Overleven
Capitolo Nove-Laatste Hoop
Kurogane non era certo il tipo a cui piace dipendere da qualcuno per
esistere, del resto era un ninja, e tutti i ninja sanno badare a se stessi senza
pesare su nessuno.
Era capacissimo di occuparsi di sé, come era aveva saputo
badare a quello stupido mago, alla polpetta e a quei due ragazzini.
Ma ora
giocavano a ruoli invertiti, ora la sua vita era nelle mani dello stupido mago,
e non il contrario. Di certo all'inizio di questa sorta di travagliata avventura
non si sarebbe mai aspettato che le cose si potessero rivoltare a quel modo, che
ogni tanto a vita ti lascia gabbato e resti in balia di un mucchio di eventi che
ti sfuggono di mano, Kurogane non credeva di potersi riscoprire a dipendere da
qualcuno. Da qualcuno così, poi, men che meno!
Quel mago aveva destato in
lui, fin dall'inizio, un certo interesse, oltre una certa voglia di scannarlo:
era sospetto e non ci voleva il fiuto di un segugio per capirlo, ma non avrebbe
mai pensato di dover contare su di lui per restare in vita.
Ma in fondo
ammetteva che una piccola, minuscola, e quasi completamente insignificante parte
di lui, indugiava spesso a pensare a quel mago, e certe volte questa sottospecie
di atomo di ego era talmente agguerrita nel sopravvivere da sconfiggere le sue
sorelle che non vedevano l'ora di picchiare quell'imbecille che buttava la sua
vita anche quando le sue speranze non erano finite. Ed era stata quella parte di
lui, che aveva annegato il suo organismo intero in una specie di veleno dolce e
più devastante di quello che ora lo stava portando alla morte, a prendere il
sopravvento a Tokyo, facendolo conseguentemente sentire uno schifo perché quel
mago ingrato lo evitava nemmeno fosse un lebbroso. E sempre quella parte lì, che
a quanto pare aveva lasciato affondare le sue sorelle nella sua personalissima
smielataggine, l'aveva convinto che l'unica cosa da fare era troncarsi un
braccio per portarlo con sé, checché ne dicesse Tomoyo, mica era solo merito
suo!
Seppure avesse accettato, a lungo andare, quella fastidiosa parte di
lui, di certo non avrebbe mai ammesso spontaneamente che non gli piaceva per
niente l'idea di morire senza nemmeno salutarlo. Del resto era stato lui a
costringerlo a vivere, con tutto che non voleva ammettere una qual si voglia
forma di debolezza, Fay non meritava di essere abbandonato anche da
lui.
Aveva cercato di ignorare il più possibile le strane emozioni che lo
turbavano, non aveva mai avuto a che fare con sensazioni simili: era palese,
preferiva più la fastidiosa irritazione che gli provocava il braccio nuovo
impigliato nella sua carne con quei cavi, più che sentire una specie di tifone
nello stomaco, che aveva poco a che fare con la nausea e il vomito.
Morire
per aver protetto chi amava, come aveva fatto suo padre e una buona manciata dei
suoi avi prima di lui, era sempre stata una prospettiva decisamente allettante;
essere interrato nella calda terra di Suwa, a giacere accanto ai resti di sua
madre, a vegliare su di lei facendo le veci di suo padre, con Ginryu accanto,
sarebbe stata una giusta fine per una vita vissuta da guerriero, ma una serie di
eventi lo stava portando a rivalutare un pochettino le sue
aspettative.
Proprio come per lui era risultato complicato lasciare Nihon e
abituarsi a viaggiare in quello strampalato gruppo che più che altro sembrava
una famiglia malassortita alla fin fine, ora per lui diventava complicato sapere
di dover lasciare tutto questo. Aveva faticato a riabituarsi a Nihon perché non
era più quello il posto dove doveva stare ora, non c'entrava solo un fatto di
volontà, piuttosto era proprio un problema di -boh?- bisogno. Era proprio
necessità. Essere interrato nella sua terra, ora, non gli bastava più.
Aveva
cercato di ignorare quel bacio per quanto fosse umanamente possibile, ma si rese
conto che non gli bastava più morire a Nihon. E questa sorta di illuminazione
gli arrivò una notte.
Fuori faceva molto freddo e c'era una pioggia fitta e
battente che tamburellava sulle lastre di legno del tetto, proprio come quella
che per poco non li ustionava a morte a Yama. Lui era riuscito a prendere sonno
malgrado avesse dei dolori che non gli facevano neppure chiudere occhio, ma
c'era riuscito più per scelta obbligata, per non sentire Tomoyo e Souma
compatirlo a morte. Quando si svegliò, in preda a una mezza crisi di dolore, si
ritrovò -con un capogiro di orrore- a lasciar correre la mano destra alle
proprie labbra e l'altra a cercare qualcuno tra le pieghe della coperta.
Per
sua sconfinata fortuna, Tomoyo non era lì, pertanto non poté analizzare la
questione sotto un qualche aspetto psicopatologico, infierendo su di lui più di
quanto non facesse normalmente a suon di compassione. Lui si tirò a sedere
sospirando profondamente.
Per quanto non gli piacesse ammetterlo, -perché
fondamentalmente lui era un ninja, mica una bamboletta!- si ritrovò a pensare
che per un istante aveva voluto ricambiare quel bacio, se ne avesse avuto modo.
Ma per fortuna, tutto sommato nella sfortuna era davvero stato fortunato, Fay
era scappato prima del tempo, prima che lui si mostrasse un ridicolo
sentimentalone, e in fondo Fay non avrebbe mai saputo che forse qualcosina in
fondo in fondo al cuore la provava nei suoi riguardi anche quella parte più
integerrima da ninja che si ritrovava.
