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Autore: Leslie and Lalla    18/06/2011    4 recensioni
[Attenzione: può essere letta anche senza aver letto Drawing a Song 1 e 2]
Lei è Evelyn Evans, ventisei anni da compiere, laureata da poco in psicologia, insicura su tutto ma decisa a conoscere i suoi genitori biologici prima di sposare il fidanzato Danny. Ha come l'impressione che la sua vita non sia il cammino sorprendente fatto di scelte inaspettate di cui le parlano i libri, anche se vorrebbe tanto che fosse così.
L'altra è Viola Dumas, ventisei anni appena compiuti, il suo obiettivo è diventare un medico brillante, decisa e risoluta, sa quello che vuole dalla sua vita e non si concede distrazioni, soprattutto per pensare alla sua infanzia, che tutto quello che vorrebbe fare è dimenticare.
Ma cosa succederebbe se sulla strada di Evelyn si presentasse un affascinante, trasgressivo e giramondo musicista che la immerge del tutto nella bolla di sapone fatta di divertimento, arte e voglia di esprimere se stesso tramite una canzone in cui sembra che viva lui?
E a Viola, invece, cosa succederebbe se una mattina si svegliasse accanto ad un uomo completamente sconosciuto? E se quell'uomo fosse proprio l'ultima persona con cui sarebbe dovuta andare a letto?
[Scritta a quattro mani]
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All of Drawing a Song and Sequels'
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note capitolo 5

5. Three wishes




Lunedì 30 maggio

Evelyn's Pov.

Quello che mi sveglia è un raggio di sole scappato dalla tenda che copre la finestra davanti al mio letto. Lo maledico mentalmente, domandandomi perché, anziché lui, non è stato Danny a svegliarmi con un bacio. Appena guardo l'ora, capisco il motivo: sono le sei di mattina e lui per andare al lavoro si sveglia alle sette. Con un sospiro, mi giro sull'altro fianco chiudendo gli occhi. Magari, con un po' di fortuna, riesco a riaddormentarmi... Ma ovviamente, chiedo troppo. Ormai il sonno se n'è andato, e un senso di agitazione ha preso il suo posto. Finalmente realizzo quello che sto per fare e quello che mi aspetta.
Oggi è il grande giorno. Oggi prendo il treno e parto per Venezia, la città dove mia madre biologica mi ha partorita quando era in vacanza con mio padre. Chissà ora dove saranno, in che tipo di casa abiteranno, se avranno fatto altri figli. Chissà se condurranno una vita felice, senza troppe preoccupazioni, e avendo realizzato almeno una parte dei loro sogni.
Espiro fortemente, esasperata da questi miei pensieri. Basta. Non ha senso continuare a formulare ipotesi campate per aria. Adesso devo solo aspettare che il tempo agisca, e saprò finalmente la verità. Tutto qui.
Con un lieve sospiro d'incoraggiamento, mi alzo dal letto senza fare troppo rumore in modo da non svegliare Danny che sta dormendo profondamente accanto a me.
Okay Evelyn, resta calma.
Scendo le scale velocemente e appena arrivo in cucina preparo la colazione per me e per il mio fidanzato. Lui beve una tazza di latte con i cereali, la mattina, mentre io un po' di caffè con due biscotti. Non uno di più non uno di meno.
Quando ho finito di bere il mio espresso, trovo Danny in piedi appoggiato allo stipite alla porta, con una faccia uguale a quella che aveva al funerale di suo nonno, due anni fa.
«Buongiorno» lo saluto, con un sorriso incerto.
«'Giorno» fa lui, senza neanche guardarmi.
Tiro un forte sospiro. «Andiamo, non parto mica per sempre.»
Lui finalmente alza il capo e mi lancia in tutta risposta un'occhiata del tutto priva di felicità.
«Sarò qui ancora prima che tu te ne accorga, te lo prometto» aggiungo, cercando di rassicurarlo almeno un po'.
Annuisce piano. «Okay» borbotta, «però promettimi che andrà tutto bene.»
«Andrà tutto bene, non preoccuparti» dico, alzandomi dalla sedia e accarezzandogli rapidamente una guancia. S'è appena fatto la barba, come tutte le mattine. E' sua abitudine farsela appena alzato, ancora prima di aver fatto colazione.
«Tornerai appena hai conosciuto i tuoi, vero? Non è che allunghi di più la vacanza o che so io, vero?» domanda, dopo una breve pausa.
«Ma figurati, che senso avrebbe?!»
Danny abbozza un sorriso a mo' di scuse. «Chiedevo.»
«Ti telefonerò tutti i giorni» soggiungo poi, stampandogli un bacio sulle labbra. Il suo profumo del solito dopobarba che io adoro mi invade le narici senza che io possa farci niente. Dio, quanto mi mancherà.
«Bene» fa lui, circondandomi la vita con le braccia. «Ti amo, ricordalo sempre.»
«Certo.»
«Sempre!» ripete, alzando un po' la voce, come per assicurarsi che io abbia sentito.
«Sempre» lo tranquillizzo io, sorridendo un poco.
Finalmente mi restituisce il sorriso, anche se non è del tutto convinto.


