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Autore: Neal C_    27/05/2011    0 recensioni
[Storia temporaneamente sospesa]
Pochi governano sulla terra di Filesis: la confraternita della Mano Bianca.
I monaci, uomini dai poteri magici innati e membri della confraternita, sono addestrati a mantenere l’ordine nel mondo.
E nonostante la prosperità, la ricchezza e il fiorire di commerci, dopo una breve pace, il mondo è di nuovo in guerra.
La guerra contro i Ribelli che inneggiano alla libertà, alla giustizia e vogliono la fine del dominio della Casta.
Una donna, un ragazzino. Una ex-monaco, uno dei Ribelli. Minimo comun denominatore: fuga.
In fuga dal passato, in viaggio verso un futuro pieno di errori che si lasceranno alle spalle e non riusciranno a dimenticare.
Entrambi verranno a contatto con una forza antica quanto la terra che calpestano, se non di più. Nessuno dei due la riconoscerà.
Quando lo faranno dovranno convincersi che le leggende sono vere. E che le apparenze ingannano.
è la mia prima pubblicazione su EFP. Prendete la mira e sparate a zero.
E siate schifosamente sinceri.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jersa

Il labirinto
Jersa si vide trascinato per diverse miglia, fino a giorno inoltrato, e verso mezzogiorno la truppa si fermò presso una conca che  formava un dislivello.
“Sveglia ragazzo, sei troppo pesante per prendertela comoda”
Un uomo con due grossi baffi e una barbetta brizzolata lo guardava con un’espressione arcigna. Era basso, alto quasi quanto lui, forse qualche centimetro in più e sebbene fosse asciutto aveva un ossatura grossa e robusta.
Jersa vide ciascuno degli uomini calarsi nella conca e dovette, sotto le proteste spietate del suo torace, scendere appoggiandosi alla pietra fangosa. Si stupì che in quella palude potesse esistere una superficie che non fosse flaccida e viscida ma il terreno su cui poggiava i piedi pareva essere solido. Il percorso continuava in una galleria buia e dopo duecento metri di cammino veloce e serrato raggiunsero una parete a cui era incastonata una fiaccola che ardeva luminosa.
Quindi c’era un secondo buco e una seconda via che culminava con una fiaccola e un terzo buco. La cosa si ripeté per sette livelli finchè all’ottavo la galleria terminò con una porta di marmo.
“Chi è là? Fatevi riconoscere!”
Il vecchio baffuto si fece avanti con passo pesante:
“Reietti e prigionieri in terra propria” sbuffò come se gli toccasse una parte ignobile in una messinscena ridicola.
Si udì una risata sincera dall’altra parte e la porta fu aperta prontamente. Comparve un omino grassottello che sghignazzava con i denti gialli e appuntiti: “Per te la sicurezza è tutta roba da ridere,  Remy?”
La risposta fu indispettita: ”Non farmi irritare e sposta quella montagna di grasso dalla porta, abbiamo ospiti” indicando con una manata che si perse nell’aria Jersa, poco dietro di lui.
Lo spettacolo era impressionante oltre quella parete:
c’erano superfici e soppalchi tutti in cristallo che riflettevano la luce proveniente da un buco nella pietra che si vedeva in lontananza come un sole e doveva trovarsi a centinaia di metri da terra. In quell’enorme caverna sorgevano edifici, persino orti e serre, allevamenti di animali da pascolo, ciascuno al proprio livello e ogni angolo era un trionfo di luce e di colori arcobaleno, sfaccettature di cristallo che coloravano la pietra grigia.
L’uomo chiamato Remy fece le spallucce e rispose laconico davanti agli occhi spalancati di Jersa.
“è stupenda, lo sappiamo.”

“è una specie di città?” si pronunciò per la prima volta, il ragazzo.
“è una base ribelle come tante...forse la più bella” concesse alla fine il vecchio.
Il ragazzo lo guardò come se avesse appena detto una cosa disgustosa e si passò la lingua sulle labbra.
Remy fece una smorfia ironica e ridacchiò sotto i baffi.
“Adesso dovrò essere giudicato, processato e condannato, non è così?” il tono del giovane cercava di essere il più indifferente possibile ma serrava le labbra, mantenendo rigida la mascella.
“Quanta fretta di finire sul patibolo” mormorò spettrale il vecchio.