Ma ovviamente, ora che si stava
avviando verso la conclusione peggiore per la vita di un guerriero, le sue
priorità stavano cambiando, e pure parecchio! Se all'inizio gli andava pure bene
morire nel suo paese, ora non riusciva a togliersi quel sapore amaro e piuttosto
fastidioso dalle labbra, come se quel bacio gli avesse praticamente aperto gli
occhi e facendolo l'aveva pure lasciato a bocca asciutta, e se quello che
probabilmente nella mente del mago era come un bacio del buongiorno, era suonato
proprio come un addio, e di certo questo non gli sconfinferava più di
tanto.
"Quando una persona del genere ti irrompe così nella vita, non c'è
tecnica difensiva che tenga, è naturale cambiare un po', anzi, forse è
inevitabile" gli aveva detto la sua fastidiosa padrona, quella ragazzina che
parlava come un'ultracentenaria, come una donna dall'aria vissuta, insomma una
che ne ha vista di acqua passare lungo un fiume! All'inizio non ci aveva dato
tutto questo peso -del resto perché doveva pensarci, quando poteva perfettamente
rimuovere il problema prima ancora di assimilare quella stupida frase?- ma ora
si rendeva conto che assieme alle sue priorità era cambiato anche lui. E a
quanto diceva la sua principessa, evidentemente era un naturale processo
biologico, come respirare o defecare -aveva usato proprio questi esempi,
facendolo inorridire, aggiungendo anche un "Beh, che pensi? Anche io vado in
bagno!"-, e quindi non era proprio colpa sua, erano stati gli eventi a farlo, e
la colpa era pure di quello stupido mago!
Morire a Nihon, in un letto,
stroncato dopo mesi da un veleno, più che da una ferita su un campo di
battaglia, era peggio di quanto avesse immaginato, ma non era peggio di sentirsi
davvero poco se stesso.
Era così. Non era tanto il problema che le sue
priorità erano completamente sovvertite, ma soprattutto era che il suo corpo
stava rispondendo sempre di meno agli stimoli nervosi che impartiva il cervello;
che a stento riusciva a gridare perché per fino la voce che graffiava le corde
vocali gli faceva male; che doveva avere a che fare con gli sguardi accorati di
Tomoyo quando lei cercava di aiutarlo a respirare e l'unica cosa che riusciva a
fare era trovare impigliate tra le dita ciocche e ciocche di capelli corvini,
che a quanto pare non avevano intenzione di restare sulla sua testa; e la cosa
peggiore di tutto questo, anche peggio di non sentirsi più Kurogane, era pensare
che se lui non fosse più stato Kurogane, quel Kurogane, allora nemmeno quello
stupido mago l'avrebbe più voluto.
La notte in cui elaborò quest'altra bella
pensata, si girò e rigirò, per quanto gli fosse possibile, tra le
coperte.
Probabilmente Tomoyo -il cui fiuto era degno del miglior segugio di
tutte le dimensioni- aveva già intuito qualcosa, aveva cercato di toccare
l'argomento un paio di volte, ma con scarsissimi risultati: in tutta risposta le
labbra di Kurogane si erano serrate, a trattenere un gemito, e poi le aveva
lanciato uno sguardo strano -così l'aveva definito lei, mentre ne parlava con
Souma- che ovviamente aveva destato sospetti.
Però in un certo senso era
fortunato: per quanto Tomoyo avesse potuto infierire, presto o tardi sarebbe
morto e più che ammettere qualcosa, si sarebbe portato quella catasta di confusi
ma sdolcinati sentimenti nella tomba. Di contro, era convinto che se la sua
principessa avesse saputo, probabilmente oltre a uno sguardo fiero e contento
perché in fondo, ma neanche tanto in fondo, a lei questo genere di sdolcinatezze
piacevano da morire, gli avrebbe pure sferrato uno scappellotto in testa perché
lui non aveva risposto al bacio. Cosa che presupponeva anche un minimo
coinvolgimento da parte sua! Inaccettabile davvero, soprattutto perché mica se
lo meritava un buffetto lui, che già era stato gabbato da quello stupido mago,
questa era un'onta ben più grande di un colpetto sulla nuca, anche perchè mica
sarebbe stato il primo schiaffo che Tomoyo -che, di suo, non è che non fosse
manesca, anzi!- gli sferrava per redarguirlo.
Inoltre, plausibilmente, non
avrebbe nemmeno avuto abbastanza energie per risponderle, un'occhiata era più
che sufficiente.
Mentre sciorinava occhiate eloquenti e lo imbottivano di
oppioidi e intrugli per non fargli sentire troppo dolore, si rese conto che
oramai stava tirando avanti ogni giorno con la voglia di rivedere il mago, ma
non per picchiarlo -non solo, almeno-, e ne restò sconvolto, tanto che nemmeno
con una doppia dose di etere riusciva a perdere i sensi.
Che quell'imbecille
fosse diventato la sua ragione di esistere? Nah, non poteva essere una
sdolcinatezza simile! Cavoli, lui era un ninja, mica una bamboletta! Eppure era
strano, perché quando si toccava le labbra -era diventata una specie di
consuetudine dopo quella notte passata insonne- si sentiva poco poco meglio, e
ogni volta che chiudeva gli occhi distingueva chiaramente una massa enorme di
capelli biondi.
Probabilmente è morto, pensò l'ennesimo giorno senza
notizie. Sapeva bene che quel mago esasperava un fare fin troppo estroverso,
quando estroverso non lo era affatto, e di certo se ne sarebbe andato
silenziosamente, in punta di piedi, non come gli aveva sconvolto la vita
irrompendo con un sorriso falso e con un nomignolo inutile urlato con un tono
che di virile non aveva niente. L'espressione che gli si era dipinta sul
volto quel giorno, di certo non era il sorriso della Gioconda di Leonardo da
Vinci, per cui Tomoyo e pure Souma erano tornate all'attacco, e per evitare le
loro domande si era finto addormentato ed effettivamente si era poi
addormentato.
Ma con un peso simile sul cuore fu piuttosto difficile sognare
unicorni rosa, farfalline blu e cuoricini dorati -ehm volevo dire scannamenti,
omicidi e massacri, ovviamente, che andate a pensare?- invece, con la sua povera
testolina malconcia e un pochettino devastata non solo dagli oppiacei ma anche
dal fatto che i nocicettori non la smettevano di prendersela coi tre neuroni che
avevano stoicamente resistito fino all'ultimo, non sognò affatto, si ritrovò ben
presto con gli occhi fissi sul soffitto.
