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Autore: Martin Eden    01/06/2011    0 recensioni
Seguito di "Compagni di sventura - Resistance". La guerra dell'Anello continua per i nostri eroi, fra alti e bassi, vittorie e sconfitte: riusciranno a sopraffare il Male? Ma a che prezzo? Perdere la battaglia contro Sauron è veramente la cosa più terribile a questo mondo? Non per tutti... Buona lettura! E recensiteeeeeee :)) grazie mille!
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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1 - PARTENZA

 
 
Théoden accolse Gandalf con grande gioia, ed accolse con altrettanta gioia il cavaliere che aveva accompagnato il mago, di nome Eomer.
Quello stesso giorno, il sovrano andò a Isengard, per reclamare la sua vittoria: pensava di trovare grandi bastioni, grandi fucine, forse un ultimo battaglione ad attenderli: invece trovò solo rovine, e la cupa Torre di Orthanc si ergeva sola su un territorio desolato.
Re Théoden, Aragorn e gli altri amici fecero la conoscenza del nuovo "governato -re" di quel luogo, Barbalbero, nonchè responsabile della distruzione di Isengard: era un Ent, ovvero una spacie di albero vivente.
Gandalf scambiò quattro chiacchiere con lui, mentre Gimli si trovò faccia a faccia con due vecchie conoscenze....:
 - Merry, Pipino! - urlò appena vide i due hobbit dispersi comodamente seduti su un paio di pietre - Siete delle piccole canaglie! -
 - Chiamaci come vuoi, fatto sta che ora siamo qui, a goderci il nostro bottino di guerra. - ribattè Merry, aspirando profondamente da una pipa.
Barbalbero spiegò a Gandalf che intendeva ricostruire Isengard esattamente com'era prima che Saruman, lo stregone, uscisse si senno: e naturalmente, a -vrebbe sorvegliato Orthanc giorno e notte, insantacabilmente.
Dopo la piacevole ma alquanto strana conversazione, Théoden si diresse verso Edoras, e ci giunse giusto in tempo per preparare un succulento banchetto: ov -viamente aggiunse due posti alla tavola, dato che anche Merry e Pipino erano venuti a Rohan assieme a lui.
Mentre i due hobbit danzavano e cantavano mediocremente per gli invitati, bat -tendo rumorosamente i piedi sulla lunga tavolata e facendo baccano, Lilian cercò un po' di solitudine fuori, al fresco della sera: il vento s'insinuava piacevolmente fra i cortili di Edoras, regalandole il suo alito tiepido.
La verità era che Lilian non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Haldir morente, colpito a tradimento su quelle maledette mura del Fosso di Helm: più cercava di dimenticarlo, più quel ricordo riaffiorava, continuamente.
Era questo a non darle pace: anche per essere solo un elfo, Haldir le aveva se -gnato il cuore
(scusa)
Quelle parole, soprattutto, l'avevano colpita: quando mai un elfo aveva chiesto scusa a un mezzano?
Oh no, il mondo cominciava a girare all'incontrario, prima o poi sarebbe arrivata la fine: la fine di tutto.
 - Che ci fa una bella signorina come te qua fuori, quando tutto il divertimento è dentro Edoras? -
La voce di Gimli scosse Lilian, che, comunque, continuò a scrutare imperturba -bile la notte imminente: non rispose.
Il nano le si avvicinò, tanto da toccarla, ma ancora non lo fece: gli sembrava di non doverlo fare, Lilian era un bottino troppo bello e troppo proibito per poterse -ne impadronire così facilmente.
Si abbandonò a dare un occhiata nella stessa direzione di lei:
 - Bello, come panorama... - dichiarò dopo qualche minuto  - ma non sei venuta qua fuori solo per questo, vero? -
Ancora silenzio:
 - Qualcosa ti tormenta, forse? -
 - ...sì.... -
Gimli si voltò a fissarla, nonostante lo superasse di un metro come minimo, in statura:
 - Che cosa? - chiese in tono sommesso.
