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Autore: Cicciolgeiri    05/06/2011    8 recensioni
Ambientato qualche mese dopo la fine di Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare.
Jack Sparrow e il signor Gibbs sono da mesi alla disperata ricerca di un metodo efficace e possibilmente non mortale per riportare l'amata Perla Nera alle sue dimensioni originarie; Hector Barbossa, ormai capitano della Queen Anne's Revenge, è interessato ad un losco segreto che il cittadino più illustre dell'isola di Hispaniola custodisce gelosamente da vent'anni. Le strade dei nostri eroi si incroceranno nuovamente tra emozionanti ed incredibili avventure, scontri in mare aperto, riti vodoo, "figli del mare" e misteriose profezie.
Ce la farà Capitan Jack Sparrow a carpire finalmente il segreto per l'immortalità? Venite a scoprirlo ...
Barbossa scoppiò a ridere sguaiatamente, seguito immediatamente da tutti i suoi uomini, e Beatrice arricciò il naso, disgustata: il suo fiato sapeva di rum e di quelle che avrebbero potuto essere mele bacate.
- Siete una ragazza sveglia, miss Compton - acconsentì Barbossa quando ebbe finito di sganasciarsi, - ma è strano: mi avevano riferito che Lord Compton, vostro padre, avesse solo due figlie piccole - inarcò le sopracciglia con fare inquisitorio.
- Ebbene, vi hanno riferito male - ribatté Beatrice, cercando di imprimere alla sua voce una sicurezza che non aveva.
- A quanto pare - concluse Barbossa vagamente divertito. - I vostri lineamenti mi risultano stranamente familiari, miss Compton - aggiunse subito dopo, con gli occhi ridotti a fessure, afferrandole il viso con una mano e costringendola a voltarsi per osservarla da tutte le angolazioni. - Vi ho già vista da qualche parte? -
- All’Inferno, forse! - grugnì Beatrice con stizza, divincolandosi bruscamente dalla sua stretta.
A quelle parole i pirati ridacchiarono e Barbossa, con aria teatrale, strabuzzò nuovamente gli occhi, sogghignando in modo raccapricciante.
- Oh, ci siete stata anche voi? - rantolò sollazzato.
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angelica, Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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<< Signor Gibbs! >> esclamò Jack Sparrow risoluto, mentre con andatura ondeggiante si avvicinava al suo quartiermastro.
Mastro Gibbs si voltò a guardare il suo capitano, lasciando da parte il sartiame che era impegnato a districare, e gli rivolse un’occhiata interrogativa.
<< Sì, capitano? >> domandò alzando un sopracciglio.
Jack levò un indice con fare saputo e fece schioccare la lingua come se avesse appena ingollato una sorsata di ottimo rum.
<< Abbiamo una rotta >> annunciò.
Mastro Gibbs per poco non si lasciò sfuggire uno sbadiglio.
<< Un’altra? >> domandò tetro. << Ancora? >>
<< Oh, sì >> ribatté Jack riducendo gli occhi a fessure. << Ma stavolta è quella giusta! >>
Il signor Gibbs emise un sospiro profondo.
<< Jack … >> iniziò cauto, guardando il capitano dal basso del pontile fradicio dov’era seduto, << non è per fare il guastafeste, ti pare, ma è da mesi che non facciamo altro che dirigerci ovunque l’ago della tua bussola punti e, fino ad oggi, non ne abbiamo tratto grandi risultati >> accennò con un vago gesto della mano allo squallido molo dove si trovavano: una misera accozzaglia di assi di legno scricchiolanti e scivolose che si protendevano tortuosamente verso le acque verdastre di una piccola baia nei pressi dell’isola di Grenada. Non c’era anima viva in giro ed i pochi avventori che si scorgevano nei dintorni puzzavano di pesce marcio ad un miglio di distanza e avevano tutti un’aria parecchio scontrosa.
Jack scoprì i denti in una smorfia di disgusto.
<< Ahimé molto vero, invero >> commentò allargando le braccia; la sua camicia, che un tempo doveva essere stata bianca, era talmente lercia da avere assunto una preoccupante sfumatura grigio fumo e la bottiglia di rum che si portava appresso era irrimediabilmente vuota e leggera.
<< Ma >> aggiunse subito dopo, facendo tintinnare la bussola che portava legata alla cintola, << se non fosse stato per la mia bussola, a quest’ora non saremmo qui a trastullarci, o mi sbaglio? Indi per cui, io ho assoluta fiducia nei misteriosi moti del suo ago >> agitò le dita inanellate con fare vagamente mistico.
Mastro Gibbs scrollò le spalle.
<< E dov’è che dovremmo andare, stavolta, di preciso? >> domandò scettico.
Jack prese in mano la bussola e la studiò per un po’, in silenzio, poi puntò una mano verso ovest con meno convinzione di quanto il suo quartiermastro avrebbe sperato.
<< Per di qua, esattamente >> disse, spostandosi lievemente sul posto per assecondare gli spostamenti dell’ago della bussola. << O meglio, un po’ più per di là. Nord-ovest. Nord-est. >> strizzò gli occhi in direzione dell’oggetto magico. << Insomma, il nord c’è di sicuro >>.
