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Autore: Neal C_    22/05/2011    1 recensioni
[Storia temporaneamente sospesa]
Pochi governano sulla terra di Filesis: la confraternita della Mano Bianca.
I monaci, uomini dai poteri magici innati e membri della confraternita, sono addestrati a mantenere l’ordine nel mondo.
E nonostante la prosperità, la ricchezza e il fiorire di commerci, dopo una breve pace, il mondo è di nuovo in guerra.
La guerra contro i Ribelli che inneggiano alla libertà, alla giustizia e vogliono la fine del dominio della Casta.
Una donna, un ragazzino. Una ex-monaco, uno dei Ribelli. Minimo comun denominatore: fuga.
In fuga dal passato, in viaggio verso un futuro pieno di errori che si lasceranno alle spalle e non riusciranno a dimenticare.
Entrambi verranno a contatto con una forza antica quanto la terra che calpestano, se non di più. Nessuno dei due la riconoscerà.
Quando lo faranno dovranno convincersi che le leggende sono vere. E che le apparenze ingannano.
è la mia prima pubblicazione su EFP. Prendete la mira e sparate a zero.
E siate schifosamente sinceri.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shara
Una strega al villaggio

[“Tu  guarirai, te lo prometto.”

Regnò un silenzio carico di attesa e fu Yeuka a interromperlo, con una nota di angoscia che, per la prima volta, vibrava nella sua vocetta infantile.
“Ma non dirlo alla mama, ti prego”]

A nulla bastarono i suoi occhi dolci il giorno seguente e le sue preghiere poiché Shara si assicurò che la cosa venisse immediatamente scoperta da tutto il villaggio. Il luogo era deserto,  tutti erano rintanati nelle proprie case e si arrivò a considerare anche la possibilità di abbandonare la piccola al suo destino come i cadaveri che troneggiavano sulle pile, nella radura. Qualche vecchia maligna sussurrò improperi al cielo e alla bambina, che era stata punita per la sua scellerata giovinezza, sebbene non avesse colpe speciali se non quella di essere una donnina come tante altre. Le sorelle erano rinchiuse in casa, nella camera dei ragazzi, disperate, nel timore di essere contagiate. E la madre la assisteva giorno e notte, al suo capezzale, le guancie scavate, i capelli in disordine, con il volto devastato da macchie, lacrime e delle occhiaie gonfie e nerastre. Shara per la prima volta vide la sofferenza di una madre e ne rimase molto colpita. Eppure era un mistero talmente fitto il loro legame che non riuscì a decifrarlo tutto. Quella scena accrebbe in lei il desiderio di fare del bene e di mettere il suo sapere a disposizione della donna e del villaggio. L’alba era prossima quando Shara, ancora sveglia, corse al capezzale della bambina e ci trovò ancora la madre, con un fazzoletto in mano, una stoffa bianca e ricamata con filo rosa.

