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Autore: Leslie and Lalla    22/05/2011    2 recensioni
[Attenzione: può essere letta anche senza aver letto Drawing a Song 1 e 2]
Lei è Evelyn Evans, ventisei anni da compiere, laureata da poco in psicologia, insicura su tutto ma decisa a conoscere i suoi genitori biologici prima di sposare il fidanzato Danny. Ha come l'impressione che la sua vita non sia il cammino sorprendente fatto di scelte inaspettate di cui le parlano i libri, anche se vorrebbe tanto che fosse così.
L'altra è Viola Dumas, ventisei anni appena compiuti, il suo obiettivo è diventare un medico brillante, decisa e risoluta, sa quello che vuole dalla sua vita e non si concede distrazioni, soprattutto per pensare alla sua infanzia, che tutto quello che vorrebbe fare è dimenticare.
Ma cosa succederebbe se sulla strada di Evelyn si presentasse un affascinante, trasgressivo e giramondo musicista che la immerge del tutto nella bolla di sapone fatta di divertimento, arte e voglia di esprimere se stesso tramite una canzone in cui sembra che viva lui?
E a Viola, invece, cosa succederebbe se una mattina si svegliasse accanto ad un uomo completamente sconosciuto? E se quell'uomo fosse proprio l'ultima persona con cui sarebbe dovuta andare a letto?
[Scritta a quattro mani]
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All of Drawing a Song and Sequels'
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1. I hate rugby!




Sabato 28 maggio

Evelyn's Pov.

«Mamma, ti prego.»
Fisso mia madre dritto negli occhi, senza muovere un muscolo, mentre i battiti rallentano drasticamente. Capirà, deve capire.
«Te lo chiedo per il mio matrimonio, voglio far avverare questo sogno prima di sposarmi. Non puoi fare finta di niente ancora, ora sono grande abbastanza da capire cosa voglio fare. E tu lo sai» aggiungo dopo una breve pausa.
Lei mi guarda ancora per qualche istante, poi si abbandona alla poltrona in salotto, con un  sospiro. «E va bene, tesoro. Ti dirò tutto quello che so.»
Sorrido, soddisfatta, poi a mia volta mi siedo sul divano di fronte a lei, in attesa che inizi a raccontarmi.
«Io e Tom, come ben sai, dopo cinque anni di matrimonio ci siamo resi conto di non poter aver figli. Allora io ho proposto di adottarne uno, in modo da poter aver comunque l'affetto che ci mancava... Diciamo che volevamo consolidare la famiglia una volta per tutte. Così, un week-end, Tom mi ha portato a Venezia per una breve vacanza, lontani dal tram tram quotidiano di Milano. Siamo arrivati sabato, e la domenica mattina mi ha portata all'ospedale Civile di Venezia dicendomi che gli avevano comunicato che c'era ancora qualche neonato in fasce in adozione. Io ovviamente ne ero felicissima. E se lo vuoi sapere, oltre a te c'erano altri due splendidi maschietti, ma noi volevamo una bella bambina, così abbiamo scelto te. Abbiamo firmato i documenti in presenza di due testimoni, dopodiché ti abbiamo portata con noi a casa. Tutto qui.»
Annuisco un paio di volte, persa con lo sguardo nel vuoto. «E... sai come si chiama la mia vera madre? E mio padre? Che tipi erano, li hai conosciuti?»
«No, non direttamente. Di loro so ben poco» mi risponde, tormentandosi una ciocca di capelli biondi.
«Cosa sai?» le chiedo, senza alcuna esitazione.
Prima di rispondermi, espira fortemente. «Lo vuoi proprio sapere?»
«Certo!»
«La tua mamma biologica aveva diciassette anni quando ti ha partorita. E tuo padre qualche anno in più di lei, si erano appena sposati.»
Chiudo gli occhi e faccio aderire completamente la schiena contro lo schienale del divano. «Oh mio Dio» mormoro poi, tirando un forte sospiro.
Mia madre rimane in silenzio, ancora con la ciocca di capelli tra le dita. Fa sempre così quando è nervosa.
Dopo qualche minuto, ho la forza di domandarle: «Non sai nient'altro?»
Scuote la testa. «So solo che non abitavano a Venezia, erano lì in vacanza.»
«Basta?»
«Basta.»
Silenzio. Un silenzio che sembra durare una vita.
«Posso... posso farti una domanda?» balbetto dopo alcuni minuti.
«Dimmi, tesoro» dice lei, mostrandomi un sorriso forzato.
«Perché mi avete tenuto nascosto tutto questo?» sputo fuori tutto d'un fiato.
Non mi risponde subito, probabilmente ha bisogno di qualche istante per decidere bene che parole usare. «Avevamo paura che tu ti dimenticassi di noi, e di tutto quello che abbiamo fatto per te.»
«Ma questo non potrebbe mai accadere, lo sai, vero mamma?» replico io, seria.
«Lo spero» fa lei, sforzandosi di sorridere.
A questo punto mi alzo e l'abbraccio d'impulso. Mi fa tenerezza e so che in questo momento ha tanto bisogno di affetto, di essere rassicurata. La conosco troppo bene.
«Ti voglio bene mamma, e non mi importa un accidente se sei la mia madre biologica o no. Tu sei e sarai per sempre la mia vera mamma. Quella che mi ha cresciuto, quella che mi ha saputo amare» le sussurro all'orecchio, mentre con una mano le accarezzo la schiena con dolcezza.
«Oh, quanto ti voglio bene, tesoro mio» mormora lei, scoppiando in forti singhiozzi.
Sorrido un poco, senza smettere un attimo di accarezzarle la schiena. «Anche io, mamma, anche io.»