Mastro Gibbs scosse il capo, afflitto; la schiena gli doleva terribilmente, sia perché non era abituato a tutto quel tempo sulla terraferma senza sentire sotto i piedi il familiare rollio della nave, ma soprattutto perché Jack lo costringeva a trasportare in spalla la Perla Nera e il resto della flotta in bottiglia in un grande e pesantissimo sacco di tela durante i loro pellegrinaggi apparentemente privi di meta. Il quartiermastro si stiracchiò le membra intorpidite e si tirò in piedi di malavoglia, sistemandosi il sacco in spalla.
<< A nord, hai detto, eh? >> chiese. << Vuoi dire che dobbiamo andare sull’isola di Hispaniola? >>
Jack lo precedette con la sua camminata dondolante mentre tornavano indietro lungo il molo sino alla spiaggia e agitò una mano all’aria con noncuranza.
<< E’ lì che il vento ci spinge! E noi lì ci spingeremo >> rispose senza rallentare.
Mastro Gibbs arrancava nella sua scia, sollevando nuvolette di sabbia bianca ad ogni passo, mentre le bottiglie nel sacco tintinnavano seguendo il ritmo della sua andatura.
<< E come intendi farti spingere, senza una nave? >> domandò affannato.
Jack si fermò così repentinamente, arrestandosi di colpo, che per poco Gibbs non gli finì addosso; fortunatamente riuscì a frenare in tempo, ma quasi cadde lungo disteso per terra.
<< Giusta osservazione >> concesse il capitano, voltandosi a guardare il quartiermastro. << Ma noi una nave ce l’abbiamo >> mise su un sorrisetto sardonico.
Gibbs sgranò gli occhi, allibito.
<< Tu dici? >> ribatté. << Jack, intendevo una nave di consona stazza, non una imbottigliata! >> accennò al sacco che teneva in spalla con aria significativa. << Devo seriamente ricordarti che siamo finiti in questa situazione proprio a causa dell’assenza di una nave? Quella faccenda delle tre capre è stata un completo fallimento … e mi dispiace proprio di non poter rimettere più piede in Virginia, sai, Jack? >>
Il capitano scrollò le spalle.
<< Di che ti lagni, Gibbs? In Virginia il rum sa di pipì di scimmia. Odio la pipì di scimmia, ne ho bevuta fin troppa nel corso della mia vita, ecco perché il rum penso possa assomigliare a tutte le varietà di pipì, tranne che a quella di scimmia >> rabbrividì leggermente, disgustato. << Ma comunque non parlavo della nostra flotta, Mastro Gibbs >> riprese. << Parlavo di quella laggiù >> si voltò di scatto, facendo mulinare le treccine dei suoi capelli che sbatterono in faccia a Gibbs, ed indicò una macchia bianca quadrata che si stagliava contro l’orizzonte blu; Gibbs aguzzò lo sguardo: pareva una corvetta della marina britannica e, da come avanzava, doveva essere anche piuttosto veloce.
<< E’ una bella nave non c’è che dire. Ottimo stato, linea agile … e non è nostra. Cosa intendi fare? >> chiese Gibbs. << Siamo in due, Jack, troppo pochi per tentare un abbordaggio >> gli fece notare assennato.
Ma il sorriso di Jack si era allargato e adesso era diventato un ghigno che non prometteva nulla di buono.
<< Dimentichi chi è con te, mastro Gibbs. Io sono capitan Jack Sparrow e valgo per una ciurma intera. Comprendi? >>
 
L’isola di Hispaniola era una fazzoletto di terra verde smeraldo che pareva fluttuare tra le onde azzurre del mar dei Caraibi come se una dama sbadata se lo fosse lasciato sfuggire di mano per sbaglio.
Fitte piantagioni di cotone e canna da zucchero si stendevano a perdita d’occhio su tutto il territorio, rigogliosi palmenti spuntavano in riva alle spiagge di sabbia bianca finissima e fiorenti, piccole cittadine mercantili sorgevano come funghi rumorosi e brulicanti lungo le coste.
Beatrice Bonny stava per compiere vent’anni e, per quanto ricordasse, aveva sempre vissuto lì; lavorava come domestica nella casa del governatore Compton, un inglese corpulento e basso, così sformato da somigliare ad una pingue palla che rotolava invece di camminare.
Beatrice non era particolarmente graziosa; aveva i capelli lunghi di un biondo sporco, ma sfibrati e crespi, il volto magro e affilato, le guance incavate e le mani callose e segnate dal lavoro, ma una cosa spiccava del suo aspetto: i suoi grandi occhi azzurri, forse un po’ troppo vistosi rispetto al resto del volto, che sembravano quasi fuori posto tra quei lineamenti poco interessanti.
Sua madre era morta appena tre mesi prima, di malaria, e l’unica eredità che le aveva lasciato, a parte il cognome, era stato quel lavoro rispettabile nella casa del governatore Compton, senza il quale, altrimenti, sarebbe finita in mezzo a una strada.