Danny ha insistito sul fatto di comprare un biglietto in prima classe, così io avrei viaggiato più comoda e lui avrebbe potuto stare più tranquillo.
Il mio treno parte alle otto e cinque e si chiama “Frecciargento”, in teoria ci mette due ore e mezza per arrivare alla stazione di Venezia ed io confido nella puntualità di Trenitalia.
«Sai già dove andare una volta arrivata, vero?» domanda Danny.
Io gli stringo la mano per rassicurarlo. «Sì, tesoro, te l'ho già detto. Ho prenotato per quattro notti in un albergo nel centro di Venezia.»
«Bene» annuisce lui, cercando di apparire tranquillo. «Quante stelle ha l'hotel?»
«Quattro» rispondo, con un sospiro.
«Ottimo» acconsente poi.
A questo punto cala un silenzio piuttosto teso. Lui si sta sfregando la nuca nervosamente mentre io mi guardo attorno fingendo una naturalezza che non mi appartiene.
Dopo qualche minuto, guardo l'orologio digitale appeso davanti al mio naso. «Sono le sette e cinquanta» gli faccio notare, con un timido sorriso.
«Oh, sì» mormora lui, preso in contropiede. «Porca miseria, è già arrivata l'ora?»
«Già.»
Mi domando il motivo per cui debba essere così agitato per la mia partenza, quando io sono abbastanza tranquilla e serena. Insomma, non è che starò via per anni, si tratta di, approssimativamente parlando, quindici giorni.
«Okay, ehm, bene» borbotta lui. Poi, dopo alcuni secondi di tentennamento, tira un forte respiro. «Scusami, non so cosa mi prende» afferma, guardandomi negli occhi.
Gli sorrido, intenerita. «Non preoccuparti.»
«Bene» ripete, forse per la milionesima volta. «Ci sentiamo allora.»
«Ovviamente!»
«Telefonami, appena arrivi.»
«Certo.»
«Io ti chiamerò ogni giorno.»
Sorrido, divertita dal fatto che sta cercando di ritardare il momento in cui ci saluteremo definitivamente. «Okay.»  
«In bocca al lupo per la ricerca!»
«Crepi!»
«E... Ev?»
«Sì?»
«Ti penserò sempre.»
Il sorriso che avevo prima si allarga ancora di più, illuminandomi il volto. «Anche io» rispondo, poi mi alzo sulle punte dei piedi e lo bacio con dolcezza.
Infine, mi stacco e afferro il manico della valigia ai miei piedi, poi alzo lo sguardo verso il binario sette e mi avvio trascinando il trolley senza voltarmi neanche una sola volta per paura di non riuscire a partire.