Un'ora dopo sono di rientro a casa. Apro la porta d'ingresso con la chiave e me la richiudo alle spalle dicendo: «Sono tornata.»
«Oh, eccoti, amore.»
Mi giro e mi ritrovo a pochi metri di distanza Danny, che mi mostra uno dei suoi sorrisi angelici.
Alzo un angolo della bocca. «Ciao» lo saluto, poi gli scocco un bacio sulle labbra.
«E' passato poco fa Riki. Voleva congratularsi con noi, solo che non c'eri, allora mi ha detto di salutarti» mi informa poi, mentre io inizio a togliermi le scarpe e a riporle al loro posto.
«Oh, grazie» borbotto, mettendomi un paio di infradito.
«Ho una voglia di essere tuo marito che nemmeno immagini» inizia, avvicinandosi a me e prendendomi dolcemente i fianchi.
«Ma è come se lo fossi già, per quanto mi riguarda» rispondo, con un sorriso.
«Intendevo ufficialmente, ho voglia di essere veramente tuo marito. Voglio sposarti, dire “sì, lo voglio” di fronte a cento persone.»
Scoppio in una risata. «Così tante?»
«Potremmo invitarne anche mille, sempre che sia di tuo gradimento» ribatte, sfregando il suo naso con il mio.
Percepisco il suo profumo di dopobarba che mi piace tanto e non posso fare a meno di sorridere, anche se non so esattamente perché. «Si può fare» lo stuzzico poi.
«Comunque ho apparecchiato la tavola, e pensavo di fare una pasta veloce, così ho messo sul fornello l'acqua» dice, «è che vado un po' di fretta... Dopo ho la partita, ricordi?»
Mi metto una mano sulla fronte, sospirando. «No, onestamente mi era passato di mente.»
Lui mi lancia una finta occhiata ammonitrice. «Ci vieni però, vero?»
«Ehm, sì, volentieri» mento io, sforzandomi di sorridere. In realtà odio con tutto il mio cuore il rugby, solo che a lui non l'ho mai confessato. Insomma, non posso mica dirgli che detesto il suo sport preferito, o sbaglio?
Lui a sua volta mi sorride. «Ottimo.»
«Però vedi di non disfarti qualcosa un'altra volta, okay?» aggiungo io.
«Tranquilla, farò il bravo bambino.»
Io in tutta risposta gli scompiglio i capelli affettuosamente.   
«Noo, avevo appena messo il gel!» protesta lui, sistemandoseli alla belle-meglio con le mani.
«Bah, secondo me non è cambiato nulla» affermo, sbattendo le ciglia innocentemente.
Danny sorride un poco. «Oggi è sabato» annuncia, dopo alcuni istanti.
«Lo so.»
«E domani è domenica.»
«Lo so!»
«Ciò vuol dire che abbiamo tutto il giorno a disposizione» aggiunge, guardandomi negli occhi.
«Lo so» ripeto per la terza volta, sorridendo appena.
«Pensavo di portarti in un posto speciale.»
«Altra partita di rugby?» scherzo io.
«No, in un posto ancora più bello.»
Oh, fantastico allora.
«Comunque io avrei fame» dice, dopo una breve pausa.
Annuisco un paio di volte. «Butto la pasta, l'acqua bollirà sicuramente» affermo, dirigendomi in cucina con passo stanco.
«Com'è andata da tua madre?» mi domanda lui cinque minuti dopo, appoggiandosi allo stipite della porta, facendosi improvvisamente serio.
«Uh, bene» rispondo io, vaga.
«Hai voglia di parlarmene?»
Faccio spalline. «Non è che ci sia molto da dire» faccio, iniziando a fare il sugo per la pasta.
Danny rimane in silenzio, in attesa che io aggiunga altro.
«Non sapeva molto, a dire la verità» ammetto poi, «però quello che mi ha detto è stato abbastanza un colpo al cuore.»
«Cioè?»
«Tipo che mia madre ha solo diciassette anni in più di me.»
Danny strabuzza gli occhi. «Oddio» borbotta, e solo dopo una pausa si avvicina a me e mi circonda la vita con le braccia. «Ma tanto ce li hai già dei genitori che ti vogliono bene, non hai bisogno di quelli biologici per sentirti amata, non è così?» chiede, appoggiando il mento sulla mia spalla.
«Sì» rispondo, con un fil di voce.
E va bene, non sono stata del tutto sincera. Non è vero che non mi importa nulla dei miei genitori naturali, anzi. Sono praticamente ossessionata da loro.
«Danny» affermo, dopo alcuni istanti di assoluto silenzio.
«Dimmi» mi incita lui, baciandomi delicatamente il collo.
«Cosa faresti se ti dicessi che voglio partire per Venezia?»
«Beh, ti chiederei innanzitutto quanto staresti via, e poi se mi vorresti con te.»
«Perché ho intenzione di farlo» aggiungo, chiudendo un occhio, scongiurando nella mia testa che non si preoccupi o cose del genere.
«Ah, sì? E per quale motivo, gita in piazza san Marco?» azzarda, ridendo un poco.
«E' che vorrei conoscere i miei genitori.»
Sento che si stacca da me improvvisamente. Poi, dopo pochi secondi, mormora: «Non me l'avevi mai detto.»
«E' sempre stato il mio sogno più grande, fin da quando ho saputo di essere stata adottata, e volevo farlo avverare prima di sposarmi» gli racconto io, «capisci?»
«Sì, credo di capire» risponde, a bassa voce e parlando lentamente. «Ma se poi ne rimani delusa? O se, corna facendo, sono morti, o malati, o cose del genere?»
«Penso di poterlo affrontare, e poi in fondo è come se fossero degli perfetti sconosciuti, no?»
«E allora perché ci tieni così tanto a conoscerli?»
«Sono curiosa, mi conosci! Voglio vedere il volto di mia madre, il carattere di mio padre, se è più alta lei di lui, a chi assomiglio di più dei due, se bevono il caffè o il tè la mattina, se hanno un cane o un gatto o nessuno dei due, se hanno fatto altri figli, se i miei nonni sono ancora in vita... cose di questo tipo. Cose elementari, ma a cui penso sempre.»
Lui mi stringe un poco, poi mi bacia la testa. «Capito» dice. «Quindi vuoi metterti in viaggio.»
«Già.»
«E cosa sai ancora di loro?»   
«Che non abitano a Venezia, mia madre mi ha partorita a quell'ospedale perché era lì in vacanza con mio padre.»
«Capito» ripete per l'ennesima volta. «E quanto tempo pensi di stare via circa?»
«Non lo so, dipende loro dove abitano, e in quanto riesco a raccogliere tutte le informazioni che mi servono.»
Annuisce leggermente. «E vuoi andarci da sola, o ti posso accompagnare?»
«Mmh, francamente preferirei andare da sola. E poi, come faresti con il lavoro?»
«Beh, come fai tu, lo salto!»
«Per colpa mia» preciso io.
Fa spalline. «Si possono chiamare anche ferie.»
Rimango zitta, non sapendo cos'altro aggiungere.
«Però se vuoi rimanere sola, non preoccuparti, rimango qui, io.»
Sorrido, poi mi volto fino a ritrovarmi il suo viso a pochi centimetri dal mio. «Grazie per avermi capita.»