“I figli del mare”, così venivano chiamati tutti quei bambini disgraziati frutto dell’unione di una donna del luogo e di un marinaio, che poi era sparito più in fretta delle orme di stivali lasciate sul bagnasciuga; orfani di padre a tutti gli effetti, dato che non l’avevano conosciuto, né l’avrebbero mai fatto.
Beatrice era una figlia del mare; quando era piccola, sua madre Anne era solita raccontarle aneddoti parecchio romanzati riguardo al suo presunto padre che, come ad Anne piaceva ripetere, era un pirata sanguinario dalla nefanda fama. Alla piccola Beatrice quei racconti così avventurosi che avevano per protagonista il suo padre bucaniere piacevano molto e sarebbe potuta stare ad ascoltarle per notti intere senza mai chiudere occhio, ma col tempo, crescendo, si era resa conto che, con ogni probabilità, il suo misterioso padre altri non doveva essere che un semplice marinaio ubriaco, che durante una sbronza si era dato un po’ troppo da fare e poi si era nuovamente dato ai flutti, lasciandosi dietro una donna incinta con tanta fantasia ed una ragazzina a cui piacevano le storie di pirati.
Beatrice sputò sul candelabro d’argento che stava pulendo nell’elegante salone della dimora del governatore Compton, una villa bianca che si affacciava sulla baia di La Navidad, da cui si potevano scorgere le navi mercantili e militari attraccare e salpare dal grande porto della città.
La ragazza lanciò uno sguardo annoiato fuori dalla finestra, verso il mare soleggiato, poi tornò ad occuparsi del candelabro, frizionandolo energicamente con il panno sudicio e producendo uno sgradevole fischio ad ogni passata.
Nonostante ne necessitasse più di ogni altra cosa al mondo, Beatrice odiava il suo lavoro; le assicurava un tetto sopra la testa ,certo, e che tetto!, e pasti caldi ogni giorno, ma non era per niente edificante e non si addiceva affatto alla sua natura svogliata e insolente. Tuttavia, ogni volta che tentava di lamentarsi con se stessa, nelle orecchie le riecheggiava la voce severa di sua madre che la ammoniva di non fare l’ingrata.
La strada è sempre lì in agguato, ripeteva continuamente, soprattutto nell’ultimo periodo, prima di finire con tutt’e due i piedi nella fossa, ringrazia e continua a darti da fare.
Beatrice scatarrò in modo oltraggioso e sputò nuovamente sul candelabro, perché c’era una macchia che proprio non voleva andar via.
Ma il solo pensiero di dover vivere al fianco di quei damerini incipriati per il resto della sua squallida vita e di doverli servire, soprattutto, le faceva ribollire la bile in bocca.
Quel Compton, nonostante avesse la parvenza di un unico, enorme, ammasso di grasso tremebondo, aveva le mani estremamente lunghe e sua moglie Lady Sophia, d’altro canto, era un’arpia dell’alta società, una vipera maligna come poche, con il naso talmente all’insù che se ce l’avesse avuto un po’ più alto avrebbero dovuto staccarglielo dal soffitto; per quanto riguardava le loro due figlie gemelle, Christine e Carole, infine, sarebbero state ottime per rimpinzare gli squali, sempre che quelle povere bestie avessero lo stomaco abbastanza forte, s’intende.
<< Beatrice! BEATRICE! >> strillò una vocetta gracchiante dal piano di sopra, facendola sobbalzare appena. << Beatrice, l’epitaffio! L’epitaffio! Corri! >>
Beatrice alzò gli occhi al cielo e biascicò un’imprecazione che aveva imparato bighellonando giù al porto e che aveva a che fare con un cucchiaio, un tricorno e le parti intime di un cavallo spagnolo, dopodiché abbandonò il suo candelabro ancora macchiato, uscì dal salone e si avviò svelta su per le scale.
<< Si dice epitassi, miss Compton >> urlò mentre saliva i gradini con passo pesante. << Arrivo! >>.
L’andito a cui le scale portavano era illuminato, in fondo, da un’ampia vetrata che dava sulla spiaggia sottostante e la camera delle gemelle era la prima porta che dava sul corridoio; Beatrice l’aprì e trovò la piccola miss Christine Compton adagiata scompostamente su uno dei letti a baldacchino in una posa melodrammatica, i lunghi capelli color miele sparsi attorno al capo in morbidi boccoli appena arricciati, e tutt’e due le mani premute contro il naso sanguinante.
<< Le si macchierà il vestito! >> gracchiò Carole, additando la sorella con aria terrorizzata. << Spicciati, Beatrice! >> ordinò imperiosa.
Beatrice dominò l’impulso di tranciare di netto le teste di quei due piccoli mostriciattoli petulanti con un colpo di coltellaccio da pane ben assestato e frugò tra le pieghe del suo consunto abito giallo per poi estrarne un fazzolettino di pizzo col quale si premurò di tamponare l’emorragia nasale di miss Christine, che perdeva in continuazione così tanto sangue da sembrare un rubinetto spanato.
