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Autore: Lady Antares Degona Lienan    02/06/2011    2 recensioni
Era bellissima, china sulle ginocchia mentre stracciava delle violette riducendole a solo un gambo e qualche coriandolo colorato.
Quando due destini s'incontrano e incastrano così perfettamente è giusto che proseguano insieme il loro cammino. Tra vampiri, monasteri e fiori, però, a volte vien da chiedersi perché la vita sia così complicata. Nota per la prossima esistenza: ricordati di non innamorarti di una Blackmore.
Julian e Sophia Lord
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alba. Ebbe appena modo di registrare quell’informazione quando l’odore di fiori gli schiantò la mente. Scattò a sedere, guardò prima a destra, poi a sinistra. Infine piegò il capo all’indietro e vide gli occhi più agghiaccianti di tutto l’universo osservarlo con blando divertimento.

« Curioso. », disse Ashton toccando con fare assente l’intelaiatura della finestra da cui era entrato. Il dito s’infilò in un errore di trama del legno e lo picchiettò appena. « Chi mai dormirebbe con il letto sotto la finestra? »

« Io. » rispose. Si strinse i lembi della camicia da notte addosso. « Così i ladri mi cadrebbero sopra. E potrei coglierli di sorpresa. »

 

in Vento et rapida Aqua

Capitolo Secondo

 

 

Ashton rise. « Non un ladro vampiro. » Continuava a fissare la stanza ma evitava accuratamente di guardarlo negli occhi; forse non era un oggetto abbastanza interessante. Non lo guardava. Julian evitò di pensare per troppo tempo a quanto quegli esseri potessero essere fastidiosi: probabilmente non lo dicevano a nessuno ma sapevano anche leggere nel pensiero. « Adesso siete così annoiati da buttarvi pure nelle vili pratiche umane? »

Il vampiro finalmente lo degnò di un’occhiata: ma così velocemente come il viola si era posato su di lui, altrettanto velocemente deviò verso la rosa del Palio, magicamente intatta. « Conosco storie su quella rosa. È stata Sophia a raccontarmele. Sono storie in cui hai il ruolo di Cavaliere, giovane Lord. » Fu il nome di lei a fargli vincere ogni ritrosia. Si gettò contro Ashton afferrandogli il mantello, tirandolo verso di lui. Lo avvolgeva un tale sentimento d’agonia da renderlo invincibile, almeno nella propria mente. « Come sta?! Parlami di lei! »

Se prima aveva desiderato essere fulcro dell’attenzione di Ashton Blackmore, improvvisamene sperò di diventare invisibile: non gli era mai piaciuto essere scrutato dall’alto in basso e la propria altezza non aveva favorito le circostanze. Se prima lo aveva strattonato verso di sé, adesso lo spinse via. « Scusami. », balbettò. « Scusatemi. Io… »

Un’altra risata dai toni evanescenti. Strapparsi le orecchie non era un’opzione, ma per la centesima volta in qualche minuto bramò l’impossibile. « Ashton, perdonatemi. Vi ho mancato di rispetto e gentilezza. Come state? A quanto mi era stato dato d’intendere eravate più nel mondo dei morti che in quello dei vivi. », balbettò stentatamente. Si affrettò a dargli le spalle e ad afferrare la rosa del Palio come oggetto di difesa.

Ashton lo penetrava con lo sguardo, anche se non con l’intenzione di esaminarlo: piuttosto pareva volesse passargli attraverso, per giungere a qualcosa che risiedeva dietro di lui. « Più morto che vivo? Interessante scelta di parole, giovane Lord. » Quella che avrebbe dovuto essere un’espressione divertita si articolò in un macabro siparietto di muscoli e pelle. C’erano dei momenti in cui Julian sapeva di non capire l’Onorabile Eloise, e questo era certamente uno di quelli; lui non avrebbe mai intenzionalmente abbandonato il proprio letto per seguire quel cadavere in posti bui e spaventosi. A meno che non si trattasse di Sophia, ovviamente. Si riscosse. « Ehm. No, certo. Dunque state bene. », tentò. Bruciava dalla voglia di sentire il nome di lei uscire dalle labbra del vampiro, ma quello pareva intenzionato a prendere le cose con calma.