 - Haldir, il generale di Lòrien che ci ha aiutato, è morto...: lo so che era solo un elfo, ma....mi ha chiesto..mi ha chiesto scusa prima di morire....nessun elfo l'a -vrebbe fatto.. -
 - Suvvia, non starti a crucciare per uno di loro! Sai quanti ne saranno morti? Decine su decine... -
 - Lo so... -
Lilian non riusciva proprio a non pensarci: le aveva chiesto scusa! A lei, un mezzano!
 - Mia piccola Lilian.. - esordì Gimli, avvicinandosi di più  - Ti stai rovinando la vita per niente: sono solo esseri, per la maggior parte anche vili... - tentò di abbrac -ciarla  - Tu non meriti uno di loro.. -
Forse quel gesto in teoria l'avrebbe dovuta tranquillizzare: l'abbraccio di un ami -co, di solito, fa un buon effetto sulla tristezza.
Non quella volta: Lilian si districò dalla solida presa di Gimli e si allontanò, in un attimo furibonda:
 - No, non è vero! - urlò - tu non capisci, NON CAPISCI! Non puoi capire, perciò lasciami stare, capito?? Non sei all'altezza per capirmi, in tutti i sensi! -
Se ne andò di corsa, abbandonando un Gimli inebetito da quella reazione esa -gerata: il nano riuscì a riscattarsi solo dopo che la ragazza fu sparita dietro l'an -golo della terrazza.
Ancora sconcertato, tornò nel salone a grandi passi, sentendo che il baccano gli stava di nuovo otturando le orecchie.
Vide Legolas avanzare verso di lui: aveva l'aria di uno che sa cos'è accaduto.
 - Che le hai fatto? - gli chiese nel tono più calmo possibile.
 - Io? Niente! - rispose Gimli - E' lunatica! - e superò Legolas.
L'elfo non lo seguì, ma si voltò verso la porta che dava alla terrazza: gli si era presentata una grande occasione.
Senza farsi notare, uscì dalla sala, sparendo nell'oscurità della notte ormai so -praggiunta: piccole fiaccole baluginavano fissate ai muri, dando alla terrazza una luce quasi spettrale.
Non c'era nessuno, a parte una sinuosa e solitaria figura, là, in fondo.
Legolas si avvicinò silenziosamente; lei non si voltò a guardarlo, benchè sapesse della sua presenza e non la gradisse: non voleva scocciatori quella sera.
 - Non è un po' freddo per stare fuori, a quest'ora? - le domandò cordialmente l'el -fo.
 - Non per me... -
Legolas capì al volo che Lilian non aveva affatto voglia di parlare, ed evitò di far -le altre domande: preferì perdersi nel paesaggio confuso della notte, e godersi i fruscii sommessi del vento che soffiava, imperterrito.
 - Se sei venuto per sapere come mai sono qui, ti rispondo subito che non sono affari tuoi.. - riprese la ragazza - ti avviso che ho già scacciato Gimli e tutto il suo blaterare, e posso farlo ancora, con te... -
 - Veramente io non ti ho chiesto nulla... -
Accidenti, aveva ragione!
Lilian si sentì d'un tratto una stupida: era vero, dopotutto Legolas non le aveva ancora chiesto niente! Non poteva prendersela con lui, se ancora non si era mac -chiato di una sola colpa...
 - Scusami.. - si sentì obbligata a dire - Non volevo essere scortese. Il fatto è che da quando abbiamo vinto al Fosso di Helm c'è qualcosa che mi tormenta: si vede, lo so, imma -gino che tu vorresti saperlo, ma non posso dirtelo, non voglio, io non.. -
 - Lilian.. - replicò con calma Legolas - anche se non me lo dici, stanotte dormo lo stesso.... -
La ragazza rimase stupita da quell'ironia: si aspettava che insistesse, che, come Gimli prima di lui, morisse dalla voglia di sapere che cosa la stava torturando.