<< Questo clima non si addice affatto ai vostri fragili capillari, miss >> osservò Beatrice con un largo sorriso che celava qualcosa di vagamente sinistro, tamponando con cura il nasino lentigginoso della bambina. << Vostro padre dovrebbe proprio riportare voi e vostra sorella nella cara, vecchia Inghilterra >>.
<< Dovrebbe >> sbuffò miss Carole dall’altro lato della stanza, alzando il mento con fare altezzoso. << Ma poi tu non ci sei neanche mai stata, cosa puoi saperne? >> ridacchiò giuliva.
La gemella la imitò sommessamente, ma Beatrice le premette il fazzoletto sul volto decisamente più forte di quanto fosse necessario e quella si arrestò all’istante.
<< Mi soffochi! >> strillò annaspando.
<< Perdonatemi, miss >> miagolò Beatrice reprimendo un ghigno.
Quando l’epitassi di miss Christine si fu arrestata, Beatrice ripiegò il fazzolettino macchiato di sangue, lo ripose nuovamente nella tasca della gonna e poi aiutò le gemelle a prepararsi per la cena di gala che avrebbe avuto luogo quella sera nella tenuta di Lord Colin Lancaster e alla quale il governatore, sua moglie e le sue adorabili figliuole erano stati così gentilmente invitati.
Era da una settimana che in casa non si parlava d’altro e Beatrice non vedeva l’ora che quei quattro orribili parrucconi sloggiassero, così da lasciarle un attimo di respiro.
<< Più stretto >> esclamò perentoria miss Christine, mentre Beatrice le allacciava il corsetto attorno al busto pallido e mingherlino. << Va di moda così, adesso >> ansimò.
Benché Beatrice non potesse desiderare nulla di meglio che soffocare quella giovane aspide, non poté fare a meno di trattenersi dall’osservare: << Va dunque di moda non respirare affatto, quest’anno? >>
Carole, che intanto si stava provando vari cappelli piumati davanti alla specchiera dell’armadio, arricciò il naso, altezzosa e disgustata al contempo.
<< Nessuno pretende che tu capisca, Beatrice >> disse annoiata. << Dopotutto sei solo una sguattera e probabilmente possiedi un solo abito, n’es-ce pas? >> sorrise in maniera sgradevole, visibilmente compiaciuta di avere usato quel termine in francese. << Non ti biasimo se non riesci a comprendere l’importanza che un abbigliamento adatto possa avere >>.
A quelle parole, Beatrice tirò la stringa del corpetto di Christine decisamente con troppa forza e alla ragazzina si mozzò sonoramente il respiro.
<< Un paio di stivali e un paio di brache possono salvarti la vita se devi dartela a gambe, miss >> ribatté cercando di mantenere la calma, << questo è tutto ciò che so, ma tanto mi basta >>.
Carole sorrise con condiscendenza e per un attimo somigliò così tanto a sua madre che Beatrice poté indovinare come le gemelle sarebbero apparse da adulte.
<< Appunto >> commentò. << E tanto ti basta >>.
 

***

I Compton se n’erano andati caracollando nei loro assurdi abiti di pizzo e merletto, così grottescamente fuori posto in mezzo alla natura selvaggia dell’isola Caraibica di Hispaniola, da ormai diverse ore e Beatrice si aggirava per l’elegante magione del governatore con aria imbronciata e vagamente furibonda.
Aveva rubato della paprica dalle cucina e con essa aveva già spolverato le fodere dei cuscini delle due schifosissime mocciose, in modo da causare loro quanti più starnuti e prurito possibili; adesso mancavano solo Lady Sophia e Lord Compton in persona.
Aveva deciso di andarsene, dopotutto: di sgombrare, di levare l’ancora e salpare, o in qualunque altro modo si fosse voluta definire la sua scelta, insomma.
Non era più disposta a farsi prendere in pesci in faccia da quella manica di balordi pulciosi con la puzza sotto al naso; sapeva per certo che sua madre si stesse rivoltando furiosamente nella tomba e, da una parte, si rendeva perfettamente conto che la sua era una scelta avventata e stupida e che, probabilmente, se ne sarebbe presto pentita amaramente, ma dall’altra parte, quella più selvatica e meschina che spesso in lei prevaleva, gliene importava meno di un fico secco: qualunque posto sarebbe stato meglio di lì.
Non sono fatta per fare la serva, si disse, mentre entrava nella camera matrimoniale dei Compton, diretta al maestoso armadio di Lady Sophia. Non sono fatta per ricevere ordini ed essere usata come zerbino dai primi omuncoli che passano.
Spalancò le ante dell’armadio; in quel momento aveva un’aria decisamente folle: attorno alle iridi azzurre si scorgeva molto più bianco del solito e aveva i capelli arruffati come se si fosse ritrovata nel bel mezzo di un uragano.
