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Autore: Hinata_S_I_TT 4EVER    17/06/2011    6 recensioni
Tutto può succedere molto rapidamente, la vita come la conosciamo può cambiare in un batter d'occhio. Possono sbocciare amicizie improbabili, possono essere gettate al vento importanti carriere, speranze a lungo sopite possono essere riaccese e relazioni della durata di una vita possono crollare.
Sì, dobbiamo essere riconoscenti per qualunque cambiamento la vita ci offra, perché arriverà il giorno, sempre troppo presto, in cui nessun cambiamento sarà più possibile...
Il mio giorno era arrivato troppo presto, senza che potessi prevederlo in alcun modo, senza che riuscissi a percepirne la presenza, non sussurro, non un bisbiglio, nessun maledettissimo avviso che potesse prepararmi, anche solo un poco, a quello che avrei dovuto affrontare.
Invece, ma questo lo capii solo dopo, i segnali c'erano eccome... ma li avevo interpretati nel modo sbagliato. Tutte quelle volte in cui mio padre mi diceva di andare a correre, io pensavo che fosse perché mi vedeva grassa; tutte le volte che mio cugino sputava quanto sarà bello non avermi più tra i piedi, io credevo che si riferisse a quando avrei avuto il coraggio di andare a vivere in un appartamento tutto mio. Ma il segnale più luminoso di tutti me lo mostrava la mia sorellina ogni volta che, con la scusa di farmi una sorpresa, mi regalava cosmetici e creme emollienti per il corpo.
Che sciocca sono stata... io pensavo che tutti quegli atti e quelle attenzioni da parte di mio padre e di mia sorella fossero delle deboli dimostrazioni di affetto; Neji era tutto tranne che ipocrita.
Non avevo capito che l'andare a correre era una scusa per tenermi fuori di casa il più a lungo possibile mentre lui prendeva parte ad un affare tutto particolare che metteva in gioco unicamente il mio futuro, non avevo capito che tutte quelle speranze erano reali e più vicine di quanto pensassi, non avevo la benché minima idea che tutti quei prodotti erano per abituarmi a farne un uso quotidiano e per far piacere a qualcuno che non ero io.
Sono stata una stupida, non avevo capito niente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Consiglio di accompagnare la lettura con questa canzone in sottofondo, la stessa con cui l'ho scritto. Penso che renda molto di più. All I need

Tutto quello di cui ho bisogno


Sei anni dopo


Guardavo con orgoglio le mie figlie correre intorno alla fontana zampillante del cortile principale, sfidando i blandi getti d'acqua che, ogni tanto, scavalcavano i bordi di pietra ruvida per infrangersi al suolo o sulle loro teste e quella bambina che ogni giorno accudivo e che portavo con me ovunque andassi era il segreto più risaputo del villaggio della sabbia.

Haria era diventata una vivace bambina di 8 anni e la sua crescita evidenziava i tratti di Gaara nel suo viso, più qualche dettaglio che non era suo né tanto meno mio: il naso era piccino e guardava elegantemente all'insù, e i capelli rosso rubino le cadevano in grandi boccoli sulla schiena (cosa che, ovviamente, non aveva potuto prendere da Gaara). Maya, al contrario, somigliava in maniera impressionante a me quando avevo la sua età, con la sola differenza che lei, a soli cinque anni e mezzo, aveva già attivato il Byakugan pur non mostrando alcun interesse particolare alle arti ninja. Ero fiera di come stavano crescendo, due boccioli pregiati in attesa di sbocciare in tutto il loro splendore e la loro bellezza, coccolate ed esageratamente viziate dalla zia Temari e dallo zio Kankuro, nonché ovviamente dalla zia Divya. Gaara invece non era che un'ombra di silenzio durante i pasti. Dal giorno in cui nacque Maya cominciò a farsi sempre più assente e sempre meno interessato alle sue figlie, deluso del fatto che, dopo ben sei anni di matrimonio, non avessi ancora partorito un maschio degno della sua linea di sangue, ma solo una figlia femmina e ben tre bambini morti prematuramente nel mio ventre.

