Salve
gente!
Credevo di non riuscire ad aggiornare più, visto il
periodo di esami (oh ragazzi, fatemi buona fortuna che la prima prova
è vicina!) ma alla fine ho approfittato del piccolo spazio di tempo
libero per sistemare il capitolo e postarlo.
Ho tanta ispirazione
in merito a questa long, solo che dovrò aspettare la fine di luglio
per poter scrivere come voglio accidenti.
Dunque, ci siete? Sarà
un forte concentrato di fatti, questo capitolo. Si comincia ad andare
ben bene a ritroso... vedremo entrare in campo il misterioso Gaara.
L'ho delinetato in maniera più verosimile possibile rispetto al
manga, ma ci tengo a chiarire che è il Gaara del “dopo passaggio
di Naruto”, ovvero dopo che ha riscoperto l'amore.
Uhm,
che dire, ringrazio ancora di cuore quelle deliziose anime che hanno
recensito lo scorso capitolo, come farei senza? E tutti coloro che
hanno la storia tra preferite/seguite ecc ecc.
Attendo curiosa
commenti, opinioni, chiarimenti (?), e compagnia bella.
Buona
Lettura :)
Mettersi alla prova ovvero illudersi ancora
Era
come se fino a quel momento avessi visto solo ombre, tante ombre
diverse davanti ai miei occhi miopi.
Me ne accorgevo ogni volta
che tornavo a Konoha .
Konoha mi circondava di colori.
E così
tanto colore, così tante luci mi fecero bruciare gli occhi.
Piansi.
**
9
Luglio 2011, ore 08.40
Le
fiamme delle candele rosa poste in centro tavolo creavano strani
giochi di ombra e luce sul tavolo imbandito di ogni ben di Dio:
svettavano un mega piatto ricco di un misto mare e una bottiglia di
champagne che chissà da dove era stata tirata fuori. Ai due opposti
lati del tavolo c'erano due posti apparecchiati con piatti in
ceramica rosa, posate d'argento e bicchieri in cristallo.
Per me e
per lui.
Negli spazi vuoti della tovaglia rossa erano stati messi
vari piattini con spuntini in ogni tipo di pesce- mollusco.
Lo
cheff era al corrente che adoravo il pesce, e sorrideva tutto
contento.
Mi diede in mano un bicchiere delicatissimo mezzo pieno
di champagne. Brindammo guardandoci negli occhi.
Non avevo ancora
detto una parola che fosse una.
- Allora?? - mi spronò Naruto,
girando intorno al tavolo con fare cerimonioso.
Mi chiesi da dove
cavolo avesse tirato fuori tutte quelle cose di stampo antico e ricco
e ipotizzai che dovevano essere appartenuti ai genitori del padre di
Naruto. La madre, Kushina, aveva ben provveduto a sistemarli nei
luoghi più remoti della casa.
Osservando le guance rosse del mio
migliore amico fissai il pensiero su sua madre, era da tanto che non
ne sapevo niente. Non
gli avevo ancora chiesto niente.
Mi vergognai. Kushina Uzumaki era una donna che lavorava come
antropologa in giro per il mondo: da quando Naruto aveva compiuto
sedici anni la casa dell'antropologa era stato il Burundi, le Riserve
Indiane, la Finlandia. Tornava una volta ogni tanto, quella
madre snaturata.
Ma sapevo che amava tantissimo quel suo figlio pazzoinde.
Adoravo
Kushina, era una donna maschile e piena di carattere.
- Tua madre
sarebbe contenta di questo riutilizzo di antica vettovaglie -
dissi.
Naruto bevve tutto il suo champagne e mi guardò deliziato,
anche se un po' sorpreso dall'aver sentito – dopo tanto – il nome
di sua madre.
- Tu dici? Secondo me lei le considererebbe un
addobbo inutile... non ricordi? Mangia quasi con le mani! -
Naruto
rise. Risi anche io.
