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Autore: patronustrip    23/06/2011    7 recensioni
Il destino ha in serbo per noi strane cose.
Un giorno ti mette davanti ad un bivio, e devi solo scegliere da che parte andare. Però mica te lo ricordi tu, quel bivio. È come se nessuno te l’avesse detto che una volta imboccata una strada, una volta aver detto sì invece di no, avresti perso tutto. Tutte le tue possibilità di azione.
Quando scegli di “fare” perdi immediatamente tutte le miliardi, infinite, possibilità che avevi. Perché hai già scelto.
Il destino ti lascia quel libero arbitrio, sta a te capire dove andare, ma presta attenzione, perché un errore ti può costare la vita. E non parliamo di morte, ma di un tragico conseguirsi di eventi che ti portano ad avere settantacinque anni, e a non esserti nemmeno reso conto di come ci sei arrivato.
Ma se un giorno qualcuno arrivasse e ti mostrasse una via di fuga. Se ti riportasse al principio, al momento esatto in cui eri davanti a quel bivio, in cui scegliere a chi donare il tuo cuore. Tu, Harry James Potter, padre di famiglia e marito fedele, che cosa faresti?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Buonasera a tutti :) eccovi il secondo capitolo.
Mi dispiace che proprio i primi capitoli siano un po' corti, ma in tutta la FF hanno misure variabili, perchè devo tagliarli in certi punti perché abbiano un filo logico. A parte questo, buona lettura :)

 



CAPITOLO II
C’entra sempre il sesso

Ogni mattina so che lei aspetta che io vada via prima di alzarsi dal letto. Così, in silenzio e quatto quatto, entro in camera e prendo qualche vestito. Mi lavo e mi vesto, per poi uscire per la mia tipica passeggiata.
Scendo per Diagon Alley, una volta speravo di incontrare qualche vecchio amico per parlare, ora mi nascondo se ne vedo uno, terrorizzato all’idea che possa dire: che disgrazia, povera Hermione. Potrei prenderlo a cazzotti, così, negandogli il diritto di dire quello che pensa. Perciò ribadisco che è meglio evitarlo. L’unico a cui potrei perdonarlo è Neville, forse perché se gli dessi un cazzotto mi ritroverei sette piedi sottoterra, vista la mole che anche con gli anni è riuscito a mantenere.
Giro per Diagon Alley, con la testa china, conoscendo ormai perfino le pietre delle strade a memoria, mi concentro sui rumori tutt’intorno a me, tentando anche di ignorare la fitta al ginocchio che mi tormenta da un paio di anni ogni volta che cammino per queste vie acciottolate.
La cosa più stupida non è volere che la gente non parli di lei, ma non riuscire a fare altro che pensare a lei. Non so, sarà perché ho salvato il mondo, ma sono così presuntuoso da tentare in ogni modo, almeno nella mia testa, di trovare una soluzione. È per questo che mi concentro sul rumore incessante che riempie le vie di Diagon Alley, soprattutto d’inverno. È un rumore che alla fine, diventa un tutt’uno con i miei pensieri.

«Ma smettila!» Sorride, entusiasta.
«Dico sul serio, Rosie è bellissima, è lo è perché…?» Faccio silenzio, invitandola a finire la frase.
«Perché… perché, perché ha preso i geni della famiglia Weasley!» Continua a ridere.
«Oh, certo. Guardala, è identica a Ron eh? Hanno lo stesso naso a patata, non trovi?» Dico, indicando la bambina che dorme beata fra le sue braccia. E lei ride e ride. Adoro come ride.
«Intendevo Ginny!» Ribatte divertita.
«Ah, oh sì certo, in effetti la cosa ha un suo senso, Ginny è la sorella di Ron, ed è anche nata dopo di lui, perciò è ovvio che i suoi geni siano in tua figlia, no?» Alzo gli occhi al cielo fingendomi esasperato dalla sua (altrettanto finta) inettitudine. Lei continua a ridere. Così la guardo mentre riprende fiato, e dico: «Insomma, posso dirlo che è bella come la sua mamma?»
Hermione alza gli occhi al cielo riflettendoci su, mordendosi il labbro inferiore.