Piove, quella pioggia fitta che ti bagna completamente, quella pioggia che ti fa rimpiangere di essere uscita senza ombrello, quella pioggia che ti impedisce di camminare a testa alta.
Ho il cappuccio della felpa alzato e ora del tutto fradicio.
Stringo con forza il foglietto che ho tra le dita. C'è scritta una frase, ormai praticamente tutta scolorita: via dei Roseti, 22.
Una tristezza soffocante mi opprime il petto, mentre una lacrima silenziosa mi percorre la guancia.
Quando arrivo davanti a una casa piuttosto grande, apro il cancello ed entro, senza neanche suonare al campanello. Appena ho di fronte la porta d'ingresso, spingo lentamente la maniglia e faccio il mio ingresso in salotto. Le mie scarpe lasciano impronte di fango, ma io non me ne curo.
«E' qui» Una voce maschile mai sentita prima d'ora proveniente dal piano di sopra.
La raggiungo senza sillabare parola.
Spalanco la porta di una camera e guardo davanti a me steso per terra il corpo di una donna senza vita, la mano sinistra appoggiata sul petto, la bocca semichiusa e i capelli castani sciolti.
Socchiudo le labbra, sconvolta. «E' mia mamma?» ho poi la forza di chiedere, con un fil di voce.
L'uomo è seduto sul letto, con la testa tra le mani. Dopo poco annuisce con aria grave: «E mia moglie.»
Mi avvicino con lentezza e quando sono a pochi centimetri da lei, mi inginocchio per vederla meglio. Era praticamente identica a me: occhi azzurri, capelli un poco più lunghi dei miei, viso di una ragazza cresciuta troppo in fretta ma che allo stesso tempo vorrebbe tornare bambina, le mie stesse labbra carnose e il mio stesso, medesimo, tipo di naso che sembra cambiare di forma a seconda dell'angolazione con cui lo guardi.
Ora scoppio letteralmente in lacrime, singhiozzando forte, mentre mio padre mi carezza dolcemente la schiena, cercando di trasmettermi un po' di calore. Ma io ho freddo, tanto freddo. E dentro di me c'è solo tristezza e insoddisfazione. E rabbia, rabbia per averla trovata solo ora, rabbia perché non sono riuscita a conoscerla. Rabbia perché, forse, lei era identica a me e avrebbe potuto capirmi. Rabbia che mi soffoca, mi impedisce quasi di respirare.


Mi sveglio di soprassalto, sobbalzando e con il fiato corto. Ho la fronte bagnata di sudore e un leggero tremore alle mani, come se fossi ancora in quella stanza piena di tristezza, come se fossi ancora in ginocchio a pochi centimetri dal cadavere di mia madre...
«Ragazza, si sente bene?» la signora sui sessant'anni seduta accanto a me interrompe i miei pensieri, con uno sguardo preoccupato e allo stesso tempo amichevole sul volto.
«Oh... sì» mormoro io, passandomi una mano tra i capelli. «Grazie» aggiungo poi, con un sincero sorriso.
«Si figuri» fa lei, chiudendo la rivista che stava leggendo poco fa. «Se c'è qualcosa di cui ha bisogno...»
«Oh, non si preoccupi» esclamo, colpita dalle sue attenzioni. «Ho solo fatto un brutto sogno.»
«Ho capito» annuisce, con gentilezza. «Sta andando in vacanza?»
«Diciamo» rispondo, «sente l'accento diverso?»
«Sì, ho un sesto senso in queste cose... con l'età che ho e con i posti che ho visto, so riconoscere abbastanza facilmente da dove viene una persona» mi spiega, con l'aria di chi la sa lunga. «Mi faccia indovinare, lei dev'essere milanese.»
«Proprio così» ammetto, e dopo una breve pausa mi guardo intorno. «Sa per caso dove siamo in questo momento?»
«Tempo cinque minuti e arriviamo a Venezia.»
«Okay, grazie mille. Allora sarà meglio che inizi a prepararmi, non vorrei perdere la fermata...»
«Giusto» dice la signora, poi mi saluta rivolgendomi un sorriso cordiale.
«Arrivederci» faccio io, mentre mi alzo dal mio posto e afferro la valigia ai miei piedi.
Un quarto d'ora dopo sono in stazione, al bordo della strada, con il cellulare in mano e lo sguardo alla ricerca di un taxi. Appena ne avvisto uno a pochi metri da me, sventolo un braccio per chiamarlo.
“Sono appena arrivata a Venezia, adesso sono su un taxi diretta verso l'hotel. Viaggio andato bene, ho dormito praticamente tutto il tempo. Ti chiamo stasera” scrivo poi a Danny, decidendo di sorvolare l'incubo che ho fatto, dato che si preoccuperebbe da morire per niente.
Non sono ancora arrivata in albergo, che mi arriva un suo sms di risposta:

Okay. Allora aspetto la tua chiamata, mi manchi già

Abbozzo un sorriso fissando il display, ma che si spegne quasi subito – senza saperne esattamente il motivo –, dopodiché chiudo il cellulare. Dopo poco mi perdo a guardare le case fuori dal finestrino, chiedendomi se i miei genitori ai tempi che furono siano passati di qui.
«Signora, siamo arrivati.»
Sposto lo sguardo di scatto e mi ritrovo l'albergo di cui ho visto qualche foto su internet alla mia destra. Dio, è ancora più bello dal vivo.
«Bene» borbotto al taxista. «Quanto le devo?»
«Venti euro e cinquanta.»
Una volta che gli ho dato le banconote, esco dall'auto e mi avvio con gli occhi sgranati verso l'entrata dell'hotel dove c'è una specie di maggiordomo che aspetta ogni nuovo arrivato con un sorriso cordiale e qualche parola di benvenuto.
«Buongiorno bella signora» mi saluta con un sorriso brillante. «Com'è andato il viaggio?»
«Oh, tutto bene, grazie» rispondo, colpita dalla deliziosa accoglienza. «Ho prenotato per una persona e già pagato su internet ieri sera...» inizio, ma lui mi interrompe praticamente subito.
«Certo, venga, l'accompagno dentro» fa lui, «le prendo il bagaglio e la guido al suo alloggio» aggiunge poi, prendendo il trolley con gesti esperti. «Lì c'è la reception, se vuole prima fare vedere alla mia collega la ricevuta di pagamento per avere le chiavi della sua stanza...»
«Okay» e detto questo, mi avvicino al bancone dell'ufficio di informazioni dove una donna della mia età circa mi mostra un sorriso gentile.
«Buongiorno» la saluto, sorridente, tirando fuori il portafogli. «Sono Evelyn Evans, ho prenotato ieri per una persona per quattro giorni...»
«Vediamo» dice lei, muovendo il mouse e fissando lo schermo del computer che ha di fronte. Pochi secondi dopo, annuncia: «Sì, ha la stanza numero ventitré. Come credo che sappia, qui facciamo una colazione dalle sette di mattina alle dieci e ogni sera un drink after dinner verso le ventuno con musica dal vivo, tutto in una stanza a parte.»
Annuisco. «Okay.»
«E queste sono le sue chiavi. Buona permanenza!»
«Grazie mille.»
«Bene, venga pure che le mostro la sua camera» mi invita poi il ragazzo, piegando leggermente la testa di lato.


Sono sdraiata nella vasca da bagno della mia stanza, la testa appoggiata sul bordo, i piedi fuori dall'acqua e i muscoli che finalmente sono in totale relax. Dio, mi sento così bene... Perché non vado più spesso in ricerca dei miei genitori?
Lo squillo improvviso del cellulare mi fa sobbalzare un poco. Allungo la mano e afferro il telefonino che avevo lasciato sul mobiletto prima di immergermi nell'acqua tiepida che avevo preparato.
«Pronto?» rispondo.
«Evelyn?»
Sospiro, con uno strano sorriso sulle labbra, misto tra l'intenerito e l'ironico. «Ti avevo scritto che ti avrei chiamato io.»
«Lo so, ma questa sera sono stato invitato da Riki a cena» inizia Danny, in tono di scuse. «E poi avevo voglia di sentire la tua voce...»
«Oh» faccio, non sapendo cosa dire. Non che non mi dispiaccia sentirlo, però diciamo che in questo momento avrei preferito continuare a sentirmi sola e prendermi un po' di tempo per me stessa, per curare il mio corpo, ma anche per meditare.
«Sei in hotel adesso? Cosa stai facendo?»  
«A dir la verità sono nella vasca da bagno.»
«Oh, ho capito... ti sento distante... sei stanca?»
«Sono distante» scherzo io.
«Ah-ah, simpatica!» esclama, sarcastico. «Comunque, seriamente, sei stanca?»
«Un po'» borbotto, alzando le spalle. «Tu cosa fai di bello?»
«Di bello niente. Sono appena arrivato a casa e non so già cosa fare... fortuna che sta sera sto con visi amici.»
«C'è qualcun altro a casa di Riki?» domando, tanto per dire qualcosa, mentre mi osservo le unghie dei piedi.
«Dovrebbero venire anche Matt e Hugh... sarà la nostra solita serata pizza, birra e pokerino» dice lui. «Tu invece cosa pensavi di fare sta sera?»
«Mah, la ragazza alla reception mi ha detto che ogni sera organizzano una specie di drink dopo cena, magari più tardi sgranocchio qualcosa e scendo per vedere com'è.»
«Mi sembra una buona idea» afferma Danny. «E l'hotel è bello?»
«Altroché! E' s-t-u-p-e-n-d-o» scandisco, tutta contenta. «E le camere sono curatissime.»
«Bene! Così passi quattro giorni di vera vacanza!»
«Già» confermo con un sorriso, immaginandomi i miei prossimi giorni, come se solo ora realizzassi il fatto che alloggerò in questo paradiso per quattro notti.
«E domani vai in ospedale per cercare qualche informazione utile?» mi chiede dopo una breve pausa, cambiando argomento.
«Sì» dico, «non voglio perdere tempo, già ci impiegherò una vita per trovare qualcosa...»
«Immagino. Il trucco è trovare la segretaria simpatica, così parti avvantaggiata.»
Faccio una risatina. «Allora confido in questo.»
«Dai, ti lascio al tuo bagno rilassante.»
«Okay. Ci sentiamo presto!»
«Certo» conferma lui. «Buona serata e buonanotte per dopo... Ti amo.»
«Anche io» sussurro, prima di chiudere la chiamata.