Appena finisco la pasta che ho nel piatto, mi alzo e apro il frigo, sentendo ancora un leggero brontolio alla pancia a causa della fame.
«Non saprei cosa mangiare» borbotto, più a me stessa che a Danny.
«Dovresti mangiare più verdura, o frutta, te lo dico ogni santo giorno!»
Ecco, lo sapevo che non dovevo riflettere ad alta voce.
«Madonna Danny mi sembri mio padre!» esclamo, alzando gli occhi al cielo e richiudendo il frigo spazientita. «Basta, mi è passata la poca fame che avevo.»
Il mio fidanzato scuote la testa, con aria di rimprovero. «Lo sai che mangiare troppi carboidrati non ti fa bene.»
«E tu lo sai che mi fai solo girare le palle ad elica quando mi tratti come se fossi tua figlia. So gestirmi da sola!» ribatto io, dopodiché senza aspettare una sua risposta, metto nel lavabo le stoviglie e filo al piano di sopra, in camera, dove mi butto a peso morto sul letto.
Dio, che nervoso quando fa così.
Dopo pochi minuti, sento che bussa un paio di volte alla porta che avevo sbattuto con forza alle mie spalle. «Posso?» chiede, con un fil di voce, aprendo piano la porta.
«Tanto sei già entrato» gli faccio notare.
Lui sorride un poco e poi si avvicina ai piedi del letto, dove inizia a farmi un massaggio ai piedi. Fa sempre così quando vuole farsi perdonare e sa di essere nel torto, quasi fosse un cane con la coda tra le gambe.
«Scusami per prima, ma lo sai che lo faccio solo per il tuo bene» inizia, in un sussurro.
Io mi metto su un fianco in modo da non guardarlo in faccia. Rimango in silenzio, forse sperando che continui a parlare lui.
«Mi perdoni?» aggiunge, dieci secondi dopo.
«Okay.»
«Convinta?»
Non gli rispondo subito.
«Credo di sì.»
«Credi?» domanda, senza togliere le mani dai miei piedi.
«Credo» sussurro, con franchezza.
Silenzio. Lui smette di massaggiarmi, e si siede al bordo del letto.
«Mi impegno a non farlo più» fa poi, con un fil di voce.
«Me lo prometti?» gli chiedo io, fissando davanti a me.
«Te lo prometto.»
A queste parole, mi volto e cerco il suo sguardo, lui ricambia l'occhiata e mi sorride.
«Ti amo» dichiaro, mettendomi a sedere.
«Anche io» afferma avvicinandosi a me, poi mi bacia con trasporto. Io dischiudo le labbra e rispondo al suo bacio, mentre con le mani gli accarezzo dolcemente i capelli. Dio, da quanto non ci baciavamo così...
«Facciamo l'amore» dico improvvisamente. «Adesso.»
«Adesso?!» ripete lui, ridendo con naturalezza. «Tra non molto devo andare alla partita.»
«Dai» aggiungo, cercando di assumere il tono di voce – e la faccia – più dolce e convincente che posso.
«Va bene» accetta poi, lanciandomi un'occhiata maliziosa che io ho definito più volte “il leone affamato in gabbia”.
Io getto la testa all'indietro e scoppio a ridere, poi torno a baciarlo sulle labbra, mentre con le mani inizio a sfilargli la camicia scozzese maledettamente sexy. Lui aspetta che io finisca di spogliarlo, dopodiché mi toglie la maglia e i pantaloni neri che indossavo pochi secondi fa.
«Aspetta» dice, d'un tratto, staccandosi dalla mia bocca.
«Cosa?»
«Metto la sveglia tra un'ora, se arrivo in ritardo il coach mi ammazza.»
Che palle, perché deve avere la partita proprio oggi pomeriggio?


