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Autore: Luce Lawliet    01/06/2011    13 recensioni
Il mio nome è Lyanne Stoinich e questa è la mia storia.
A sedici anni sono stata rinchiusa in un istituto, con altri pazienti, molto...speciali.
Già, perchè il Wammy's Hospital è un luogo molto particolare, decisamente non adatto a voi se non sapete sopportarne la tensione.
Il Wammy's Hospital è un Ospedale psichiatrico.
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Mello, Misa Amane, Near, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                   2.

 

                                                                               La supremazia della lettera B.

 




La Mensa Comune era più piccola di quanto immaginassi, forse perchè l'Ospedale non conteneva un'eccessiva massa di schizzati.

In un certo senso, sembravano divisi in due gruppi: quello dei normali giovani depresso/problematici, che non si sentivano più a loro agio nel mondo, che non possedevano quindi un ambiente accettabilmente compatibile con quello dei loro simili, perciò se ne stavano sempre con le cuffie alle orecchie, in modo che i duemila decibel vomitassero puro rock nel loro cervello, fino a stordirli; sospettavo che se le togliessero solo per fare la doccia. Per tutta la giornata camminavano con un broncio talmente lungo che rischiavano di incespicare sul loro stesso mento, e poi c'erano loro.

Quando parlo di loro si rischia che i termini Ospedale psichiatrico, Casa di Cura, Centro per Malattie Mentali in questo caso debbano essere completamente ribaltati.

Forse non mi sono spiegata bene.

Il gruppo dei loro era nettamente ristretto, anche se probabilmente ne mancavano alcuni all'appello. C'era un giardino attorno all'Ospedale, cinto da un'alta recinzione elettrica, nel quale a tutti i pazienti era permesso accedere, a qualunque ora del giorno.

Quando non incombevano fulmini e nubi nere, loro se ne stavano quasi sempre all'aperto.

Personalmente, io non rientravo in nessuna delle due categorie: non mi sentivo una che viveva nel suo " non ambiente" personale, ma loro mi spaventavano oltremisura.

Non parlavo mai con nessuno, a meno che qualcuno un po' più coraggioso degli altri rock-dipendenti non mi si avvicinava per salutarmi.

Non restavano a lungo, però. Avevo capito che la loro era soltanto una leggera attrazione, la curiosità nei confronti della nuova arrivata. Sarebbe svanita in due settimane, o poco più.

Quando feci la mia entrata, davanti al bancone in cui due cuoche servivano i pasti si era già formata una considerevole fila di affamati, che mi fece sbuffare.

Afferrai svogliatamente un vassoio di plastica verde e mi misi in coda, dietro una ragazzina con un buffo vestitino giallo e bianco. Non riusciva a star ferma, in una mano stringeva il vassoio, nell'altra una bambolina di porcellana, vestita esattamente come lei. E ci parlava anche, con lei. Le sussurrava parole tra i capelli di nylon, disordinati e arruffati e ridacchiava. Aggrottai la fronte. Doveva avere più o meno sedici anni, come me.

Decisi di non pormi oltre il problema e allungai il collo, con la speranza che quelli prima di me non si fossero già fregati le cose più commestibili.

Un movimento d'aria improvviso dietro di me e due mani mi strinsero i fianchi, facendomi sobbalzare e cascare di mano il vassoio.

<< Misa! Sei una cretina!>>, sibilai, chinandomi a raccoglierlo, mentre la biondina sopra di me rideva come un'ossessa.

All'inizio avevo considerato Amane come una facente parte della categoria depressiva, ma ben presto, compresi che apparteneva all'altra sezione.

Ogni volta che mi trovavo vicina a lei, avvertivo una singolare nota di minaccia, nella sua voce, nei suoi occhi vitrei, da bambola...perfino nel suo look. Quando non esibiva mezzo sedere davanti al genere maschile, tendeva a vestirsi da Gothic-Lolita, una cosa a mio parere impressionante. Tra l'altro, il fatto che i suoi abiti fossero neri quanto il mezzo chilo di ombretto che si stendeva sulle palpebre quasi tutte le sante mattine, non mi tranquillizzava per niente.