Do un'occhiata alla mia immagine riflessa nello specchio: indosso un vestito scuro con scollo a V, lungo fino alle ginocchia, che valorizza le mie curve ma senza farmi sembrare volgare, mentre ai piedi ho un paio di scarpe nere tacco cinque con un fiocco chic sulle punte. Mi sono appena messa il lucidalabbra e passata un leggero strato di mascara sulle ciglia, e i miei capelli hanno una piega decente. Con un sorriso di soddisfazione, decido che sono pronta per uscire.
Quando entro nella hall di cui mi parlava la ragazza alla reception oggi pomeriggio, una strana sensazione mi avvolge piacevolmente, facendomi sentire praticamente subito a mio agio. E' una stanza piuttosto grande, con un palchetto situato nell'angolo destro, i tavoli sparsi un po' dappertutto e qualche divanetto qua e là, mentre il bancone dove servono i cocktail è sulla sinistra, già abbastanza affollato. Eppure sono solo le nove e mezza.
Con una scrollata di spalle, mi avvio verso il bar-men che sta servendo una coppia di trentenni e mi siedo sul primo sgabello che trovo libero, accanto a una ragazza che ha l'aria di chi ha iniziato a bere ancora prima di cenare. Ha dei bellissimi capelli ricci di colore scuro, un naso leggermente aquilino e due profondi occhi neri.
«Ancora uno» grida questa, alzando il bicchiere vuoto.
«Non ti sembra di aver bevuto abbastanza per stasera, Grace?» fa lui, scuotendo la testa con un sorriso sulle labbra.
«No» sbotta lei, alzando la voce. «E che si fottano tutti, io questa sera voglio bere fino a vomitare, hai capito?»
Reprimo una risata, voltandomi dall'altra parte per non rischiare di scoppiare a riderle in faccia e quindi mostrarmi scortese – anche se è ubriaca e probabilmente domani si ricorderà poco o niente di quello che è successo stasera.
«Quello stronzo del cazzo» borbotta, quando il ragazzo le versa l'alcolico. «Che se ne vada a fanculo» aggiunge, dopo aver dato una lunga sorsata.
Tipico: la causa della sbronza di una donna centra quasi sempre con un maschio.
«Buonasera» mi dice il bar-men quando ha messo via la bottiglia di Martini, con un sorriso gentile. «Vuoi qualcosa da bere?»
«Mmh, sì, grazie» rispondo io, «un Campari soda, per favore.»
«Arriva subito. Dimmi, intanto, sei qui da poco, vero?»
«Sì, sono arrivata giusto oggi.»
«Oh, capito. Beh, allora piacere, io sono James.»
«Evelyn» mi presento, con un breve sorriso.
Pochi minuti dopo mi sta già porgendo il bicchiere pieno fino all'orlo di Campari.
«E a te come va con gli uomini?» mi chiede Grace, dondolando con la testa. «Secondo me sono tutti dei pezzi di merda, che ne dici?»
Faccio una risatina divertita. «Non tutti, ma la maggior parte sì» rispondo con sincerità, senza neanche preoccuparmi del fatto che il mio interlocutore è ubriaco marcio.
«Hai trovato il principe azzurro?»
Faccio spalline, ancora con il sorriso sulle labbra.
«Il mio ex è un bastardo di prima categoria» racconta lei, finendo a goccia il suo Martini. «Dovevamo venire qui in vacanza insieme, ma l'altro giorno prima di partire l'ho beccato con la mia migliore amica a letto... che puttana anche lei!»
Alzo le sopracciglia. «Stronzi tutti e due» commento, spiazzata.
«Guarda, lasciamo perdere. Ormai non ci si può più fidare di nessuno.»
Annuisco soltanto, senza sapere cosa dire.
«Ma dimmi, quant'è figo il chitarrista? Come vorrei scoparmelo!» esclama, dopo una pausa.
Getto la testa all'indietro e scoppio a ridere. Subito dopo, sposto lo sguardo verso il palco, incuriosita. Porca miseria, non l'avevo proprio notato prima... E' davvero figo. Con la chitarra in mano, qualche parola canticchiata al microfono che ha davanti alla bocca e lo sguardo perso chissà dove, ha un che di terribilmente affascinante...