Afferrò l’abito più bello e sontuoso che gli riuscì di trovare e gettò sul pavimento il suo, scolorito e rattoppato, poi indossò velocemente quello di Lady Sophia Compton e si rimirò per qualche istante nello specchio, girando su se stessa: Beatrice era fatta per ricchezze ed abiti lussuosi, per comandare a bacchetta la servitù e ricoprirsi d’oro, gioielli e qualunque altro ben di Dio abbastanza scintillante, per Giove. Sorrise soddisfatta al suo riflesso ben vestito e quello ricambiò con un ghigno.
Dopodiché, la ragazza rovesciò il restante contenuto del guardaroba per terra e si divertì a calpestarlo con i piedi, a stracciarlo, a rosicchiarlo e a ballarci sopra. Quando i meravigliosi abiti non furono altro che cenci deformi e Beatrice poté dirsi soddisfatta del suo operato, si fermò e dedicò la sua attenzione al suo scialbo e vecchio vestito giallo che ancora giaceva abbandonato sul parquet; scoprendo le gengive per la soddisfazione lo raccolse, lo infilò in una gruccia e lo sistemò con cura nell’armadio vuoto.
<< Ecco fatto. E tanto mi basta >> mormorò divertita.
Dalla tasca dell’abito era caduto il fazzolettino ricoperto del sangue di miss Christine Compton, la figlia del governatore, e Beatrice lo raccolse, già progettando di poterlo infilare da qualche parte per giocare un altro tiro mancino a quei fessi imparruccati prima di darsela a gambe, ma qualcosa la distolse dal suo malvagio proposito: l’aria fu squarciata da quello che sarebbe potuto benissimo essere il fragoroso boato di un tuono, se non fosse stato che nessun fulmine era caduto lì vicino, né il cielo preannunciava tempesta.
La casa fu squassata così violentemente da quell’esplosione terribile che il pavimento gemette e si piegò come un fuscello e Beatrice si ritrovò a gambe all’aria prima ancora di potersi domandare cosa stesse succedendo.
Con una certa fatica, si districò dalle pesanti gonne di broccato dorato del meraviglioso vestito che aveva rubato, si rimise in piedi e caracollò confusa verso la finestra della camera da letto. Quando la spalancò e uscì sul balcone fu investita dall’odore acre del fumo e della polvere da sparo, gemiti e lamenti provenivano dalla baia ed il porto di La Navidad era ridotto ad un ammasso fiammeggiante di detriti e monconi.
Beatrice aguzzò la vista e, in mezzo al fumo rossastro dell’incendio e alle nuvole aleggianti di macerie che si erano staccate con l’esplosione della torretta d’avvistamento, fece appena in tempo a scorgere una serie di grandi vele spiegate ed il profilo aguzzo di un’enorme nave nera, che somigliava più ad una carcassa fatta di varie ossa messe insieme, che non ad un’imbarcazione vera e propria; ai lati della spaventosa nave, a poppa e a prua, scintillavano le luci di quelle che parevano lanterne fiammanti, tenute ben salde dalle mani di altrettanti scheletri che spuntavano come alghe dall’inquietante forma dalla chiglia del veliero.
<< PIRATI! >> ululò con voce gracchiante di terrore una sentinella, invisibile da qualche parte in mezzo al fumo e ai detriti. << PIRATI! CI ATTACCANO! >>
Beatrice trattenne il fiato e per poco non si strozzò con il suo stesso cuore, che le era schizzato fino in gola come un uccello impazzito. Si sporse oltre la ringhiera del balcone per osservare meglio la nave, gli occhi spalancati dalla paura, ma all’improvviso l’aria andò di nuovo in frantumi quando i cannoni del veliero pirata iniziarono a sparare contro La Navidad e lei fu ricacciata indietro dall’onda d’urto e violentemente sbalzata di nuovo dentro alla camera da letto.
La sentinella della marina aveva smesso di gridare, ma in compenso il caos nelle strade pareva essere aumentato; tutti gli abitanti della piccola cittadina costiera si erano riversati nelle strade e sciamavano terrorizzati come un nugolo di formiche deliranti, scappando in tutte le direzioni. Le strade e gli edifici esplodevano e collassavano come miseri castelli di carte sotto i colpi tonanti dei cannoni della nave ed uno scossone terribile che fece tremare le viscere di Beatrice le suggerì che anche la casa del governatore doveva essere stata colpita.
Non poteva restarsene lì e rimanere sepolta sotto le macerie nel crollo della casa, così si rimise nuovamente e altrettanto faticosamente in piedi, maledicendo mentalmente quello stupido abito e l’idea malsana che le era venuta in mente, e si gettò con foga nel corridoio e poi giù per le due rampe di scale che la separavano dall’uscita. Il resto della servitù non aveva perso tempo e molti erano già corsi fuori dandosi alla fuga, ma in casa erano rimaste ancora due persone: Beatrice, che correva disperata, impacciata nei movimenti dal tremendo vestito d’oro, e Nathaniel, il vecchio usciere sordo, che nessuno aveva avuto il garbo di avvertire dell’attacco dei bucanieri.