Cavoli! Lui era un ninja, anzi, il
ninja più capace del Giappone, era addestrato a dormire anche in piedi se si
fosse presentata tale necessità, e ora faticava a dormire?! No, decisamente
impensabile, non poteva essere così, eppure per quanto gli fosse possibile, si
rigirò alternativamente su un fianco e l’altro senza riuscire ad addormentarsi
nuovamente.
Eppure non faceva poi così male, si ritrovò a pensare che si
aspettava di peggio: dormiva ogni giorno di meno, i dolori erano tanto forti da
tenerlo sveglio ma inghiottiva la pillola, non urlava, probabilmente perchè ora
gli mancava anche la voce, però le poche volte che dormiva era un sonno
profondo.
Certo, le sue condizioni fisiche erano tutto fuorché migliorate,
pertanto Tomoyo, per quanto sadica potesse essere, aveva preso le giuste
distanze da lui, aveva smesso di infierire sul suo più che pessimo umore e sulle
sue crisi di dolore che avvenivano sempre più spesso.
Da quando aveva
ricominciato a muovere il braccio, il suo organismo aveva smesso di lottare
contro le tossine. Ora che il suo braccio rispondeva quasi interamente ai
comandi dei nervi motori, il resto del suo corpo si era arreso, era
completamente paralizzato a letto: per lenire i dolori che lo tenevano sveglio
il più delle volte gli facevano inalare estratti di oppio misti ad etere e gocce
di cloroformio; quel che mangiava -vale a dire poco più di due cucchiai di riso
ogni tre giorni, più un paio di cucchiai di brodo ogni sera-, restava nel suo
organismo per poco, pochissimo, vomitava quei due cucchiai di brodo o li
espelleva in quella sottospecie di pannolone che gli avevano messo, perché sì,
per calpestare ancora di più quel po’ che restava del suo onore, gli avevano
pure infilato un maledetto pannolone.
Un pannolone! Ecco, sì, non è che
facesse solo male fisicamente, anche perché lui era allenato a ignorare quasi
del tutto il dolore, ma era la sua dignità a risentirne di più. Faceva tanto,
troppo male, maledizione! Lui non era certo il tipo da lamentarsi inutilmente,
anzi, il suo orgoglio lo portava a zittire i gemiti e a ringhiare piuttosto che
ammettere di essere debole, anche se il dolore era talmente forte che gli
provocava vere e proprie scariche di dolore -a base di scosse e fremiti
percorrevano tutto il suo corpo, tanto da confondergli la mente e offuscargli la
vista-, c’era dell’altro. La cosa che più lo infastidiva -ed erano parecchie le
cose che gli facevano saltare la mosca al naso, un tempo-, era che adesso si
sentiva una sottospecie di uomo, un uomo a metà, ed era questo che gli faceva
più male. Non era più un ninja perché morire a quel modo non era degno di un
ninja, e neppure rivalutare le proprie priorità e sovvertire di sana pianta le
tre o quattro consapevolezze che aveva era molto da ninja.
Sapeva
perfettamente, forse era la quarta o quinta dozzina di volte che Tomoyo glielo
ripeteva, che non era sbagliato cambiare, non era certo un crimine, del resto
mica l'aveva scelto lui, però si sentiva comunque un uomo a metà.
E non era
solo perché non era più un ninja, a suo personalissimo avviso, piuttosto perché
non sapeva più cos'era. Kurogane era stato il ninja più forte del regno del
Giappone, molte generazioni l'avrebbero ricordato così, gli aveva detto più
volte l'imperatrice, ma oramai lui non era più quel Kurogane. Era solo un altro
Kurogane, sembrava più che altro un caso di omonimia, lui era più vecchio,
stanco e rammollito che altro. Una vera vergogna, un disonore per suo padre e
tutto il resto dei suoi avi. Eppure aveva scelto lui quella fine, aveva scelto
lui di proteggere quel mago imbecille, la polpettina e il moccioso, e non
lo rimpiangeva affatto. Che fosse diventato più maturo?
Si rigirò ancora e
ancora nel letto, possibile che un maledetto bacio, non richiesto peraltro, lo
facesse sentire così? Perché non permetteva di dormire a lui che era programmato
a dormire anche su uno sgabello traballante? Perché lo costringeva a rivalutare
le tre consapevolezze e mezzo che gli erano rimaste? Era solo un bacio, un bacio
vigliacco e inutile! Un bacio che avrebbe necessitato una seria spiegazione. Era
del tutto irrilevante, un bacio talmente inutile ed irrilevante da non meritate
tutta l'attenzione che aveva avuto, da non meritare di perderci il sonno!
Era
uno stupido bacio, stupido quanto quel maledetto mago.
Mentre cercava di
prendere sonno, provò a concentrarsi sul suo respiro, trovando un modo più o
meno indolore per ventilare, sarebbe riuscito a dormire beatamente.
Si
ricordò crudelmente, senza nemmeno soluzione di continuità che aveva passato
buona parte di quella maledetta notte a sentire quel mago respirare accanto a
lui. Mentre Fay dormiva, il suo sguardo aveva indugiato per ore su quel corpo
tanto magro da sembrare così fragile. Non l'avrebbe ammessi neanche sotto
tortura, ma sentirlo respirare lì accanto a sé l'aveva fatto sorridere. E non
avrebbe neppure mai ammesso che conosceva perfettamente quel suo respiro, due
lievi tremiti per prendere l'aria, inalandola poco e poi sospirandola a lungo,
il classico respiro di chi nella fase REM ci entra solo quando è completamente
devastato dalla stanchezza. E Fay nemmeno così riusciva a dormire, con tutto che
era ferito, non dormiva bene.