- Comunque... - Appoggiai il bicchiere quasi
vuoto sul tavolo e tirai un lembo della camicia floreale di Naruto -
...grazie – sussurrai sfiorando la mia testa contro una sua spalla,
sembravo un gatto in un momento di debolezza.
Ma
non avevo più il carattere, io, di un gatto.
-
Eh eh... pronta? Si parte con gli antipasti! -
Naruto tirò
indietro la sedia dedicata a me e mi fece accomodare. Che bizzarro
galantuomo.
Volevo essere felice, credetti per un attimo di
esserlo, però tornai così facilmente a vedermi
da fuori e ad analizzare la situazione con gli occhi di una folle
Sakura che mi rovinò tutto.
Come se un po' di gioia non me la
potessi mai più meritare.
Continuai a desiderare l'attenzione di
Naruto e contemporaneamente a respingerla.
Senza accorgermene
quella sera bevvi come una spugna.
**
9 gennaio 2009 – ordinaria serata post lavoro -
Sakura
Haruno si lavò a lungo le mani evitando di guardarsi nello specchio
appeso alla parete di fronte a lei.
Le piaceva la sensazione
dell'acqua calda tra le dita, era come se le mandasse via ogni
fatica.
Il suo collega Gaara entrò di colpo nella stanzetta
facendola sobbalzare.
- Perdonami –
Sakura lo guardò
attraverso lo specchio e sorrise:
- Tranquillo, dopo una giornata
così piena sono facilmente suscettibile – lo rassicurò lei
chiudendo il rubinetto e asciugandosi le mani con un asciugamano
sterilizzato.
- E' stata un intervento fuori dal comune – asserì
lui insaponandosi le mani.
Sakura fu d'accordo e si assentò un
attimo con la mente ripensando alle sette ore di operazione
chirurgica appena trascorse.
Un intervento a cuore aperto per
sostituire una valvola.
- Quell'uomo è forte – affermò
visualizzando il volto addormentato del cinquantenne padre di quattro
figli che avevano appena salvato.
Gaara
finì l'atto giornaliero di lavarsi le mani di fine giornata e si
avviò con Sakura fuori dalla minuscola stanza verso i corridoi del
reparto di cardiochirurgia.
Lasciarono i camici negli appendiabiti
della sala riunioni e in silenzio si diresse all'uscita.
Una volta
fuori Sakura respirò a pieni polmoni: l'aria pungente le restituì i
propri pensieri facendola tornare all'essenza di ogni sera: una
ragazza che lottava contro il proprio oscuro Io.
Gaara la guardò
con la coda dell'occhio: in fondo lei e lui si assomigliavano,
entrambi avevano terminato precocemente gli studi per via della loro
altissima aspirazione.
- Le undici e trenta anche oggi - mormorò
Sakura controllando di sfuggita l'orologio ma le si leggeva in faccia
che non aveva alcuna voglia di tornare a casa.
- Domani turno
notturno – le ricordò Gaara assaporando le sue parole. Gli
piacevano i turni notturni, non gli pesavano per niente anche perchè
dormiva poco e nemmeno ne sentiva il bisogno. La sua mente lavorava,
lavorava, lavorava.
Sakura, invece, andava avanti a caffè
nerissimi.
- Mmm...che dici se ci prendiamo qualcosa? - propose di
colpo Sakura, guardando Gaara con speranzosi occhi verdi.
Il
ragazzo annuì senza alcuna enfasi né commenti e insieme entrarono
in un bar poco lontano dal'ospedale.
Il bar era caldo e
accogliente, la cameriera li accolse con un'espressione rassegnata e
ospitale e portò loro le ordinazioni senza nemmeno passare al tavolo
a chiedere che cosa volessero. Sapeva che a quell'ora Haruno Sakura
avrebbe bevuto una camomilla Sabaku no Gaara una semplice acqua
tonica.
- E' domani che faremo conoscenza del nuovo paziente? -
domandò Sakura girando il cucchiaino nell'acqua bollente.
Gaara
ci pensò su un attimo.