La voce le si fece strozzata, ma questo non le impedì comunque di parlare: non capiva perchè, ma tutto d'un tratto sentiva chiaro il bisogno di confidarsi.
(con un elfo?)
 - La verità è che Haldir è morto. - confessò in un roco sospiro - E che..che prima di morire...mi ha chiesto scusa: forse per come mi ha trattata a Lòrien, non lo so! -
Legolas si voltò a guardarla, incuriosito da quella confessione:
 - Il fatto è che da allora non mi riesco più a lavare di dosso il suo viso. Improvvisamente, la consapevolezza di essere una comune mortale mi è piombata addosso, e..ho paura..ho paura di morire! Anche quell'elfo, la morte, sono sicura che non se l'aspettasse per niente! Co -me poteva immaginare di non poter più tornare a casa? Come poteva saperlo? E come... -
Lilian si fermò, riflettendo:
 -...e come farò a sapere io quando dovrò lasciare questo mondo? Prima o poi dovrò, sia per spada o per il tempo che corre...è questo che mi sconvolge.. -
Guardò gli occhi Legolas, cercando di scovarci un po' di conforto:
 - Sconvolgeva anche me... - le disse in tutta sincerità l'elfo - ma non mi sono mai lasciato sopraffare da questo problema: l'ho presa con calma, prima o poi succe -de, bisogna ammetter -lo.. -
 - Fai presto a parlare tu, sei immortale! - ribattè Lilian.
 - Non alla spada...e poi anche tu sarai presto un'immortale, te l'ho promesso, no? -
 - Come puoi crederci ancora? -
 - Quando io faccio una promessa, la faccio per mantenerla: e ti giuro che appena sarà finita questa guerra mi metterò all'opera, a costo di rovinarmi la reputazio -ne e la vita...ti ho dato la mia parola, a Lòrien... -
Lasciò che il silenzio s'insinuasse fra loro:
 - Per quanto riguarda la morte, credo che non ci si debba pensare più di tanto, o, se ci vuoi pensare, fallo pure, ma accetta un consiglio: vedila come una cosa lontana dal tuo mondo, anche se in questi momenti ti risulterà molto difficile... -
Quello strano discorso colpì Lilian dritta al cuore: non aveva fatto male, dopotut -to, a confidare le sue pene ad un elfo. Era stato l'unico a darle una risposta a tutte le domande che si era posta, senza urtare contro nessuno dei suoi senti -menti.
D'improvviso, senza neache sapere come, forse in un impeto di giusta "follia", abbracciò Legolas piangendo:
 - Grazie! - gli sussurrò ad un orecchio mentre lo stringeva forte.
Lui si limitò a sorridere e a ricambiare la dolcezza di Lilian, inconsapevole che i suoi gesti erano registrati in modo assiduo, da una mente che non lo perdeva mai d'occhio:
 - Guardali! - ruggì Gimli tra sè e sè, accostato a una finestra - Non è giusto: solo perchè lui è più alto! - si morse le labbra nervosamente, fino a farle sanguinare.
Non poteva sopportare tutte quelle moine da innamorati!
(innamorati? INNAMORATI?? Non posso permetterlo!)
Aizzato dalla sua cocente ira, si diresse verso il fondo della terrazza con passo pesante, non preoccupandosi affatto delle persone che stavano osservando la sua andatura instabile: il nano dovette fare addirittura uno sforzo enorme, per resistere alla tentazione di afferrare la sua ascia e abbattersi su Legolas come una furia.
No, non lo fece. Si limitò a dire:
 - Ma bravi! Vedo con piacere che vi siete scelti un bel posticino romantico per la vostra luna di miele! -
Lilian e Legolas si voltarono di scatto, lasciandosi con un potente strattone che rischiò di far perdere l'equilibrio a entrambi:
 - Luna di miele? Di che cosa stai parlando, Gimli? - lo aggredì la ragazza: tenta -va di nascondere la verità, ma non sapeva più se la voleva celare al nano o se semplicemente a se stessa.