E anche quella volta, quando l'aveva guardato
dormire così vicino a lui, quando si era ritrovato a pensare che era la prima
volta dall'inizio di quel viaggio che dormivano tanto vicini, anche quella volta
non sembrava dormire bene, profondamente.
Sì, quella era proprio la prima
volta che gli dormiva vicino quasi di sua spontanea volontà. Anche quando si
trovavano a corto di soldi, accanto a Kurogane dormiva Shaoran, e tra di loro la
polpettina, a fianco al moccioso c'era Sakura e poi Fay, in un angolo remoto del
letto, il più lontano possibile da Kurogane, come a farlo a posta.
Lui lo
riconosceva subito il respiro del mago quando dormiva, anche perché quello di
Mokona era pesante, anche se a guardar bene il naso non l'aveva nemmeno, quello
del ragazzo era a brevi scatti, come agitato quanto il suo sonno, anche se non
si metteva a scalciare come Sakura e ruzzolare tra le lenzuola, e lei respirava
e mugugnava rumorosamente, roba che uno che soffriva d'insonnia avrebbe fatto
fatica a dormire ancora di più.
A tutto questo aveva pensato mentre quel mago
dormiva. Eppure il suo sonno non sembrava così agitato come il suo respiro
faceva presagire. In un certo momento gli era balenata nella mente ormai quasi
dedita a delirare, l'idea decisamente malsana di essere lui il materasso sul
quale quel corpo gracile si accucciava, e magari l'incavo tra la sua spalla e il
suo collo poteva fargli da cuscino, come era stato a Tokyo. Poi rinsaviva piano,
con calma, era così triste vedere una persona abbracciarsi un cuscino e vi
affondava il viso completamente, soprattutto per chi non aveva problemi a
dormire.
Aveva finto di addormentarsi quando l'aveva sentito gemere appena e
mugugnare: lo faceva sempre prima di svegliarsi.
E poi all'improvviso s'era
sentito quelle labbra tiepide sulle sue.
Erano davvero così le sue
labbra?
Gli parve un bacio disperato, come un addio e quando aprì gli occhi,
quelli di Fay, che erano davvero molto vicini ai suoi, erano gonfi
lucidi.
Giunse all’amara conclusione che si trattava di un addio. Un addio
muto, anche se doveva essere Kurogane a rispondere di un qualche addio, a rigor
di logica, era lui che doveva salutarlo, non quel mago, era stato l’imbecille a
fare tutto di testa sua, come al solito. E ora per colpa di quell'imbecille di
un capoccione biondo doveva sopportare gli sguardi accorati della sua
principessa che non capiva perché era “depresso”, a detta sua, le occhiate di
una Souma che a quanto pare la sapeva lunga, e la sua imperatrice che cercava di
farlo parlare in qualche modo, ma senza riuscirci.
Sicuramente Tomoyo era
arrivata prima di quelle altre due alla fonte di quel malessere, anche perché
ultimamente stava facendo troppi discorsi parafilosofici che però non è che lo
esortassero più di tanto a parlarne con lei, ma ormai Kurogane si sarebbe
portato nella tomba i motivi di quell’espressione più cupa del solito e avrebbe
passato anche la pace eterna a girarsi e rigirarsi nella sua bara, a perdere il
sonno pure da morto, perché in fondo al cuore sapeva che avrebbe lasciato quel
mago a breve.
Si rigirò per l’ennesima volta nel letto, trovandosi prono,
intrappolato nella coperta che a forza di girarsi e rigirarsi gli si era
attorcigliata intorno, affondò la faccia nel cuscino con un sospiro. Stava
esagerando, non poteva perdere il sonno per una cosa del genere, era un bacio
inutile: il mago aveva evidentemente travisato la sua richiesta di un saluto
vero e proprio, mica gli aveva chiesto “Ohi, prima di andare, mi baceresti?”, lo
testimoniava anche il fatto che gli aveva effettivamente fatto un agguato mentre
dormiva, e quindi oltre ad essere stato inutile era anche decisamente vile. Però
che ci si poteva aspettare da un mago imbecille come quello lì? Del resto non è
che fosse un esempio di coraggio e rettitudine morale, anzi più debole di lui
giusto un neonato anemico e prematuro. Una cosa del genere non meritava proprio
che qualcuno ci perdesse il sonno, men che meno qualcuno come lui!
Si
concentrò di nuovo sul suo respiro, cercando di non pensare ad altro fuorché al
suo respiro, doveva dormire, almeno così Tomoyo non avrebbe potuto sbuffare una
qualche lamentela riguardante il suo viso sbattuto.
Nuovamente però si
ritrovò con gli occhi spalancati sul tessuto bianco che costituiva la federa del
suo guanciale. Avrebbe lasciato quel mago a breve. Possibile che la sua testa
avesse deciso di non dargli pace nemmeno quella notte? Non è che chiedesse
tanto, voleva solo dormire, lui! Il suo cervello aveva deciso di rompergli le
scatole tutta la notte, come se non gli bastassero i dolori e le perle di
saggezza non richieste che sciorinava Tomoyo tutti i santi giorni, ora ci si
mettevano anche quei quattro neuroni in croce che gli erano rimasti.
Però, in
fondo, era vero e lui lo sapeva bene. Quel mago era il tipo di persona che una
volta rimasta sola cerca un modo di crepare, ma senza riuscirci si chiude a
riccio e continua ad esistere nei secoli dei secoli.
Che cavolo di situazione!
Avere un altro attacco lì voleva dire morte, non solo per lui, ma
soprattutto per Kurogane.
In altre circostanze, se lui fosse morto, il
problema non si sarebbe posto, invece non c'era solo la sua vita in ballo, c'era
anche la vita di Kurogane. Tutta questa situazione era assurda! Lui che aveva
capito solo con molta calma quanto valesse la propria vita, aveva la vita di una
persona, anzi, di quella particolare persona, in mano.