Al mio insulto, scoprì i denti. << Grrr...paura, Lilly?>>, disse, imitando un felino e punzecchiandomi le spalle.

<< Lasciami in pace>>.

Mi ritrovai sotto il naso il suo dito ( unghia perfettamente laccata di nero) che puntava verso il bancone. << Oggi servono melone e pancetta, più la marmellata! Non ti sembra un sogno?>>.

<< La marmellata mi fa venire la nausea e poi sono vegetariana>>, ribattei, ringraziando mentalmente quella dea soprannominata Sfiga, che aveva deciso di diventare la mia miglior amica per tutto il tempo in cui sarei stata in quella gabbia di matti.

<< Oh? Io invece la adoro! Sono cresciuta a carne e riviste!>>, replicò lei, passandosi una mano sul corsetto nero, lisciando le pieghe che si erano formate.

<< Com'è andato l'incontro di ieri con il dottor Yagami?>>, mi domandò subito dopo.

Sospirai. L'incontro era stato un disastro su tutta la linea. A partire dal fatto che ero nervosissima e avevo finito per rovesciare il tè caldo, gentilmente offertomi da lui, su una pila di fascicoli nuovi, il dottore mi aveva fatto delle domande alle quali non ero neppure riuscita a pensare a cosa rispondere.

Domande del tipo: << Ricordi come sei arrivata qui?>> e roba del genere.

Non potrei neanche provare a descrivere la vergogna che mi divorava le membra, mentre facevo scena muta. Sapevo che non rispondendo gli avrei dato l'impressione che temevo di più, ovvero, di aver bisogno di aiuto.

<< Ha detto che gli sono sembrata spaventata e timida, perciò ha lasciato perdere; intende organizzare un appuntamento collettivo domani, alle quindici. In questo modo spera che io mi... sciolga un po'>>.

Misa alzò gli occhi al cielo. << Oh, nooo! Significa che dovrò venire anch'io...che palle. Grazie tante!>>, sbottò, lasciandomi di stucco.

<< Che cosa vuoi da me? Ha deciso tutto lui!>>, mi difesi.

<< Grazie per essere una mocciosa spaventata e timida! Se continuerai ad essere così, qui ti divoreranno in meno di una settimana!>>.

Mi voltai, ben decisa a non darle più retta.

Ancora tre ragazzi davanti a me e finalmente sarebbe stato il mio turno per l'ordinazione.

Voltando lo sguardo di lato, notai il bambino del giorno prima, quello albino, intento a disegnare numeri su diversi mazzetti di carte, disposti a terra, ai piedi del tavolo sul quale era appoggiato il suo vassoio ancora vuoto.

A mio malgrado, mi rivolsi nuovamente a Misa. << Mi dici che problema ha quel piccolino?>>.

Lei, che stava mangiando con gli occhi uno spilungone con degli inquietanti piercing alle sopracciglia, seguì il mio sguardo, per capire di chi stessi parlando.

<< Uuuh, non ti facevo così pedofila, Miss Timidezza! Ti piace Near?>>, ridacchiò. << Non ha assolutamente nessun problema>>, aggiunse, subito dopo, in tono più serio. << Anzi, ha un cervello persin troppo perfetto, a detta del nostro caro dottore!>>.

Le lanciai un'occhiata spiazzata.

<< Il suo Q.I. è decisamente superiore alla media, quella palla di neve è una specie di genio della Matematica, o roba simile>>, spiegò, infine. << Il fatto è che non esce da questo posto da quando era un cosino così! E' passato in mano a cinque famiglie diverse, ma continuavano a nascere problemi, allora il dottore ha deciso di tenerlo qui>>.

