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8 – Revelations
Tra
pochi minuti una guardia mi porterà il
tenente Pierce per un nuovo colloquio. Sono ottimista: hanno detto che
ha
cominciato a parlare, mi sembra già un ottimo passo avanti.
Forse
l’unico se dai Forrest Booth e la
Brennan non trovassero niente.
Ieri
sera, mentre chattavo con Mattie, sono
arrivati i resoconti sui movimenti bancari di Tina e Booth mi ha subito
informato. Io invece ho inoltrato al segretario della marina la stessa
richiesta, ma per il conto di Pierce e poter così eseguire
una verifica
incrociata dei due conti.
Sento
la cella aprirsi. La guardia lo tiene
per un braccio e lo scorta fino alla sedia di fronte a me. Poi
l’agente esce e
si piazza dietro la porta.
Lo
sguardo di Pierce è totalmente differente
dall’ultimo nostro incontro.
Non
c’è più niente in quegli occhi. Sono
rassegnati.
“Tenente,
si ricorda di me? Sono il Capitano
Rabb” chiedo gentile
Pierce
annuisce senza guardarmi.
“E’
necessario che lei mi dica come sono
andate le cose”
Alza
lo sguardo e lo punta nel mio. Gli
occhi sono pieni di lacrime.
“Non
tiri mai più fuori quelle foto” mi dice
con un soffio di voce scoppiando a piangere.
Ora
mi sento in colpa, ma dovevo farlo! So
che dovevo.
“Mi
dispiace per la sua perdita, tenente”
“Non
l’ho persa, resterà qui
per sempre” gettandosi con forza una
mano sul petto.
Io
ti capisco, ti capisco davvero, sono
anche stato al tuo posto, ma tu mi devi parlare!
“Certamente…”
lo assecondo “sappiamo che la
aiutavi a pagarsi l’università, un gesto molto
galante. Non tutti lo farebbero”
attacco infine.
Ma
non sortisco nessun effetto.
“I
genitori di Tina non l’aiutavano?”
Una
smorfia di disprezzo segna il suo volto
per pochi secondi.
“No?
Tenente?” lo sprono
“Quelli
non si sarebbero accorti della
situazione economica di Tina nemmeno se fosse andata in giro vestita di
stracci. Vivevano nell’illusione di avere una figlia chirurgo
che li rendesse orgogliosi,
non si disturbavano a chiedere se le servisse una mano” dice
pacatamente,
dandomi l’impressione di essere assente. Spento.
“Tina
non chiedeva niente?”
“Era
troppo orgogliosa, voleva fare da sola
e non pesare su di loro”
“Però
da te ha accettato dei soldi…”
Mi
interrompe subito però, con una smorfia
“L’ho dovuta costringere…”
Booth
ieri sera mi ha detto che le ultime
due rate della retta risultano pagate in ritardo perciò
è qui che interviene
Pierce e risana il debito.
“Le
sarà costato molto…” estraggo un foglio
dalla mia cartellina “ha fatto molti
spostamenti…” mostrandogli i suoi
movimenti bancari.
“Non
era un peso per me, vivo alla
base…vivevo…” intristendosi, se
possibile, ancora di più
“E
bastavano i tuoi risparmi?” alza gli
occhi spaventato come se avessi toccato un nervo scoperto.
Colpito.
“Tenente?
Ha dovuto cercare i soldi da
qualche altra parte?”
Inutile.
Non risponde più a nessuna domanda.
È chiaramente terrorizzato da qualcosa.
O
da qualcuno.
“Ha
chiesto soldi a qualcuno? Tenente lo
faccia per Tina!”
E
affondato.
Booth
è bravo con le persone? Beh se fosse
qui concorderebbe con me solo guardando lo sguardo che ha assunto ora.
Non sono
più occhi vuoti. Sono pieni di terrore, ora.
Un
tipo di terrore molto comune, purtroppo.
Il
terrore delle persone che finiscono in
mano agli strozzini.