Nonostante si fosse
impegnato davvero tanto, non sapeva se a Kurogane e anche a lui stesso, di
conseguenza, restasse più di qualche giorno. Sarebbe stato davvero patetico se
lui fosse stato davvero molto vicino a una cura, se avesse usato tutte le
energie a sua disposizione, se avesse sputato copiosamente sangue in ogni mondo
o quasi, e poi Tomoyo l'avesse chiamato dicendogli che sarebbe stato carino
vederlo al funerale, magari.
Sotto un certo punto di vista aveva salutato
Kurogane, gli aveva detto addio a modo suo, con quel bacio, anche se
effettivamente avrebbe fatto meglio a non farlo o almeno a dargli modo di
rispondere, anche con un insulto andava bene, bastava una risposta, una
qualunque. Però, ripensandoci, era meglio non sapere, perché se Kurogane se ne
fosse andato prima del tempo allora anche quel poco che sarebbe riuscito a
vivere lui, sarebbe stato un’agonia in piena regola.
Prese a rovistare
spasmodicamente in una delle tasche del cappotto, a cercare qualcosa.
Nell'ultimo mondo quasi ospitale che aveva incontrato, un erborista di nome
Hisui, gli aveva detto che lui era in grado di estrarre un antidoto da quella
pianta, ma che nel suo mondo quelle piante non crescevano in quel periodo
dell'anno. Per cui il piano era trovare quella pianta e portarla a Hisui. Il
tale moro che viveva con l'erborista, che anche a una prima occhiata si capiva
benissimo che si trattava di molto più che un coinquilino, gli spiegò come
trovare quella pianta, si era anche scritto una specie di appunto, visto che le
cose da ricordare erano davvero troppe.
Hisui gli aveva anche dato una
medicina in grado di calmare la tosse, solo che una volta presa si sentiva molto
debole e tra le altre cose non placava più di tanto l'emottisi, per cui cercava
di farne a meno.
In effetti erano stati molto più che amichevoli, Hisui
l'aveva raccolto dopo che una crisi l'aveva ridotto allo stremo, e l'aveva
imbottito di medicinali per farlo sentire meglio, anche se Kokuyo, quello che
coabitava con l'erborista, aveva capito alla primissima occhiata che il suo
problema non era curabile con un qualche intruglio medicamentoso, ma almeno con
quelle medicine la tosse e il reflusso di sangue che gli invadeva la gola
sembravano un po' sopirsi.
Inghiottì due pasticche accompagnandole con una
specie di sciroppo con uno strano retrogusto inquietante di eucalipto.
Ci
mettevano poco a fermare la tosse, mentre la controindicazione arrivava poco
alla volta, per cui, una volta si avesse smesso di tossire, avrebbe potuto
cercare la pianta, poi accamparsi e quindi lasciarsi sopraffare dagli effetti
collaterali che quello sciroppo e quelle pasticche avevano.
La debolezza, i
crampi, il sangue che gli ribolliva in corpo, non erano niente. Aveva cominciato
a ignorare quella serie di effetti, aveva provato a convincersi che non erano
altro che una serie di illusioni, non erano niente, non esistevano. In effetti
ci era quasi riuscito le prime volte, ma quel genere di tecniche motivazionali
non erano poi così tanto utili, era molto meglio ripetersi che quei dolori che
sentiva lui non erano niente rispetto a quanto potesse soffrire
Kurogane.
Sapeva bene che lui gli avrebbe risposto che stava bene, non era il
tipo da lamentarsi, nemmeno in punto di morte si lamentava, lui, però l'aveva
visto così abbattuto quel giorno. Ma non poteva nemmeno farglielo presente, gli
era bastato vederlo così per essere quasi motivato.
Era ripartito pentendosi
subito di quello che aveva fatto.
Lui che aveva cercato in tutti i modi di
evitare legami con chiunque si mettesse sulla sua strada, e aveva provato a
dimenticarsi che tutto sommato il suo cuore batteva malgrado tutto, e che
probabilmente avrebbe reagito malissimo se le consuetudini di un tempo fossero
state cancellate all'improvviso, era proprio l'ultima persona al mondo che si
sarebbe aspettata di fare una tale cavolata.
Eppure non aveva mai negato in
alcun modo quella certa attrazione che lo legava profondamente allo shinobi,
certo, per lui era una cosa decisamente a senso unico, per quanto fossero
eloquenti quegli occhi cremisi quando si posavano su di lui, per quanto gli
piacesse credere che un giorno gli avrebbe chiesto di restare con lui a Nihon,
ma di certo non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a coprire con la sua bocca
quella ferrosa e secca del moro.
Non aveva mai negato a se stesso
un'occhiatina languida in più a indulgere su quel bel fondoschiena o su quel
viso affilato, ma credeva di avere la forza di tenere questi sentimenti a
freno.
Aveva sempre cercato di tenersi lontano dai sentimenti che l'avrebbero
logorato, eppure sentiva che la sua vita ora apparteneva a Kurogane. Ma non come
presumeva appartenesse a suo fratello, di certo non si sarebbe presto vestito di
nero con un coprifronte o avrebbe preso a breve il suo nome, ma anche al costo
di sembrare ridicolo, sarebbe stato al suo fianco, prendendo di petto i suoi
sentimenti, anche a costo di annichilire.
Ogni secondo che passava lontano da
lui, si sentiva morire un po' dentro.
Pensava a Kurogane, a quel bacio col
quale aveva sfiorato le sue labbra riarse dal dolore e dalla sete che sembrava
proprio un bacio del buongiorno, e al fatto che probabilmente gli aveva fatto
più male del buongiorno Kurogane che gli aveva quasi ringhiato contro quando
l'aveva tenuto in vita a scapito della sua di vita. Pensava a Kurogane, a quanto
gli mancasse sentirlo respirare nel letto vicino al suo, mentre dormiva
tranquillo insieme a tutti gli altri e anche a quanto gli avrebbe fatto piacere
sentire uno dei suoi scappellotti sulla nuca quando diceva una di quelle
cavolate che lo facevano alterare. Pensava a Kurogane, agli altri nomignoli che
gli voleva affibbiare, al suono che faceva quando puliva accuratamente la sua
spada, la sera. Pensava a Kurogane e al suo profumo, non a quello del suo sangue
caldo, ferroso e dolciastro, era proprio il profumo della sua pelle, un odore
morbido eppure spigoloso, pungente, caldo e forte, maschio. Pensava a Kurogane,
tutto il giorno, pensava al fatto che plausibilmente non avrebbe mai trovato
modo di salvarlo e che avrebbe convissuto con quel terribile senso di colpa e di
incompletezza per quel poco che restava della sua vita.