Gaara però non diede mai l'impressione di volersi arrendere, ogni notte mi obbligava a concedermi a lui anche se ero palesemente stanca e non potevo rifiutarmi, alla fine me ne rimanevo semplicemente sdraiata tra le lenzuola di lino in attesa del momento in cui avrei potuto mettermi a dormire.

Un'ombra scansò una goccia d'acqua prima che essa si potesse infrangere sul pietrisco riscaldato dal sole, ma non riuscì a scansare la mia guardia né il mio sguardo, nascondendosi dietro alla colonna accanto al portone del palazzo.


Senza perdere d'occhio le bambine sollevai l'orlo del vestito con una mano e mi avvicinai alla colonna, circondando con le dita l'impugnatura di cuoio del pugnale che nascondevo nella sottogonna, pronta a mostrare la lama se fosse stato necessario.

-Mia signora, riponete la vostra lama, non voglio nuocervi- una calda voce maschile risuonò da dietro la colonna, mostrando con essa un lembo del mantello che ne copriva il possessore.

-Se è vero quello che dici, mostra il tuo volto alla luce del sole- ordinai senza allentare la presa attorno al pugnale, dovevo essere certa che le mie figlie fossero al sicuro.

-Come desiderate mia signora...

Una figura alta e imponente si scostò dal blando riparo della colonna chiara, esponendosi alla luce del sole, una mano robusta comparve da sotto un lembo del mantello per sollevare il cappuccio di tessuto pesante e rivelarne il proprietario: un giovane dall'aria seria e devota fece qualche passo in avanti, difendendosi solo con un sorriso.

-Chi siete?

-Sono solo un'umile guardia, nominata dal Kazekage per essere al vostro servizio.

-Una guardia del corpo... ma che sciocchezza è mai questa? So difendermi benissimo da sola, vi prego di andarvene.

-Mi dispiace, ma non posso fare come mi avete ordinato.

-Vi ho appena congedato dal vostro incarico, che cosa vi impedisce di darmi ascolto?

-Con tutto il rispetto, solo il Kazekage può congedarmi dall'incarico che mi è stato dato.

-Molto bene, posso sapere il vostro nome?

-Mi chiamo Takeshi Nakamura, e sono onorato di essere al vostro servizio.


Anche se era ancora una guardia inesperta, non potevo negare che mancasse di galanteria. Quella sera, non appena rientrai nei miei alloggi e dopo aver messo a letto le nostre figlie, mi scontrai con Gaara sull'ovvia inutilità dell'avere una guardia del corpo quando ero perfettamente in grado di difendere me stessa e le bambine, ma lui si limitò a spegnere la mia rabbia sostenendo che la prudenza non era mai troppa e che non voleva correre rischi inutili. La conversazione si chiuse lì e io non osai mai più riaprirla, capii che sarebbe stato inutile anche tentare un nuovo scontro. Sorrisi, dopo un mese avevo cominciato a farci l'abitudine.

-Vi ho visto di nuovo Takeshi, potete uscire ora.

-Non sono riuscito a celarmi dai vostri occhi, mia signora, ma domani non vi accorgerete nemmeno del mio respiro.

Mi scappò una risatina e mi coprii subito le labbra con il dorso della mano in un moto di vergogna, cercai di dissimularla facendo cenno al mio accompagnatore di seguirmi: Haria e Maya avevano preso la pessima abitudine di rincorrersi tra i cespugli del giardino padronale ed era diventato piuttosto facile perderle di vista.

-Ne dubito, è da un mese che continuate a ripetere la stessa cosa e, ve lo chiedo per favore, smettetela di darmi della “signora”... mi fate sentire estremamente vecchia e non ho ancora 24 anni!

-E come desiderereste che vi chiamassi?- domandò, mosso dalla curiosità per quella mia strana richiesta.

-Gli abitanti di Suna mi chiamano “mia Signora”, le bambine mi chiamano “mamma” ma non penso che tu voglia farlo, Kankuro e Temari mi hanno ribattezzata “sorellina”, mio marito non mi chiama nemmeno. Oramai quasi più nessuno mi chiama col mio nome.

