I
try so many times but it's not taking me and it seems so long ago that
I used to believe and I'm so lost inside of my head and crazy but I
can’t get out of it, I'm just stumbling.
Quella
mattina
Gabby si svegliò presto, si preparò alla svelta
e, dopo
aver mangiato un paio di biscotti, mise un succo di frutta nel suo
zainetto e si avviò verso il centro della città.
Aveva
intenzione di trovare un lavoro per non gironzolare tutto il giorno
destando la curiosità degli impiccioni e delle vecchiette
del
posto. In quel momento, era più conveniente confondersi e
mimetizzarsi tra una folla uniforme che rischiare di essere avvicinata
da ficcanaso tanto fastidiosi quanto esperti.
Mai
sottovalutare la sete di gossip di una casalinga, pensò.
Certo,
già il fatto che non frequentasse il liceo era abbastanza
anomalo, ma poteva sempre giustificarsi con gli studi privati a casa.
Gabby
camminava
catturando mille immagini che avrebbe voluto disegnare lì,
subito, ma doveva tener buone nella mente: c’era un Sole
primaverile più coraggioso del solito che quasi le scaldava
la
pelle chiara; il cielo cristallino ed inverosimile in quelle prime ore
di luce prometteva una nuova e calda stagione imminente ed era in grado
di seminare speranze persino nel terreno bruciato del cuore della
ragazza.
La
ricerca di
un impiego decente la tenne occupata più del previsto,
nonostante non avesse grandi pretese. I datori di lavoro erano
piuttosto diffidenti nei confronti di un’adolescente che
aveva
appena compiuto la maggior età, senza contare che la
misteriosa
famiglia di Gabby si era trasferita nella vecchia cittadina solo da
poche settimane, non sufficienti ad inquadrarne accuratamente i
componenti.
Stanca
di domande decisamente ben poco professionali come “dove sei cresciuta?”
oppure “è
vero che quella donna non è tua madre? Sei orfana?”,
Gabby era sul punto di darsi per vinta, quando incappò nel
Pritt’s Bar sulla cui coloratissima porta campeggiava un
cartello
con scritte a caratteri cubitali: cercasi
cameriera (con urgenza
e disperazione).
Quando
quella
ragazzina entrò nel bar, Nelly sospirò, pensando
a quanto
non avesse bisogno di un’altra imbranata che si divertiva a
farle
perdere tempo e pazienza. La squadrò restando dietro il
bancone:
capelli raccolti in una treccia laterale stile hippie mancata, zaino
anonimo, maglietta colorata, jeans stretti e scarpe da ginnastica.
Perfetta pecorella smarrita da punzecchiare o almeno questo fu quello
che pensò rivolgendole una prima occhiata globale.
Si
stupì della camminata sicura della sconosciuta: di solito quelle come lei tentennavano,
muovevano un passo avanti e due indietro e quando parlavano la loro
voce quasi tremava, mentre il tono che sfoderò fu risoluto e
determinato, dettagli che le fecero decisamente guadagnare punti.
-
Posso chiedere a lei per il lavoro...? -.
Nelly
si guardò intorno, sbattendo le lunghe ciglia con aria
stupida.
-
A lei non
credo proprio, ma a me sì -.
Rispose,
facendo accigliare la ragazza. Nelly sbuffò sonoramente,
rivolgendole un cenno con il capo per intimarla a sedersi su uno dei
tanti sgabelli vuoti che costeggiavano il bancone.
-
Non mi dare del lei, mi fa sentire vecchia ma come puoi notare sono
giovane e bella! -.
In
un primo
momento Gabby fu tentata di girare sui tacchi e dire addio al possibile
lavoro. L’altissima e magrissima barista che
l’aveva
accolta era di una stranezza unica: i suoi modi trasudavano una
sicurezza e uno charme ostentati fino al ridicolo. Sicuramente il
fascino non le mancava, ma esserne consapevole la portava a
pavoneggiarsi a tal punto che a guardarla tutto ciò che si
poteva pensare era “oca,
oca, oddio, oca!”
-
Sono Nelly, comunque, e più o meno sono io a portare avanti
la baracca -.
Quando
Nelly
ricominciò a parlare, Gabby sussultò e si
affrettò
a sedersi, ben poco interessata a quelle chiacchiere: sarebbe voluta
arrivare al nocciolo della questione senza perdere troppo tempo ma
Nelly non le sembrava esattamente il genere di persona che ama essere
contraddetta, quindi si cucì la bocca.
-
Il bar è di Pritt, mio fratello maggiore, ha
trent’anni
quindi non ti mettere a fantasticare su di lui, eh?
Pritt...è un
nome abbastanza stupido, c’è una marca di colla
che si
chiama Pritt... Coooomunque, la compagnia di Pritt, Annette o Odette o
qualcosa del genere che si pronuncia alla francese, ha scodellato da
poco un bebé. Evviva, gioia a volontà, vagonate
d’amore, carrelli di pupù, yu-uuuh! Quindi mi hanno tipo abbandonata a
gestire la bettola -.
