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Autore: Melaswe    24/05/2011    0 recensioni
Sono come vecchie foto sfiorate, riviste e rivissute. Hayden e Kaycee, sono ritratti della vita di ciascuno dei due, messi da parte e destinati poi ad essere ripresi quasi a caso, senza nemmeno accorgersene immediatamente. Sembravano destinati a chiudere il capitolo con quel semplice interrogativo, lasciato in sospeso per anni e chiuso in un cassetto senza chiave. Ma una delle solite sviste di lei, un flashback nel passato, un ritorno a quanto era bello essere il ragazzino innocente e la scapestra, gli amici di sempre. Un'amicizia iniziata per caso. Ripresa per caso, in un vortice di situazioni teneramente comiche. A volte, dicono che un bacio dice tutto, ma pochi secondi dopo essermi ricomposta, preferii aggiungere altro: - Idiota - ( Cit. I capitolo )
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Credo negli imprevisti,
credo nelle giornate storte,
credo in quegli attimi in cui,
in una frazione di secondo,
tutto può cambiare.




Un piccolo scatto, al giro di chiave, mi avvertii di aver definitivamente chiuso la porta blu del 28 Lincoln's Inn fields, nel pieno di Camden Town, Londra. L'amica con cui condividevo casa era fuori, da quello che ne so, per una vacanza con il futuro marito. Sposarsi a 25 anni, uno spreco a mio parere. Dedussi perciò che al ritorno, sarebbero direttamente andati a vivere insieme e non era il caso di lasciare casa non chiusa a chiave. Manovrai con il mazzetto pieno di piccoli peluche, stretto nel palmo della mano destra, mentre lasciai scivolare le iridi sui contorni della porta.
Con la sinistra, quasi in un gesto involontario, toccai qualcosa di cartaceo all'interno della tasca della giacca beige.
Altri secondi di riflessione, prima di tornare con i piedi per terra, in una realtà in cui ero in ritardo - come al solito daltronde - perfino per la svolta della mia carriera giornalistica. Afferrai il manico dell'enorme valigia fucsia, mi imposi tutta la forza di volontà che ero capace di infondermi e salii sul taxi, precedentemente chiamato. Ne sbattei lo sportello con decisione, nel mentre avevo stampato in faccia, un enorme sorriso.
- areoporto di Heathrow, grazie - suonava talmente bene che mi ricredetti sulle iniziali titubanze.
L'autista, un uomo che probabilmente aveva almeno dieci o quindici anni più di me, si girò.
- certo signorina - annui, tornando poi a rivolgere la totale attenzione sulla strada. Pochi minuti dopo accese la radio, chiedendomi cortese se la cosa potesse creare fastidio o meno. Ma figuriamoci, stava parlando con una ragazza che alle cinque del mattino, era capace di svegliare tutta la via a suon di musica ad alto volume.
- viaggio di piacere? - intonò lui, lo sguardo sempre puntato sulla via che scorreva a macchia d'olio. Nemmeno l'ombra di un possibile traffico. Sorrisi e notai che buttò uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Si poteva definire di piacere?
- diciamo pure così, sono stata raccomandata in una redazione estera - favellai soddisfatta, sistemandomi per bene la sciarpa candida intorno al collo, finendo per continuare a chiacchierare con lui, fino a quando non mi ritrovai davanti all'imponente aereoporto. Faceva davvero un certo effetto. Inoltre, avevo impedito ai parenti e agli amici di venirmi a salutare, ma da loro potevo anche aspettarmi un bello striscione a sorpresa con scitto " torna presto ", altro motivo per cui preferii non guardarmi in giro e correre all'interno del complesso.
- undici meno dieci, accidenti - borbottai, trascinando la valigia fino al check-in e tutto il resto.
Il volo era previsto per le undici precise ed in extremis, riuscii a varcare il tubo diretto verso l'aereo. Avevo allungato alla hostess di volo - in un gesto noncurante e distratto - il biglietto che tenevo nella tasca della giacca. Fu un peso in meno, sentirne l'assenza della metà, ed in totale impiegammo solo qualche ora di viaggio, che passai rigorosamente sprofondata tra le pagine di uno dei tanti libri che mi ero trascinata da Londra. Una volta uscita dall'aereoporto americano, inspirai l'aria pungente, volgendo lo sguardo attorno a me.