Jersa rabbrividì ma non riuscì veramente ad immaginarsi cosa sarebbe stata la morte. Quel giorno, sul campo di battaglia aveva visto tanti occhi vitrei e tanti corpi abbandonati, bocche innaturalmente silenziose da cui non filtrava più neppure l’ombra di un respiro, membra rigide e pallori spaventosi. Erano stati brutti incubi molto vicini eppure in quel momento erano l’ultima preoccupazione del ragazzo.
“Cosa si prova dopo la morte? Sei ansioso di scoprirlo?”
Le riflessioni di Jersa furono interrotte bruscamente dalle sentenze implacabili del vecchietto sfacciato e il ragazzo alzò un sopracciglio irritato ed esclamò:
“Grazie tante, adesso se non ti spiace rifletterò sulle mie disgrazie da solo!”
“Io cercavo solo di fare un po’ di conversazione” sbuffò Remy.
Solo allora Jersa si accorse di come le loro gambe stessero divorando chilometri, percorrendo lunghe scale per passare di livello. Al fianco delle lunghe e strette scalinate stavano lunghissimi cavi di metallo la cui vista emanava sicurezza e consistenza notevoli. Tiravano su piattaforme di ferro che potevano trasportare grandi pesi tra persone e carichi vari.
Arrivato solo al trentesimo gradino il ragazzo fece una smorfia e commentò, lamentoso:
“Ma dove sono le misure di sicurezza? Sono o non sono un pericolosissimo prigioniero? Potrei tranquillamente scappare qui sopra” lanciò uno sguardo speranzoso all’ascensore che scendeva pian piano tentando tutti coloro che scalavano i livelli.
“Vorrei proprio vedere come, a meno che tu non abbia intenzione di gettarti nel vuoto. Effettivamente...” si passò la mano sulla barba il vecchio “se scegliessi questa opzione io non avrei più seccature di sorta”
Il ragazzo affrettò il passo e mormorò velocemente fra i denti un “non importa”.
Quando raggiunsero il primo livello Jersa notò che diversi soldati della compagnia con cui aveva imparato a convivere durante lo scomodo viaggio sembravano scomparsi ma non osò fare domande poiché la sua guida esibiva un grugno contrariato e la sua lingua si era fatta più affilata di una vipera. Eppure il vecchio non sembrava mai stanco, solo infastidito e il passo era una marcia sempre più ardua da sostenere, inoltre il ragazzo sentiva le sue costole che sussultavano, sembravano tenute insieme per miracolo da una una pellicola delicata che si incrinava facilmente. Fece un altro passo avanti e stirò la gamba appena più del dovuto allungandosi in avanti. Barcollò paurosamente e si appoggiò con violenza al corrimano di corda che accompagnava gentilmente la scalinata:
“ Non ce la faccio” disse infine al compagno che lo precedeva “penso di avere delle costole rotte...non riesco a muovermi”
“Una e forse due, per la precisione” lo informò con tono puntiglioso Remy e scrollò le spalle “vorrà dire che prenderemo il Carro ” e indicò l’ascensore che si apprestava a salire al secondo piano. Jersa fu costretto a trascinarsi fino al piano superiore; a sostenerlo c’era la rabbia che lo scaldava e che scaricava di tanto in tanto lanciando occhiate velenose al vecchio davanti a lui. Remy, da parte sua, sembrava più allegro di prima. Raggiunsero il sesto piano, su cui troneggiava un gigantesco palazzo rettangolare la cui cerchia muraria sembrava infinita. Le pareti erano ricoperte di verdi rampicanti e forse si estendeva per tutto il piano. Quel verde spuntava dal nulla poiché a terra non c’era vegetazione ma solo ghiaia bianca. Non c’erano finestre ne porte all’apparenza finchè Remy non si avvicinò ad un muro qualsiasi e picchiettò più volte sulla superficie.  Con uno spintone aprì una breccia e trascinò con se il ragazzo attonito. All’interno del palazzo il silenzio era totale e mostruoso, si sentivano invece, distintamente , il respiro sommesso del vecchio, e quello affannoso del ragazzo. Le stanze erano totalmente spoglie, le pareti di cristallo lasciavano intravedere le edere dell’esterno e il pavimento era scivoloso. Jersa avvertì una sensazione di capogiro e profondo malessere poiché ogni cosa pareva la stessa e ogni stanza era percorsa cento volte. Dopo un numero interminabile di sale, al centro di una di queste, trovarono un ragazzetto buffo con lunghi capelli rossi e un corpo slanciato. Ricordava un’ antilope. Era seduto in mezzo alla  stanza, sul pavimento, a gambe incrociate con le mani appoggiate sulle cosce. Tanto era piccolo che sembrava un folletto delle favole. Gli occhi erano sbarrati, in direzione dei nuovi arrivati, ed erano scuri, color mogano. La pelle era chiara e lentigginosa, le mani e i piedi nudi erano quelli di un bambino e portava dei guanti di pelle nera.
