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Autore: nitro    02/06/2011    2 recensioni
Questa storia ha partecipato al concorso "What if..e se fosse andata in un altro modo?" organizzato da Dark Iris91, classificandosi prima a pari merito.
Nelle ultime pagine del libro "Eclipse" si vede Jacob scappare lontano dalla riserva e da Bella, senza una meta precisa. E se il suo cammino trovasse una meta? E se Billy lo trascinasse in un viaggio oltreoceano?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
Capitoli:
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Ascoltateli. I figli della notte... quale dolce musica emettono. (Dracula di Bram Stoker)

 

        Settembre trascorse veloce come una folata di vento. Io e Ricky avevamo approfittato di ogni singolo minuto di luce per guidare la sua moto meravigliosa.
La mia anima diventava ogni giorno più leggera, uno strano sentimento di appagamento infondeva tepore nelle mie membra. Cominciavo a pensare al detto “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” come alla mia filosofia di vita, ma non potevo fare a meno di chiedermi come mi sarei sentito una volta tornato a casa, rivedendo i suoi grandi occhi scuri. Gli occhi di Bella.
Affinché la mia mente non si tormentasse troppo, mi lasciavo coinvolgere volentieri dalla passione che Ricky dimostrava per la sua terra e per le due ruote.
Avevo visitato molte cittadine del Nord della Norvegia, ma all’inizio del mese di ottobre fummo costretti a riporre la moto sotto un telo a causa del freddo e della neve imminente. Anche la luce ormai non sosteneva più le nostre gite. Il Sole non si alzava più di molto oltre l’orizzonte e l’atmosfera era impregnata da un costante crepuscolo.
Le notti a Forks potevano essere molto scure, ma c’erano sempre le stelle a favorire la vista degli abitanti della foresta; in quel villaggio sperduto, invece, la luce siderale non riusciva a raggiungere la terra, lasciandola avvolta dalle tenebre più totali.
Il clima era andato sempre più peggiorando, finché una sera le grosse nuvole nere e dense di neve si decisero a liberare i fiocchi dalla loro prigione celeste.
Quella notte, mentre la tempesta di neve infuriava sulla Norvegia, feci uno strano sogno.

 

 
Una bufera di neve infuriava sulla natura morta della foresta e Ricky camminava tra i turbini di quella tormenta. Io la osservavo da lontano, nascosto tra gli alberi.
La giovane alzò il viso, incorniciato dal cappuccio della sua pelliccia e quando i suoi occhi incontrarono il cielo, le nuvole si aprirono lasciando spazio a un’immensa Luna piena.

 

Ricky scrutava rapita il satellite rotondo e piangeva, un pianto silenzioso ma disperato; io volevo avvicinarmi a lei per guardare insieme il cielo, per consolarla, ma una forza sconosciuta m’impediva di raggiungerla. A ogni mio passo, la sua figura si allontanava da me e il suo corpo diventava sempre più trascendentale. Preso dal panico, cominciai a correre, ma Ricky sparì del tutto, lasciandomi solo in quella distesa di neve.
 
Mi svegliai sul mio divano. Ero sudato e terrorizzato. Mi misi a sedere e mi tolsi dagli occhi i capelli neri, che ormai mi arrivavano alle spalle.

 

La sensazione di panico che mi tormentava lo stomaco non voleva abbandonarmi, si era arpionata alla mia angoscia come un tremendo parassita.
Mi alzai e mi diressi verso la camera di Ricky; se qualcuno mi avesse visto, sarei stato preso per stupido o, peggio, per un maniaco, ma dovevo assicurarmi che lei fosse sana e salva nel suo letto.
La porta della sua stanza era aperta. La mia vista mi aiutò a mettere a fuoco la figura del letto nella penombra. Scrutai meglio tra quelle coperte e quando le trovai vuote, il mio cuore si bloccò. Cominciai a sudare freddo, riuscivo a percepire che c’era qualcosa di sbagliato in tutta quella storia. Qualcosa non andava.
Mi precipitai fuori dalla casa e senza pensarci su mi trasformai. I pantaloni con cui dormivo si distrussero con un rumore secco, sparpagliandosi nella foresta.