 - Oh, niente, niente...una battuta.. -
 - Le tue battute sono alquanto fuori luogo! - abbaiò Legolas, e lo superò, sparen -do fra gli invitati nel salone.
Mentre sentiva il sangue pulsargli dolorosamente nelle tempie, l'elfo ebbe come l'impressione che Gimli non avesse aperto bocca solo per fare dell'ironia: aveva tentato di provocarlo, era fin troppo evidente.
Evidente e meschino.
Si fece strada tra la folla di invitati, cercando di raggiungere un posto possibil -mente tranquillo per superare il suo imbarazzo.
Aragorn, appoggiato a una colonna e intento a bere vino, vide l'amico sparire dietro una porta poco più in là: lo vide mentre, impacciato, camminava spedito e a testa bassa per non mostrare le guance paonazze.
L'uomo rise sommessamente, sorseggiando la sua bevanda: i suoi sospetti erano inevitabilmente fondati.
 
A notte inoltrata, quando tutti ormai dovevano essere già a letto da un pezzo, un terribile presentimento avvolse il cuore di Aragorn come se fosse la velenosa tela di un ragno: stava succedendo qualcosa, o doveva succedere qualcosa, da qual -che parte di Edoras.
Quella brutta sensazione gli tolse il sonno: si alzò, controvoglia, e cercando di non fare rumore uscì dalla sua stanza.
Il silenzio soprannaturale lo circondò: camminò strisciando raso muro per buona parte del corridoio, temendo di poter essere scoperto.
Poi, d'un tratto si bloccò: gli era sembrato di udire dei passi, poco lontano, chis -sà, forse addirittura dietro l'angolo.
Passi? Chi poteva mai essere in piedi a quell'ora?
 - Andiamo, stai farneticando! - si disse, e cercò la forza per andare avanti.
Le sue gambe, eppure rifiutavano di muoversi: anzi, tremavano.
I passi c'erano, eccome! Passi leggeri che percorrevano tranquillamente i corridoi di Edoras quasi la conoscessero a fondo; alla pallida luce della luna, ora sgombra da nubi, si rivelò un'ombra.
Non c'erano altre svolte: una volta passato l'angolo, Aragorn se la sarebbe tro -vata davanti, così grande..e terribile.
Poteva essere di chiunque: un uomo, un ladro, o forse....un assassino?
I passi si avvicinavano, e ora non parevano certo un sogno: il leggero scricchio -lare delle pietre li facevano essere terribilmente veri.
Aragorn s'irrigidì: mancavano pochi secondi, pochi secondi e poi l'avrebbe visto. Avrebbe visto l'immondo essere che vagava chissà da quanto per quei corridoi.
Trattenne il respiro: era così vicino...
L'ombra nera apparve da dietro l'angolo, ma invece di fermarsi nel vedere Ara -gorn, gli andò a sbattere contro, e l'urto fece scivolare da parte il cappuccio che nascondeva la sua identità: finalmente l'uomo potè tirare un respiro di sollievo, vedendo dinnanzi a sè l'amico Legolas.
 - Che ci fai tu qua? - gli chiese l'elfo sottovoce.
 - Dovrei farti la stessa domanda.... -
 - Qualcosa mi ha svegliato, qualcosa che si è mosso..nell'ombra.. -
 - In che senso? -
 - Nel senso che qualcosa non quadra, Aragorn: c'è qualcosa nell'aria....che non va. -
 - Ho avuto la stessa sensazione anch'io: infatti mi sono alzato per andare a con -trollare.. -
 - Non sprecare il tuo tempo, dalla parte del mio alloggio non c'è niente che.... - Legolas lasciò la frase a metà: d'improvviso, sul suo volto era apparso il più sin -cero sgomento.
 - Che c'è? - gli domandò Aragorn.