- Tocca a te e Tsunade occuparvi dell'uomo
che verrà trasferito in reparto dal pronto soccorso, dico bene? -
-
Ricordi il cognome? -
Gaara scosse la testa, deluso dal non
ricordare anche questo particolare. Lui a cui non sfuggivano nemmeno
le cose che non lo riguardavano.
- Proprio non lo so... che
sbadata Tsunade non mi ha nemmeno detto il cognome! -
Sakura
premette una mano contro l'ampia fronte.
- Deve fare proprio tutte
le visite preliminari? - si interessò Gaara che nel frattempo aveva
già finito di bere l'acqua tonica.
- Sì. Nei prossimi giorni ci
sarà il controllo completo. Il responsabile dell'emergenza ha
constatato che c'è stato un infarto, mi chiedo perchè oggi l'hanno
tenuto in pronto soccorso e non nell'emergenza di cardiochirurgia -
- Questione di posti, dimentichi? -
Sakura si sentì una
stupida e lanciò uno sguardo di scuse al collega che invece aveva
sempre tutto così tanto sotto controllo. Che avesse sotto controllo
anche la vita privata? Da quel poco che aveva capito in quei mesi non
era del tutto così. Di lui sapeva che aveva due fratelli, di cui uno
con problemi cardiaci dalla nascita. Attualmente non aveva genitori e
viveva assieme ai fratelli.
- Ok la smetto di parlare di lavoro...
- disse Sakura abbassando il tono di voce e si concentrò sulla
camomilla da finire. La classica camomilla che non faceva effetto per
nulla.
Gaara fece roteare i suoi gelidi occhi in giro per l
locale. Incuteva timore, ma ormai Sakura non era più spaventata da
lui, era tutta questione di conoscenza. Quel ragazzo si era posto una
educazione rigida e asettica, non era stato educato ai sentimenti
essendo probabilmente cresciuto senza genitori, al contrario di
quella di Sakura: rigorosa ma dedita ad ogni tipo di emozione. Anche
troppo. Questo non voleva dire che Gaara non provasse emozioni, anzi.
Le provava a modo suo. Aveva un grande cuore per fare quel tipo di
lavoro, senza darlo a vedere.
Analizzare il prossimo faceva bene a
Sakura, specie a mezzanotte; ma alla lunga diventava difficile. Il
suo Io spingeva per avere un po' di attenzione.
- Avanti Haruno, è
ora di tornare a casa – esordì Gaara che segretamente aveva
imparato a conoscere la sua collega e aveva intuito che lei tentava
sempre di scappare da qualcosa.
Da
se stessa.
Ai suoi occhi era una donna piena di sensi di colpa.
Peccato.
- Uhm. Hai ragione -
Gaara andò a pagare e la
precedette fuori.
Era terminata un'ordinaria giornata di lavoro e
meno male che avevano avuto il turno assieme: per quella notte
avrebbero dovuto lottare un po' meno con i propri fantasmi.
**
10 luglio 2011, ore 07.30
Mentre
camminavo sulla riva del mare ripensai a Sabaku No Gaara, quel mio
serioso collega di lavoro e compagno di serate insonni.
Mi
ritrovai a dire a me stessa che lui ed io eravamo straordinariamente
empatici:
non sapevamo di fatto alcunchè l'uno dell'altro perchè
concretamente non c'eravamo detti niente, ma io sapevo molte cose
della sua vita e lui della mia. Ciò mi dava leggermente fastidio,
specialmente quando mi mandava a dormire con osservazioni
apparentemente disinteressate e io non desideravo che stare alzata a
parlare di lavoro e dettagli anziché scervellarmi con me stessa.
Probabilmente gli davano fastidio anche i miei intensi sguardi al suo
volto alla ricerca di piccolissimi cambi di espressione su quei
lineamenti di ceramica.