Nathaniel era talmente vecchio e totalmente incurante delle stramberie di coloro che lo circondavano che non aveva prestato minimamente attenzione ai membri della servitù che erano scappati a gambe levate, gettandosi fuori da ogni porta o finestra che capitasse loro a tiro, né si era preoccupato più di tanto dell’improvviso tremore che aveva fatto vibrare la casa fino alle fondamenta e aveva rovesciato parecchie suppellettili, convinto che si trattasse semplicemente di una trascurabile scossa di terremoto, molto comune in quelle zone.
Approfittando della temporanea assenza dei padroni, Nathaniel stava sorseggiando una tazza di buon the al limone, corretta con qualche goccio di rum, stravaccato su una comoda sedia accanto al portone d’ingresso, con la parrucca di traverso ed i piedi appoggiati alla tabacchiera, e non badò affatto a Beatrice quando la ragazza sbucò correndo lungo il pianerottolo che dava sull’entrata sottostante.
Ad un tratto la porta tremò; Nathaniel, che stava appoggiato con lo schienale della sedia contro di essa, fu sbalzato via in malo modo e finì per terra come un fantoccio, mentre Beatrice si arrestò a metà della scala, una mano ancora appoggiata al corrimano, gli occhi spalancati dall’orrore: qualcuno stava tentando di buttare giù il portone per entrare e le violente mazzate di quello che sembrava un ariete percuotevano ritmicamente le assi di legno della porta, facendole piegare e scricchiolare.
La ragazza emise un gemito strozzato, girò svelta sui tacchi e tornò sui suoi passi alla massima velocità consentita da ciò che indossava, lanciandosi dentro il salone e chiudendosi dietro la porta a vetri nello stesso momento in cui il portone esplodeva in mille schegge di legno di quercia, lasciando entrare i pirati.
Delle voci sgraziate riecheggiarono nel pianerottolo; Beatrice si rannicchiò sotto al tavolo da pranzo, cercando di farsi più piccola possibile, e quando lo schiocco secco di un colpo di pistola risuonò al piano di sotto, si premette con forza i palmi delle mani contro le orecchie, disperata: avevano ammazzato Nathaniel.
<< Voi, di sopra: controllate ogni stanza da cima a fondo, trovate quello stramaledetto studio e buttate giù la porta; chiamatemi se trovate qualcosa, qualunque cosa. Voialtri, con me, veloci >> una voce imperiosa gridò gli ordini e, a quelle parole, si udì lo scalpiccio di varie paia di piedi risuonare per la casa; alcuni passi stavano salendo lungo la scala che portava al primo piano, dove c’erano la sala da pranzo, la biblioteca ed il salone, il rifugio di Beatrice.
<< Ehi, per di qua >> sussurrò qualcuno. Beatrice sentì la porta a vetri schiudersi con un cigolio sommesso, mentre le gambe contorte e segnate di due uomini entravano nel suo campo visivo, spuntando tra le sedie in mezzo alle quali era rannicchiata.
<< Mhhh … controlliamo bene >> disse un’altra voce. << Vedi se c’è qualcosa che possiamo portare via >>.
<< Il capitano non ha parlato di saccheggiare la casa >> fece osservare il primo, camminando lentamente davanti al grande camino che occupava per intero la parete di destra, e che non era mai stato acceso in vent’anni, per guardarsi intorno. << Vuole solo che troviamo quello studio >>.
<< Però non ha accennato al fatto che non potessimo portare via un po’ di roba, no? >> ribatté il secondo, spazientito, e si fece così vicino al tavolo sotto al quale Beatrice stava nascosta che la ragazza dovette mordersi le nocche di una mano per non farsi sfuggire un urlaccio.
Il primo ridacchiò stupidamente.
<< Eh, hai ragione >> osservò allegro.
Anche l’altro si mise a ridere.
<< Certo che ho ragione! >> disse.
I due pirati iniziarono a gironzolare per il lussuoso salone, intascando qualsiasi oggetto fosse insieme abbastanza prezioso e facilmente trasportabile, compreso il candelabro d’argento che quella mattina Beatrice stava pulendo, e la ragazza osservava i loro movimenti con gli occhi sbarrati, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente, cercando di elaborare un piano per uscire da quella situazione.
<< Lo sai, Pintel >> disse ad un certo punto uno dei due bucanieri, quello più magrolino e con la voce più acuta, << il capitano mi ha rivelato che era proprio qui che stavamo andando l’ultima volta, con la Perla, quando siamo stati attaccati da Barbanera >>.
Il pirata chiamato Pintel si bloccò con la mano a mezz’aria nell’atto di infilarsi dentro le braghe consunte un vaso cinese estremamente delicato e prezioso.
<< Ma dai? >> commentò. << Ma si può sapere che c’è qui ad Hispaniola di così importante? >>
<< Il capitano pare molto interessato a qualcosa che il governatore tiene nascosto nel suo studio >> spiegò il pirata spilungone. << L’ultima volta anche, eravamo diretti qui, ma poi … be’, lo sai >>.
<< Certo che è stato proprio un colpo di fortuna incontrare di nuovo il capitano a Tortuga dopo che eravamo riusciti a scappare dalla Perla >> osservò Pintel, cercando maldestramente di infilarsi il vaso cinese nelle mutande. << A quest’ora chissà che fine avremmo fatto >>.