 - Un rumore...non lontano.. - l'elfo si sporse per poter vedere oltre l'angolo dal quale era venuto, imitato dall'uomo: ma non videro altro che le loro ombre sta -gliarsi nel corridoio.
Il suono che Legolas aveva sentito era stato troppo vicino: ciò voleva dire, che se la losca creatura che l'aveva provocato non era da quella parte, doveva es -sere...
Non fecero in tempo a voltarsi: due mani tapparono loro la bocca prima che po -tessero urlare e chiamare aiuto.
Entrambi, presi alla sprovvista, tentarono di dimenarsi, ma fu inutile:
 - No, non urlate, vi prego, sveglieremo tutti! Sono io, state tranquilli.. -
Quella voce risuonò familiare sia a Legolas che ad Aragorn, e allora capirono: si trattava solo di Lilian.
Si liberarono da quella stretta:
 - Non esiste un modo meno tremendo per attirare la nostra attenzione? - chiese ironicamente Aragorn.
 - Non è il momento delle spiegazioni. Avete anche voi uno strano presentimen -to? -
 - Come fai tu a sapere..? -
 - Io so sempre tutto. Dove stavate andando? -
 - Credevo sapessi sempre tutto... - ribattè Legolas, ma in quella un grido spaccò il silenzio della notte, facendoli sussultare tutti e tre.
 - Veniva da là! Andiamo! - gridò Lilian, e cominciò a correre in direzione della ca -mera di Gandalf: aveva come l'impressione che fosse stato Merry, o Pipino perlo -meno, a urlare.
Da dentro la stanza proveniva una strana luce.
Lilian non perse tempo ad armeggiare con la serratura, probabilmente era chiu -sa, e diede un gran calcio alla porta, che fu scardinata con un fragore del diavo -lo: quello che videro la ragazza, Legolas e Aragorn, in quei pochi attimi che si permisero, li sconvolse.
Pipino si agitava convulsamente per terra, a occhi chiusi, e stringeva fra le brac -cia una sfera abbagliante che sembrava avere una forza propria; era Merry che urlava, mentre Gandalf cercava di capire che fosse successo e regolarsi di con -seguenza.
Ma non c'era tempo per regolarsi! Qualunque cosa stesse accadendo, bisognava fermarla, in un qualche modo!
Aragorn si proiettò in avanti, strappando l'oggetto tondeggiante dalle mani di Pi -pino con una certa violenza: tuttavia gli riuscì impossibile resistere alla forza mi -steriosa che, in un attimo, lo costrinse a stare a terra.
Chissà cosa sarebbe successo, se Lilian non avesse prontamente afferrato l'og -getto e fosse salita in alto, su un mobile, e non avesse resistito, non si sa come, alla forza di quella sfera.
Alla ragazza sembrò che una voce le stesse parlando, che le stesse dicendo di fare qualcosa, qualcosa di terribile: lei l'aveva respinta, aveva pensato ad altro, aveva resistito alle continue scosse senza battere ciglio.
Quella sfera le aveva fatto male. Lei non aveva parlato.
Gandalf, dal basso, le gridò di lanciare via l'oggetto: Lilian avrebbe voluto farlo, ma solo in quel momento scoprì che non ne era capace.
Ora quella "cosa", le si era come avvinghiata al corpo, la teneva stretta, le face -va quasi mancare il respiro.
Lilian sapeva che doveva lasciarla andare: il problema era che quell'oggetto non voleva essere lasciato andare.
Continuava a parlarle, ma lei non lo ascoltava, rimaneva aggrappata al'ultimo pensiero che non fosse quello di ascoltare.
Gandalf le urlava di scaraventarlo a terra; la sfera ribadiva la sua sete di sape -re...sapere...
 - Basta! - gridò Lilian nella sua testa, e sollevò quell'affare maledetto, con l'in -tenzione di lanciarlo lontano da lei.
Ma in quel momento se lo trovò davanti: quella cosa avvolta nelle nubi del mi -stero, che ora l'aveva ipnotizzata, era Sauron.