<< La decisione più stupida che quel vecchio abbia mai preso in tutta la sua vita!>>, ribadì una voce maschile, la cui sfumatura non sapevo se definire ironica o alterata.

A parlare era stato un ragazzo completamente vestito di nero, che ad un primo momento avrebbe anche potuto passare per il fratello maggiore di Misa. Sottile come un giunco, alto, dal portamento superbo e occhi color acqua ghiacciata, con i capelli che gli sfioravano le spalle, ancora più biondi di quelli della ex-modella.

Quasi di riflesso, mi ritrassi di pochi centimetri. Quel tizio era uno dei loro, per intenderci, e non mi era mai piaciuto...il suo sguardo mi ricordava troppo quello di un criminale.

<< E questa?>>, fece un cenno con la testa verso di me, senza guardarmi negli occhi. << E' il tuo nuovo cagnolino?>>.

<< Fatti i cazzi tuoi>>, ribattè lei, facendomi l'occhiolino.

<< Preferirei farmi te>>.

<< Scusa, non parlo con gli psicopatici, né tantomeno ci scopo assieme!>>, cantilenò Misa, in modo abbastanza udibile, così che altri potessero sentire e così da suscitare l'irritazione momentanea del biondo, il quale fece per afferrarle un braccio, ma si bloccò, come tutti gli altri ragazzi, quando una scagliò il proprio vassoio pieno verso le cuoche, lanciando un urlo di collera.

<< Non voglio il melone, mi fa schifo il melone! Perchè non posso mangiare quello che voglio, almeno una volta in questo fottuto Ospedale? Andate all'Inferno!!>>, ruggì, dando feroci gomitate nelle costole di quelli dietro di lei. Mi feci immediatamente da parte per lasciarla passare.

Misa le lanciò un'occhiatina muta mentre quella belva le passava accanto e disse all'orecchio del biondo: << Non capisce che lo fanno per il suo bene? Il melone la aiuterebbe a buttare via quei venti chili di cellulite che ha per gamba>>.

Una decina di teste si voltarono verso di lei, la quale finse di essere sorpresa di ricevere tutte quelle attenzioni. Io sbarrai gli occhi.

Che ragazza sgradevole, come se nessuno avesse capito che l'aveva fatto apposta a parlare a voce alta. Infatti, la belva fece immediatamente dietro front, per fronteggiarla. Era una ventina di centimetri più alta di lei e grossa quasi il doppio.

<< Tappati la bocca, lurida cocainomane, o giuro che te la chiuderò io!>>.

Con la coda dell'occhio vidi una delle cuoche dirigersi all'angolo del bancone e premere un bottone rosso.

Emergenza, richiesto personale alla Mensa Comune! Emergenza, richiesto personale alla Mensa Comune!

Gli altoparlanti diffusero pigramente il segnale d'allarme, attraverso tutte le stanze dell'istituto.

Mi trovavo abbastanza vicina a Misa per rendermi conto che sul suo volto non vi era traccia di timore o sfida, solo semplice superbia. Una superbia scevra di alcun tipo di limite, una superbia che io avrei pagato tutto l'oro del mondo per potermene appropriare.

<< La droga non mi ha rovinata; tu sei diventata una botte di vino marcio e scadente, proprio come tutte le bottiglie che ti bevevi e bevi ancora di nascosto, poco prima dell'orario di chiusura nella Mensa, quando nessuno ti guarda!>>, rispose lei con uno splendido quanto velenoso sorriso milledenti.

C'era da aspettarselo che la tipa reagisse, infatti alzò immediatamente il braccio, la mano tesa al massimo, pronta per scaricarle un durissimo schiaffo in pieno volto, ma la voce del ragazzo biondo la fermò.

<< Fallo e andrai in guai seri>>.

La ragazza si morse le labbra, gli occhi lanciavano lampi di odio e di isterismo, mentre la mano ancora alzata sembrava preda di convulsioni e tremori.