«Mmh, non so…» Mi guarda sorridendo. So che le piace da morire questo gioco, così continuo:
«Allora, ok, chiediamolo alla diretta interessata. Rose? » Mi avvicino alla bambina tendendole l’indice. La chiamo dolcemente e lei apre gli occhi, sorridendomi. «Brava, bimba. Cominciamo proprio bene…»
Hermione sorride sussurrando «Che stupido che sei»
« Ssh! Silenzio, Rosie deve sentenziare» Fingo una posa solenne. «Allora piccola, sei bella quanto la tua mamma?» La bambina mi guarda un attimo confusa, poi scoppia in una allegra risata cercando di afferrarmi l’indice. «Ecco hai visto?» Dico, mentre Rose mi tira la mano tentando di portare il dito alla bocca. «O è molto obbiettiva, o molto vanitosa…» Dico, inarcando le sopracciglia.
«Harry… » Dice Hermione, sbuffando, divertita dalle mie cretinate. Io le sorrido, e poi sospiro ammirando il cielo azzurro sopra le nostre teste.
«Amo l’autunno» Affermo, respirando la brezza leggera che alza una sottile polvere e qualche foglia secca su Diagon Alley.
«Io preferisco la primavera» Dice, sorridendo alla piccola Rose che ormai sveglia tenta di arrampicarsi sulla sua spalla.
«Lo sapevo» Sorrido, mentre la osservo battagliare con la bambina. «Dai, dalla a me…» Mi offro, ma lei nega con la testa.
«No Harry non c’è bisogno…»
«Allora fammi portare almeno la tua borsa!»
«Uff, ok…» Con una manovra degna di un ginnasta olimpico riesce a tenere fra le mani Rose, che scalcia in vena di giocare, e con l’altro braccio cerca di togliersi la borsa dal collo, così io, furbamente le prendo la bambina dalle mani. «Ehi!» Tenta di ribattere lei, mentre Rose si arrampica immediatamente sulla mia spalla ridendo.
«Ah no, è ora che mamma Herm si riposi un po’, non è vero Rosie?» Di rimando la piccola mi sorride ancora, battendo le mani. Io mi volto verso Hermione con un viso soddisfatto.
«Ok, ok, tanto l’hai sempre vinta tu» Si alza il ciuffo con uno sbuffo. Contento della vittoria cammino trionfante.
Dopo qualche passo in silenzio, lei mi sorride ancora dicendo: «Grazie per avermi accompagnato dalla pediatra, Ron non poteva proprio»
«Figurati» Dico, immerso nel gioco con la piccola Rose. «Io e Ginny impazzivamo con James per andare dal pediatra, ogni volta era un castigo divino, il minimo che si possa fare è sostenersi in certi momenti difficili, no?» Commento solenne, magari un po’ troppo, con una faccia da scemo.
«Direi di sì» Sussurra. Ci guardiamo per un istante, mentre sento la piccola Rose prendermi a schiaffi sulla guancia, tentando invano di attirare la mia attenzione. Ma proprio in quel momento un ragazzino molto di fretta corre in mezzo a noi e qualcuno sbatte contro Hermione molto violentemente, riesco a prenderla in tempo, ma vedo una signora finire col sedere a terra, dolorante, evidentemente era lei ad essersi scontrata con Hermione, che riesce a tenersi su bilanciata dall’enorme borsa, con tutta la roba per Rose. E anche se un po’ intontita pronuncia preoccupata: «Signora tutto bene?» Chinandosi ad aiutare la donna, che si alza immediatamente.
«Oh sì, mi dispiace, mi dispiace tantissimo, non si è fatta male vero?»
Hermione scuote la testa «No, non si preoccupi, e lei?»
«No no, è quel monello di mio nipote, Vincent vieni subito qui!» Urla rivolta alle nostre spalle. «Oh vi prego di scusarmi, meno male che la vostra bambina l’aveva suo marito, oh ma che angioletto che sei…» Dice rivolta a Rose, che le lancia un grande sorriso tendendole una mano.
«Oh no, noi non…» Diciamo in coro Hermione ed io, indicandoci a vicenda scuotendo la testa lievemente. Ma la signora ci saluta in tutta fretta, tornando a correre dietro il nipote.
