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Autore: Ely79    08/06/2011    1 recensioni
Charlie è entrato a far parte dell’Ordine della Fenice e, per la prima volta in vita sua, si trova a riflettere sulla sua vita e su quella di chi gli sta attorno.
Storia seconda classificata al "Modà Contest" indetto da xela182.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Weasley, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Charlie Wesley'
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Cap. I Questa storia ha partecipato al "Modà Contest" indetto da xela182, meritando il secondo posto.
I giudizi del giudice saranno riportati al termine del terzo capitolo.


Autore: Ely79
Titolo: Diventeremo eroi?
Avvertimenti: Missing Moment
Genere: Introspettivo, malinconico
Rating: Giallo
Introduzione: Charlie è entrato a far parte dell’Ordine della Fenice e, per la prima volta in vita sua, si trova a riflettere sulla sua vita e su quella di chi gli sta attorno.
Citazioni utilizzate: Volevo dirti: “Ci sono notti in cui non so proprio con chi parlare perché io parlo solo con te” – “Quando tutta la città si addormenterà camminerò guardando il cielo per cercare un tuo riflesso” – “In una di quelle notti dove le stelle siamo solo noi due”
NdA: la storia prende le mosse dal capitolo 13 della mia Draconarius, ma può essere letta a prescindere da essa.


I

18 luglio 1995, ore 22:28
Maramures, Romania
Sede della Riserva di Protezione dei Draghi
Cucina

… era lì, per terra. Harry piangeva e non so, non capivo. Da dove eravamo noi pensavamo chesi era fatto male, che era svenuto. Erano stati via un sacco. Invece no. Miseriaccia. Charlie nessuno ci voleva credere. I Diggory sono saltati in piedi, la mamma ha cercato di tenere la signora, ma sembrava una pazza, si è messa a correre e chiamava Diggory. Harry gridava, io non ci capivo niente. Hermione ha detto qualcosa però non ho capito. Io non ho capito niente. Poi Harry si è messo a gridare che era stato Vo Tu-sai-chi, ma lui lo chiama per nome, lo sai, non gli fa paura. La gente è stata zitta e poi ha cominciato a parlare a bassa voce. I Diggory non li vedevamo più, ma la mamma diceva che erano là, che forse Cedric stava solo male e che Harry era troppo stanco per rendersi conto della situazione. Anche Bill parlava che diceva che sì, sì, era sicuramente così, che l’idea della Passaporta come ultima prova del labirinto era stata troppa eccessiva, che dovevano essere sfiniti. Lo sai che Bill ci capisce di queste cose, ma si sbagliava miseriaccia. Diggory è morto davvero e lui LUI è tornato. Hanno scoperto che il Malocchio che avevamo come insegnate non era quello vero: l’hanno trovato nel fondo del suo baule e quello che ci ha fatto lezione e ha cacciato Harry nei guai anche quest’anno è un Mangiamorte, il figlio di Crouch che tutti pensavano fosse morto ad Azkaban. Non bastava averne avuto uno in tasca per casa per tanti anni? Ho anche studiato con quello lì. Charlie, non diventerò anche io uno di quelli, vero? No, perché lui mi piaceva come spiegava. La mamma non me la fa passare liscia se succede. Però è vero che i guai corrono dietro a Harry come Thor con la ciotola, non so più di chi è colpa. Harry è mio amico, ma certe volte mi viene da chiedere se non era meglio che finisse da un’altra parte se dovranno continuare queste cose e per quanto. Non so se posso continuare io. Ogni anno succede qualcosa, per la miseria! Sta diventando difficile. Comunque ci ha preso in giro tutti, quel vecchio schifoso. Ho chiesto a mamma come facciamo a fidarci di quelli del Ministero se sono tutti dei delinquenti con una doppia vita e pronti a farci fuori senza pensarci due volte e lei mi ha dato uno scappellotto. Ha detto che anche papà ci lavora, cos’è, non mi fido di papà? Va bene, miseriaccia, ho detto una scemenza, non ci avevo pensato. Ma come facciamo?
Ti lascio. Adesso vado a dormire, se ci riesco. Qui siamo tutti in piedi da ieri e la paura non ci fa neanche sedere. E sto morendo di fame e ho finito le Tutti i gusti +1 e le Cioccorane. Meglio che dormo, così non ci penso. Tanto oggi le lezioni sono sospese, oggi. E Harry è in infermeria. Meglio se dormo, sennò Hermione è capace di prendere la scusa di rilassarci un attimo da quel che è successo e mi fa ripassare Storia della Magia. Sì, meglio che vado a dormire.
Stammi bene.
Almeno tu, che qui è un disastro.