Se lo passava più  volte sul naso, tossiva e sputacchiava mentre caldi lacrimoni colavano sul naso sempre più rosso. Era uno sfogo del tutto inatteso e non osò muoversi e far rumore, rispettando la sua disperazione. Ma la donna si interruppe bruscamente fissandola, smarrita, come se, per la prima volta, fosse lei la bambina inesperta:
“Cosa fai qui?”
Si affrettò a rispondere Shara, mettendo avanti le mani, per scusarsi.
“Perdonami, ti lascio sola con il tuo dolore.”
  La sua interlocutrice vacillò e piagnucolò;
“Sono sempre stata sola, in tutti questi anni, prima il mio uomo, poi i miei figli e ora sono abbandonata a me stessa. Tutte le mie disgrazie sono legata a questa malattia ”
Shara ribatté fiduciosa:
“Non ti abbattere...perché io credo...di poterti aiutare.”
La risposta fu solo rabbiosa come quella di un lupo ferito che trascina via la zampa offesa.
“Ma cosa vuoi fare tu? Che ne capisci? Hai mai avuto figli? Sei una ragazzina, nient’altro!”
“Eppure ti assicuro che ti sarò di grande aiuto, permettimi solo di dimostrartelo.”
Il tono era pacato e la ragazza colse lo sguardo furibondo della donna che vedeva nuove speranze e attendeva già il momento in cui tutte quelle promesse sarebbero scoppiate come tante bolle di sapone.
“Fidati di me”
La madre di Yeuka abbassò la testa e Shara seppe che la conversazione era finita. 
E la mattina dopo, la giovane maga ebbe una sorpresa; c’era un gran traffico e la strada sembrava più rumorosa del solito, soprattutto in tempo di contagio. E sopra tutti si levavano delle grida che oltrepassavano ogni parete:
“Contro la pestilenza, facciamo vivere i nostri cari, guariamo il morbo! Al padiglione! Al padiglione! Sconfiggiamo il male!”
Si udivano i rimbombi dei passi frettolosi di tutto il paese e Shara incrociò per un attimo lo sguardo della donna che ancora stava al capezzale della figlia, con uno straccio in mano.
“Cosa succede? Chi sono?” Il tono era velato di preoccupazione e fastidio ma la madre di Yeuka non rispose. Sussurrò: “Aiutami”
Quindi afferrò i lembi della stuoia e sollevò la figlia per le gambe, debolmente, mentre Shara si affrettava a mantenerle alta la testa e il petto.
La trasportarono fuori, avvolta in un lenzuolo bianco leggerissimo, di un lino delicato e trasparente e la gente per le strade indietreggiò spaventata, mentre molti si davano alla fuga. Dalla piazza invece si udivano ancora quelle grida che si rivolgevano ai fuggitivi: “non scappate davanti al maligno, lasciate che sia la nostra giustizia ad allontanare i suoi influssi! Venite avanti!”
Si formò un corridoio larghissimo che attraversava tutta la piazza fino ad un palchetto ricavato con qualche asse di legno, su cui un omino grasso e roseo si sbracciava. I capelli erano rossi come non se ne erano mai visti, color ceralacca e pareva un pagliaccio venuto lì a far spettacolo, con un’aria di grottesca serietà.
“Signora, fatti avanti! Trova la soluzione al tuo dolore!”
La madre di Yeuka fece una smorfia e si morse le labbra con rabbia, quindi posò la figlia al centro della piazza e si mise lì a gambe divaricate, i pugni stretti, le spalle contratte. “Vieni pure tu qui e portami la soluzione come fanno i buoni messaggeri.”
Il silenzio era esemplare e la curiosità della gente era smisurata. Gli sguardi erano fissi sulla scena, l’aria era tesa e l’attesa quasi morbosa come chi tace per poter poi dire la sua. Tutti si improvvisavano giudici e sapienti e aspettavano prove per irrompere in sentenze e considerazioni.
Il pagliaccio si rassegnò a scendere dal suo palcoscenico, con un sacco di iuta in mano, sbattendolo di qua e di là e si trascinò davanti alla donna e alla bambina. Aveva alle mani guanti spessi di pelle che avevano l’aria di nascondere mani grosse e rozze e Shara non poté trattenere il disgusto e l’aria incredula.
La madre lo avvertì con un ringhio, indicando Yeuka con un cenno del capo: “Non toccarla”
Un sorriso sornione del pagliaccio fece deglutire la giovane maga, che percepiva attacchi di panico, e si guardava febbrilmente intorno, le pupille che scattavano da un lato all’altro della piazza. La mente era affollata di voci:

Cosa devo fare, chi è, cosa c’è in quel sacco, devo allontanarlo, è un ciarlatano, mente, non esiste alcun rimedio che non sia un incanto, non sono pulci sono virus, quella polvere è farina, IO devo guarire Yeuka!

“Stai tranquilla, Signora mia, basta che le spalmi questa polvere guaritrice finchè tutte le macchie non ne siano ricoperte. Quindi attendi alcuni giorni e queste saranno sparite e la malattia debellata.”

Lo sguardo della sua interlocutrice era scettico e, neppure un attimo accennò ad afferrare quella polvere. Aggiunse con un tono mistico e altisonante il ciarlatano: “Mi raccomando, signora, che siano ben coperte le macchie e  se non farai attenzione al processo di guarigione la tua bimba potrebbe risentirne e morire.”
Shara fremette e non trattenne più la sua indignazione: “Vattene, schifoso insetto, sei più letale dell’epidemia perché distruggi le speranze di chi incontri”
Ricevette come risposta sghignazzi e risatine del pubblico e la vocetta del pagliaccio che zittiva tutte le altre : “Sei sorda, ragazza? Questo guarirà la bambina!”
La maga ruggì alla piazza intera: “Questa...COSA...è polvere bianca che potreste dare a galli e galline, semola di grano, mangime per porci, spuntino per cavalli, farina per il pane, ma non è certo un rimedio valido!” Indicava rabbiosa il sacco di iuta e la voce si alzava sempre di più “Voi non sapete cosa sia questa epidemia e tirate a indovinare!”
Il popolo se ammonito non è contento ed inizia ad agitarsi quindi ben presto diverse voci cominciarono a levarsi in difesa del pagliaccio. Di bocca in bocca passarono parole come “pazza”, “malata”, “indemoniata”, e la accusarono di attirare l’attenzione e agitare la folla.
La ragazza era pallida per la rabbia e frustrata mentre il pubblico gridava, acclamando il disgustoso personaggio rossiccio che elargiva sorrisi sdentati a tutti, sebbene poco convinti.
“Questi sono animaletti che ti strappano la carne! Non esiste polvere che li scacci, è infezia vermiglia! Capite? Infezia vermiglia!” Le grida di Shara si perdevano nell’aria e le menti della folla rimanevano chiuse e ostili al suo verbo. La ragazza si passava le mani fra i capelli e stringeva con forza fino a tirarli e a strattonarsi la chioma nero lucida.