<< Probabilmente avremmo passato il resto delle nostre vite a rimpiangere i bei tempi andati >> rispose l’altro, sollevando con la punta dello stivale lercio un angolo del tappeto persiano che giaceva sul pavimento. << Oppure avremmo abbandonato la pirateria per imboccato la retta via >>.
<< Quand’è che smetterai di far finta di leggere la Bibbia, Ragetti? >> abbaiò Pintel.
<< Quando tu mi darai ascolto >> ribatté quello balbettando leggermente. << La fede è un cardine fondamentale nella vita di un uomo; senza la fede saremmo come sacchi vuoti, privi di  … >> ma nel bel mezzo del suo discorso così ispirato, il vaso che Pintel stava tentando di rubare scivolò giù per i suoi pantaloni e si fracassò a terra, riducendosi in mille pezzi.
<< Cribbio >> commentò il pirata grasso. << Sembrava rivendibile >>.
<< Non puoi lasciarlo lì >> lo ammonì Ragetti, assennato. << Qualcuno potrebbe scivolare e farsi male >>.
Pintel grugnì qualcosa di poco signorile all’indirizzo del suo compare, ma si chinò comunque per raccogliere da terra le schegge del vaso e si ritrovò alla stessa altezza di Beatrice, che trattenne il respiro conficcandosi più a fondo i denti nel dorso della mano e poteva scorgere la pelata unticcia e lucida del pirata attraverso il groviglio delle gambe del tavolo.
Pintel stava per dire qualcosa e alzò lo sguardo, così da ritrovarsi faccia a faccia con Beatrice. Rimase per un attimo a fissarla, vagamente stupito, poi un ghigno sbilenco e sdentato si dipinse sul suo volto sporco.
<< Ma guarda un po’ chi c’è … ciao, pupattola! >> la salutò sghignazzando.
Ragetti s’inginocchiò svelto accanto a Pintel e anche lui sorrise in modo ebete alla vista di Beatrice.
<< Ciao, pupattola >> ripeté con un risolino.
A quel punto, tutta l’aria che Beatrice aveva trattenuto nei polmoni fino a quel momento, esplose in un urlo belluino e la ragazza si slanciò sotto al tavolo, rovesciò un paio di sedie producendo un gran trambusto e corse ingobbita verso la porta a vetri, , ma con uno scatto i due pirati le si pararono davanti, bloccandole ogni via di fuga, e lei si ritrovò in trappola.
Pintel estrasse lo stocco che portava appeso alla cintura e lo puntò contro Beatrice mostrando i denti anneriti e la ragazza indietreggiò, completamente disarmata.
<< Che cosa ci fai qui tutta sola soletta, eh? >> domandò Pintel, mentre lui e Ragetti avanzavano lentamente verso di lei e lei indietreggiava sempre di più.
Mentre arretrava, passò accanto al camino, appoggiato accanto al quale stava l’attizzatoio; senza pensarci due volte lo afferrò e lo brandì contro i due filibustieri.
<< En garde! >> urlò, sentendosi subito dopo molto stupida.
Ragetti, spaventato, alzò subito le mani in segno di resa, al che Pintel gli assestò una sonora gomitata tra le costole e gli fece bruscamente cenno con la testa di darsi da fare.
<< Peccato, se facevi la brava forse non ti avremmo ucciso. Il capitano mica ce l’aveva detto >> disse Pintel fingendosi dispiaciuto.
<< Però non ci aveva neanche detto il contrario >> aggiunse Ragetti ridacchiando scioccamente e sguainando la sciabola dalla cintola.
Beatrice rinforzò la presa sull’attizzatoio afferrandolo con tutte e due le mani e solo allora le tornò in mente che lei non aveva mai tirato di scherma in vita sua, senza contare quelle occasioni in cui, da bambina, giocava a fare la pirata armata di rami di ginepro. Ma ormai era troppo tardi: i due bucanieri si avventarono su di lei con le loro spade e tentarono un affondo per uno.
Beatrice riuscì a deviare quello di Ragetti con una torsione del polso, ma quello di Pintel andò a segno e la ferì di striscio ad una spalla.
La ragazza barcollò all’indietro, stordita dal dolore, mentre la coppia di pirati ridacchiava divertita ed avanzava.
<< Oh, sei … brava >> si complimentò ironicamente Pintel quando lei riuscì a schivare per un soffio una nuova stoccata, brandendo l’attizzatoio di piatto.
Era chiaro che i due masnadieri volevano solo divertirsi un po’ con lei, altrimenti avrebbero già potuto ucciderla da un pezzo, dato che sapeva a stento destreggiarsi con la sua arma improvvisata, ma la loro sventatezza fu la salvezza di Beatrice; i pirati l’avevano costretta ad indietreggiare sino ai tendaggi in fondo alla stanza, cosicché la ragazza allungò svelta una mano e tirò con forza il laccio che teneva issati i drappi al bastone sopra la finestra aperta: essi caddero al suolo con un tonfo ovattato, imprigionando Pintel e Ragetti come una sorta di rete da pesa, e Beatrice spiccò un salto all’indietro e atterrò malamente sulle tegole inclinate della tettoia che dava sulla baia in tumulto.