 Si rivolse a Jersa senza perdere tempo:
“Chi sei? Chi ti manda?”
Il mogano scuro delle pupille erano due buchi neri in cui il ragazzo credette di affondare ma non distolse lo sguardo. Solo allora si accorse che si trattava di una ragazza.
“Non mi manda proprio nessuno, ero un semplice soldato in viaggio con un compagno e sono stato strapazzato, mi hanno rotto due costole e ho la schiena indolenzita.” Rispose secco e sgarbato.
“L’hai inventata sul momento o è frutto di un lungo studio?” fu la replica aspra della rossa e quella stessa voce risuonò stranamente familiare nella mente del ragazzo interrogato.
Azzardò, con una smorfia nauseata:
“Forse la prima volta che ti ho incontrata votavi a favore della mia morte? Per qualche strano motivo adesso mi viene in mente” le lanciò un’occhiata significativa.
“Non sperare che abbia cambiato parere” Poi si disinteressò completamente del ragazzo che si trattenne dal ribattere. Fissava Remy con uno sguardo profondo che poteva significare tutto:
“ Occupatene tu e cerca di pensare stavolta” si lasciò sfuggire il vecchio, laconico.
Quindi prese a camminare tranquillo sorpassando il prigioniero e la figlia.
La giovane accolse il commento con un’alzata di spalle e dovette ritornare al suo compito. Si grattò la nuca e con un balzo si rimise in piedi di malavoglia. Infine fece cenno a Jersa di seguirla. Questi mise in moto i piedi meccanicamente e mentre attraversavano altre sale o forse sempre le stesse, poiché non avrebbe mai saputo distinguerle, si chiedeva per quale assurdo motivo non avesse ancora tentato la fuga. Non c’erano corde che lo tenessero imprigionato e adesso anche il vecchio veterano esperto si era allontanato. Era solo con una ragazzina, ai suoi occhi talmente insignificante che avrebbe potuto spezzarla come un fuscello.
“Non pensarci neppure!”
Lo sguardo della rossa era ancora puntato sul suo volto e scuoteva la testa come si fa con un bambino che si ostina a non capire come stanno le cose.
“Pensare a cosa?” fu il tentativo innocente di Jersa che cercò scampo nelle sue scarse doti di attore.
“Alla fuga, ovviamente” gli rivolse un’espressione saccente.
“Per poche semplici ragioni...innanzi tutto hai due costole rotte anche se non devono poi essere così dolorose se te ne dimentichi così facilmente. Poi non sapresti dove andare, per te le stanze sono tutte uguali e il palazzo è immenso, quanto tempo penseresti di sfuggirci? E poi non credo che potresti mai sopraffarmi” concluse soddisfatta.
A Jersa venne da ridere ma si limitò a contestare la ragazza con tono ironico :
“Ah no?”
Quella, punta sul vivo, sollevò appena la camicia lunghissima che portava allacciata fino al collo e sfilò una cintura di cuoio con una pesante fibbia di ottone; gliela sventolò davanti al naso per un po’ e la riallacciò, stavolta in bella vista.
Il ragazzo sentì la testa stranamente calda e i pugni che prudevano ma non riuscì a mantenere il silenzio come gli suggeriva il suo modello di eroe. Sentì il bisogno di parlare, anche con quell’essere irritante, ma non riuscì a frenare la lingua. Aveva paura di pensare, c’erano tante domande che frullavano nella sua testa ed era forte il senso di abbandono. Questo gli rammentava Erick che era improvvisamente scomparso dal suo mondo: si chiedeva dove fosse finito, perché mai non lo aveva aiutato e se mai lo avrebbe cercato. Forse era l’unica speranza per lui ma era fragile quanto la cera di una candela che si scioglie al sole.
Di punto in bianco risuonò la sua voce pensosa:
“Adesso mi sottoporrai ad un interrogatorio?”
“Proprio così, mi rallegro della perspicacia, non sei così stupido come sembri.” Ribattè tranquilla la sua interlocutrice.
“Come facevi a sapere cosa stavo pensando? Hai anticipato molti dei miei pensieri.” Dovette ammettere suo malgrado il giovane, l’espressione sul viso scontenta.