Non ci giurerei, ma mi era sembrato di aver visto i suoi occhi illuminarsi, aveva delle pietre di smeraldo incorniciate da una massa scompigliata di capelli neri come il petrolio -Ho quindi l'onore di chiamarvi Hinata?

-Se voi lo considerate un onore... a me fareste solo un favore a dire il vero- cercai di sorridere, evitando di rivelargli che era un desiderio che conservavo da moltissimo tempo.

Mi sedetti su una panchina ombreggiata, Takeshi rimase a qualche rispettoso metro di distanza, in piedi e sempre pronto alla difesa. Nel suo animo allegro e gentile trovai presto, forse troppo presto, un confidente e un buon amico che ascoltava in silenzio i miei silenzi, per poi riuscire a farmi sorridere con poche parole o facendo un dispetto ai giardinieri del palazzo portandomi un bocciolo di rosa bianca, il mio preferito.


Poco prima di sera dovetti affidare le bambine a Divya poiché io e Gaara avremmo dovuto tenere un ricevimento con ospiti provenienti da ogni angolo del Paese del Vento. La sala che avrebbe ospitato il ricevimento era stata riempita con decine di piante tropicali dai colori chiari e dal profumo intenso, ovviamente erano state una scelta di Divya, e i tavoli vennero decorati con tovaglie di lino candido e dai cristalli più brillanti. Due cameriere mi costrinsero alla sedia della mia specchiera per circa un'ora per sistemarmi i capelli in quella che sostenevano essere l'acconciatura del momento, ma io vedevo solo i miei capelli raccolti in una crocchia disordinata che lasciava cadere qualche ciocca ribelle ai lati. Gaara non entrò mai in camera, mi mandò invece un ragazzino per dirmi che si sarebbe cambiato in ufficio e che avremmo aperto la serata vedendoci direttamente in sala. Deglutii in silenzio quell'ennesima perla di rabbia e finii di vestirmi da sola.

Prima di recarmi al piano di sotto andai nella stanza delle bambine per poter dare loro la buonanotte e, magari, ricevere qualche coccola, ma le trovai già profondamente addormentate; così quella sera dovetti rinunciare all'affetto delle mie figlie in favore dei rapporti politici di mio marito.

Raccolsi un angolo di tessuto dello strascino nero del mio vestito e mi incamminai verso le scale che davano direttamente sulla sala dei ricevimenti. Accanto al corrimano, vestito con un abito da sera scuro e la veste chiara del Kazekage aperta sul davanti, Gaara mi stava aspettando senza dare segno di impazienza o di irritazione, picchiettando due dita sulla colonnina di marmo del corrimano. Quando si accorse del mio arrivo, i suoi occhi sembravano non riconoscermi, mi guardava come se non mi avesse mai vista in vita sua. Sentii le guance arrossarsi d'imbarazzo, era estremamente raro che mi guardasse così spudoratamente quando non eravamo nella nostra camera, e dopo sei anni e mezzo non ci avevo ancora fatto l'abitudine.

-Vogliamo andare?- domandò porgendomi il braccio, invitandomi silenziosamente a prenderlo.

-Sì, certo...

Scendemmo le scale fianco a fianco, vicini come lo eravamo di rado, scendendo un gradino alla volta; Gaara mi strinse di più a sé, forse inconsciamente o forse per impedirmi di cadere sui tacchi, ma per poco non mi scappò un urlo per lo spavento. Nella sala risuonavano i suoni dolci e delicati di alcuni strumenti a corde, le note viaggiavano elegantemente nell'aria dandole uno sfondo umile e raffinato allo stesso tempo. La luce del tramonto sfiorava i cristalli appuntati sul mio vestito facendoli brillare di mille colori, attirando l'attenzione degli ospiti che erano già radunati in sala, in nostra attesa. Il nostro arrivo diede vita a parecchi brusii, sia maschili che femminili, alcuni proclamati a voce più alta degli altri, ma riuscii a distinguerne solo alcuni che non fecero altro che aumentare il mio imbarazzo.