Al fischio dell'arbitro, la squadra di Danny calcia nel campo della squadra avversaria – che hanno un nome a dir poco strano, qualcosa tipo “I Petrarchi.”
Okay Evelyn, puoi farcela. Si tratta solo di resistere un'ora e venti minuti, più i dieci minuti di pausa a metà partita. Facile.
Durante i primi due minuti, fisso il campo di gioco cercando di capirci qualcosa. Lo so che il rugby possiede delle regole tutte sue – come quella che le porte sono a forma di H, il pallone è ovale ed è vietato passare la palla in avanti – però ogni volta che vengo a vedere le partite di Danny, che detto chiaramente saranno due o tre al massimo – le volte in cui non sono riuscita a inventare una scusa in tempo –, mi confondo ancora di più le idee e ci capisco sempre meno.
«Forza Josh, corri!» urla il tipo accanto a me, mentre tra le dita stringe un recipiente enorme che strabocca di pop corn super salati. Ho la sensazione che Josh sia suo figlio, e che ogni volta che va a vederlo in partita si compri sempre la stessa porzione maxi di pop corn.
Forza, se continui a distrarti in questo modo il tempo passerà velocemente.
Facendo i diritti scongiuri, guardo che ore sono sul mio cellulare. Bene, sono già passati quattro minuti dall'inizio della partita.
Il minuto seguente lo passo a rimirarmi un'unghia, maledicendomi di non aver portato la pinzetta per le pellicine.
Chiudo gli occhi e sussurro tra me e me: «Evelyn, guarda questa cazzo di partita e basta. Danny è il tuo futuro marito, e dato che passerai il resto della tua esistenza in sua compagnia dovrai andarlo a vedere a tutte le partite, e non puoi comportarti in questo modo...»
Quando realizzo veramente ciò che ho appena detto, mi sale un coniato di vomito. Non ce la posso fare. Passare così un'ora e mezza alla settimana? Vedendo in campo 30 persone che si ammazzano per una palla? Cioè, stiamo scherzando.
«Fallo secco, Joshi!» grida la moglie del ciccione – cicciona anche lei –, alla sua destra, stringendo in una mano un fazzoletto e serrando forte la mascella.
«Sì, fagli vedere chi sei!» aggiunge lui, indicando un punto non definito.
Oh mio Dio, questi qua sono assatanati.
Afferro il cellulare disperatamente e compongo in pochi secondi il numero di Katie, la mia migliore amica che ho conosciuto giusto qualche annetto fa in prima liceo.
«Pronto?» risponde al terzo squillo.
Oddio, la sua voce dolce e tranquilla mi fa già sentire meglio.
«Katie, tesoro!» esclamo io.
«Ev! Come stai?»
Mi guardo attorno e socchiudo gli occhi. La famiglia bomba è troppo intenta a seguire la partita per ascoltare quello che sto dicendo. «Tutto bene» mento poi, cercando di assumere un tono di voce normale. «Tu invece?»
«Anche io, grazie» mi risponde lei, e dopo un po' aggiunge: «Ma dove sei, scusa? Ti sento male.»
«Ehm, sono...» inizio, pensando a cosa potrei inventare di convincente. Ma poi mi interrompo. Insomma, è la mia migliore amica, quella a cui potrei confidare tutto di me, perché mai dovrei raccontarle una balla? «Sono a una partita di Danny» ammetto poi, con riluttanza.
«Oddio, rugby?» fa lei, seriamente preoccupata.
Ecco perché è la mia migliore amica, in qualunque situazione mi capisce.
«Esattamente» confermo io, sospirando. «E credo di non essermi mai annoiata tanto in tutta la mia...»
Ma non faccio in tempo a finire la frase, che un urlo di gioia mi interrompe: «Evvai, Josh, sei il re del mondo!» esultano i ciccioni accanto a me, alzandosi in piedi, mentre tutta la folla li imita.
«Oh mio Dio» mormora Katie, come se non ci volesse credere. «Ci sei andata davvero?»
«Eh già» rispondo, facendo una smorfia. «E non sai chi ho accanto, porca miseria.»
«Chi?!»
«Due tipi completamente svitati... sono...» e nel parlare mi giro verso di loro per controllare che stanno facendo e noto – con mio grande orrore – che mi stanno guardando. «Due tipi abbastanza a posto, educati e simpatici. Sì, insomma, non potrei chiedere di meglio!» e detto questo, sfodero uno dei sorrisi più angelici che abbia mai fatto.
«Ev? Che sta succedendo?» domanda la mia amica, allarmata.
«Ho bisogno di te, di questo passo impazzisco» sussurro al microfono del telefono, per non farmi sentire da nessuno.
«Dove sei, che ti raggiungo?» domanda, dopo una breve pausa.
Se non ci fosse Katie credo che sarei morta da un bel pezzo.