Cercai di immaginarmelo lì, adesso,
a Konoha: non ce lo vidi proprio. Lui apparteneva all'America
selvaggia, non a Los Angeles – sia chiaro – ma al deserto
dell'Arizona. Sapevo questo da certe informazioni più o meno
indirette che avevo appreso nei due anni di sua frequentazione.
Mi
ritrovai a pensarlo come amico, con mia grandissima sorpresa.
Così
avevo lasciato qualcosa anche lì nella caotica Los Angeles?
**
10 Gennaio 2009, ore 08.45 – Come tutto iniziò -
Tsunade
parlava concitatamente con delle infermiere quando arrivò Sakura. Le
due donne si guardarono negli occhi senza dirsi momentaneamente
nulla.
Tsunade indicò l'entrata della stanza numero 4 del
reparto di cardiochirurgia a Sakura che ubbidì entrando veloce
scansando due infermieri che vi uscivano in fretta.
Era una stanza
con due soli posti di cui uno solo occupato dal paziente di cui
avrebbero dovuto occuparsi le due donne.
Sembrava non ci fosse
nessuno poiché regnava un silenzio assoluto.
Sakura scorse un
uomo di spalle seduto su una sedia accanto al letto del malato. Il
signor... la dottoressa Haruno non sapeva ancora il nome, si morse il
labbro per la disattenzione.
Esitò una manciata di minuti prima
di farsi strada all'interno della stanza durante i quali osservò con
attenzione la schiena dell'uomo che non le permetteva di vedere il
paziente. Si chiese se stesse dormendo, ma finalmente decise di farsi
avanti.
- E' il signor... ? - lasciò sospesa la frase, mentre si
avvicinava al bordo del letto.
- Uchiha Itachi –
A conferma
di quel
nome l'uomo si girò rivelando il ragazzo moro e pallido che
era.
Sakura non riuscì a celare un enorme smarrimento trovandosi
a fissare un occhio nerissimo ed uno marrone; dovette appoggiarsi al
bordo metallico del letto.
- Haruno Sakura? - la chiamò Itachi,
alzandosi e andandole incontro alto, elegante, oscuro.
La
squadrò intensamente senza dare a vedere che non credeva a ciò che
vedeva: con tutti i medici di questo mondo...proprio una ragazza di
Konoha. E non una qualunque. La
(ex) fidanzata di suo fratello. In
pochissimi istanti realizzò che era quella donna dai capelli rosa
raccolti in una coda alta che aveva visto all'università alcuni anni
prima quel giorno in cui era andata a parlare con
Orochimaru.
Socchiuse le labbra, rimanendo in silenzio.
-
...Fugaku, giusto? -
Un'altra frase che Sakura lasciò in
sospeso. Ma Itachi capì annuendo.
- Fugaku Uchiha –
Sakura
si tirò su, alzò ben bene la testa facendo luce nella sua mente:
non aveva alcuna intenzione di venir meno al suo lavoro per questioni
exra lavorative.
Con un immenso sforzo tornò ad essere il medico rigido e
inaffondabile che dimostrava essere, con gli occhi verdi senza alcun
brillio di incertezza e le labbra senza alcun tremore. Avrebbe avuto
tante cose da chiedergli, cercò anche di scacciare il ricordo di un
giorno di alcuni anni prima, quando lo aveva intravisto
all'Università. Ormai si era convinta di aver avuto
un'allucinazione, all'epoca.
- Occupiamoci di lui – disse senza
alcuna inflessione nella voce limpida e rivolse l'attenzione
all'uomo che giaceva sul letto. Un distinto uomo sessantacinquenne
che non era mai stato in un'ospedale in vita sua. Quella era la sua
primissima volta.
Non
il padre di Sasuke, non il padre che Sasuke non aveva mai avuto.
Non
tutte quelle ombre che lei su suggestione di Sasuke gli aveva
attribuito, non un corpo senza cuore come lo aveva sempre immaginato
da quel poco che era riuscita a carpire dalle parole e i modi di
essere del Sasuke di allora.
Niente di tutto questo, niente che
aveva solo immaginato. Non un fantasma.