Così, quando arrivò
in fondo alla lista dei paesi da visitare sulla guida botanica, ormai non
sperava più di riavere il Kurogane forte e sano di tanti mesi prima al suo
fianco.
Inoltre, anche se avesse viaggiato più a lungo, plausibilmente il suo
fisico ne avrebbe risentito ancora di più. Il sangue che sputava ogni volta era
sempre di più, ogni cellula del suo corpo bruciava e sembrava che i suoi organi
stessero friggendo e diventando più o meno simili a un pezzetto di
carbone.
Quando arrivò in quel paese che custodiva la sua ultima speranza,
pioveva e c'era un vento talmente forte da non permettergli di tenere gli occhi
aperti.
Sentiva il sangue gonfiarglisi in gola e ribollirvi, lo stomaco che
gorgogliava e il cuore che rimbombava nella cassa toracica.
Se fosse svenuto
lì, se si fosse sentito male lì, plausibilmente avrebbe dovuto convivere solo un
paio d'ore col senso di colpa e sarebbe morto di stenti lì, prima di
Kurogane.
C'era di buono che probabilmente l'altro non l'avrebbe lasciato
solo più di tanto.
Si ritrovò carponi con le mani davanti alla bocca, ma a
poco valsero per bloccare l'ingente fuoriuscita di sangue.
Cercò di
orientarsi, dagli appunti che aveva, doveva cercare una montagna e
salirvi.
Adocchiò una montagna all’estremità opposta della valle, e si
incamminò per raggiungerla.
Più camminava, e più gli pareva che il sentiero che aveva preso non sarebbe
mai arrivato in cima alla montagna, ma ci girava solo attorno, facendolo restare
sempre alla stessa altezza o quasi. Era già la seconda volta che gli pareva di
aver incontrato una pietra liscia e lucida, marchiata dall’usura della pioggia e
dal muschio. Ed effettivamente era così, stava solamente girando attorno alla
montagna, e a lungo andare si sarebbe ritrovato a camminare di nuovo nella
valle, in mezzo a quelle che avevano tutta l’aria di essere delle risaie, che
aveva abbandonato poco prima.
Decise che ormai doveva arrampicarsi,
noncurante del fatto che plausibilmente con quella pioggia e quel vento sarebbe
precipitato e si sarebbe allegramente sfracellato al suolo.
L'ultima volta
che il signor Kokuyo era andato alla ricerca di quella pianta era finito in un
rovo, e il
signor Hisui, che gli aveva raccontato la storia, aveva passato
tutta la intera notte a medicargli le ferite, ma si parlava di anni ed anni
prima. Si era fatto spiegare da loro in quali luoghi cresceva quella pianta e
come l'avrebbe riconosciuta, e si era fatto prestare una corda e uno zaino per
recuperarla, un paio di guanti per maneggiarla e una mascherina. Ma quelle erano
solamente precauzioni, l’erborista l'aveva rassicurato, quella pianta solo a
contatto con i metalli cominciava ad emettere spore nocive, e inalandole non
sarebbe di certo morto, e comunque le spore le emetteva spontaneamente solo in
periodo di fioritura, quando non era più possibile estrarre l'antidoto. Allora
usò la corda per aiutare l’arrampicata, imponendovi un incantesimo in modo tale
da farne raddoppiare la lunghezza e da assicurarla a un albero che scorgeva a
stento da dove si trovava lui. Non voleva rischiare nell’usare i suoi poteri per
facilitarsi la vita, del resto poteva sempre avere un altro sbalzo di energia e
precipitare giù.
Prese ad arrampicarsi e cercò di ripetersi di non guardare
giù, di fare attenzione a dove metteva i piedi e a cosa si aggrappava, la corda
legata al petto e alla vita avrebbe evitato che il burrone che lo attendeva a
fauci spalancate sotto di lui, se fosse anche solo scivolato con un piede, lo
inghiottisse per sempre. Di certo l’acqua non aiutava granché, la pioggia
batteva con insistenza, sembrava che quello dovesse davvero essere l’ultimo
giorno sulla terra per lui, anche le calamità naturali ce l’avevano con lui. Per
aggrapparsi meglio piantava le unghie nella roccia per evitare che i palmi
scivolassero sulla parete umida della rupe scoscesa.
Quando era oramai arrivato in cima al picco, infatti quelle piante crescevano
solo in posti chiaramente inospitali, con tutte le mani ferite, arrancò per un
momento. Aveva sete, la testa gli girava per lo sforzo e le gambe gli tremavano
da impazzire, come se i dischi cartilaginei fossero di burro, stava cominciando
a risentire degli effetti dei medicinali di Hisui.
Si aggrappò a un tronco di
un albero e inalò a fondo a occhi chiusi. Doveva resistere, vincere la
sonnolenza, la sete e la tremarella, era arrivato lassù -anche se non era del
tutto certo che avrebbe trovato la pianta., ma non poteva mica morire
ora.
Sentì un odore strano, lo stesso odore, gli aveva detto Kokuyo, delle
giornate di pioggia quando la terra si inzuppa d'acqua e diventa fango misto a
muffa e uovo sodo. Ora, non è che fosse stato fortunatissima tale descrizione,
visto che l’odore della terra inzuppata d’acqua era ovviamente dato dalla
pioggia che continuava a battere con una certa insistenza, però nell’aria c’era
odore di uova sode e muffa. Si doveva far guidare da quell'odore, seguirlo e se
avesse trovato una grossa roccia carsica bianca, luccicante, avrebbe trovato
quello che cercava.
