – Corse in cucina e tornò poco dopo con un bigliettino con su scritto un numero.

- Grazie. Cos’è? –

- Il mio cellulare. Chiamami qualche volta. – E sorrise nuovamente.

- Lo farò senz’altro. – rispose Marco, sorridendo.

- Milano non è una città amichevole per i forestieri. So che tu venivi qui ogni tanto, ma stare a casa di un amante non è la stessa cosa di stare in giro per strada. Sappilo. – Lo raccomandò con uno sguardo preoccupato. Poi aggiunse – Se per caso hai bisogno d’aiuto, chiamami. –

- Speriamo di no! – esclamò Marco, e si mise a ridere. Brian rise con lui.

 

*****

 

Ma va’ a quel paese, schifoso che mi hai rubato il fidanzato. Col cavolo che rimango da te. Chiama qualcuno dei tuoi amici per farti fare compagnia, io non resto. Vaffanculo!

Pensò tra sé e sé mentre guidava l’auto, diretto forse verso l’autostrada, o almeno così sembrava. Ripensare a Ricky che l’aveva ingannato per così tanto tempo, gli bruciò il cuore. Ma come poteva essere stato così idiota da non capire che una relazione a distanza è pur sempre una relazione instabile? Cercò di non pensarci, trattenendo le lacrime che erano pronte a sgorgare copiose dai suoi occhi. La verità era che aveva bisogno di un altro fidanzato, se non altro perché sentiva bisogno di sesso più che mai.

Se è soltanto quello il tuo problema, puoi sempre fermarti in un locale qui a Milano e prenderne quanto ne vuoi. Sei un bel ragazzo, sei ricco, hai una casa di proprietà… A cosa ti serve un fidanzato?

La voce era quella del suo “io” interiore, con cui sovente aveva dei colloqui.

- Forse perché trovo che due persone debbano prima avere dei sentimenti, per scopare, no? –

Ma smettila. E poi non sei stato santo nemmeno tu, dato che ad ogni bel fusto che ti passava davanti, ti veniva il cosino duro come un sasso. Prova a negarlo!

- Non lo nego – rispose con calma Marco – Ma io non ci sono andato a letto come ha fatto quello stronzo di Ricky, cazzo!!! – sbottò.

In ogni caso, non stare a correre dietro ai sentimentalismi. Vai, offri il tuo sedere a chi lo vuole, godi un po’ … e poi se sei stato bravo a far godere anche il tuo partner ad ore, ti richiamerà per il secondo round, altrimenti … via uno, avanti un altro. È così che funziona, che ha sempre funzionato, che sempre funzionerà. Lo sappiamo benissimo tutt’e due.

E sì. Ormai aveva imparato ad accettare che la sua voce interiore fosse il Marco che lui non era mai stato: ovvero pratico, spigliato, a tratti cinico e furbo.

- Bene, spero solo che quando tornerò a casa, tu potrai darmi una mano a scovarne uno di qualità… - mormorò Marco, sempre guidando. Fuori, in strada, vide un cartello verde che indicava la direzione da seguire per raggiungere l’autostrada verso Torino.

La strada si apriva con un tratto asfaltato, che scorreva dritta per i primi cinque chilometri, per poi procedere piuttosto a zig-zag verso un complesso di alveari cittadini, dei palazzi molto alti che si stagliavano nel blu del crepuscolo, arrivando a sembrare dei giganti addormentati complice l’assenza totale di illuminazione all’infuori dei fari della Mercedes di Marco.

- Brrr. Questo posto mi mette i brividi. – disse, per poi accorgersi che non aveva ancora chiuso le sicure agli sportelli. Pigiò un bottoncino con sopra disegnata una chiave sulla plancia dei comandi e le serrature delle due portiere scattarono con un clic.

Intanto il percorso continuava ad essere asfaltato, ma c’era qualcosa che non quadrava. Non c’erano auto lì in giro, neanche una di passaggio. Niente illuminazione, nessuno che circolasse. Marco scalò la marcia e rallentò, cercando di fare il punto della situazione. Sulla plancia dei comandi, tra le altre cose c’era il navigatore satellitare integrato. E va bene… vediamo se questo coso funziona. Pensò, e pigiò alcuni tasti sullo schermo.

- Il dispositivo deve essere configurato. Collegare il dispositivo ad un computer tramite il cavo USB che trovate… - disse il computer di bordo con voce metallica, e nel mentre sullo schermo compariva un’animazione che faceva vedere dove era posizionato il cavetto nell’automobile. Marco fermò totalmente il veicolo, e spense il motore.

-Fanculo. – disse tra i denti – Tecnologia moderna un cazzo. – si stese sul sedile, chiudendo gli occhi. In basso, attaccato al sedile, c’era un interruttore. Lo pigiò, e lo schienale del sedile iniziò lentamente ad andare giù… lo tirò giù quasi tutto, fino ad assumere una posizione sdraiata. Chiuse gli occhi.

Non è prudente stare qui, Marco. Disse la sua voce interiore, ma lui rispose che aveva solo bisogno di riposarsi un attimo. Era troppo frastornato. Troppo.  

 

 

 

   
 
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