- si ricomincia - bisbigliai, divorando con l'attenzione i palazzi enormi e luccicanti. Afferrai il pezzo di bigliettino rimasto, ponendo davanti al mio sguardo.
- S. Francisco - recitai senza rendermene immediatamente conto.
America. Ah, trovarsi in America. Un sogno, ma non era quello il punto. Un dubbio mi percorse i canali neurologici.
Senza pensarci due volte, afferrai il cellulare e composi - litigando con i tasti del touch screen - il numero di Josephine, che ci mise cinque buoni minuti per rispondermi, ed in quell'arco di tempo, compresi di avere un vasto vocabolario di imprecazioni.
- Josy! - esclamai nel panico totale.
La voce metallica invece si limitò a sospirare - si, stai calma, allora.. - piccola pausa per poi ricominciare - in ufficio ti hanno dato il biglietto sbagliato, io ho quello per Los Angeles. Il capo ha appena avvisato l'editoria - beata lei che suonava cosi calma, mentre dal canto mio, riuscii a dischiudere le labbra e a non pronunciare nemmeno una delle tante belle paroline delicate che avevo appena scoperto. Peccato.
- Facciamo a cambio okkay? - trillò la mia collega dall'altra parte dell'apparecchio - A loro non fa differenza - a quest'ultima affermazione, mi fece venire una voglia tremenda di pestare i piedi contro il pavimento asfaltato, ma limitai il tutto, ad un'alzata di iridi al cielo, con tanto di mano su di un fianco - A me fa differenza! - e ovvio, gridai - e io cosa dovrei fare ora?! -
Attimo di silenzio. Conoscendola, probabilmente stava cercando di trattenere le risate.
- Ad esempio te ne puoi andare nella casa che avevo già affittato, la via la sai. Le abbiamo scelte insieme no? - ah si, la faceva facile.
- in cambio, prenderò quella che hai affittato tu - continuò imperterrita, portandomi leggermente a detestarla per la prima volta, specialmente perchè mi ritrovai costretta alla resa. Magari dopo una cena e una bella dormita, la mattina dopo sarei anche riuscita a dirgliene quattro.
- le chiavi? - sospirai rassegnata, ricevendo altre istruzioni per la sopravvivenza a S. francisco, contornate da risate represse.



Dopo aver attaccato bruscamente, chiamai un altro taxi e rimpiansi l'allegria del vecchio Robert. Quest'altro, più giovane e dal viso asciutto ed inespressivo, sembrava stesse per crollare da un momento all'altro sul volante. Insomma, non erano nemmeno le mezzanotte! Non mi sarei di certo meravigliata all'improvvisa vista di una bella bottiglia di Heineken, tant'è che fui perfino sul punto di chiedergli di fare a cambio, sarei stata disposta a guidare io per lui.
Sbuffai perciò sonoramente per tutto il tragitto, non riuscendo a godermi nemmeno la traversa sul Golden Gate, troppo preoccupata di finire dentro al fiume per colpa di un incoscente .. e credetemi, fu davvero un lungo sospiro di sollievo, quello che usci dalle mie labbra al poter rimettere i piedi sull'asfalto umido, proprio quello che fronteggiava la casetta azzurra di Josy.
Il quartiere di Nob Hill, uno dei più importanti di San francisco. Una composizione di casette a due piani, in vecchio stile vittoriano: scaline che portano alla veranda, incroci tra due colori pastello per delineare i lati ed ipotizzai l'esistenza di un piccolo e curato giardino nel retro.
Gli americani fanno tutto con stile, anche le più piccole sciocchezze.
Los angeles però, rimane sempre Los Angeles e S. Francisco non può certo tenere il confronto.
Avanzai, rischiando di capitolare a causa del tentativo di scavalcare i gradini con la valigia.
Cercai le nuove chiavi alla rinfusa, pasticciando le mani nel terreno del vaso in cui la proprietaria l'aveva nascoste. Provai un poco di ribrezzo e sollevai gli oggettini all'altezza del mio sguardo, tenendoli tra l'indice ed il pollice.
- Ti ci credo che poi i ladri non vengono a rubare - commentai, borbottando sonoramente.