Li fissò entrambi con uno sguardo omicida, da folle, borbottando qualcosa tra i denti. Infine li oltrepassò. Non ebbi i riflessi abbastanza pronti nel notare che si stava dirigendo verso di me. << Fuori dai coglioni!>>, sibilò. Ricevetti una bella spinta inaspettata che mi fece perdere l'equilibrio e sbilanciare a terra. D'istinto, mollai il vassoio e cercai di aggrapparmi alla prima cosa che trovai.

Un altro vassoio, tenuto in mano da qualcuno. Un vassoio pieno.

Disgraziatamente, la caduta mi impedì di assicurare un appiglio alle mie dita; lo slancio mi fece finire addosso a quel vassoio di faccia, sicchè tutto il contenuto si riversò sul petto del legittimo proprietario.

Crollai sul pavimento, picchiando con le ginocchia e i gomiti. Udii i passi strascicati della mia assalitrice allontanarsi lungo il corridoio, per poi affievolirsi velocemente. Il vassoio vuoto della persona che avevo urtato era rovesciato sulle mie mani.

Sospirai e alzai lo sguardo, intenzionata a scusarmi, ma ciò che vidi mi fece svanire qualsiasi forma di coraggio e qualsiasi voglia di parlare.

Una larga macchia rossa sul suo petto, bagnava la sua maglietta bianca e inquinava il puro candore della stoffa. Avrebbe potuto essere scambiato per sangue e nessuno se ne sarebbe accorto. Non era sangue, bensì marmellata. Marmellata di fragole, a giudicare dal colore. Osservai le sue braccia, abbandonate sui fianchi, le mani, anch'esse sporche, le dita allargate, i palmi aperti. Il mio sguardo si spostò automaticamente verso l'alto, sul suo viso.

Occhi scarlatti, color cremisi, dello stesso, identico colore di quella marmellata che ora impregnava il suo busto, quasi come fosse la macchia incancellabile di una ferita mortale.

Il suo sguardo, in quell'istante perso nel mio...non era tra i più amichevoli.

Anzi, quello non era per niente uno sguardo.

Quando riacquistai per un istante mezzo grammo di lucidità, mi accorsi che tutti i ragazzi della mensa avevano formato un cerchio attorno a noi due; perfino Misa e il tizio biondo di fianco a lei si erano fatti da parte, immobili, senza dire una parola.

Lui mi stava fissando ormai da una quindicina di secondi, senza cambiare espressione.

Cominciai ad innervosirmi; che stava succedendo?

Mi misi in ginocchio e feci per mettermi in piedi, togliendo le mani dal vassoio. Neanche il tempo di rendermene conto, che il ragazzo sopra di me alzò un piede, di scatto; l'impatto del calcio sul vassoio lo scaraventò contro il muro, rischiando di colpire una delle due cuoche. Il vassoio si ruppe a metà, impiastricciando la parete di rosso cremisi.

Non riuscii a trattenere un urlo di sorpresa.

Se avessi lasciato le mani immobili una frazione di secondo in più, quella botta mi avrebbe fratturato tutte le dita in un colpo solo.

La ragazzina con la bambola di porcellana in mano gemette e si rattrappì contro il muro; alcuni ragazzi sussultarono.

Non avevo abbastanza fiato per tornare a respirare. Lo vidi chinarsi verso di me.

<< Se il tuo volto non mi avesse fatto venire il voltastomaco, ti farei pulire le mie scarpe con la lingua>>. Bastò la sua voce bassa e soffiante, come quella dei cobra, a farmi sentire come se mi avesse appena pugnalato alla gola.

I miei occhi si spostarono sulla punta delle sue scarpe, impiastricciate di marmellata, prima che il ragazzo dagli occhi rossi se ne andasse, percorrendo la stessa strada dell'altra tipa. Un attimo dopo, le ante principali della Mensa Comune si spalancarono e fecero la loro entrata due robusti infermieri.