Entrambi la guardiamo allontanarsi, per poi lanciarci uno sguardo imbarazzato, e tornare a camminare senza dire una parola per diversi minuti.


«Nonno!»
Mi sveglio dal mio torpore, sentendo qualcuno chiamarmi dal mondo reale.
«Nonno! Mamma, mamma, è il nonno! È il nonno!» Vedo uno scricciolo corrermi incontro, e lo riconosco immediatamente.
«Ehi ehi! Piccolo monello!» Lo sollevo da terra e lo abbraccio forte, stampandogli un bacio su entrambe le guance.
«Ciao papà» Lily si avvicina a me tenendo fra le braccia il piccolo Oscar, che mi saluta imbarazzato, nascondendosi nella spalla di sua madre. Mentre David mi strapazza per bene, ancora fra le mie braccia. «David non stancare il nonno» Dice Lily costringendolo a scendere.
«Uffa!» Sbuffa il ragazzino.
«Ehi, ho settantacinque anni, sto ancora in piedi da solo…» Commento, facendole fare una smorfia col viso.
«Harry!» Subito dietro di loro, con un paio di buste della spesa in mano, Micheal, il marito di Lily. Un giovane rampante scrittore che, se devo proprio essere sincero, non ho mai sopportato troppo.
«Micheal, come stai?»
«Molto bene, grazie, come vedi si fa shopping!»
«Il Natale arriva, eh?» A questa mia affermazione David comincia a saltare di gioia, e urlare:
«Natale! Natale! Natale!» Facendomi sorridere.
«Ehm, Mike, potresti prendere tu i bambini? Vorrei parlare un attimo con mio padre» Chiede velocemente a suo marito Lily, lui annuisce dicendo:
«Coraggio! Chi ha voglia di una burrobirra?»
«Io, io, io!!!» Urla David, sovraeccitato, mentre il piccolo Oscar annuisce timidamente tenendo la mano al padre.
Lily si avvicina a me, e io sentenzio: «Quante volte ti avrò detto di non dargli troppo zucchero a quel bambino?»
«Papà…» Sospira lei, tirandomi per un braccio.
Passeggiamo come quando aveva diciassette anni, prima che si diplomasse, e sento una certa malinconia, che purtroppo rovina chiedendomi: «Papà, come va con la mamma?»
«Ah, benissimo» Rispondo, ormai talmente allenato che non mi trema nemmeno più la voce.
«Papà…»
«Che c’è?»
«Papà, state “benissimo” da più di vent’anni, non credi sia ora di parlarne?»
«Non c’è niente di cui parlare»
«Mh.» Mugugna, squadrandomi per bene. Io evito di risponderle o cedere al suo sguardo accusatore. Ma poi mi frega, uscendosene con un «Sei andato dalla zia?» Spalanco gli occhi, e mi volto dall’altra parte. «Ecco! Lo vedi? Quando parlo dello mamma non senti proprio niente, non fai nemmeno finta! Ma se parlo della zia metti il muso e cominci a grugnire!»
«Io non grugnisco affatto!»
«Allora parlami della mamma»
«Ma non c’è niente di cui parlare!» Esclamo, esausto. Lei si incupisce, e forse ha ceduto. Però…
«Come al solito, parli sempre e solo con Albus, a me e James non ci rendi mai partecipi dei tuoi sentimenti»
«Questo non è vero»
«Noi vogliamo solo aiutarvi, papà!» Mi spiega concitata.
«Beh, non sono affari vostri» Dico, ritraendomi dalla sua stretta.
«Come no? Siete i nostri genitori!»
«Si è vero, ma adesso avete le vostre famiglie, ed è di quelle che dovete occuparvi…»
«Ma…»
«Niente ma. Non c’è niente di cui parlare.» Dico risoluto e nel suo sguardo vedo una ferita. L’ho ferita, sì. Lo so. Ma è fiera come sua madre, e non cederà molto facilmente.
«Va bene, ma io e James non la chiudiamo qui, siamo preoccupati per voi.»