Bettola, baracca, che alta
considerazione che ha di questo posto. Pensò
Gabby, evitando anche solo di considerare il resto del discorso di
Nelly, che si era rivelata piuttosto logorroica. Guardandosi intorno,
in realtà, il locale non le sembrò affatto male,
ma una
ragazza come quella doveva di certo avere standard molto più
elavati o, in altre parole, la
puzza sotto al naso.
Il
Pritt’s Bar non era grandissimo, ma proprio le ristrette
dimensioni lo rendevano piacevole ed accogliente: i tavolini con le
tovaglie colorate, i contenitori del sale e del pepe a forma di
ortaggi, i lunghissimi scaffali pieni di alcolici dietro il bancone, il
giubox in un angolo e i poster di vecchi gruppi rock affissi alle
pareti facevano pensare ad un tipico nostalgico degli anni
’80
che aveva deciso di mescolare la sua gloria passata ad uno stile un
po’ western per raggruppare un gruppo di amici il sabato sera
a
bere una birra.
Le
riflessioni
di Gabby furono bruscamente interrotte quando Nelly, presa dalle sue
chiacchiere continue, urtò una bottiglia di gin che si
frantumò sul pavimento.
-
Ah bene! Fantastico! Grandioso! Eccellente all’ennesima
potenza!
Cominciò
a sbraitare agitando in aria le mani affusolate; le sue unghie erano
laccate di colori talmente brillanti da essere quasi psichedeliche.
-
Ehm...-.
-
Sì, è lì, lo sgabuzzino è
quello, pulisci tutto, va bene? -.
Nelly
afferrò una pochette bianca da sotto il bancone,
infilò
un pullover a righe e zompettò sui suoi tacchi a spillo fino
all’uscita.
-
Non starò via tanto, ho
delle commissioni da sbrigare...oh, oh, fa molto film
questa frase eh? -.
Gabby
saltò in piedi, allargando le braccia con aria sbigottita.
-
Cioè, sono assunta? -.
Mentre
Nelly usciva urlò: -
Mi sembrava ovvio - e scoppiò in una risata
giuliva.
And
I'm juggling all the thoughts in my head, I'm juggling and my
fears on fire but I'm listening as it evolves in my head.
Gabby
si
chiedeva come fosse possibile essere talmente stupidi da lasciare un
dipendente appena assunto, senza uno straccio d’esperienza
sul
campo, in balia di un luogo e di un impiego di cui sapeva poco e
niente: cominciò ad avere dei seri dubbi sulla
maturità
di Nelly, anche se in effetti quella considerazione non poteva
aggravare di certo la prima impressione già catastrofica che
aveva avuto di lei.
Più
ci
rifletteva, più le sembrava assurda tanta sconsideratezza.
Per
quel che Nelly ne sapeva, lei sarebbe potuta essere una ladra o una
stalker o una clandestina in fuga...
Eppure,
senza
la minima preoccupazione, era stata lontana dal Pritt’s Bar
per
più di due ore e mezza. Guardando la cassa, Gabby aveva
avuto
più volte la tentanzione di aprirla e intascare qualche
soldo di
nascosto per il semplice gusto di dimostrare quanto fosse ingenuo il
suo capo.
Poi
aveva
accantonato l’idea: non le sembrava il caso di mettersi
contro la
legge, specie nella sua situazione precaria e, in un certo senso,
latitante.
Quando
ormai Gabby pensava di essere stata dimenticata dal mondo, entrarono
nel locale due ragazzi.
-
Ehm, non siamo aperti...credo
-.
Si
sentì
subito un’idiota, ma non aveva effettivamente idea degli
orari di
apertura del Pritt’s Bar. Nelly aveva avuto troppa fretta (di fare cosa, poi?)
per darle anche solo qualche piccola indicazione.
I
due scoppiarono a ridere.
-
Sei quella nuova, eh? -.
Nel
momento in
cui Gabby capì che gli sconosciuti dovevano essere i suoi
colleghi di lavoro, tirò un profondissimo sospiro di
sollievo:
non era in alto mare come credeva, allora, e il meglio fu che, dopo le
varie presentazioni e le imbarazzate scuse per il comportamento di
Nelly, fu informata che il suo turno era finito e poteva andare via.
Gabby
non tornò a casa, in realtà.
Casa
era una parola così ingombrante da farle scoppiare la testa.
Ripensò per un solo secondo a Berell e la prospettiva di
gironzolare per il parco le sembrò il Paradiso, in confronto
a
quella desolazione.
Anche se penserai a me,
E la tua speranza sarà di salvarmi,
Sarò sempre
così lontana,
Così
intoccabile.
E se ci fosse un miracolo
Racchiuso nel domani,
Chissà se
vivrà ancora quella strada per tornare da te
O se il tempo
l’avrà cancellata.
I'm balancing on one fine wire.