Si staccò dall'albero e cercò di fare luce su quel
sottobosco fitto e buio con un incantesimo.
Quando riuscì a rischiarare la
terra su cui camminava, cominciò a seguire le tracce.
Kokuyo gli aveva detto
che nelle vicinanze di quella pianta non crescevano altro che licheni, ma le
rocce carsiche che ne nascondevano le radici erano bianche. Si guardò attorno,
l'olezzo era sempre più forte, ma c'erano ancora dei plantigradi a foglia larga,
delle specie di palme da dattero grandi e gonfie, che rimestavano nel buio una
strana varietà di resina viola acceso e corrodevano il terreno attorno a loro
tanto da non far crescere nemmeno un filo d'erba.
Fece un altra quindicina di
passi prima che qualcosa si avventasse sul suo collo, graffiando e mordendo a
sangue.
Lasciò correre entrambe le mani a staccare quella cosa mostruosa dal
suo collo, non risparmiandosi neppure un gemito di dolore.
Era una sorta di
topo dai denti lunghi e neri, col pelo maculato e le orecchie lunghe da coniglio
tirate oltre la testa, e in paio d'ali implumi, che parevano fatte
d'osso.
Fay gemette con più forza e tartagliò un incantesimo che lasciò lì in
terra stecchito il suo piccolo aggressore, non poteva morire proprio ora che era
a un passo dalla cura.
Il sangue che gli usciva dal collo era moltissimo,
cercava di fermare l'emorragia con le mani umidicce e ferite, sporche di terra e
peli di quella bestia, ma gli fregava davvero poco.
Altri due passi, poco
oltre una roccia coperta di erbetta bassa e terriccio e le vide.
Sette
pietre bianche e porose che luccicavano alla luce del suo incantesimo. Lui vi si
avvicinò traballando con le mani che tremavano e gli occhi gonfi.
Si
inginocchiò accanto alla pietra più grande e vide come dei piccoli mirtilli
tondi, gonfi e lisci. Kokuyo si era raccomandato di prenderne più o meno tre
dozzine, poiché da quei frutti, Hisui avrebbe estratto il succo e quindi avrebbe
miscelato l'antidoto.
Li sfiorò con cura e li lasciò cadere a due a due nella
busta di carta che era ripiegata nella tasca davanti dello zaino. Poi avrebbe
dovuto portare con sé la pianta intera, perché dalle radici avrebbe Hisui
avrebbe distillato della linfa che avrebbe facilitato la guarigione di Kurogane
sfruttando le capacità del sangue che Kamui aveva mescolato col suo.
Avrebbe
anche dovuto prendere gli oli che quella pietra bianca trasudava, per fare da
base al suo antidoto e per poterlo medicare a regola d'arte, bisognava grattare
via un po' di calcare dalla superficie e rovesciare il tutto in una piccola
ampolla di vetro che si sperava fosse arrivata indenne fino a lì.
Con una
piccola paletta, prese a scavare intorno alla base della pianta, tirandone via
anche la terra che nutriva le radici e la infilò nello zaino da cima a fondo.
Recuperò quello che gli serviva dalla roccia, grattando via un minimo di calcare
dalla parete e ne uscì una sorta di lacrima oleosa e giallognola che scivolò
lungo il collo dell’ampolla, e a poco a poco, una goccia dopo l’altra, riempì
quasi del tutto il contenitore.
Ripose tutto con cura nello zaino,
imponendovi poi un incantesimo di modo che ogni cosa lì dentro non si rovinasse
durante il tragitto per allontanarsi da quelle piante, visto che non sapeva come
si sarebbero comportate se avesse avviato il trasferimento da lì.
S’incamminò
lungo la strada che aveva percorso in precedenza, quando oramai stava
albeggiando, e lo fece con calma e perizia, meglio non dover aver a che fare con
un altro strano animaletto che desiderava succhiare il suo sangue.
Si calò
giù per il burrone con la corda che aveva fissato a un albero col fusto largo e
le radici ben piantate nel terreno. Aveva provveduto ad imporre un incantesimo
che non facesse spezzare in due la corda prima di arrivare a terra.
Ci aveva
messo quasi un giorno per arrivare fino a quel postaccio, la casetta di Hisui e
Kokuyo era situata in una depressione sul fianco destro di una montagna e quindi
anche per tornare ci avrebbe messo più o meno quell'arco di tempo.
Quando
arrivò a terra le gambe gli tremavano, tirò giù la corda con un incantesimo e la
portò con sé, doveva pur renderla ai suoi ospiti, no?
Così alzò due dita e
avviò finalmente il collegamento per tornare indietro.
Il momento in cui Fay si accasciò a terra, fu lo stesso in cui si rese conto
di essere giunto alle pendici della montagna sulla cui depressione occidentale
era situato il villaggio di duecento anime dove vivevano Kokuyo e Hisui.
Era
arrivato. Doveva sopravvivere solo un altro paio di settimane, non di più.
Giusto il tempo di curare Kurogane e riportarlo a Nihon, almeno si sarebbe
salvato lui.
Kurogane gli aveva promesso che sarebbe stato lui ad ucciderlo,
e sotto un certo punto di vista stava mantenendo la sua promessa, ormai ridotto
allo stremo sarebbe morto per averlo salvato.
Doveva solo resistere un altro
po', in fondo Kurogane gli aveva dato molto tempo, gli aveva permesso di cercare
una cura per mesi interi, sopportando un dolore sempre più forte, aveva riposto
le sue ultime speranze in lui che non era altro che un incapace.
Cercò di
rimettersi in piedi, le poche forze che gli restavano sarebbero diminuite sempre
di più, il sangue avrebbe continuato a sgorgare dal suo collo, e la pianta
sarebbe marcita lì, assieme al suo cadavere.