<< Aiuto! Aiuto, non ci vedo! >> urlava Ragetti, dimenandosi nella tenda cercando di scrollarsela di dosso.
Pintel, dal canto suo, era riuscito a rotolare di fianco fuori da quella trappola e aiutò svelto il compagno a fare lo stesso.
<< Quella piccola sgualdrina >> commentò. << Prendiamola! Si è gettata giù dalla finestra! >>
I pirati si calarono agilmente sulla tettoia, atterrando sulle tegole rosse con un sonoro acciottolio e facendone scivolare giù alcune.
<< Eccola, la vedo! >> urlò Ragetti, additando un punto verso la grondaia. << Sta cercando di saltare! >>
Beatrice era scivolata giù per una buona parte della tettoia, incapace di arrestare l’inesorabile caduta a causa del suo vestito, ma era lo stesso riuscita ad arpionarsi con le braccia alla grondaia e adesso stava tentando di raggiungere la palma più vicina con le gambe a penzoloni protese verso le alte fronde.
I bucanieri trotterellarono verso di lei in equilibrio precario sulle tegole che continuavano a slittare sotto i loro piedi, mulinando le spade come acrobati per mantenersi dritti, e quando la raggiunsero si smascellarono dalle risate, compiaciuti.
Beatrice stava per cadere giù; aveva abbandonato da un pezzo l’attizzatoio, così si fece forza e, con un grugnito, afferrò saldamente con una mano la caviglia di Ragetti, che a sua volta perse l’equilibrio e agguantò il bavero di Pintel, che si sbilanciò e capitombolò oltre la tettoia tirandosi appresso anche gli altri due.
Tutti e tre precipitarono giù, sbattendo contro le fronde intricate delle palme, ed atterrarono con un tonfo sonoro nel giardinetto antistante le cucine in un groviglio informe e dolorante.
<< Togli il tuo didietro dalla mia faccia! >> esclamò Pintel con voce ovattata, dato che Ragetti gli era cascato con il posteriore addosso.
<< Togli tu la tua faccia dal mio didietro! >> ribatté l’altro, massaggiandosi il collo e lanciando un’imprecazione.
Intanto, Beatrice si era rimessa silenziosamente in piedi e, approfittando degli screzi tra i due bucanieri, stava sgattaiolando verso le aiuole per nascondersi, quando Pintel e Ragetti si resero conto che stava scappando ed iniziarono ad inseguirla giù per la collina.
La loro rocambolesca corsa era accompagnata dai sonori boati tonanti delle cannonate che, di tanto, squarciavano l’aria notturna; Beatrice era normalmente molto svelta, ma il sontuoso vestito che aveva rubato la rallentava terribilmente e, in breve, Ragetti spiccò un salto e la agguantò per un braccio, tenendola stretta, entusiasta. Un istante dopo giunse anche Pintel che la afferrò per l’altro braccio ed i due compari si scambiarono uno sguardo trionfante.
<< Eccoti qui, finalmente >> disse Pintel mentre la strattonavano senza un minimo di garbo. << Sei una che non si arrende, eh,  pupattola? >> entrambi scoppiarono a ridere sguaiatamente.
Beatrice tentava di divincolarsi disperatamente, graffiando, mordendo e prendendo a calci e pugni ogni singola parte dei pirati le capitasse sotto tiro, ma i due, sebbene tra le lamentele, continuavano a trascinarla inesorabilmente e non sembravano affatto disposti a cedere.
<< Non è buffo? >> buttò lì Ragetti ad un certo punto, mentre Beatrice gli faceva schioccare le mascelle ad un soffio dall’orecchio nel tentativo di azzannarlo. << L’ultima volta che abbiamo rapito una fanciulla in casa di un governatore, Elizabeth ci ha chiesto il parlé, ti ricordi? >> chiese, l’occhio buono perso nei ricordi, quello di legno perso da qualche parte nel giardino antistante la cucina dopo la caduta. << Sembrano passati secoli, vero? >>
Pintel stava per rispondere, ma Beatrice fu più svelta di lui e, ancora dimenandosi come un’anguilla nel tentativo di liberarsi, gracchiò: << Che cosa diavolo è il parlé? >>
<< Una gran scocciatura >> spiegò Ragetti annuendo con aria significativa, << è una procedura del Codice dei Pirati, secondo la quale chi lo invoca ha il diritto a non essere torturato finché non ha parlamentato con il capitano, ma il Codice è più che altro una traccia e non … >>
<< Parlé >> urlò allora Beatrice con tutto il fiato che aveva in gola, piantando i piedi nella sabbia per rallentare l’andatura dei due. << Io invoco il parlé, per l'amor d'Iddio! >>
Pintel si voltò verso Ragetti e gli scoccò uno sguardo omicida.
<< Ma tu sei davvero così stupido o lo fai apposta? >> chiese trucemente.

  
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