Il gelo sembrò sciogliersi, come neve su una stufa elettrica.

<< Perchè ci avete messo così tanto?>>, si lasciò sfuggire una cuoca, con una mano appoggiata sul petto.

<< Che cos'è successo?>>, domandò uno dei due.

<< B>>, si limitò a rispondere la donna, indicando l'uscita secondaria. I due si scambiarono un'occhiata esasperata e non persero tempo, scomparendo con la stessa flemma con cui erano arrivati.

Dal canto mio, non riuscivo a staccare lo sguardo da dove fino a pochi secondi prima erano posizionati i piedi di quel brutale schizofrenico che mi aveva quasi fatta morire di paura. Non stavo scherzando, sentivo ancora il cuore pulsarmi dolorosamente nel petto e le dita delle mani imbalsamate dai brividi freddi che percorrevano il mio corpo come scosse elettriche.

Il sinistro torpore venne scacciato da una mano calda che mi strinse la spalla; in quel gesto riuscii addirittura a scorgere un briciolo di conforto, ma forse ero troppo atterrita e probabilmente fu solo una mia impressione.
L'amico della modella si era avvicinato a me. Mi aiutò a rialzarmi, senza dire una parola, mentre gli altri riprendevano con il chiacchiericcio e gli spintoni, in modo da accaparrarsi le ultime fette di pancetta, come se non fosse accaduto nulla.
Misa fischiò. << Ora capisco cosa intendeva dire quando ha detto che gli hai fatto venire il voltastomaco>>, commentò, lanciando un'occhiata alla mia faccia, probabilmente ancora scioccata, le iridi immobili, che non reagivano ancora ai miei comandi e la mia voce ormai prosciugata in fondo alla gola dall'ondata di panico.

<< Dalle almeno il tempo di riprendersi, Amane.>>, la ammonì annoiato il biondino, accompagnandomi sulla sedia più vicina.

<< Riprendersi da cosa? Manco l'ha toccata, per me è già stata fortunata!>>, ribattè lei, accosciandosi sul tavolo e appoggiando gli stivali neri aderenti e lunghi fino alle ginocchia firmati Jimmy Choo sulla sedia accanto alla mia.

In circostanze normali mi sarei chiesta se fosse permesso tenere vestiti di marca e scollati, ma non mi posi il quesito. Probabilmente quella ragazza rappresentava l'unico strappo alle regole di quel postaccio.

<< Comunque, ricordi quando eravamo sotto la doccia e ti ho accennato alle telecamere?>>, iniziò a dire.

<< Avete fatto la doccia insieme?>>, la interruppe il biondo, lanciando a entrambe un'occhiata indecifrabile.

<< Allora, ti ricordi?>>, continuò, ignorandolo. << Lo scopo di quegli aggeggi è tenere sotto controllo i movimenti dei pazienti in generale, certo, ma qui hanno la precedenza i casi gravi. Mi ascolti o no?>>.

<< Sì...sì>>, balbettai, incapace di trasformare la voce in qualcosa di più che un sussurro spezzato.

<< Ehi, questa si è bloccata!>>, sbottò il ragazzo, afferrando qualcosa dal tavolo e gettandomelo addosso. L'acqua che mi schizzò in faccia fu come un battito di mani in un momento di ipnosi.

<< Co...che diavolo fai?!>>, mi lamentai, scuotendo la testa, sollevando spruzzi di goccioline sugli stivali di Misa, la quale si ritrasse con una smorfia.

<< Casi gravi, capito? Beyond è uno di quelli. Anzi, è il più grave di tutto questo dannato Ospedale. Comincia fin da subito ad allenare l'istinto di sopravvivenza e la prossima volta che lo vedi, cambia strada prima che lui veda te! Non so tu, ma se il mio radar non è rotto, ho captato migliardi di onde negative provenienti da lui solo ed esclusivamente per te!>>.