Fortunatamente lo stadio non è troppo lontano da casa sua, così in quindici minuti è qui, trafelata, appena uscita dalla doccia, con i capelli biondi ancora umidi e il fiato corto.
Questa è la mia Katie, che affronta gelidi venti e torridi deserti per me.
Io mi alzo in piedi e sventolo le braccia per farmi vedere, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. «Katie!» la chiamo.
Lei appena mi vede, mi saluta con la mano e corre verso di me. «Come procede?» chiede poi, sedendosi alla mia sinistra.
«Oh, bene» faccio io, fissando il campo con finta aria critica. «Anche se non so nemmeno chi sta vincendo» aggiungo, abbassando la voce per non farmi sentire dalla famiglia bomba in parte a me.
Katie scoppia a ridere. «Certo che sposare un marito fanatico del rugby, cioè lo sport che tu odi di più al mondo, è proprio il colmo» commenta, divertita.
«Mi ci dovrò abituare» dico, facendo una smorfia.
«Dai, prima o poi inizierai a capirci qualcosa e ti piacerà» cerca di consolarmi lei.
«Non credo proprio che potrà mai piacermi uno sport in cui fanno a botte per una palla. Insomma, è uno sport decisamente troppo aggressivo» affermo, stringendo le palpebre. «Ti vorrei ricordare che lo scorso mese Danny aveva un livido enorme sull'avambraccio.»
«Lo so» sospira Katie. «Comunque, sei andata stamattina da tua mamma?»
«Sì» rispondo io, evitando il suo sguardo. «E ho deciso che lunedì vado a Venezia.»
Con la coda dell'occhio vedo che spalanca la bocca. «Come mai?!»
«La mia mamma biologica mi ha partorita lì quando era lì in vacanza» le spiego. «E voglio scoprire dove abitano per conoscerli.»
«Stai scherzando?» sbotta, incredula.
Io in tutta risposta scuoto la testa.
«E... il lavoro?»
«Dirò di essere andata in ferie all'ultimo momento.»
«Puoi farlo?!»
«Credo di sì» dico, facendo spalline. «Sono troppo decisa a conoscerli, e prima del mio matrimonio voglio assolutamente farlo.»
«Ho capito» afferma lei, annuendo un poco.
Proseguono alcuni minuti di pausa, in cui rimaniamo tutte e due in silenzio a fissare il campo di fronte a noi.
«Quando finisce?» domanda Katie, con impazienza.
«Tra poco dovrebbe scadere il primo tempo, poi ci sono dieci minuti di pausa e ricomincia il secondo tempo, che dura quaranta minuti.»
«Gesù» mormora lei.