Sauron, che con il suo orribile Occhio la fissava...e parlava, una lingua strana e incomprensibile: ogni sua parola era come un colpo di frusta.
Ti inchiodava al tuo posto, e non ti permetteva più di muovere il tuo corpo.
Lilian fissò quell'Occhio che cercava di penetrarle dentro, in profondità, e il suo odio per quella fonte di malvagità fu più forte di Sauron: la ragazza scaraventò ai piedi del mobile quella sfera assassina, e vide Gandalf mentre la copriva con un panno.
Udì le parole del mago che si rivolgevano a Pipino, sdraiato per terra, immobile, con un pallore cereo sul viso; udì i passi pesanti di Gimli che si avvicinavano al centro della stanza, proprio vicino a lei.
In quella le forze per reggersi in piedi le mancarono: lottare con Sauron, anche solo con la mente, era molto più difficile di quanto pensasse.
Barcollò pericolosamente sul ciglio del mobile, fino a perdere l'equilibrio: per for -tuna cadde su qualcosa di morbido!
 - Accidenti! - esclamò Gimli, con Lilian stordita sul suo grembo  - Si mangia bene, si dorme magnificamente, c'è tanta compagnia, le donne cadono dal cielo: io mi stabilisco a Edoras! -
 - Non sei affatto divertente! - lo rimbeccò Legolas, mentre aiutava Lilian ad alzar -si: per la prima volta si era reso conto di cosa provava per Gimli, ovvero, solo un enorme, indiscutibile odio.
 
Quel pomeriggio stesso Gandalf partì per Minas Tirith, la capitale del regno di Gondor, la più importante per gli uomini, e portò con sè Pipino: aveva intenzione di andare a parlare con il Sovrintendente della città, per convincerlo a prepararsi alla guerra.
Sapeva che ci mancava molto poco, poichè Minas Tirith era alle porte di Mordor, la Terra Oscura: bastava che il ponte di Osgiliath cadesse, e la capitale si sareb -be trovata senza difesa.
Nel caso fosse riuscito nella sua impresa, si sarebbero accesi dei fuochi, sulle montagne, e re Théoden si teneva pronto per partire in aiuto della città: aveva già incaricato Eomer, il suo cavaliere più fidato, di andare a radunare più uomini che poteva da tutta Rohan, poichè ormai era solo questione di giorni.
Aragorn occupava il suo tempo seduto sugli scalini della reggia, aspettando im -paziente un segnale, qualunque cosa; qualche volta Legolas gli faceva compa -gnia, ma l'elfo non era mai veramente lì con la testa: Aragorn sapeva che qual -cosa lo turbava, ma non si azzardava a chiedergli niente.
Forse in fondo immaginava che fosse. Anzi. Ne era sicuro.
L'uomo si era accorto che i pensieri dell'amico erano per una sola persona.
E purtroppo anche i pensieri di Gimli erano per quell'unica, bellissima persona.
Aragorn sperava che non succedesse niente di irreparabile, che Lilian non sce -gliesse nè l'uno nè l'altro dei suoi compagni, che scomparisse dai loro cuori come ci era entrata: se si fosse innamorata di un altro, per Legolas e Gimli sarebbe stato difficile capire, sopportare quel dolore, ma almeno non ci sarebbero state discordie fra loro.
Aragorn stava pensando appunto a questo, quando, un mattino, davanti ai suoi occhi, fra le gelide nevi delle montagne, apparva qualcosa di vivo, il rosso di un fuoco: il fuoco di Amon Din.
Quello era il segnale: Gondor e Minas Tirith, sua capitale, chiedevano aiuti.
Balzò dagli scalini e corse più veloce che potè dentro la reggia di Edoras, urlan -do:
 - Il FUOCO! Il fuoco è acceso! GONDOR CHIEDE AIUTO! -
Arrivò trafelato alla sala del re Théoden, annunciando la notizia: il sovrano di - chiarò sicuro che Rohan avrebbe risposto. 
  
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