Ron


Ron aveva scritto la missiva il giorno successivo gli eventi, tuttavia il vecchio allocco della guferia di Hogwarts aveva impiegato più del previsto a raggiungere la meta indicata a causa del maltempo che imperversava tra l’Austria e l’Ungheria. La lettera non era giunta inattesa. Il figlio di Ioan e Poliana era al seguito della comitiva di Durmstrang ed aveva già riportato le notizie sulla tragica conclusione del Torneo Tre Maghi.
Al suo arrivo però, Charlie si trovava a Londra su espresso invito di Silente, che si era presentato sul prato davanti alla Sede, come se stesse facendo una normalissima passeggiata.
La rifondazione dell’Ordine della Fenice aveva suscitato una valanga di proteste da parte di sua madre, che aveva tentato di proibire a lui e a Bill di prendervi parte. Fortunatamente, l’interesse mostrato dai gemelli era stato tale da farla desistere dal proposito iniziale, inducendola a concentrarsi sulle minacce e le ramanzine ai secondi.
Bisognava ammettere che la versione aggiornata dell’Ordine era alquanto sconfortante, soprattutto visto il numero esiguo di membri. Ed era proprio per quel motivo che lui e Bill erano stati convocati: i loro lavori all’estero li mettevano al riparo dallo sguardo dei seguaci ancora a piede libero di Colui-che-non-doveva-essere-nominato, permettendo loro di cercare nuove forze oltre confine.
«Come va la spalla?» domandò Ioan, mentre i piatti passavano diligentemente sotto il getto d’acqua della sua bacchetta.
Erano andati tutti a dormire dopo la discussione avuta al termine della cena. Lui si era trattenuto per finire di lavare i piatti e rassettare la cucina, ligio al proprio turno di faccende domestiche.
«Abbastanza bene. È ancora un po’ indolenzita ma passerà, come tutte le altre volte» rispose, sbirciando sotto la maglia.
I segni dei denti di Siglinde erano poco più che linee arrossate. Quel pomeriggio, memore degli Schiantesimi che le aveva rifilato perché non ammazzasse il maschio che le avevano proposto come compagno, la loro bella Zaffiro di Santorini gli aveva reso la pariglia. Il morso era stato doloroso, dato però con l’intento di intimorire. Charlie era abituato ai draghi che cercavano di farlo a brandelli, sapeva distinguere un attacco vero da uno simulato. E sapeva anche che l’indomani quei pochi segni sarebbero svaniti, grazie alle proprietà medicamentose della saliva di drago.
Poliana invece non aveva perso tempo nel ribadire che tenere quel rettile disgraziato era stata una scelta da idioti. E più idiota ancora era stato permetterle di prendere dimora nel laghetto davanti alla Sede.
«Non voleva farmi male» la difese.
Ioan non rispose, ma Weasley era sicuro che stesse sorridendo. Tutti, eccetto la Tzara, erano affezionati a Siglinde.
«Era solo arrabbiata. Mi ha sempre considerato un amico, si fidava di me. Voleva solo fosse chiaro che non devo permettermi mai più di trattarla così» puntualizzò.
«Molto femminile, da parte sua. Se non avesse le squame, penserei davvero che è il tipo ideale per diventare la tua fidanzata» lo schernì, chiudendo con un solo movimento di bacchetta tutte le ante ancora aperte.
«Me l’ha detto anche Bill» ammise.