«Evelyn!» la voce del mio fidanzato proviene da dietro le mie spalle, così mi volto raggiante fino a incontrare i suoi occhi scuri. Gli sorrido, mentre dentro di me penso a quanto sia bello con i capelli bagnati.
«Eccolo qui, il campione!» lo saluta Katie, ridendo leggermente.
Lui mostra un sorriso più che orgoglioso. «Finalmente abbiamo vinto!» esclama, poi mi stampa un bacio sulle labbra. «Sarà perché c'eri tu a vedermi.»
«Secondo me è il campo fortunato» replico io, arrossendo.
Danny sfrega il suo naso con il mio con dolcezza, poi si rivolge a Katie, corrugando le sopracciglia confusamente: «Non credevo che venissi anche tu.»
«Veramente lei era già qui» mi intrometto io, dicendo la prima cosa che mi capita per la mente. «Un suo amico gioca nella squadra avversaria» aggiungo, poi mi volto verso di lei e allargo le palpebre, facendole capire di reggermi il gioco.
«Oh» fa Katie, presa alla sprovvista. Poi rapidamente improvvisa qualcosa: «Sì, si chiama Ronald, ed è veramente bravo!»
Io faccio una risata che si avvicina ben poco a qualcosa di naturale. «Esattamente!»
«Ronald? Non mi sembra di aver sentito il suo nome in campo» afferma Danny, confuso.
«No, è che era in panchina» si affretta ad aggiungere lei.
«Ah» annuisce lui. «Riserva?»
«Sì, qualcosa del genere» borbotta Katie, facendo una risata forzata.
«E ora dov'è?» chiede Danny, guardandosi attorno. «C'è il rinfresco offerto dalla casa!»
«Aveva un impegno importante, allora è dovuto scappare» spiega lei, annuendo con aria di chi la sa lunga.
«Uh, è un vero peccato, questa volta hanno preparato di tutto!»
«Davvero?» domando io, fingendomi stupita. «Cosa c'è di buono?» chiedo poi, per cambiare argomento.
«Venite» propone lui, prendendomi per mano. «E poi, Ev, devo presentarti a tutti i miei amici, sono ansiosi di conoscere la mia futura moglie!»
«Uh, certo!» esclamo, tirando un sospiro di sollievo. Poi mi volto verso Katie. “Grazie!” le dico appena ho catturato la sua attenzione, in labiale.
Lei mi fa l'occhiolino. «Bene, io vado ora!» annuncia dopo, ad alta voce. «Divertitevi.»
«Grazie, Katie, e salutami tanto Jared» la saluta Danny, dandole un bacio sulla guancia.
Jared è il ragazzo di Katie, stanno insieme da cinque anni ed hanno in programma anche loro di sposarsi. Almeno, lui ha intenzione di farlo, ma lei non lo sa ancora. Non vedo l'ora che le faccia la proposta per diventare la sua damigella d'onore. Cioè, non lo voglio solo per questo, ovviamente: vedere la mia migliore amica che si sposa sarà una forte emozione, ne sono più che sicura.