« Sto bene, sì. »

« Ah. Bene. »

« Potete lasciare la rosa, non intendo rubarvela. »

Imbarazzato movimento nel rimetterla a posto. « No, no, certo. È un regalo di Sophia, un pegno più che altro. Gliela ridarò quando non saremo più Matriculae. È una promessa che ci siamo scambiati per tenere duro nei momenti di difficoltà. »

Era improvvisamente interessato. Gli guardava la bocca in maniera ossessiva, quasi aspettasse delle altre parole. « Potete dirmi come sta? »

« Sta bene. È molto scossa dalle novità, e vi ricorda di fare il turno della lavanderia, questo giovedì. Ci tiene inoltre a rammentarvi di avervi lasciato in prestito il suo libro preferito: vi prega di custodirlo gelosamente fino al suo ritorno. »

« Ah. »

Se non altro sembrava perplesso quanto lui, quasi non credesse d’aver dovuto portare un messaggio simile a qualcuno.

« Se non avete altro da riferire andrei. L’alba incalza e molti altri compiti mi attendono. », disse con tono appena sussurrato. Julian si riscosse dal torpore che l’aveva avvolto e si appoggiò sulla scrivania a mo’ di sostegno. Pensare al suo nome era doloroso come degli aghi nella pelle. « Aspettate! », fece. « Aspettate. Potete dirle che mi manca molto, e che non vedo l’ora di rivederla? Lo farete? »

Il vampiro annuì e si accostò ala finestra. Solo allora Julian si permise di accasciarsi contro il legno massiccio della struttura della propria scrivania. Mosse il collo per svegliarsi e fu catturato da un lampo blu; si girò e incrociò gli occhi di Sophia attraverso il disegno. Disegno che era giusto dietro la sua schiena. Fu allora che Julian capì forse per la prima volta l’Onorabile Eloise e quella sua incredibile ostinazione a voler vedere sempre il più profondo animo di tutti. Ostinazione che le era valsa mille rimproveri ma, in fondo, anche un’attenta capacità di analisi introspettiva.

« Ashton! », chiamò. Lui si voltò, gli occhi viola educatamente perplessi. Probabilmente non avrebbe mai capito cosa animava il cadavere senza vita di quella creatura, ma poco importava: il suo compito era proteggere Sophia e avrebbe dato la vita per farlo, proprio come lui. Si schiarì la voce, la gola improvvisamente arida. « Ashton, non dovete preoccuparvi se lei fatica ancora a guardarvi negli occhi e pare a disagio: quando è scossa tende ad aggrapparsi alla quotidianità. Il messaggio che mi avete portato, per esempio. Era sempre compito suo ricordarmi di queste incombenze e di non distruggere i libri in mio possesso, quindi è chiaro che il suo parlare va letto in chiave. E Ashton, Sophia detesta l’odore di violette sopra ogni altra cosa – probabilmente a causa della sua discendenza Blackmore, ma certo, che sciocco a non pensarci prima -  e i vostri occhi hanno la stessa inquietante sfumatura di quei fiori. Probabilmente è in stato di shock e non è in grado di pensare in maniera lineare. Fatela parlare con Cain, sono sicura che si sentirà più a suo agio. »

Il vampiro non diceva niente per incoraggiarlo a proseguire, ma contemporaneamente non faceva alcunché per tacitarlo. D’altronde, pensò, se fossi un vampiro non mi sprecherei troppo per comunicare con gli esseri umani. Era ancora poggiato sulla finestra, ma tendeva appena verso l’interno della stanza. Il sole doveva dargli fastidio. « Venite. », disse Julian. « Serriamo le tende e chiudiamo tutto. Accendo le candele per vedere qualcosa. » Nessuna risposta, se non un breve movimento verso di lui. Afferrò il cartiglio dipinto e con esso in mano si recò a sigillare la stanza. Le candele le accese l’altro con un movimento sì veloce da spaventarlo. Quando tornò a confrontarsi con lui, nel buio fittizio della sua camera, un brivido di terrore lo colse facendolo fremere. Le mani erano così bianche da sembrare calzate da guanti e le ombre ne ammantavano le dita creando avvallamenti grotteschi. Era stato strappato alla vita e riorganizzato per convivere con entità ben differenti da ciò che era stato. Forza della natura lo avevano modellato per essere forte, svelto e letale: adesso stava di fronte a lui, apparentemente innocuo e fragile, e l’unico oggetto che poteva difenderlo era il cartiglio disegnato che stringeva in mano. Per cederglielo e permettergli così di guardarlo dovette farsi violenza. « Prego. Siamo io e Sophia due anni fa. Lo abbiamo fatto fare dopo aver preso la decisione di venire in città. », spiegò.