Non capiscono, non capiscono, solo IO posso guarirla,  NON CAPISCONO!

Improvvisamente la madre di Yeuka si presentò con uno strano piatto di ferro e un martello da fabbro e il richiamo di un gong esplose nelle orecchie della piazza intera. Quando finalmente fu ristabilito il silenzio la donna parlò, con voce bassa e fitta: “Dimostrami che la puoi curare”
Il popolo tornò ad agitarsi e la donna dovette ripetere le proprie parole perché tutti le bevessero, per soddisfare la loro sete di notizia.
Nel frattempo Shara cercava fra la folla il predicatore ciarlatano ma questi sembrava sparito e, con quel suo aspetto esuberante e vistoso, inconfondibile, si era dileguato come un ladro.
Davanti alla volontà della madre disperata, fece un cenno con il capo e si chinò sulla bambina che pareva non risentire del caos intorno a lei e aveva gli occhi fissi e vitrei, sebbene il piccolo petto si alzasse e si abbassasse ancora, con un po’ di affanno.
Shara le accarezzò i capelli mentre mormorava: “Yeuka...piccola Yeuka...”, intanto una miriade di colori vivaci le esplodevano nella testa: il rosso delle labbra di fanciulla, il rosa pesca delle gote, il biondo grano dei suoi capelli, così lunghi, il profumo del corpo, i suoi movimenti, il suo sudore; tutte le sensazioni che i cinque sensi smistavano con regolarità nel suo cervello, erano un’accozzaglia di percezioni che affogava in un unico colore. Cominciò a passare le mani sulla faccia, macchiata di arancio, seguendo il contorno delle piaghe e premendo, come se tracciasse un percorso. Ma la piccola lanciava pesanti sospiri e qualche gemito da neonato e quando puntò il dito sulle palpebre che erano rossastre e irritate, emise un grido angosciato “mama!”. Questo bastò perché la donna al suo fianco perdesse ogni ritegno e si gettasse sulla figlia, per proteggerla da ogni cosa. La folla ruggì in delirio “strega!” ma nessuno osò avvicinarsi nel timore della malattia.
“Fidati di me!” ammonì, aspra, la straniera.

Tu devi credermi, DEVI!

Ma La madre di Yeuka si limitò ad un gesto con la mano, come per scacciare uno spirito maligno. “Vattene”

Ma tu devi credermi, lei morirà se non la curerò, devi credermi, DEVI!

Shara aveva gli occhi spalancati dal terrore e scuoteva la testa come se la realtà le fosse totalmente estranea. Tendeva il braccio in un segno di richiamo e farfugliava smarrita: “Ti prego lasciami fare, morirà, ti prego, io la devo curare.”
La donna strinse a se Yeuka ancora più forte e scosse il capo decisa: “Te ne devi andare, vattene” allontanò con una spinta forte la mano della maga che veniva sempre più vicina; era un gesto meccanico, un tentativo di toccarla e continuare la sua opera.
La madre urlò al villaggio intero, feroce:
“Che nessuno la tocchi o morirete bruciati dal suo fuoco!”
Le donne si strinsero ai pargoli e gli chiusero gli occhi mentre i pochi uomini stringevano indietro consorti e famiglie.
Le ultime parole della madre di Yeuka furono pochi sussurri: “Allontanati, rinnegata, non tornare, vattene perché la folla è incontrollabile, non farti più rivedere”

Ma Yeuka morirà, IO devo curarla, solo IO posso…

Si voltò e si allontanò, di corsa, abbandonando ogni cosa in quel villaggio. Non fu inseguita se non da urla della folla inferocita ma non ne sentì neppure l’eco. Nella testa aveva poche parole ma erano in absito e sibilavano come il verbo di un serpente.

È tutta colpa mia, devi credermi, DEVI, morirà, morirà...


Angolo dell'Autrice

Immagino starete piangendo tutte le vostre lacrime... Ebbene si! Eccoci arrivati ad un bel capitolo drammatico. Immaginate la frustrazione e il senso di colpa, ma meglio non anticipare niente. In fondo c'è o non c'è il tag "introspettivo" fra le caratteristiche della storia?
Scherzi a parte, bisogna essere accecati dall'egoismo e dall'arroganza per mettere in gioco vite altrui per fare i propri esperimenti e cominciare  la scalata sociale. Che cosa complicata da ottenere la fiducia e l'accettazione da parte degli altri. Voi mettereste mai la vostra vita nelle mani di una così? Potrebbe decidere di voler provare su di voi come resuscitare i morti... MWAAAAHAHAHAHAAHAH!  :D
Ok, mi sono dovertita abbastanza alle vostre spalle. Speriamo bene in qualche commentino incoraggiante ù.ù
Mitiche emv, Kill Bill, Nihal992 e Giu09!
Adios a todos,

Misa

  
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