Misa incrociò le braccia al petto, mentre il ragazzo vicino a lei mi squadrava, quasi con compassione.

<< Casi gravi...>>, borbottai tra me e me.

<< Già. E se ti fossi chinata a leccargli le suole, avresti capito a cosa alludo. Con casi gravi intendo cavigliere elettroniche che ti agganciano alla gamba, semplici sistemi di monitoraggio che però trattengono tutti i pazzi furiosi come quello dall'ammazzare di botte le mammolette imbranate come te!>>, spiegò, sghignazzando. << I pazienti con quegli affari attaccati alla caviglia si contano sulle dita di una mano, ma ti conviene stare alla larga da loro, non sai mai cosa aspettarti>>.

Non sai mai cosa aspettarti..., pensai.

Ovviamente.

Del resto, cosa mai avrei dovuto aspettarmi, in un manicomio?

Mi coprii la faccia con le mani; di colpo non avevo più fame.

Ero completamente fuori posto, non c'entravo niente - niente!- con tutto questo.

Io non sono...

<< ... come voi!>>, gemetti.

Le risatine, il rumore delle sedie spostate, l'odore nauseabondo della carne...tutto ciò fu in grado di farmi martellare le tempie al limite della sopportazione. Mi alzai dalla sedia con uno scatto, dirigendomi a passo svelto verso l'uscita della Mensa.

Prima di oltrepassare le porte, tuttavia, udii chiaramente la voce squillante di Misa: << Che ti dicevo? La divoreranno in meno di una settimana...>>.

Quasi mi misi a correre, per raggiungere le scale. Spesso rischiai di scontrarmi con altri ragazzi, poichè continuavo a fissare il pavimento, per nascondere il mio volto arrossato, i miei occhi strabordanti di lacrime amare agli sguardi curiosi di tutti quegli sconosciuti.

Raggiunsi velocemente il reparto numero 7, il mio reparto.

Trattenni il respiro, finchè non sbattei alle mie spalle la porta della mia stanza e non la bloccai, spingendoci davanti il letto a una piazza, con le coperte ancora disfatte. Non volevo vedere nessuno, non ci riuscivo.

La verità era che continuavo a pensare ai suoi occhi. Penetranti, rossi come il sangue...possibile che la natura fosse stata così generosa - o spietata?- da concedere una peculiarità del genere?

Li avevo sentiti muoversi lungo il mio volto, vogliosi di scoprire i segreti racchiusi nella mia anima, smaniosi di appropriarsene.

La sensazione che gli occhi di quel ragazzo vedessero cose che nessun altro era in grado di vedere non accennava a sparire, così come quella che mi implorava di non restare in quel posto un minuto di più.

Non potevo, non lo sopportavo. Io ero una ragazza normale, il mio posto non era lì.

Io non sono un caso grave, mi dissi, riconoscendo solo in quel momento il vantaggio di quella posizione. Non lo ero, perciò non erano le mie azioni quelle prese sul serio. Avevo una possibilità, forse. Trassi un respiro profondo, finalmente più calma.

Dovevo assolutamente escogitare un modo per andarmene da lì quella notte stessa. Il dottore credeva di potermi offrire aiuto, ma io non lo volevo.

Non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno. Era di questo che tentavo disperatamente di convincermi da quasi tutta la vita.

 

 

                                                                                                       [ continua ]

 

 

 

In realtà, questo capitolo avrei voluto farlo un po' più lungo, ma all'ultimo ho cambiato idea! Ci terrei inoltre a ringraziare:

akachika

So I don T Know

starhunter

per le recensioni, e anche

BeyondTheLimit

per averla inserita tra le Ricordate e infine

akachika

nao

per averla aggiunta fra le Seguite! Grazie a tutte, davvero! ^^

Bene, detto questo...vi auguro buona serata!!

Bacioni,

Luce. 

   
 
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