Ashton osservava con rapita dedizione la figurina dagli occhi blu racchiusa nella carta. Julian si lasciò scappare un sorriso mentre tendeva la mano per riappropriarsi del disegno. « Non è cambiata poi molto da allora, vero? »

« No. », asserì. « Ha sempre lo stesso sguardo acuto. Anche il sorriso è identico. » Gli porse il manufatto e lo guardò dritto negli occhi. Nel buio erano così scuri da apparire neri. « La conoscete da molto? »

« Quando sono arrivato al Monastero avevo tre anni appena compiuti. Lei era già lì, visto che era stata lasciata nella Ruota quando aveva pochi giorni di vita. Comunque al Monastero non c’è nessun altro che la conosca meglio di quanto la conosca io: non aveva molti amici, non le piaceva giocare ed era troppo saputella per la sua età. »

Ashton continuava ad avere sul viso un’espressione vagamente perplessa, quasi si stesse chiedendo il motivo di quel discorso; tuttavia Julian decise di proseguire, forse indovinando un bisogno così nascosto da dover essere celato. « E’ sempre stata sveglia, troppo sveglia per la sua età. Oltretutto aveva questa ossessione per le rose che non contribuiva a renderla simpatica. Continuava a ripetere che tutti gli altri fiori non le piacevano, che sarebbero dovuti scomparire, e quando sei una bambina non ti crei un grande seguito se fai affermazioni così perentorie. Quando urlava tutto il mondo pareva sparire, come se avesse dei polmoni enormi nascosti in quel corpicino minuscolo. »

« Discendenza di sangue Blackmore. Il potere del vento. », disse solamente Ashton. Julian annuì brevemente, gli occhi socchiusi mentre ripensava alle enormi coincidenze che non era stato in grado di ricollegare tra loro. Non aveva nulla da rimproverarsi, tuttavia: non era stato l’unico a mancare tali collegamenti, anche se certo era stata la persona più vicina a Sophia. Anche Jordan aveva assistito alla scena in cui un vento sibilante e all’apparenza fortuito aveva scacciato quella cosa, la creatura: però, non era stato accompagnato in ogni episodio della propria giovinezza da simili eventi.

« Giovane Lord? », lo chiamò Ashton.

Julian si scosse e camminò fino alla mensola dei libri. « Sì, certo. », mormorò. « Blackmore, se ti affido il suo libro preferito, glielo riporterai? Sono sicuro che averlo le farebbe piacere. »

Un’altra accortezza mascherata da necessità: questa volta fu quasi sicuro che il vampiro se ne fosse accorto. Aver trascorso del tempo con l’Onorabile Eloise dopo esser stato a lungo lontano dal mondo lo aveva nuovamente reso avvezzo alle cortesie degli umani, spesso bizzarre e non convenzionali. Il libro aveva la copertina completamente usurata, tanto era stata tenuta tra le mani spesso sporche della ragazzina che era stata. Lo afferrò saldamente e lo tirò a sé.

« Lo porterò sicuramente alla signorina Sophia. Che libro è? »

Il ragazzo lo fissò sogghignando, gli occhi castani che brillavano giocosamente alla luce della candela. « Quando le suore gliel’hanno regalato, per il suo decimo compleanno, le hanno detto che era un bestiario un po’ particolare. Ma adesso penso che non sarebbe più cortese definirlo così. »

Era un libro sulle creature oscure. La copertina mostrava un vampiro dai tratti ben più spaventosi di quelli comuni, con i denti affilati e la pelle screpolata, cadente. « Un libro sulle creature oscure. », commentò Ashton. « Voi umani non finirete mai di stupirmi. Che dono curioso per un Monastero. Avrei giurato che cercassero di tenervi il più lontano possibile da… creature come noi. » Adesso sul volto era comparso un sogghigno che rispecchiava quello di Julian.

« Io ho sempre ricevuto libri sugli eroi, infatti. Sophia però è sempre stata un po’ particolare. La sorpresero a otto anni a discorrere con un curioso ragazzo fuori dalle mura: si accorsero solo dopo che si trattava di un vampiro errante. Non le fece nulla! », chiarì frettolosamente osservando la piega delle labbra dell’altro, « Anzi, lui le risultò un sacco simpatico. Tuttavia si spaventarono tutti moltissimo, e le fu regalato quel libro per avvisarla dei pericoli. Portateglielo, mi raccomando. »

« Grazie. »

« E tenetela al sicuro. »

Quando gli passò il libro, gli sembrò di affidargli Sophia. Ashton Blackmore sorrise, tuttavia, e gli fece un cenno con il capo corvino: quasi a voler dire che, nonostante tutto, sapeva di chi fosse il cuore della ragazza che stava proteggendo.

Julian sospirò e quando si voltò per ringraziare di nuovo inquadrò solamente aria. L’alba non era ancora giunta, e il vampiro era stato inghiottito dalle tenebre.

 

 

 

 

 

Il passaggio di testimone. Eccolo. Julian affida per un po’ Sophia ad Ashton, confida in lui, vi si appoggia. Non sono adorabili?

   
 
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