Ridacchiò la rossa: “Sei un libro aperto; se questo può consolarti, non sono un mostro che legge nel pensiero ma tutti i tuoi movimenti e pensieri sono assolutamente prevedibili, hai tutto scritto in faccia.”
Jersa era impietrito e scuoteva la testa lentamente come se non riuscisse a realizzare una notizia di quella portata.
“Tu...leggi...la faccia delle persone?”
“Non è affatto difficile. Basta avere una vista acuta e una mente che non sia annacquata” con tono di superiorità. “Tu comunque rendi l’impresa un giochetto per bambini”sorrise infine rilassata.
Jersa si zittì con le guance in fiamme, non sapendo più che dire. Si sentiva stupido, come si era sentito incapace davanti al compagno Erick, ma soprattutto stanco di vedere persone, visi sempre nuovi, tutti nemici oppure, in ogni caso, non certo amici. Si chiese perché avesse abbandonato la sua pace, i luoghi conosciuti, i gesti quotidiani che tanto lo avevano annoiato.
“Sai qual è la verità?” esplose, scontento “tutto questo è ridicolo. Se foste stati seri mi avreste chiuso in una cella, interrogato e forse anche forzato a parlare con intimidazioni e...insomma stiamo camminando da ore e tu parli, ridi ma non ti decidi. Cosa stiamo aspettando?!”
Ma la rossa rimase scettica e non si lasciò colpire:
“Magari anche torturato...ti credi un martire dato in pasto alle bestie? Ma cosa vi raccontano quei vecchiardi da strapazzo?” si interruppe con noncuranza “Comunque siamo quasi arrivati. Tra poco avrai il tuo agognato interrogatorio.”
“Arrivati dove?” la guardò senza capire. Era un’altra stanza, stesse dimensioni stessa mobilia inconsistente, ogni cosa era esattamente la stessa.
“Perché siamo qui?”
La risposta suonò assurda e ridicola alle sue orecchie:
“Qui c’è un’ottima acustica!”
Ma, con sua grande sorpresa, quella stessa voce acuta e ironica non proveniva dalla ragazza che aveva al suo fianco.
 E pensò di aver raggiunto la follia quando davanti ai suoi occhi apparve un’altra ragazzina rossa di capelli, ridotta ad uno stecco, stessi tratti, stesse movenze, una copia della peste che aveva incontrato molte camere prima.
Spostò velocemente lo sguardo che oscillava fra le due gemelle e si andò a concentrare sul pavimento, sbattendo più volte le palpebre.
“In fondo devi sostenere un interrogatorio” continuò la rossa accanto a lui.
“O questa è magia oppure sono io che sono impazzito...” mormorò  con un fil di voce.
“non stai sognando, non sei ancora matto, e non è magia...è capitato così, siamo nate così” lo precedette la nuova arrivata “Ci sediamo?” e si lasciò cadere sul pavimento scivolando fluidamente. E il ragazzo si ritrovò seduto al centro, circondato dalle due ragazzine,  più instupidito di prima.
“prima...” esitò un attimo, spinto dalla curiosità “di iniziare... come farò a riconoscervi? Mi fate girare la testa. Non riesco a concentrarmi, come faccio a rispondere alle vostre domande?” una nota di frustrazione nella voce che si affievoliva.
“Se ti fa sentire meglio chiudi pure gli occhi e immagina di star parlando con un carceriere grande, grosso e crudele.”  Lo rassicurò con una punta di ironia una delle sorelle.
“Di dove sei?”
Il ragazzo si rassegnò e decise di non rimandare oltre:
“Di Limerick, sono un disertore, del campo dei Serapide...di mio padre. ” anticipò la domanda “si, mio padre è il comandante in capo. Perché ero lì?” cominciò una specie di cantilena, a voce bassa e roca “ero con un compagno, un coetaneo che mi aveva aiutato a fuggire e lo seguivo. Non avevamo nessuna destinazione oppure così mi sembrava; lui cercava qualcosa ma non dava spiegazioni di sorta. In realtà non gliene ho mai chieste...” ammise alla fine. Raccontò ancora, del campo, del perché si era messo in viaggio, dell’incontro con quel misterioso amico, persino molti dei suoi pensieri più segreti. Le gemelle vollero soprattutto sapere di questo personaggio oscuro e parvero soddisfatte del colloquio.
“Hai fatto bene a non mentirci, saresti stato un pessimo bugiardo.” Disse infine una delle gemelle.