Nonostante il tono apparentemente scherzoso, Charlie parlava a bassa voce, ancora demoralizzato dall’esito della riunione. Quella sera, i membri dello staff avevano comunicato le loro decisioni in merito al dare o meno appoggio all’Ordine della Fenice. Aveva sperato in una collaborazione più ampia, ma dei suoi sei colleghi, solo Andrea e Stefan si erano schierati dalla sua parte. Gli altri – Ioan, Poliana, Helia e Burak – avevano deciso di non prendere parte alla crociata di Silente, ciascuno per motivi più o meno condivisibili.
Il morfologista tornò a guardare sconsolato la lettera del fratello. Se l’era portata appresso per tutta la settimana, quasi fosse una sorta di talismano. Purtroppo non aveva funzionato come aveva sperato.
«Sai… quel Diggory. Abitava vicino a casa mia. Lo conoscevo. Abbiamo giocato insieme qualche volta, quando eravamo piccoli» disse, scrutando il proprio riflesso nelle finestrelle della stanza. «Non voglio che succeda ancora».
Di fronte a lui fluttuarono due bicchieri, che una bottiglia riempì diligentemente con della ţuică*. Il collega lo raggiunse poco dopo, le mani ancora avvolte nello strofinaccio. Restarono in silenzio per parecchio tempo, sorseggiando il liquore. Per Ioan era un’enorme trasgressione: la moglie gli aveva vietato di bere prima di andare a letto, perché detestava la nota d’alcol nel suo respiro.
«Dimmi la verità. Cosa ne pensi di questa faccenda? Faccio bene a preoccuparmi tanto?»
Ioan gli posò una mano sulla spalla.
«Cosa ne penso? Penso che ora stiamo vivendo le cose sull’onda di emozioni troppo violente. Non siamo abbastanza lucidi per pensare con chiarezza, rischieremmo di travisare ogni cosa. Vattene a letto e cerca di dormirci su» consigliò affettuosamente alzandosi.
«Tu però…» iniziò il giovane, scrutandolo di sottecchi.
Il Guardiadraghi si fermò sulla porta della cucina.
«“Tu però” cosa? Però sono stato dall’altra parte della barricata? È questo che vuoi dire? Credi che sappia come pensano e agiscano quei maghi?» domandò senza voltarsi.
La sua voce calma e pacata all’improvviso si era inasprita.
Charlie annuì lentamente, perché, pur volendola conoscere, temeva la sua risposta. Ioan gli aveva confidato di aver fatto parte di un gruppo di terribili aguzzini del regime, i Vinatorii. Aveva preso parte ad azioni turpi e vergognose, spinto dalla cieca fiducia nei suoi superiori e negli ideali che questi gli avevano inculcato. Ma quel Ioan, spietato e sanguinario, era stato cancellato, era stato sepolto in un luogo lontano. L’amore per Poliana lo aveva spinto a ripensare alle sue azioni, alla sua vita ed al significato che voleva darle. Era stata una seconda possibilità.
Il romeno fece un profondo respiro e riprese posto al tavolo, sfilandosi gli occhiali. Restò in silenzio, massaggiando la radice del naso. Quando tornò a fissare il collega, il suo volto era irrigidito dal peso di vecchi ricordi.
«Charlie, la verità è che non si può comprendere il male dall’esterno. E se una volta ne hai fatto parte, se sei stato la sua mano…» disse, mostrandogli la propria ben aperta davanti alla faccia. «Beh, ci pensi almeno un milione di volte, prima di guadare l’ombra che sta nel cuore degli altri. Capisci cosa intendo?»
Il ragazzo ci pensò su per qualche secondo.
«Hai paura di rivedere com’eri».
Ioan scosse il capo, deciso.
«No. Hai paura che chi eri ti afferri di nuovo. Anche se l’hai respinta, se hai tentato di scacciarla, l’oscurità è sempre lì, in agguato, dentro di te. E se scopri che qualcun altro la porta addosso, devi distogliere lo sguardo, allontanarti. Dimenticare se puoi. Non devi permetterle di riemergere, perché salirà violenta a riprendersi ciò che le hai tolto. Perderai il controllo e…»