 

Corsi a perdifiato senza una meta precisa, non riuscivo a pensare lucidamente.
La parte razionale del mio cervello riuscì a imporsi sul panico, se fosse successo qualcosa a Ricky a causa della mia stupidità, non me lo sarei mai perdonato.
Ricordai a me stesso che c’era un modo infallibile per trovarla: il mio fiuto. Nell’angoscia ero riuscito a dimenticarmi anche quest’aspetto basilare del mio essere lupo. Non mi ero nemmeno accorto che la neve aveva smesso di cadere; era adagiata placidamente sul terreno.
Ritornai sui miei passi e cercai il suo profumo. Continuavo a sperare che la tormenta non avesse coperto il suo odore.

 

Finalmente trovai la scia profumata di rose, che Ricky si lasciava sempre alle spalle. La seguii, ma più m’immergevo nel buio della foresta, più quella traccia diventava difficile da seguire. Un altro odore si sovrapponeva alla deliziosa essenza di rose, una scia selvaggia e animalesca. Riconobbi l’aroma che solitamente noi lupi emanavamo nell’aria, ma in quello c’era qualcosa di più selvaggio e duro.
 

Un campanello d’allarme istintivo mi raddrizzò i peli sulla schiena. La paura ricominciò ad attorcigliarmi lo stomaco.
 

Ormai ero sicuro che Ricky fosse in pericolo.
 