Jersa annuì e aggiunse sottovoce “ora sono stanco...”
Le pesti si alzarono contemporaneamente e con un sorrisetto risposero:
“Allora buonanotte e buon riposo...”
“Ti porteremo delle bende per le tue costole...”
 “E cibo per il risveglio...”
Una di queste alzò un sopracciglio e annunciò:
“E magari una camicia nuova...” puntando gli occhi sugli stracci che portava da quando era entrato nella palude.
Esplosero in due risatine acute e gli voltarono le spalle, allontanandosi a passetti veloci.
Jersa posò la testa sulla pavimentazione e sospirò più volte. Tutto gli appariva confuso, diverso da come lo aveva immaginato ma ciò che gli premeva di più era ritrovare la sua libertà.
Ripensava alle due ragazzine, che gli erano parse così sciocche e infantili: non aveva mai avuto una buona considerazione per le donne in generale. Le trovava capricciose, smorfiose, pensavano solo a cose futili e facevano le svenevoli appena ne avevano l’occasione. Non combattevano, non parlavano, non pensavano, oppure parlavano troppo senza pensare e distraevano gli uomini. Per un attimo pensò di sfruttare la situazione: probabilmente erano vanitose come ogni donna, piccola o grande che fosse e, con un po’ di abilità poteva guadagnarsi la libertà.
“Devo solo smettere di fare domande e darmi un tono” mormorò a bassa voce, una nota sprezzante nella voce.
“Parli da solo?” esplose la voce acuta di una delle gemelle e lo fece trasalire. Si irrigidirono le spalle e sentì dolorose fitte al torace.
“ah...uhm” si morse la lingua e cominciò a massaggiarsi le costole che gli strappavano qualche sospiro.
“ormai cadi a pezzi” la ragazza avanzò con un catino di legno pieno d’acqua fumante e delle lunghe bende bianche di cotone, infine una buona brocca di Diarik fra le mani. A quella vista Jersa si sentì rinascere e comparve uno stupido sorriso sulle sue labbra. Questo parve divertire la carceriera che alzò gli occhi al cielo ed esclamò: “Alcool, sempre Alcool vogliono gli uomini, persino i poppanti”
Gli mise in mano la caraffa e mentre lui beveva lunghe sorsate la rossa lo ungeva con un olio scuro e cominciava a bendare il petto. Strinse tanto il cotone che Jersa stava per soffocare, ancora con il Diarik in bocca, annaspava e tossiva con violenza piegandosi in due. La ragazzina iniziò a scuoterlo e a dargli pesanti botte sulle spalle perché si riprendesse ma non sembrava affatto d’aiuto, anzi gli procurava sgradevolissimi spasimi. Quando finalmente si calmò, bevve un’altro sorso di liquore e masticò fra i denti poche parole “Questo posto sarà la mia fine. Lascia stare...” ruggì davanti alla malcelata preoccupazione della gemella, che si agitava,  in colpa.
Pretese un’altra brocca piena e una coperta, quindi si girò la testa per terra, la schiena dolorante ma non disse più una parole e soppresse tutti i lamenti riportando il silenzio in quelle sale dimenticate dal mondo. La ragazza rimase in attesa per pochi minuti ma non ricevette altra voce. E quando lei girò le spalle  Jersa provò una nota di trionfo e sentì di aver vinto una battaglia.
La mattina dopo trovò accanto a sé vasetti di terracotta pieni di salse, carni e verdure e la brocca nuovamente piena di Diarik. Si svegliò con la vescica piena e dovette trovare un posto per urinare. Non vide anima viva per tutto il giorno e ogni qualvolta che sentiva il bisogno di qualcosa lo gridava con quanto fiato aveva in gola. L’eco si spargeva per l’edificio e Jersa seguiva quel frastuono alla ricerca di un uscita. Per ore percorreva la stessa via per poi ritrovarsi sempre nello stesso punto, davanti ai vasetti di cibo e altre pietanze. Frustrato, fissava il muro, cercava disperatamente porte segrete, finestre che affacciavano sul mondo esterno. Per giorni non spiccicò una parola, cominciò a blaterare da solo, con una presenza fantasma che spesso chiamava Erick.
La notte era agitata da incubi che continuavano durante il giorno, susseguiti da decine di corridoi e camere.  Divenne un’ossessione e spesso rimaneva steso sulla coperta incapace di aprire gli occhi, temendo di incontrare sempre lo stesso spettacolo. Era uno stato di trance che lo cullava e lo lasciava inerte mentre il suo bisogno di vivere svaniva come un paesaggio nella nebbia.