«Oddio, dove sta andando adesso?» sbotta improvvisamente James, interrompendo i miei pensieri.
Mi giro immediatamente verso Grace e non la vedo più seduta accanto a me: si sta dirigendo barcollante verso il palco.
«Cosa fa?!» esclama James, strabuzzando gli occhi.
«Vado a fermarla» faccio io, alzandomi e seguendola, borbottando “permesso” tra i tavoli e le persone in piedi in mezzo alla stanza.
«Ehi tu!» urla Grace, sventolando le braccia a pochi metri dal palco.
Il chitarrista continua a suonare, imbarazzato.
Gli ultimi metri li percorro correndo, per riuscire a raggiungerla prima che faccia qualcosa di irrimediabile. «Grace!»
«Voglio vederti come mamma ti ha fattooooo!»
Oddio.
«Grace» mormoro, avvampando, «vieni qua» aggiungo, prendendola per un braccio.
Non ho il coraggio di alzare lo sguardo e vedere la faccia del ragazzo. So solo che ha smesso di cantare e ora sta solamente suonando. Dopo poco, la musica cessa con qualche accordo finale e la sua voce maledettamente sexy si propaga per tutta la stanza: «Magari quando ho finito di lavorare, okay?»
In risposta dal pubblico, una risata generale e subito dopo un applauso per la canzone che ha appena finito.
Pochi minuti dopo sto sorseggiando il mio drink al bancone con lo sguardo basso, mentre rivedo nella mia mente la scena. Dio, mi voglio sotterrare.
«Che figura che le hai fatto fare, eh, Grace?» fa James, asciugando un bicchiere.
«Ma cosa!» sento che risponde lei, con la voce malferma. «Sarà stato sssicuramente felice di ricevere un complimento!»
Sorrido un poco, ripetendomi che è del tutto sbronza e non sta agendo consapevolmente. Ma poi, mi chiedo perché mi stia facendo un sacco di paranoie, tanto quello non lo vedrò più.
E com'è che tutto un tratto mi gira la testa e vorrei che la musica si fermasse?
Sembra che abbia espresso il primo desiderio della lampada magica, perché il familiare suono della chitarra smette quasi immediatamente di diffondersi. Alzo lo sguardo in direzione del palco e vedo che il ragazzo sta iniziando a mettere via le sue cose.
«Tra quanto chiudete, qui?» chiedo d'impulso a James.
«Adesso sono le undici, giusto? Solitamente per le undici e mezza o mezzanotte, dipende da quanta gente si ferma.»
Okay, spero che questa sera chiudano a mezzanotte.
«Bene, ora io andrei in camera!» annuncia Grace, appoggiando con un tonfo il suo bicchiere vuoto sul bancone. «Se hai voglia di venire, James... e anche tu! Com'è che ti chiamavi? Evelyn?»
Scoppio a ridere, seguita da James.
«Sì, mi chiamo Evelyn. Comunque non vengo, ma grazie lo stesso per l'invito.»
«Mi dispiace tesoro, ma anche io non riesco a venire. Sarà per la prossima notte, okay?» scherza invece James.
«Va bene piccioncini, allora non sciupatevi a vicenda, domani notte vi voglio interi nel mio letto!»
Oddio, ho le lacrime agli occhi. Questa ragazza la voglio conoscere quando non è ubriaca marcia.
«Ma buonasera bellezza!»
«Buonasera anche a te, donna!»
Oh mio Dio, è lui. Qui. Non ho la forza di girarmi.
«Hai qualcosa da fare stanotte, bamboccio?»
In tutta risposta lui fa una risata sexy almeno quanto la sua voce. Dio, ho gli ormoni a mille, sembro una quattordicenne mestruata!
«Vedi tu, comunque io ho la stanza al numero centotto...»
«Poco sbronza la nostra Grace» commenta James quando è uscita dalla hall.
Faccio un sorriso forzato, sentendomi un pochino in imbarazzo. Anzi, a dirla tutta mi sento... osservata, forse?
«Sì, ho notato» afferma lui, sedendosi accanto a me. «Mi potresti dare un bicchiere d'acqua, James?»
«Ma certo!»
«Grazie» fa, poi si volta verso di me e mi saluta con un sorriso gentile.
«Ciao» mormoro io.
«Non ti avevo mai vista prima d'ora» afferma, dopo una breve pausa, senza smettere di sorridere.