Mi
siedo al nostro tavolo, al Boom
Boom Cafè. Il mio tentativo di variare
locale è stato snobbato, ieri sera, ma non mi do per vinto.
Non
si era nemmeno ancora seduto che già
aveva attaccato a parlare di lavoro.
Non
crederai che me ne sia dimenticato vero?
E
per tutto il pasto Booth ha sviato il mio
sguardo.
Sorseggia
un po’ d’acqua e poi riparte con
la descrizione della loro mattinata.
“Dicevo?
Ah si, perciò capisci? Non solo non
avevano la minima idea di che guai passasse la figlia, ma non si sono
neppure
insospettiti quando un uomo, uno sconosciuto, ha bussato alla loro
porta
chiedendo di Tina”
“Abbastanza
ingenui direi..”
“e
stando a quello che ti ha detto- o meglio
non detto- Pierce, era sicuramente lo strozzino” prosegue
nervosamente.
“Ha
lasciato un avvertimento a Tina: paga o
ci va di mezzo la tua famiglia!”
“E
la loro auto…” risponde distrattamente.
“Come?”
che c’entra l’auto?
“Il
mese scorso i genitori di Tina hanno
dovuto comprare un auto nuova perché quella che avevano
è stata distrutta a
colpi di mazza da Baseball!” mi informa Booth
“E
non hanno sospettato niente?” chiedo
basito
“No,
credono sia opera di qualche vandalo
del quartiere…”
Entrambi
scuotiamo la testa.
“Grazie
al cielo una cosa, però, l’hanno
notata” mi guarda trionfante “il nostro uomo
è claudicante!”
Però,
niente male… quanti mai saranno gli
strozzini che zoppicano a Londra?
Booth
mi vede pensieroso “è un disturbo
della deambulazione che porta a zoppicare” sottolinea
Rido
“Avevo capito, stavo solo pensando che
non ci saranno molti strozzini claudicanti a Londra”
Ora
è imbarazzato “Oh, scusa, io…
è che
Bones l’aveva puntualizzato, allora…”
“A
proposito, dov’è la dottoressa?” chiedo
incuriosito.
“Sta
controllando con gli squints i
registri di
ospedali e farmacie.
Dice che una persona claudicante ha bisogno di molti controlli e di
dosi
massicce di Vicodin..”
Annuisco
“Certo, chiaro. Che è successo ieri
sera?” domando tutto d’un fiato sperando di
coglierlo di sorpresa.
Ecco
che fa lo sguardo da ebete. Mio caro,
sono anni che nego i miei sentimenti, sono un esperto ormai…
“Cosa?
Non capisco…” tergiversa lui
Ok…
“Ieri sera, tu che volevi cenare, io che
propongo il karaoke, voi che date di matto…”
così hai capito?
“Noi..
no, noi non abbiamo dato di matto,
non ci andava e basta…” risponde sempre
più nervoso.
“A
me siete sembrati parecchio agitati”
aspetto inutilmente altre risposte “Booth?”
Lui
prende un grosso respiro. Il suo volto
ora è serio “Mi hanno sparato in un karaoke bar,
l’hanno scorso, ho dovuto
fingere la mia morte per motivi di sicurezza nazionale e Bones non
l’ha presa
affatto bene… diciamo che non è un posto che
amiamo troppo…”
È
ufficiale: mi sento in colpa.
“Io…mi
dispiace, non dovevo insistere…”
Per
un po’ non parliamo, così ho il tempo di
riflettere sulle sue parole.
Si
è dovuto fingere morto. Però, credevo
succedesse solo da noi al Jag…
Immagino
non sarà stata una passeggiata per
la sua collega; non voglio nemmeno pensare a cosa farei io, se ti
credessi
morta, Mac.
Un
brivido mi percorre la schiena e scuoto
la testa per cancellarne il pensiero.
Mi
manchi. Da morire. Ma almeno so che stai
bene. Mattie mi ha raccontato che prendi anche qualche lezione di
surf… mi
piacerebbe tanto vederti!
