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Autore: Jules_Black    13/06/2011    6 recensioni
"Ci incontreremo dove il mondo è silenzioso".
Ogni mattina parte, dalla stazione di un paese quasi sconosciuto, il treno delle 7 e 32, quello "che non ritarda mai". Nella penultima carrozza, i posti della terza fila sono sempre occupati. Eppure non sarà così, non per sempre.
Dal capitolo I:
"Aveva maledetto quella vecchia automobile, ormai ridotta ad un ammasso informe di lamiera, vetri infranti e vite spezzate. Aveva provato a non pensare che tra soli due giorni avrebbe dovuto affrontare da sola il treno vuoto di periferia, quello delle 7 e 32 che non ritardava mai di un minuto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. La telefonata

La telefonata che le cambiò la vita arrivò alle due e quarantasette di una notte di fine aprile. Saltò giù dal letto ed, afferrato il cellulare, rispose con voce assonnata. Quelli che sentì dall’altro capo del telefono furono solo singhiozzi. Poi la voce della signora Erminia che la informava dell’incidente. Di quella notte non ebbe altri ricordi, o meglio, finse di aver dimenticato. La folle corsa con l’auto del padre fino all’ospedale, il viso di Lalla nel corridoio adiacente alla sala operatoria, la sensazione di vuoto nel vedere il corpo di lui privo di qualsiasi umanità…

Era stata forte. Aveva rinchiuso ogni emozione nel cassetto della scrivania e, con viso duro, aveva finto che tutto andasse bene. Aveva indossato le sue lacrime migliori ed aveva accettato, senza parlare, ciò che era accaduto. Sentiva impresso nella memoria ogni dettaglio, nemmeno fosse stato marchiato a fuoco. Il display della sveglia che indicava un orario improbabile della notte ancora riluceva vivido nei suoi sogni. Ed il viso sfigurato del suo migliore amico, sbattuto sopra un lettino bianco che odorava di disinfettante, ogni tanto faceva capolino tra le pagine di una vecchia enciclopedia medica.

 Per quanto fingesse di non ricordare, lei aveva capito fin da subito che quelli squilli del telefono non avrebbero fatto altro che rimbombarle dentro per l’eternità. Lalla l’aveva chiamata solo due volte in tutta la sua vita in piena notte. La prima, quando avevano solo dodici anni, le aveva raccontato tra i singhiozzi di come suo padre se ne fosse andato via di casa, lasciandola sola con la madre. Lalla aveva pianto per mesi e mesi e, solo quando arrivò il Natale ed, insieme alle feste, una cartolina del padre dalla Scozia, smise di ingrigire le giornate di lei. La seconda volta che aveva rinunciato a dormire era stato quando Lalla, con voce tremante, le aveva raccontato di come avesse appena fatto l’amore per la prima volta con lo storico fidanzato. Lei prima era scoppiata a ridere, poi aveva rivolto alla sua migliore amica una miriade di domande. La terza volta, avrebbe preferito che non fosse mai esistita.

Le chiavi dell’auto del padre le erano scivolate tra le mani più volte mentre scappava via con sua madre che le gridava dietro di aspettarla. Aveva sbattuto il portone d’ingresso della palazzina dove abitava con foga e, per quanto fosse notte, in pochi secondi era riuscita ad aprire il grande cancello verde. Si era infilata nella piccola 4x4, buttando via dal sedile del guidatore un fascio di fogli perfettamente ordinati con i nuovi progetti di alcuni villini da costruire fuori città realizzati da suo padre. Caddero frusciando.

 Aveva messo in moto ed acceso la radio, preferendo coprire il rumore dei pensieri con quello di una canzone famosa che presto sarebbe stata dimenticata. Aveva fatto retromarcia, ed una volta uscita dal cortile che fungeva da parcheggio per i pochi abitanti del suo palazzo, aveva trovato sua madre ad aspettarla proprio su un lato della strada. Era partita in fretta, lasciando scivolare i numeri sul tachimetro. Guidare in ciabatte non era stato  il massimo: il piede continuava a scappare via dell’acceleratore, un paio di volte non ingranò la marcia proprio perché la frizione non era stata premuta a dovere.

Sua madre non parlava. Scrutava fuori dal finestrino le strisce di luce provocate dalla velocità, guardava i paesi susseguirsi oltre i guard-rail della superstrada. Un paio di volte tentò di aprire bocca, ma rimase lo stesso in silenzio. Di lei poteva vedere solo i lineamenti appena accennati nell’oscurità dell’abitacolo ed il riflesso stranamente scuro sui capelli di un bel rame acceso.

In men che non si dica, si ritrovò ad arrancare lungo i corridoi dell’ospedale, incurante di poter provocare disturbo ai pazienti. Chiese ad un’infermiera di passaggio qualche notizia. Imprecò davanti la sua risposta piatta ed inutile. Alla fine, senza sapere nemmeno come, si ritrovò in un corridoio giallo. C’era Lalla seduta su una vecchia panca arancione. E nel momento esatto in cui incontrò i suoi occhi, capì che la sua corsa disperata dentro la notte non aveva avuto esito positivo.

Lalla disse solo due parole. “E’ morto”. Tutto quello che lei ricordava del dopo era una sensazione indistinta, tra abbracci e lacrime e quell’aspirina che un’infermiera le aveva portato. La barella coperta da un telo bianco le sfilò davanti in silenzio e lei non riuscì a sostenere lo sguardo fugace della morte. Lui era lì, a pochi metri da lei. Chiuse gli occhi e la lasciò sfilare, senza accorgersi che di quel dolore faceva parte anche lei.

Lalla le posò una mano sulla spalla. Piangeva anche lei. Ed all’improvviso, vennero fuori tutte le fotografie della loro storia.

Quella volta che avevano dormito insieme in tenda, quell’estate al bar, seduti ai soliti tavoli arancioni, quella mattina che avevano perso il treno e si erano ritrovati stipati nell’abitacolo di un camion… E la volta in cui, senza sapere come, lui l’aveva baciata contro il muro di un corridoio d’albergo. Ed il mattino seguente, lei aveva capito che quella era stata la notte migliore della sua vita. L’aveva capito dal modo in cui lui gli aveva offerto il suo maglione beige perché aveva freddo, dal modo in cui era corsa affannosamente per tutto il corridoio per non farsi beccare, dal modo in cui aveva sentito aprirsi un sorriso sul suo viso non appena Lalla aveva aperto la porta della loro camera 703.

E quei momenti non sarebbero tornati più.

Erano scivolati lungo il corridoio di quell’ospedale sotto il velo bianco.

 

 

 

 

***

Mi ritrovo ad aggiornare prima del previsto. In realtà questa storia si sta creando praticamente da sola ed io rispondo solo al bisogno di battere i polpastrelli sulla tastiera. Ovviamente un grazie a chi ha commentato il capitolo precedente ed a quanti hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.

Spero vi piaccia anche questo.

Jules

   
 
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