«Sì, ehm, sono arrivata proprio oggi» borbotto, sforzandomi di sorridergli a mia volta e imponendomi nella mente di rimanere naturale. Dopo poco, aggiungo: «James, mi daresti un altro Campari, per favore?»
Due minuti dopo ci sta porgendo i nostri relativi ordini.
«Comunque io sono Peter, Peter Walker» si presenta il ragazzo, porgendomi la mano amichevolmente.
«Evelyn» dico, stringendogliela e guardando per un po' le sue mani, grandi ma assolutamente ben proporzionate.
«Eri già stata a Venezia?»
«A dir la verità no.»
«Come ti sembra qua?» mi chiede poi, dopo aver bevuto un sorso d'acqua.
«Oh, è un bell'ambiente» affermo, annuendo con convinzione. «Anzi, è un bellissimo ambiente. Non mi aspettavo così tanto, sinceramente.»
«Beh, sì, è un albergo a quattro stelle a tutti gli effetti!»
«Sì, hai ragione» confermo io, «comunque sei molto bravo a suonare, anche se in realtà non me ne intendo molto...»
«Non occorre intendersene, tutti hanno un orecchio per giudicare e dire la propria opinione in fatto di musica» spiega lui, facendomi capire che tiene particolarmente a quest'argomento. Dalle sue parole, dalla sua espressione e dal modo in cui mi parla, comprendo che la musica gli appartiene davvero. «O almeno, così è come la penso io. Per me la musica è una cosa che tocca il fondo del mio cuore, è meglio di una medicina, è quella melodia che mi addormenta la sera ed è anche quella che mi sveglia la mattina appena apro gli occhi e mi rendo conto di aver in mente per chissà quale motivo una determinata canzone» inizia a raccontarmi, «è un bellissimo modo così semplice e diretto per comunicare con le persone e per trasmettere a loro qualcosa di tuo. Ma è anche un modo per rivivere intimamente dei ricordi più o meno belli... E quando invece salgo sul palco mi sento davvero me stesso, posso esprimermi nel modo che voglio senza che le persone contestino nulla e senza che possano ferirmi inconsapevolmente o meno.»
Annuisco soltanto, rapita da come mi sta parlando. Non sento neanche il bisogno di bere il mio drink, anzi, è come se anche un piccolo, minimo movimento potesse rompere il contatto che sto avendo con lui.
«Se la musica fosse una donna, l'amerei con tutto me stesso e in tutti i modi possibili...»
Sembra essere entrato in un mondo tutto suo.
«Scusa, mi sono messo a parlare a vanvera» esclama poi, scuotendo la testa con imbarazzo.
«Oh, no, mi è piaciuto molto il tuo discorso» replico io, sincera.
«Sono proprio un libro aperto quando tocchiamo quest'argomento» ammette, stringendosi nelle spalle. «Spero di non averti turbata.»
«Certo che no» lo rassicuro io, con un sorriso intenerito.
«Tu invece di cosa ti occupi?»
«Sono psicologa» rispondo io, «mi piace molto stare in contatto con le persone e capire la loro psiche... Il mondo è davvero vario, lo sai?»
«Immagino» annuisce lui, serio.
«Poi va bé, nel tempo libero adoro leggere...» e cantare. Perché non glielo dico ora che si è formata quest'atmosfera?
«Uh, sì, quando ho tempo anche io leggo qualcosa, anche se non sono un vero appassionato. Diciamo che devo trovare il libro giusto.»
«Ragazzi, tra poco devo chiudere qui, è quasi mezzanotte» ci interrompe James, cordialmente.
«Oh, giusto» borbotto io, rattristandomi – senza sapere esattamente il perché – dentro di me. E' passato così veloce il tempo con Peter.
Cinque minuti dopo ci ritroviamo nella hall dell'albergo rendendoci conto che siamo gli ultimi ad andare via, mentre James di là sistema le ultime cose.
«E' stato bello parlare con te» fa lui, guardandomi negli occhi senza mettermi però a disagio. «Beh, è tardi ora. Domani dovrai fare il tuo primo giro turistico a Venezia, quindi devi riposare! Ti auguro una buonanotte, Evelyn.»
«Grazie mille, anche a te.»
Fa' che lo riveda ancora, mi ritrovo a pensare mentre salgo le scale che mi portano alla mia camera.