Girai nella toppa, sentendo già la mancanza di quel cigolio di cui era solita la porta blu di Lincoln's Inn Field. Nel momento in cui entrai di un passo, con tanto di valigia, fui investita da un dolce profumo di miele e fiori. Una casa profumatamente opprimente, fantastico.
La mattina dopo avrei dovuto avvisare anche i proprietari, ma tanto sapevo già che avrei risolto la situazione. Dovevo solo riposarmi, tutto qua, poi sarei stata di nuovo in viaggio verso la giusta meta.
Con il palmo della mano destra dunque, cercai a tentoni la sagoma dell'interrutore, ma nulla, proprio come il buio che avvolgeva esternamente la casa.
- faceva schifo un'interruttore vicino alla porta, vero? - ormai mi ero lasciata andare ai monologhi.
- prima il viaggio sbagliato, un'autista sull'orlo di un collasso di sonno e ora mi tocca pure giocare a trova il pulsante - feci qualche altro passo, un braccio allungato in avanti e l'altra mano, stretta sul manico della valigia, ed è inutile dire che presi in pieno col ginocchio un qualche spigolo. Mi ritrovai piegata con il busto, a massaggiarmi la parte dolorante e a digrignare i denti, affinchè tutto il mio Karma si concentrasse unicamente su cose positive, su quanto fossero belli i fiorellini nei prati, il cinguettio degli uccelli, il gorgoglio di un ruscello stracolmo di pesciolini colorati... o idiozie varie.
Beh, non funzionarono.
Strinsi le mani in pugni e battei vigorosamenti i piedi a terra. Capricci? si, si possono definire cosi.
Un gemito mi sgorgò dalla gola. Lasciai la valigia e prosegui decisa nel bel mezzo di una qualche stanza, continuando ad andare a sbattere, far cadere qualcosa e a ricominciare una sottospecie di mantra in cui comincio con il serrare le labbra, mugugnare e infine tirare imprecazioni a destra e a manca. Mi bloccai all'improvviso però, proprio mentre ero in procinto di tirare altre dolci paroline ai quattro venti; questa volta, non ero stata io a causare la caduta di qualche oggetto.
Rimasi ferma, osservando nel buio una qualunque figura potesse uscire fuori ed aggredirmi. Trattenni il respiro, talmente tanto da farmi girare la testa, già troppo appesantita da altri pensieri.
Portai la mano destra sul mobile che avevo appena colpito e lo riconobbi come un tavolo e allla cieca, mi spostai seguento i profili delle sedie e andando ad afferrare un possibile candelabro a più punte, nel centro del ripiano, pronta a difendermi.
Indietreggiai di due passi, finendo a sbattere la schiena contro qualcosa.
Sussultai dal dolore e subito, accortami del gesto, andai a tapparmi la bocca e a cercare di mimetizzar tutta me stessa, col buio della notte, ma aimè, non riuscivo a scorgere nulla, se non lo spiraglio di luce lasciata dalla porta d'ingresso dischiusa.
- Chi è? - una voce maschile, suono esattamente in quel punto.
Indecisa se rispondere o no, lo lasciai rivolgere la stessa domanda altre due o tre volte.
- Chi sei tu! - intonai, afferrando il manico con entrambi le mani, scostandomi subito dalla zona in cui poteva aver sentito provenire la mia voce.
Questa è tutta tattica. Confondere il nemico.
- No, chi sei tu? - più che minaccioso, suonava perplesso.. o forse era una mia impressione.
- ..ma cosa vuoi? - ignorai beatamente le sue domande, avvicinandomi un poco senza farmi vedere, ma continuando quella sorta di interrogatorio senza risposte.
- cosa ci fai qui? - e risi amara al suo dire - me lo chiedo anche io, ma dato che per forza maggiore ci devo stare.. - Posai la sinistra sul muro e con la capoccia, feci capolino verso l'ingresso.
Toccai qualcosa, tanto simile ad un interruttore e fu davvero un miracolo se non gridai soddisfatta di averlo trovato. Intanto ? Beh, rimanemmo ancora non so quanto tempo in silenzio. Potevo sentirlo avanzare e nel momento esatto in cui lo percepii vicino, a pochi passi dal muro su cui ero appoggiata, premetti l'interruttore e scattai minacciosamente, con il candelabro in avanti.





  
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