Le sue gambe divennero ancor più
simili al burro e le articolazioni si sciolsero sotto il suo esile peso. Eppure
c'era arrivato così vicino, gli mancava così poco per salvargli la vita, non
poteva cedere adesso. Per quanto Hisui e Kokuyo sembrassero due persone normali,
cioè normali prendendo come stereotipo di normalità Tomoyo, perché tra la sua
schiera di conoscenze era l'unica persona a sembrare normale, oniromanzia a
parte, probabilmente, insieme, quei due erano in grado di viaggiare nelle
dimensioni, data l'energia magica che aleggiava intorno a loro, ma non poteva
chiedere loro anche questo.
Erano stati molto gentili e non poteva
approfittarne. L'avevano accolto in casa loro, l'avevano aiutato, li aveva
disturbati abbastanza.
Riuscì a trascinarsi carponi fino al sentiero che
portava sulla montagna, e cercò qualcosa su cui appoggiarsi, con cui camminare
fino al villaggio.
Trovò un bastone e non si curò di ferirsi le mani con le
schegge che ricoprivano l'intero corpo del bastone.
Era successo così anche
quella volta, quando era arrivato alle pendici di quella montagna pochi giorni
prima, per la prima volta.
Si era sentito male a metà del sentiero ed era
ruzzolato di lato finendo in un fitto sottobosco. L'aveva raccattato Hisui, o
più plausibilmente Hisui l'aveva trovato e aveva domandato se gentilmente Kokuyo
poteva portarlo in spalla, anche se il peso di Fay, che non si poteva
propriamente definire peso, non è che avrebbe spezzato la schiena a Hisui. Era
stato preso in casa di qualcuno come si fa normalmente coi gattini randagi, e in
effetti l'erborista sembrava un po' il tipo di persona che prende gatti randagi
in giro giusto per compassione, e Fay ne aveva avuto la riprova una volta
sveglio, o meglio quando venne forzatamente svegliato dal vocione del signor
Kokuyo che si lamentava del fatto che Hisui non avesse pensato nemmeno un po'
alle sue azioni, avesse deciso del tutto arbitrariamente di prendere in casa due
miciette che, a quanto pareva, si erano divorate l'ultima scorta di radice di
non-so-cosa. Erano dei tipi un po' originali quei due: Kokuyo non sembrava
proprio il tipo di persona dal pollice verde, anzi, tutt'altro, sembrava più che
altro una specie di malvivente di qualche tipo, plausibilmente, redento; mentre
Hisui aveva l'aria di chi ha ormai raggiunto la pace interiore. Erano buffi, non
battibeccavano che per delle frivolezze ridicole, ma sembravano entrambi volersi
molto bene.
Fay si era ritrovato a pensare, mentre spiegava all'erborista la
situazione, che lui con Kurogane non sarebbe mai stato così, o come Yukito e
Touya, insomma era inequivocabile che fossero più che amici. Con orrore, si rese
conto che non poteva di certo pensare a cose simili in quel momento, in primo
luogo perché Kurogane, semmai gli avesse fatto notare una cosa simile, gli
avrebbe ringhiato contro una serie non ben definita di insulti e poi perché
ormai si era convinto che, quella specie di bacio non era niente, era solo una
delle sue tante cavolate, non c'era futuro per loro due.
Arrivò in prossimità
di un bivio che conduceva da una parte in paese e dall’altra al bosco, e le sue
gambe sembrarono ancora più deboli di prima. Si accasciò per strada, proprio
come l'altra volta, ma di certo non era il tipo che a tentare la fortuna due
volte ne esce vittorioso anche la seconda volta.era impensabile, se fosse
ruzzolato giù per il sottobosco i corvi, le marmotte o che cavolo c'era lì a
vivere, avrebbero banchettato con quel po' di carne che c'era attaccata alle sue
ossa, ma non ce la faceva proprio più. Era impossibile, era troppo
stavolta.
Prima di socchiudere gli occhi gli parve di sentire la voce di
Kurogane, di vedere il suo viso alterato a pochi centimetri da lui.
Per un
secondo, prima che la sua mente si offuscasse, si ritrovò a pensare che,
accidenti, allora era proprio vero che la gente vede la persona più importante
quando giunge alla fine della vita.
Eppure, cavoli, c'era arrivato così
vicino!
Mi scuso, scusatemi migliaia e migliaia di volte!
Il capitolo è tremendo, brutto, pesante, insulso e mal reso in italiano. E tra l'altro vi ho fatto penare per averlo, mi odierete, lo so. Ma sentivo il bisogno di indulgere un po' sulla narrazione. Ho esagerato, lo so xD Comunque passo rapidamente ai commenti alle vostre recensioni.
Prima di tutto volevo dirvi, oltre a ringraziarvi, che sono un ragazzo, non una ragazza, è normale cadere in questo tipo di errori, ma comunque volevo farvelo presente.
SakuraX16, grazie, lieto che il capitolo ti piaccia, per cui grazie spero continuerai a seguire la storia ^^
yua, sono contento che ti sia piaciuto, spero di non averli resi troppo assurdamente fuori dal personaggio, anche questa volta xD ti ringrazio molto, hai detto delle cose molto belle, ma davvero anche stavolta devo essere breve che sennò qualcuno (tu) mi uccide se non posto v__v"
Herit, Hericchan *W* ciao *W* ho postato, sei contenta? *fa tanti grattini* comunque probabilmente se avessi diviso il capitolo ci avrei messo di meno a postare xD e così avrei avuto più tempo per rivedere sto capitolo che fa abbastanza pietà, lo so che mi odierai xD e mi dispiace xD però meglio di così non poteva venirmi xD Grazie ancora, Hericchan!
pralinedetective, spero che in tutto questo periodo il mal di denti ti sia passato, e sono lieto che il capitolo ti sia piaciuto, questo temo non incontrerà granché i tuoi gusti, spero mi perdonerai xD Grazie mille!
kiki4ever, lieto che la storia ti piaccia, grazie mille della recensione ho postato un po' tardino, ma spero vada bene ugualmente.
Vado a mettere un elmetto per evitare danni cerebrali gravi dati dalle vostre mazzate xD Grazie di essere arrivati fin qui, spero continuiate a seguirmi ^^
D.