No.
Sakura
si promise di mettere il cento per cento in quella tappa del suo
lavoro da neo chirurgo. Non era più una tirocinante. Avrebbe
bruciato le tappe anche quella volta, si promise. Questo sarebbe
stata semplicemente una prova da superare per raggiungere il
meglio
Tutto sommato ad Itachi andò bene rimandare a più
tardi
nella vita le pesanti questioni familiari.
**
10 luglio 2011, ore 09.30 –
-
Ben svegliato! -
Gli occhioni di Naruto si spalancarono sul mio
viso che doveva apparire raggiante; infatti nei minuti precedenti–
prima di salire in camera da lui – avevo provato diversi sorrisi
davanti allo specchio: volevo
mettermi alla prova
e ripagarlo del pane quotidiano che mi offriva. I
suoi sorrisi.
Mi
sentivo più cattiva che mai.
- Sakura... -
Naruto si mise
seduto sul letto e io mi sistemai meglio sul bordo aspettando che
ultimasse la frase. Ci mise un po' per parlare di nuovo, dormiva in
piedi. O forse stava riflettendo? E' vero, Naruto rifletteva molto,
più di quanto si sarebbe detto. Aveva cominciato a farlo
costantemente – credo – da quando anche io avevo lasciato Konoha.
Di ciò l'unico fatto estenuante era che quando faceva così non
riuscivo a capire cosa diavolo gli passasse per la testa. Mentre
quando sorrideva...ah
bè quelle volte intuivo il mondo intero.
-
Hai perso la parola? - lo punzecchiai facendomi più vicina con
sguardo indagatore.
Naruto scosse la testa energicamente e protese
il busto verso di me.
I nostri volti furono a pochi millimetri
dall'altro; mi ci persi, in quei pezzi di cielo. Mi inglobarono.
-
...senti un po'...va tutto bene? - mi bisbigliò all'orecchio.
Le
vibrazioni della sua voce mi fecero avere dei brividi. Mi toccai
l'orecchio: lo sentii bollente.
E poi – improvvisamente –
tutta la potenza di quella semplice domanda mi piombò addosso.
Mi
sentii affondare giù, sprofondare nel letto, diventare sempre più
piccola.
Mi aggrappai alle lenzuola e mentre quasi quasi le
strappavo un sorriso vero e amarissimo mi affiorò sulle labbra.
Dannato
Naruto.
Ebbi
voglia di prenderlo a schiaffi.
Mi guardai le nocche delle mani:
erano lisce, perfette, dure: avrei colpito forte.
Tornai ad
osservare gli occhi di Naruto: erano chiusi Stava riflettendo.
-
Sei uno sfinimento, sai? -
Era tutto quello che ero capace di
dirgli e senza alcuna rabbia nella voce, ma solo una grande
rassegnazione mista a qualcosa di indefinibile ma oscuro.
Non
riuscivo nemmeno a manifestargli la mia rabbia – repressa - .
Che
male che ero ridotta.
E io che mi ero prospettata di entrare in
camera di Naruto, svegliarlo con un sorriso e proporgli una giornata
a fare tutto ciò che voleva lui – surfare, mangiare ramen,
guardare un film a noleggio con tanto di pop corn, prenderlo a pugni,
litigare, dargli del rompi scatole, farmi abbracciare e coccolare - .
Cosa voleva di più?
Stupido Naruto.
E invece si ritrovava con
una che cambiava umore come la notte diviene giorno e che non sapeva
più nemmeno coabitare con se stessa. Figuriamoci con lui.
- Lo so
e ti dirò di più: ne sono orgoglioso, insomma vuoi mettere avere
qualcuno che si preoccupa per te in continuazione piuttosto che non
averlo? Cosa credi... credi che sia facile fare finta di niente e
stare al tuo gioco? -
Mi guardò con una serietà focosa. Si
stava scaldando.
- Ma lo stavo facendo per te – mi impuntai,
scappando al suo sguardo di fuoco.