*** Spazio Autrici ***

Ed eccoci qui con Drawing a Song 3, guys! :D
Qui Lalla, gente!

Come avevamo già accennato e come dice il sottotitoletto, la storia è del tutto nuova! I personaggi sono diversi, le avventure saranno diverse, e spero che anche il nostro modo di scrivere sia cambiato in meglio... a me personalmente sembra di essere maturata molto a scrivere, rileggendo i primi scritti di Ds storco il naso e penso "ma l'ho scritta io 'sta schifezza?" (anche se se devo dirla propria tutta spesso e volentieri mi ritrovo a pensarlo tutt'ora! xP)
Non so voi, ma io Ds3 la vedo molto come una "rivoluzione", a parte per il fatto che ha personaggi molto diversi rispetto Ds2, io sento di essere cambiata proprio dentro. E' vero, sono passati solo pochi anni dalla pubblicazione di Ds, eppure a me sembra davvero un'altra era..

Beeene, ora chiudendo quest'argomento, spiegatemi quant'è bello il logo u.u Cioè, io lo adoro letteralmente! Mi da una sensazione di freschezza e libertà, e quando lo vedo nella mia mente compaiono immagini di campi con le balle di fieno, un po' come nel Mulino Bianco... Ahahahahah lo so, non sono normale :D Anzi, vi avviso, se pensavate di seguire la fic, dovrete sopportarmi ancora a luuungo! Tornando al logo, chiederei al pubblico un grande applauso a Linda che ieri pomeriggio ci ha lavorato con impegno e amore <33

Per quanto riguarda il primo capitolo di Ds3, onestamente non è che lo trovi troppo carino, anzi, non mi piace molto... Comunque credo di rifarmi con i prossimi, l'ultimo che ho scritto (il quinto per l'esattezza) mi piace già di più ;D
Il prossimo invece è scritto dalla mia socia ed è di gran luuunga più bello! (sssh, zitta tu! ♥)

Come ultima cosa, ci tenevo a farvi vedere come mi immagino i miei personaggi (e ovviamente non è detto che anche voi li vediate così ^^):
Evelyn
Danny
Katie
(e anche per le immagini si ringrazia la dolce Linda!)

Non saprei cos'altro dire, se non ringraziarvi per la lettura, chiedervi gentilmente (quando avete tempo) di lasciarci una recensione positiva o negativa che sia che non potrebbe farci altro che bene, e salutarvi! Noi torniamo il prossimo week-end con il secondo capitolo :))

 Baciii,
Lalla and Leslie  

PS. Vi siete accorti che abbiamo cambiato il nickname? Altro cambiamento ;D
PPS. Come sono andati i risultati del concorso "Sarete scrittori" per chi ha deciso di partecipare? ^^
   
 
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