*** Spazio Autrici ***

Ehilààà! Come vi stanno andando le vacanze? ^^
Today is my birthdayyy *ò* Sto diventando vecchia xPP (AUGURI LALLAAAAAAAAAAAA *suona trombetta* :DDD ndLeslie) (oh, grazie ancora my darling! <33)

Ohh, questo è il mio ultimo capitolo che pubblicheremo prima di fare la classica pausa estiva, dati i nostri periodi di vacanza che purtroppo non coincidono x) Infatti il prossimo capitolo sarà dal POV di Viola e sarà anche l'ultimo, poi ritorneremo con il mio capitolo 7 verso fine agosto ^^'' (ma non vi preoccupate, c'è ancora il mio la settimana prossima :DD ndLeslie)

Bieeen, detto questo, passiamo ai dettagli. Spero che abbiate capito perché l'ho chiamato letteralmente "Tre desideri" :DD
Mmmh, che altro potrei dire? Be', come avrete sicuramente notato, in questo chap ci sono molti personaggi nuovi, alcuni di rilevante importanza.. ma non parliamo troppo sennò finisco per spoilerare ^^' Aaaallora, che impressioni avete avuto? Dite, dite, che sono curiosa **
Uaaa, dimenticavo di dirvi! Io e Leslie abbiamo fondato un club Sosteniamo Grace e Maria :DDD (dato che sia io che lei le adoriamo :P) (ahahahah! *O* ndLeslie) Spero che la domanda degli iscritti salga u.u
 
Uh, prima di passare alle immagini dei psg, volevamo darvi una comunicazione di servizio *sorriso a trentadue denti* Ci siamo accorte giusto l'altro giorno che rispondere alle vostre recensioni ci è un po' difficile xD (o magari sono solo troppo pignola io >,<) Più che altro, facciamo fatica a farvi capire chi sta scrivendo, allora abbiamo pensato di risolverla scrivendo prima del commento specifico Lalla:/Leslie: :D E poi vabe', dato che i saluti e ringraziamenti sono da parte di tutte e due, per quelli parleremo logicamente in prima persona plurale ;)


In ordine di comparsa, ecco a voi le foto ^^
Grace  (my love :D)
James

Peter  (ok, mi sono trattenuta fino ad ora dall'esprimere commenti in suo favore... ma adesso posso urlare quanto sia figo? :D Uh, giusto, per chi interessasse: lui sarebbe quelgranpezzodifigodi Tyson Ritter (se avete tempo, cliccate e fatevi un'utile cultura ♥) cantante degli All-American Rejects... oookay, dopo questo commento non avrete capito che io sono un tantino di parte, nooo, vero? *megasmile*)

Per quanto riguarda invece la stesura di Ds3, per la vostra gioia siamo a buon punto ;) Io sono nel bel mezzo del capitolo 9, mentre la mia socia del 10 :DD  (e durante l'estate scriveremo fino a farci cadere le dita ;D ndLeslie)

Okay, dovrei aver finito c:
 Baciii,
Lalla and Leslie

(auguri (ancora) Lalla *^* ndLeslie) (amorrr ♥)
   
 
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