“Hai
detto che tu e la tua collega siete
stati partners per dieci anni giusto?” mi chiede
interrompendo l’immagine di te
in muta aderente su una tavola, fra le onde.
“Già,
circa…” lo osservo attento.
“Immagino
che sarete diventati amici…”
“Beh,
si. Mac è senza dubbio la mia migliore
amica”
“Una
persona con cui riesci a confidarti e a
dire cose che ad altri non riusciresti mai a dire?”
Credo
di avere capito il punto…
“Se
c’è qualcosa che vuoi sapere, chiedi e
basta” dico sorridendo.
Abbozza
anche lui un sorriso “Voi due siete…
si , insomma…” alludendo con gli occhi.
“Si
e no, direi” più onesto di così non
potrei essere
“Di
solito è o si o no” puntualizza lui
“Se
rivolgessi la stessa domanda a te, in
tutta onestà, non risponderesti la stessa cosa?”
mi guarda come se l’avessi
colto in fallo.
“Si
vede che anche voi… beh per lo meno tu,
confesso che la dottoressa mi risulta difficile da decifrare..”
ammetto ridendo
“Non
sei riuscito a risolvere la vostra
situazione vero? È per questo che non sei felice?”
“Platonicamente,
è stata la miglior relazione
che abbia mai avuto. In realtà… un completo
disastro” scuoto la testa desolato
“Ed è quasi tutta colpa mia…”
“Devi
chiamarla, Harm” mi dice usando il mio
nome per la prima volta “sono sicuro che non aspetta
altro”
Fisso
il tavolo sconsolato. Come se non lo
sapessi…
“Probabilmente
lei ora sta nella tua stessa
situazione. Sta male come te. È questo che vuoi?”
“No,
certo che no. Voglio che sia felice!”
rispondo senza nemmeno pensarci.
“Allora
chiamala e non farla stare male”
dice come se fosse la cosa più facile del mondo
Il
solo pensiero mi rende nervoso: MA COME
CAVOLO SIAMO FINITI A PARLARE DI ME?
“Per
voi c’è una soluzione, ti devi solo
fare coraggio” rigirando il bicchiere tra le mani
“per noi… beh, è ancora
troppo presto…” poi, con un ghigno divertito
“ma non ho intenzione di aspettare
dieci anni…”
Mi
viene da ridere. Felice di esserti da
esempio, amico.
La
dottoressa sopraggiunge all’improvviso.
Nemmeno l’avevo vista entrare!
Resta
in piedi, poggia i palmi delle mani
sul tavolo e ci guarda raggiante. Volta la testa da un capo
all’altro del
tavolo, sorridendo vistosamente. Mi accorgo solo ora di quanto sia
bella.
Guardo
Booth. Spero davvero che a te vada
meglio…
“Allora
Bones? Ci spieghi?” scatta Booth al
quarto sorriso della collega. Forse anche un po’ innervosito
per la nostra
conversazione. Se la dottoressa fosse arrivata qualche secondo
prima…
“Risultano
solo una ventina di persone claudicanti a Londra” esordisce
soddisfatta
Io lo
sono un po’ meno, speravo in soli due o tre casi.
Booth la
guarda di sottecchi come se si aspettasse dell’altro, infatti
la dottoressa
coglie la sua occhiata e prosegue “otto di queste sono in
prigione, cinque
lavorano all’estero, sei sono anziani residenti in case si
riposo”
Booth
ora le sorride radioso “Ne resta uno, Bones. Ce
l’hai fatta, l’hai trovato!”
Si
alza e le da il cinque, poi si ricordano
di me e si risiedono, imbarazzati.
ANGOLO
DELL’AUTRICE:
Allora
ragazze mie, rettifico, mancano 2
capitoli più l’epilogo alla fine!!! Scusate
l’errore..XD
Che
mi dite di questo capitoletto??? Spero che
vi piaccia come gli altri!!!
Alla
prossima!!!! XD
Buona
lettura,
Ivi87