-Il nostro Kazekage ha fatto l'affare della sua vita, sua moglie è probabilmente

la donna più bella di Suna.


-Beh, sapete come dicono... il Kazekage dev'essere il solo uomo di Suna a non amare sua moglie.


-Ma cosa dite! Nessuna ragazza di Suna può reggere il confronto, è sicuramente

la più bella dell'intero paese.


-Vi sbagliate di grosso, caro compagno. Quella che vedete è

la donna più bella del mondo.


E il Kazekage come reagì di fronte a quelle parole?


Il viso di Gaara, di fronte a quelle frasi così lusinghiere nei miei confronti, cambiò leggermente espressione, ma fui l'unica ad accorgermene: i suoi lineamenti si erano fatti più duri, più seri, e gettava delle piccole occhiate scure a chi aveva riconosciuto come i creatori di quei complimenti.

La cena si svolse tranquillamente, si parlò principalmente di politica, ovviamente, di nuove alleanze e di vecchie amicizie, di progetti futuri e, in particolare, alcuni ospiti particolarmente fastidiosi che entrarono subito nelle mie antipatie domandarono più volte quanto tempo il villaggio avrebbe dovuto aspettare per vedere un erede del Kazekage. Risposi garbatamente a quelle domande, nascondendo per quanto possibile il mio sdegno, ma cercai più che altro di deviarle con altri argomenti che potessero essere più piacevoli, nella speranza che la cena incontrasse presto la sua fine. Poco dopo che venne servita la frutta, il gruppo di ragazzi incaricato di intrattenere gli ospiti con gli strumenti musicali si posizionò su un piccolo palco e fece partire una melodia lenta ed elegante, accompagnati da una ragazza che si posizionò di fronte a loro. Divya.


I'm dying to catch my breath
oh why don't i ever learn
I've lost all my trust that i'm sure we try to
Turn it around

-Hinata

-S-sì?

-Dobbiamo aprire le danze, venite.

Gaara mi prese per mano, aiutandomi gentilmente ad alzarmi ed accompagnandomi al centro dello spazio vuoto lasciato dietro ai tavoli. Mi circondò i fianchi con un braccio, avvicinandoci talmente tanto che potevo sentire l'aroma della colonia sulla sua pelle, e non sapevo se guardare lui o le coppie di ospiti che, una alla volta, ci stavano raggiungendo. Cominciammo ad ondeggiare piano, seguendo le note della musica e l'andamento della voce di Divya, poi Gaara raccolse il ritmo nei passi, allungandoli e riuscendo sorprendentemente ad accompagnarmi.


Can you still see the heart of me
all my agony fades away
when you hold me in your embrace


Divya ci guardava dal palco, le labbra stirate in un sorriso mentre cantava e lasciava fluire le parole nell'aria, parole bellissime, parole che riuscivo a sentire mie. Parole che Gaara, probabilmente, non avrebbe mai compreso.


Don't turn me down
for all i need
make my heart a better place
give me something I can believe
Don't turn me down
you're far from the door now
don't let it close


Un'ombra attraversò rapidamente la parete dietro al palco, fermandosi accanto alla colonna portante di una delle uscite della sala. Riconobbi la statura e gli occhi verdi di Takeshi che, lo sentivo, non mi perdevano di vista neanche mentre ero in compagnia di mio marito. Lo vidi sorridere, ma era un sorriso diverso da quelli che gli vedevo nei pomeriggi che trascorrevo in sua compagnia. Era un sorriso amaro, sforzato, quasi colpevole. Non potei fare a meno di chiedermi: cosa poteva aver detto o sentito per sorridere in quel modo?

He only had to go
I wish I could let it go
I know that I'm only one step away
From turning around

Can you still see the heart of me
all my agony fades away
when you hold me in your embrace

Don't turn me down
for all i need
make my heart a better place
give me something I can believe
Don't turn it down
what's left of me
make my heart a better place

senza titolo

  
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