«Ok, adesso basta con le prediche, tuo marito ti aspetta» Le rispondo, come non le ho mai risposto prima. E mi dispiace, ma non voglio davvero continuare questa discussione. Così mi guarda, afflitta a orgogliosa (proprio come sua madre). E prima di andarsene dice, a bassa voce:
«Dovresti davvero andare a trovare la zia, lei vorrebbe». E se ne va.
Lasciandomi sgomento, in quella strada affollata.

Non so quando è cominciato, ma alle volte non ci pensi nemmeno.
Altre invece sai benissimo quando cominciano. Ad esempio mi ricordo sempre quando ho cominciato ad amare le torte di zucca e anche il succo di zucca. Si lo ricordo proprio bene.
Oppure ricordo il momento in cui mi sono preso una cotta assurda per Cho Chang. Anche quello è un momento stampato nella mia testa.
Questo invece non lo so.
Quella sera Ginny si è avvicinata a me, e come tante volte mi ha sussurrato qualcosa all’orecchio, e poi ha cominciato ad accarezzarmi il petto, e a baciarmi il collo. Di solito, non ci mettevo molto, Ginny non è mai stata il tipo di ragazza acqua e sapone. No, proprio no. Ma io quella sera... quella sera no, proprio no.
Lei mi ha detto di non preoccuparmi, che succede, che uno è stanco se lavora dodici ore al giorno, e io le ho creduto. Così ci siamo riaddormentati, e lei per consolarmi è rimasta abbracciata a me tutta la notte. In realtà avrei voluto stare da solo, nella mia parte di letto ma, ehi, è il matrimonio.
Così ora uno direbbe: ma ci hai raccontato quando è cominciata! Quindi lo sai eccome! Invece no, perché credo sia una cosa più radicata, che si sia fatta strada in me col tempo, coi giorni e le ore. Però non è questo il punto…
Così, lei, da brava moglie quel’è, ha atteso qualche giorno, e io gliene sono sempre stato grato di questa sua delicatezza, almeno per questo.
Così di nuovo, lei ci riprova, qualche notte dopo, è sexy, è bella, è, come l’aveva definita Dean quando ancora era sposato, “una tigre”, beccandosi una gomitata da Ron. Lei mi bacia, si muove, mi stuzzica ma niente. Non ci sono. E non so dove sono.
«Ginny io…»
«No, non fa niente. Mi dispiace Harry, forse…» Ma la frase non l’avrebbe finita mai.
Tre notti dopo, ancora. Mi infila anche una mano nelle mutande, e io adesso dovrei essere al limite.
Dovrei.
Ma lei quella sera insiste, le prova tutte, non so se perché mi ama o perché è lei che ne ha dannatamente bisogno. Sta di fatto che ci ha provato in tutti i modi. Ma in tutti i modi non è successo.
Quella è stata la prima notte che abbiamo dormito separati.
In realtà io ho finto di dormire sulla poltrona, e sono uscito fuori a passeggiare, in quella notte d’estate. Sentivo i gufi bubolare al chiaro della luna, e per la prima volta mi sono sentito bene di notte, lontano da quel letto. E mi sono sentito anche così in colpa.
Ho anche avuto un fottuto deja-vu, non so perché. Quel gufo che bubolava mi ha messo una strana sensazione. Così ho continuato a camminare e sono arrivato fino a Diagon Alley, ma non sono riuscito a entrare in città.
Non riuscivo a concludere niente quella notte.
Ancora bubolano i gufi.


Lo faccio? No, non lo faccio. Cazzo, perché non me ne sono stato a casa stamane?
Accidenti a Lily! Ma perché non era più come…
«Signor Potter?»
Mi volto di soprassalto, e vedo Miss Forrest fissarmi stranita davanti l’entrata del San Mungo.
«Ah, buongiorno Miss» La saluto, facendo un brevissimo inchino. Lei mi sorride.
«Vuole entrare?» Mi chiede dolcemente, indicando la porta.