Correvo. A quel punto inseguivo soltanto l’olezzo di cane, perché le rose non si sentivano più.
Continuavo a ripetermi nella testa che non sarebbe dovuto succederle nulla, salvarla era un obbligo.
Gli alberi sfrecciavano accanto a me a velocità folle, finché la scia mi portò da lei.
La vidi appoggiata al tronco di un albero, gli occhi erano aperti, spalancati, terrorizzati e le sue labbra erano contratte in una smorfia di dolore. L’odore del suo sangue arricciò le mie narici.
Il suo sguardo era fisso su qualcosa, scrutava il buio di fronte a lei con incertezza.
Distinsi chiaramente tra gli alberi due occhi grossi e ferini, gialli e iniettati di sangue.
L’enorme figura barcollò fuori dall’oscurità e si mosse verso Ricky.
Non avevo mai visto una creatura tanto spaventosa.
Il cranio enorme aveva le sembianze di quello di un lupo; la sua schiena, più umana che animale, era ricoperta di peli scuri. Il resto del corpo sembrava umanoide, eccetto le grandi zampe artigliate al posto delle mani. Pareva sospeso tra le due forme, imprigionato in una trasformazione mal riuscita.
Era un lupo mannaro. Non un mutaforma, ma un vero e proprio licantropo.
I muscoli della bestia guizzarono sotto la scura peluria, Ricky chiuse gli occhi ed io mi fiondai in mezzo tra la preda e il cacciatore, proprio mentre questo sferrava il suo attacco mortale.
Spinsi di lato il licantropo con tutto il corpo. Era rimasto troppo affascinato dalla sua preda e non si era accorto né mia presenza, né del mio balzo. L’animale cadde a terra rovinosamente.
Ricky era ancora addossata al tronco e guardava la scena con gli occhi sbarrati. Si reggeva il braccio nel punto in cui gli artigli avevano lacerato la pelliccia e la carne. Un grosso livido disturbava i lineamenti gentili del suo volto.
La vista del suo corpo percosso e indifeso permise che una rabbia animale invadesse ogni tessuto e ogni vena del mio corpo.
Prima che il licantropo riuscisse a rialzarsi, mi avventai su di lui e cominciai a mordere e a lacerare con furia. Strappavo ogni centimetro di carne che trovavo ancora intatto.
I suoi artigli graffiavano il mio ventre, ma la mia furia ceca mi impediva di sentire il dolore.
Infine riuscii a mordere la giugulare, il sangue fluì caldo tra le mie fauci. La creatura ebbe gli ultimi spasmi e poi ci fu il silenzio.
Mi voltai adagio verso Ricky. Le sue meravigliose iridi azzurre erano ancora spaventate. Mi avvicinai lentamente e mi accucciai a poca distanza da lei.
Sentivo chiaramente i battiti accelerati del suo cuore, probabilmente la sua mente non era ancora riuscita a concepire di essere in salvo. Cercai di appiattire le orecchie sulla testa e assumere una postura remissiva.
I suoi occhi assenti percorsero il lupo che aveva di fronte e poi si posarono sui miei. Per alcuni istanti continuò a fissarmi con gli occhi atterriti, ma poi avvicinò lentamente una mano al mio muso e mi accarezzò delicatamente le orecchie.
Vidi la sorpresa illuminarle il viso, assieme ad un meraviglioso sorriso.
Un sorriso sincero e di gratitudine. Mi aveva riconosciuto.
« Jake… »
Il mio nome, pronunciato da quella voce così soave, si librò nella foresta come un fiocco di neve soffice.
Il corpo teso di Ricky finalmente si rilassò, le sue gambe cedettero e la sua schiena strisciò sul tronco fino a toccare terra. Si asciugò la fronte imperlata di sudore con la pelliccia e chiuse gli occhi. Notai che il suo corpo era scosso da lunghi brividi.
Accostai il mio corpo animale al suo e cercai di riscaldarla un po’ con il mio pelo, anche se il tremore era più probabilmente dovuto alla paura che al gelo.
Le sue dita sottili percorsero le lunghe strisce di sangue che fasciavano il mio ventre, il contatto con le mie ferite le corrugò la fronte, ma appena capì che sotto quel sangue la lesione ormai era rimarginata, la preoccupazione abbandonò il suo viso.
Le sue mani continuarono ad accarezzarmi ed io mi lasciavo cullare. In quel momento provai sensazioni nuove, strane. Mi sentivo leggero e appagato, come se fossi esattamente nel luogo in cui ero destinato a essere… al suo fianco.
Da molto tempo non mi capitava di essere così spensierato e felice.
Sì, ero felice. Più felice di quanto non ero mai stato in quella terra meravigliosa che stavo pian piano scoprendo. Finalmente il mio cuore riusciva a stare lontano dall’immagine di Bella.
Osservai il viso di Ricky; i suoi lineamenti erano stranamente dolci e apprezzai molto quel lato del suo carattere che mi aveva nascosto fino a quel momento.
Era una creatura ricca di contraddizioni, dura e gentile, ma pur sempre meravigliosa.
Quella notte avevo rischiato di perderla e mi resi conto che non averla più accanto non era una possibilità che la mia mente avrebbe potuto accettare.
Improvvisamente mi ricordai delle sue ferite e guardai le sue braccia e i lividi sulla sua guancia, ma lei non sembrava accorgersi del dolore, il suo sguardo era stato rapito da qualcosa nel cielo.
Alzai gli occhi e vidi una bellissima Luna piena; il cielo, ormai liberato dai nuvoloni densi di neve, creava un’atmosfera limpida e suggestiva.
Si poteva vedere ogni singolo cratere, ogni bizzarro rilievo del nostro satellite.