Finchè non apparve una visione celestiale che lo riportò alla vita reale. Una delle due gemelle comparve con un catino d’acqua e delle nuove bende. Durante la sua prigionia il ragazzo aveva completamente dimenticato di avere due costole rotte ed era rimasto la maggior parte del tempo steso, questa pausa aveva giovato alle sue ossa. Lui rimase impietrito davanti alla calma della carceriera che sembrava star facendo una passeggiata nel giardino, controllando i boccioli appena spuntati, verificando la crescita degli alberi.
“Buongiorno, qual buon vento? Ti senti un po’ più solido della settimana scorsa.”
Rispose in tono funereo:
“Una settimana...”
Rabbrividì violentemente:
“è stato orribile, mi avete quasi fatto impazzire”
La ragazza ridacchiò e si avvicinò saltellando:
“Capita.”scrollò le spalle, non curante “oggi per te è un gran giorno” captò lo sguardo scettico del coetaneo ma lo ignorò “mio padre deciderà che fare di te” e mentre lui la guardava senza capire, la rossa gli disfaceva e rifaceva le fasce.
“Adesso avrai imparato che non bisogna tremare di paura solo davanti a guardie alte due metri con muscoli da cinque chili l’uno e le minacce di morte di qualche bellimbusto.” Strizzò gli occhi “Molto spesso quelle prigioni che non sembrano prigioni sono le più terribili”
Jersa sentì la bocca riempirsi di amaro e si trattenne con violenza dall’insultarla e aggredirla. Quella predica, proprio perché fatta da una ragazzina, lo infiammava anziché riempirlo di vergogna. Gli riusciva insopportabile ricevere rimproveri, non riusciva ad accettare i consigli con naturalezza. Era prepotente e forse un po’ arrogante, ma non lo avrebbe mai ammesso. Quando lei gli tese la mano il ragazzo continuò con il muso ignorando il braccio a mezz’aria.
“Sono Aser, e la mia gemella si chiama Alyce. Nostro padre è quel soldato che ti ha catturato e condotto fin qui e... questa è la più organizzata base ribelle a Filesis. Sei nella Cava, il posto più sicuro delle terre conosciute. Qua dentro nessuno, tranne una ristretta cerchia di persone, ti troverebbe e nessuna magia funziona fra queste mura.” Riprese fiato, gli occhi puntati sul broncio del prigioniero. “e non hai niente di cui preoccuparti poiché mio padre riconoscerà che non sei nessuno e tu sarai libero di andare dove vuoi.”
Jersa si esibì in una smorfia maligna: “e se rivelassi tutti questi preziosi dettagli a qualcuno? Certe informazioni si vendono a peso d’oro.”
Ebbe di tutta risposta un sorrisetto rilassato: “Pensi che siamo stupidi? Certo non ti lasceremo andare prima di  averti fatto il lavaggio del cervello!”
La ragazza ignorò ancora lo sguardo irritato e il suo volto si fece improvvisamente serio. Sbuffò spazientita: “Ascoltami bene, non puoi permetterti il lusso di continuare pensare di essere padrone della situazione. Sono stata fin troppo paziente”
Jersa ingoiò il rospo e si affrettò a seguirla.


Angolo dell'autrice

Wow...non mi entusiasma un granchè questa parte.
Forse perchè l'ho concepita in campagna, una nottata un po' da schifo.
Anyway,  non l'ho riscritta perchè non me la riuscivo ad immaginare in nessun altro modo ma devo dire che ho dovuto correggere parecchio la versione originale!
Per la gioia dei nostri lettori, ecco qualche dialogo in più per movimentare la cosa...
Ah no! lo so cosa potreste pensare ù.ù  Chi è questa Aser?  e come si dice dalle mie parti, ma ch'è tutta sta' confidenza? E io intanto non spoilero niente e vi lascio tutti nel beato dubbio! (poi magari sono film che mi faccio solo io <.<)
Come non ringraziare i soliti non più ignoti;  emv, Kill Bill, Nihal1992, la mia fedelissima recensorA Giu09 e aggiungiamo alla lista una new entry un po' timida misstokio! Benvenuta nel club dei quattro gatti (ma fedeli *_*)!  Quando vorrai farti sentire e lasciarmi le tue impressioni sarò felicissima di risponderti ^^
Adios popolo,

Misa


  
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