«Oh, io…» Sto balbettando, ma mi fissa con un sguardo così pieno di aspettative che non oso dirle no. «Sì, certo»
Entro di nuovo in quel posto che, sì sarò ripetitivo ma… asettico, seguendola fino al corridoio. Lei si volta verso di me mentre cammina, dicendomi:
«L’hanno trasferita al reparto cinque, in fondo, di là. Terza porta a sinistra, io mi preparo per il turno e la raggiungo subito»
«G-grazie.» Balbetto ancora, e mentre lei cambia direzione inoltrandosi in una stanzetta privata, io continuo per inerzia a muovermi fino al reparto cinque, terza porta a sinistra.
Mi fermo davanti a quella porta bianca come la neve, le mani ancora in tasca nel mio giubbotto poco elegante, e gli occhi fermi spalancati su quel sottile strato di legno che mi separa dalla possibile follia. Non mi sono reso conto di quanto il mio respiro si fosse accelerato, e di come le mie mani sudassero, o quanto il mio battito andasse veloce.
Sudo freddo, sono terrorizzato. Non aprirò MAI quella porta.
Se aprissi quella porta potrei morire, sarebbe troppo, sì morirei di certo. Se aprissi quella porta e la vedessi io creperei. Se apris… e la porta si apre, da sola. No, ne esce fuori un infermiere, totalmente gessato di bianco, tira un carrello e mi vede, mi fa cenno con la testa come a dire: prego è tutta sua.
E fa il terribile errore di lasciare la porta aperta per me.  Così vedo il letto, le sbarre di ferro, la coperta bianca con la forma dei suoi piedi sotto.
Deglutisco. Mi muovo per inerzia anche se niente mi ha spinto. In un attimo sono dentro, e la porta si chiude dietro di me. Fisso il muro e le finestre, non ho il coraggio di voltarmi, eppure piano piano i miei occhi si fanno strada, e così la vedo. La sua mano, i suoi capelli, il suo viso.
«Hermione» Parlo, ma la mia voce arriva da qualche posto lontano.
Sembra sempre che dorma. Così, troppo pallida, ma dorme.
Sono fermo, immobile, ma sto sudando come un pazzo. «Hermione» Ripeto ancora da chissà dove. E lo ripeto ancora e ancora e ancora. Finché cammino, mi avvicino. C’è una sedia accanto a lei in cui sono certo Ron si sarà seduto per milioni di ore. La tiro via con il piede e così… è così che io mi inginocchio, le prendo la mano fredda e continuo: «Hermione, Hermione…» Ancora, ancora, ancora. Porto la mano alla guancia. «Hermione ti prego, svegliati. Svegliati.» E così, maledizione che sia, piango e piango e piango. Non la smetto «Svegliati, ti prego, Hermione, dove sei? Herm… Herm…»
Piango, ho la gola che brucia, sento le corde vocali strapparsi nel tentativo di reprimere un urlo che soffoco sul materasso, ma lo sento lo stesso rimbombare nella mia testa. Mesi di silenzio, mesi di astinenza, dal sano e terribile urlare.
Urlo e piango. Piango e urlo. Stringo febbrilmente la sua mano, fredda.

Guardo rammaricato Ginny mentre se ne sta in un angolo con un bicchiere troppo pieno di Whisky Incendiario. Fissando la neve cadere fuori dalla finestra, estraniandosi totalmente dal resto del gruppo. Ma con la faccia truce che ha, forse è meglio così.
«Ehi James, che ha tua madre?» Sento chiedere Rose al cugino.
«No, niente, lei e papà hanno… ehm, avuto una piccola discussione»
«Ah, vabbeh, anche mia mamma e mio papà discutono spesso ma poi fanno sempre la pace!» Sorride Rose consolando il cugino che ride e la invita a rompere le scatole allo zio George.
Io sospiro, mentre osservo la Tana addobbata per bene, come ogni anno, per un altro Natale. Molly sorride mentre lei e Arthur giocano a carte con Lily, Hugo, Fred e Roxanne, che li stracciano sempre. George cerca di insegnare a James e Rose qualche trucco su come svignarsela dalle punizioni ad Hogwarts, mentre Hermione dalla cucina lo rimprovera aspramente e Angelina se la ride, Ron invece è intento in una densissima partita a scacchi con Albus, che non per vantarmi, ma è molto meglio di suo padre a questo gioco.