Non concluse quella frase: lo sguardo parlava in sua vece. L’orrore per i dettami del vecchio regime, il tormento per le vittime del Vinator che era stato e che aveva scelto di non essere più, la paura che aveva inghiottito molti anni della sua vita. Erano ferite ancora aperte nell’animo del Guardiadraghi.
«Non cercare mai di metterti nei panni di queste persone. Non accampare la scusa che ti serva per combatterli. Dimentica questa fesseria. Se pensi come loro, diventi come loro, anche se continui a negarlo. Ne farai parte e allora, tutto quello per cui avrai combattuto, non avrà più alcun senso» mormorò, versando un’ultima volta la ţuică nei bicchieri. «Non ti so dire se quel che sta accadendo ora è frutto di un problema autentico o di dicerie, se le preoccupazioni del tuo Preside siano fondate. Quel che so, è che troppe volte le persone si fanno trascinare dalle proprie paure. Paura di ribellarsi, paura di guardare la realtà, paura di vivere. Anch’io ho avuto paura. Quindi, accetta un consiglio da chi ci è già passato: pensa bene a ciò che fai e guarda dove metti i piedi».
Bevvero l’ultimo sorso di liquore divisi da sentimenti contrastanti. Ioan pervaso dall’amarezza del proprio passato, Charlie dall’incertezza nel domani.
«Forza, giovanotto. Si è fatto tardi e Ana non mi perdonerà se la lascio sola ad addormentarsi. Senza contare che le guerre non sono un buon argomento per conciliare il sonno» sorrise, inforcando di nuovo gli occhiali.
Uscirono dalla cucina e salirono lungo la scala di legno che portava alle camere.
L’idea che potesse scatenarsi una nuova guerra gli faceva provare una profonda sensazione di disagio. Era un bambino quando la Prima Guerra magica aveva imperversato per l’Inghilterra. Troppo innocente per capire fino in fondo quanto fosse grave la situazione, quanto pericolo si addensasse nell’aria. Ora, da adulto, quasi rimpiangeva di non aver compreso gli eventi di cui era stato in qualche modo spettatore: lo avrebbero aiutato ad essere più preparato.
«Magari diventeremo degli eroi, di quelli che i bambini devono annoiarsi a studiare sui libri e di cui dimenticano il nome dopo il primo rotolo di pergamena dato a lezione» scherzò amaramente Charlie.
«Sì, certamente. Saremo eroi, in una di quelle notti dove le stelle saremo noi due soli: io a raccontare storie ai miei nipoti e tu ai tuoi figli» rispose Ioan, socchiudendo appena la porta della sua stanza. «Loro ci guarderanno ammirati, sentendoci parlare di draghi sputafuoco, di lunghissime pratiche burocratiche e di Pozione Lassativa data all’esemplare sbagliato. E il nostro piccolo pubblico ci ammirerà lo stesso, perché per loro non conterà se abbiamo sbaragliato torme di maghi assassini o se ce ne siamo stati a grattarci il naso in attesa che un Lungocorno finisse di passeggiare su un gregge di pecore. E sai perché non conterà? Perché saremo nonno e padre, e questo, per loro, sarà già eroico».
Ioan parlava dando le spalle all’interno della stanza e non poté scorgere gli occhi di sua moglie riempirsi di lacrime a quelle parole.
«Quando parli così sei peggio di mia madre» brontolò Charlie, imboccando la stretta scala a chiocciola che portava alla sua camera nel sottotetto.


*ţuică: grappa di prugne.


   
 
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