Il mio istinto prese il sopravvento e comincia a cantare alla Luna; lunghi ululati risuonarono nella foresta creando un lamento romantico.
Avevo gli occhi chiusi ma riuscii a percepire il sorriso che il mio canto procurò alla ragazza che sedeva al mio fianco.
Ricordai la mia infanzia, di come mi fosse sempre piaciuto stare a osservare le stelle e la Luna che inscenavano il loro eterno viaggio nel teatro del cielo. Prima di scoprire le leggende sulla mia tribù, prima di diventare un lupo, ero già affascinato dallo strano sentimento di nostalgia che la vista della Luna provoca nell’animo degli esseri viventi.
Essere un lupo mi permetteva finalmente di omaggiare il piccolo pianeta grigio con le melodie più idonee; scalavo le note della natura in un crescendo di suoni e la mia gola risuonava di felicità.
Quando la mia natura animale fu finalmente soddisfatta, feci salire Ricky sulla mia schiena e la riportai a casa.
«Aspetta qui», mi disse mentre spariva oltre all’ingesso della sua casa.
Uscì pochi minuti dopo con un paio dei miei pantaloni.
« Era esattamente quello che ti serviva… » non era una domanda e lo disse con un ghigno di fierezza.
Contraddizioni…
Tornò in casa ed io mi trasformai.
Cercai di non far rumore, perché se Billy avesse scoperto la scappatella notturna di Ricky e le sue ferite, sarebbe andato su tutte le furie ed io avevo bisogno di pensare a come raccontargli ciò che era successo.
Non era il racconto della battaglia che mi metteva in difficoltà, ma ciò che avevo sognato. Lo strano segno che il mio corpo, o la mia mente mi aveva voluto dare.
Perché quel sogno premonitore mi aveva avvertito che Ricky era in pericolo?
Era come se una strana connessione unisse le nostre vite. Alcuni avrebbero parlato di destino, di quella forza sovrannaturale che intrecciava le esistenze degli umani; alcuni, invece, avrebbero parlato di fortuna, ma percepivo che c’era qualcosa di più concreto a legarmi a Ricky.
Decisi di rimandare le mie riflessioni.
Ricky era in cucina, si stava detergendo i tagli sulle braccia con il disinfettante.
Non pensai nemmeno alle mie azioni ma corsi ad abbracciarla. La strinsi talmente forte da procurarle un gemito di dolore che mi costrinse a chiedere scusa.
« Ho avuto paura di perderti ».
I suoi occhi, o meglio, i suoi zaffiri brillarono per me.
« Grazie Jacob, senza di te sarei… »
« No! Non dirlo! Ormai e passato, però devi spiegarmi cosa ci facevi di notte, da sola in quella foresta ».
Ricky sospirò e mi disse che prima doveva darsi una sistemata. Per fare più in fretta la aiutai a ripulire la pelliccia e le procurai una borsa con del ghiaccio per i lividi.
Ci sedemmo al tavolo della cucina con due grosse tazze di latte ai cereali.
« Mi è successa una cosa strana, mi sono svegliata nel cuore della notte con una sensazione di nostalgia nel petto. Il mio corpo smaniava di camminare tra gli alberi, di posare i piedi sulla neve soffice, appena caduta. Volevo vedere la Luna piena ».
« Sei impazzita? Insomma ti senti bene? » era pur sempre la figlia di due lupi, ma gli umani non stanno svegli la notte per guardare la Luna, o almeno generalmente. Per qualche strano motivo condivideva la mia stessa, particolare passione.
Mi rimproverò con lo sguardo.
« Sto bene, ma il mio corpo ha agito d’istinto, non lo so, non ho saputo resistere. Così sono uscita e sono corsa nella foresta. Ho inseguito il cielo nascosto dalle nuvole, fino a che non ho trovato uno spicchio di sereno. La Luna era così bella, mi sono imbambolata a guardarla, ma quel mannaro deve aver seguito il mio odore, come sicuramente hai fatto anche tu e mi ha trovato e… » strinse i pugni sul pelo della pelliccia a lei tanto cara e abbassò lo sguardo, le mie mani andarono immediatamente a coprire le sue per confortarla.
« Mi ha attaccato. Mi ha colto alla sprovvista, ho tentato di fuggire ma era inutile. Era troppo veloce. Ho corso fino allo sfinimento, poi ho dovuto appoggiarmi a un tronco e respirare. Il resto lo sai ».
Mi sorrise ancora e come ogni volta, il mio cuore perse alcuni battiti.
« Jacob, io… ti devo la vita. Sei un ragazzo meraviglioso. Sei dolce e altruista e… mi sto affezionando a te… »
Il cuore si risvegliò e fece le capriole. Sentii le mie guance avvampare.
« Ti ho già detto che non devi preoccuparti. Non avrei potuto lasciarti nei guai, mi sono spaventato a morte » poi l’imbarazzo mi fece pronunciare una frase totalmente idiota. Il mio cervello pensò: ”anch’io mi sono affezionato a te… ”, ma la mia boccaccia disse:
« Sai, ti preferisco quando non sei scorbutica come al solito ».
Ricky si alzò da tavola e mi sputò in faccia una frase in norvegese che non capii, ma dal tono, era sicuramente un insulto.
La guardai mentre si allontanava dalla cucina e mi lasciava solo. Il suo lato irascibile era uscito nuovamente allo scoperto.
Contraddizioni…
Eppure quel carattere così complicato non mi era nuovo. C’era qualcun altro, qualcuno che conoscevo alla perfezione che si comportava alla stessa maniera, una persona gentile e tranquilla, ma che si faceva spesso sopraffare dalla rabbia; ed ebbi un po’ di difficoltà ad ammettere che quella persona era proprio Jacob Black.

        

   
 
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