Così, mentre giro intorno sbirciando un po’ tutti in quell’aria di festa, finisco in cucina, dove Hermione stava accatastando tutti i piatti pronti per la sua bacchetta. Ma la precedo in silenzio, tirando fuori la mia, bisbigliando «Gratta e netta»
Sorpresa vede tutti i piatti dare inizio alla loro danza senza che lei avesse fatto niente, e voltandosi mi trova lì, alle sue spalle a ridacchiare.
«Ma che spiritoso e che gentiluomo» Dice, incrociando le braccia.
«Un connubio perfetto» Le sorrido, porgendole il mio bicchiere di burrobirra.
«Grazie» Ne prende un sorso e nel frattempo le chiedo «Allora, pare che il mio Al stia battendo Ron eh?»
«Mh, non so, l’unica in grado di batterlo è stata Rose, e ti giuro che non l’ha proprio digerita»
Sorrido, buttando un occhio ai due giocatori, e proprio in quell’attimo Al assume una posa da furbetto e fa la sua mossa, poco dopo Ron si mette una mano nei capelli e comincia ad esclamare qualcosa di poco carino che riesce a smuovere tutte le madri in casa, Ginny compresa.
«RON!» Urlano in coro, Molly, Angelina, Ginny e Hermione, che mi trapassa un timpano. Lui si ritrae, terrorizzato da tanta attenzione alle sue parolacce, ma Al si alza in piedi annunciando:
«Mamma, zie, nonna, annuncio che oggi ho battuto lo zio Ron in una partita a scacchi!»
Molly comincia ad applaudire e anche Arthur si congratula con Albus, Hermione sorride beffarda commentando:
«Ben gli sta, e con questa sono due!»
«Oh fratellino, stai perdendo stoffa in una delle poche cose che sai fare bene, eh?» Si aggiunge George.
Ginny sorride applaudendo altretanto, ma intercetta il mio sguardo un secondo e torna a fissare fuori dalla finestra. E mentre Ron incolpa Albus di avere barato, Hermione si avvicina a me e a bassa voce mi chiede:
«Qualcosa non va, Harry?»
Perso nei miei pensieri, mi risveglio, ma non sono tanto sorpreso dalla sua domanda. Lei è Hermione e Hermione si accorge di tutto.
Sorrido appena, rispondendo «Quanto mi crederesti se dicessi di no?»
«Proprio per niente» Mi dice, sorridendo anche lei, per rassicurarmi. Mi posa una mano sulla spalla restituendomi il bicchiere «Vieni» Pronuncia, invitandomi a seguirla.
Prende un paio di coperte da un vecchio armadio sul retro della casa. Me ne porge una e l’altra se la avvolge addosso. Mi fa un cenno con la testa e aprendo la porta sul retro la varca fino alla notte gelida e buia, che più di così a Natale proprio non si può.
Indosso la coperta anche io, e la seguo. Sento la neve e l’erba sotto i piedi, mentre la raggiungo, Hermione è intenta ad osservare il cielo stellato, ogni respiro le si condensa davanti.
«Allora? Cosa succede?» Mi domanda, appena riesco ad arrivarle accanto.
«Cosa? Dovremmo parlarne qui?» Le chiedo, incredulo.
«Certo! Non c’è niente di meglio di una notte gelata, e un po’ di sana burrobirra per cancellare ogni inibizione!» Esclama prendendomi il bicchiere dalla mano e bevendone un altro po’.
«Sei matta?» Chiedo battendo i denti. Lei inarca un sopracciglio riporgendomi il bicchiere.
«Avanti dai, qui non ci sente nessuno» Mi chiarisce.
«Ah, ok. Ora tutto ha più senso…»
«Harry, ti sarei grata se facessi in fretta, non è proprio il posto più comodo del mondo» Dice tremando.
«L’idea è stata tua…»
«Harry…»
«Ok, ok… solo che…»
«Ne vuoi parlare si o no?»
«Non so, è un po’… imbarazzante, credo…»
La vedo inarcare un sopracciglio, così la fisso per qualche secondo e tiro giù un sorso di burrobirra. «Ok, ma se ne parli con Ron giuro che…» Non credevo che il suo sopracciglio potesse arrivare così in alto… «Ok, ok.» Mi fermo, e penso: che diavolo sto facendo? Va bene che con Hermione parlo di tutto, ma questo? «E una questione di… cioè, io e Ginny non… insomma. Non riesc… no oddio così no, cioè… io e Ginny…» Faccio un attimo di pausa e tento di mimare con le mani ma ottengo solo di peggiorare la situazione.