Naruto scoppiò in una breve
risata.
- E tu volevi comprarmi con un sorrisaccio falso? Pensavi
davvero che lo avrei bevuto? - mi domandò allibito, tirandomi per un
braccio.
Mi tolsi bruscamente dalla sua presa.
- A dir la
verità...non avevo voluto pormi questi dubbi – risposi,
sincera.
In fondo avevo avuto fiducia – per un attimo – nella
parte più ambigua di Naruto, quella parte nera
che
c'è in ognuno di noi e che può renderci altri agli occhi di chi ci
sta dinnanzi.
Avevo fatto l'ennesimo errore di calcolo – cosa
che nel mio lavoro riuscivo a guardarmi dal non fare – perchè
Naruto avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non farsi vedere inumano
da me.
Lo odiai talmente tanto in quel momento che alla fine lo
amai.
Fu un semplice istante, il passaggio dal nero al bianco fu
repentino e istantaneo: si impossesò di me.
- Abbracciami -
A
stento riconobbi la mia voce in quell'ordine disperato.
L'unico
uomo che mi era rimasto ubbidì senza alcuna esitazione, balzando
sopra le lenzuola ed abbracciandomi da dietro. Le sue braccia mi
avvolsero tutta, appoggiai la mia schiena al suo busto, la testa
sulla sua spalla, le mie mani avvolsero le sue.
Fu inebriante il
calore del suo corpo. Un tepore così assurdo per me così
fredda.
Ebbi una gran voglia di piangere che spinse da dentro,
dentro, dentro.
Non riuscii a trattenermi.
Mi vergognai. E
piansi ancora di più.
Sciocca
Sakura.
**
13 Gennaio 2009, ore 06.45
-
Un medico che fuma? -
Sakura tirò una lunga boccata alla sua
camel light del mattino. Si sentì effimeramente forte.
- Uhm? -
mugugnò in direzione dell'uomo che le aveva parlato.
Itachi
Uchiha le andò di fronte. Sakura pensò che diavolo ci facesse in
ospedale con mezz'ora di anticipo rispetto all'orario stabilito. Alzò
un sopracciglio, stizzita.
- Mi fai dare una boccata? -
Lo
guardò dal basso verso l'alto agitando la sigaretta. Ci pensò su.
-
No. Lo hai detto tu. Un medico deve dare il buon esempio – asserì
in tono canzonatorio, la voce impastata - non posso permettermi che
i tuoi polmoni si riempiano di petrolio -
Itachi alzò le
spalle.
- Molto poco professionale, direi – disse e, nonostante
guardasse con intensità l'entrata dell'ospedale, rimase
dov'era.
Sakura cominciò a ticchettare il piede a terra,
visibilmente nervosa. Non era pronta...non era pronta per una
chiacchierata mattutina con quell'uomo. Non in quella sede.
Ricordò
a se stessa la promessa: niente
interferenze sul lavoro.
-
Ha un'idea di quando avverrà l'operazione? - si sentì chiedere
improvvisamente.
Schioccò il palato, prima di rispondere.
- Ne
parliamo all'interno, in sede adatta. Dopotutto il mio turno comincia
tra... - Sakura guardò l'orologio - ...quindici minuti esatti. E la
visita per lei è consentita dalle... -
- ...alle otto e un
quarto. O meglio, stando ai vostri orari le otto e mezza – la
interruppe Itachi squadrando il mondo con stanca superiorità. Sakura
riconobbe quel modo di fare.
Deglutì e buttò per terra il
mozzicone.
- A dopo, Uchiha –
Girò i tacchi e con quanta
più calma possibile si diresse all'entrata.
Una volta dentro
all'ospedale si complimentò con se stessa per l'impeccabilità
dimostrata: stava diventando molto brava a smascherare le emozioni.
Ne aveva dato prova in quegli ultimi lunghissimi tre giorni passati
con gli Uchiha.
Si rese conto di essere cresciuta.
**
Era solo l'inizio.