«Oddio Harry dalla tua reazione sembra che tu e Ginny abbiate problemi a letto!» Dice ridendo e facendomi gelare il sangue. Devo avere una faccia piuttosto eloquente, perché smette subito di ridere spalancando gli occhi, cominciando a balbettare «Oh, OH! Oddio, scusa, non pensavo… io credevo che… cioè no…» Per un attimo la vedo spaesata, mi prende di nuovo il bicchiere dalle mani e ne trangugia gran parte in fretta e furia «Harry ti giuro io non pensavo che… ma…» E qui si blocca, pensandoci su «Ma… seriamente? Tu e Ginny?» Dice infine incredula, indicandomi.
Io inarco un sopracciglio, e annuisco lievemente con la testa «Cioè… GINNY e te?»
«Si, Hermione!» Esclamo imbarazzato, lei porta le mani avanti per scusarsi.
«Ok ok, scusa ancora» Facciamo un attimo di silenzio, in cui cerchiamo di riprenderci e lei mi porge di nuovo il bicchiere ormai quasi vuoto.
«Beh…» Cerco di continuare io «Ora lo sai»
Hermione si schiarisce la gola per poi dire semplicemente un «Già» strofinandosi le mani l’una all’altra.
«E quindi… consigli?» Ma che diavolo di domanda è? Non so cosa mi passi per la testa.
Lei tira un forte respiro, molto lungo e intenso, per poi rilasciarlo con un acuto ma sommesso rumore dalla bocca. Come a dire: l’argomento è piuttosto difficile, perché diavolo te l’ho chiesto? Tutto questo guardando un punto imprecisato, molto ma molto lontano, alle mie spalle.
«Veramente… non credo di essere la persona più adatta a dare consigli del genere…» Risponde alla fine, d’un fiato. «È un argomento su cui non credo di poterti aiutare…» Fa un sorriso tirato e imbarazzato.
«Perché?» Domando, sorpreso dalla risposta.
«Ehm, forse è il caso di rientrare?» Fa ancora quel sorriso terribilmente strascicato.
«Hermione, conosci il detto: chi la fa l’aspetti?» Le intimo ridacchiando, e lei fa una smorfia.
«Aah, maledetta me e la mia boccaccia!» Si lamenta. Io scoppio a ridere, e le porgo l’ultima sorsata di burrobirra che accetta molto volentieri anche se con un viso tutt’altro che contento.
«Allora?» La incito, beccandomi non solo uno sguardo storto ma anche il bicchiere in pieno stomaco. Dopo aver pesantemente deglutito la burrobirra, guarda altrove chiudendosi dentro la coperta.
«Beh…» Si schiarisce la gola «Diciamo che io e Ron, insomma… non va molto bene… in quel senso…»
Stranamente sento un piccolo salto al battito. Insieme ad una sorta di piacevole sensazione allo stomaco. Ma la ignoro, avrò bevuto troppa burrobirra.
«Oh…» È l’unico commento che riesco a fare. «Beh, forse è il periodo, o magari sarà normale. Forse dovremmo parlarne anche ad Arthur e Molly per sapere se…» Scherzo, e lei mi guarda storto.
«Oh certo, pubblichiamolo sul Profeta a che ci siamo.» Borbotta, anche se sento una lieve nota scherzosa nel suo tono.
«E insomma, il problema è solo quello?» Chiedo, tentando di stare serio o almeno facendo finta di sapere cosa dire in questi casi.
Lei si stringe nelle spalle e guardando in basso dice: «Credo di sì» Poi incrocia il mio sguardo e dice: «E voi?»
Faccio come lei, spallucce e ripeto «Credo di sì» Ma dentro di me so che non è vero, allora mi chiedo se anche per lei sia lo stesso.
Ci sorridiamo e dopo un attimo di silenzio in cui lei si culla dolcemente dentro la coperta, mi informa: «Ho i piedi congelati».
«Idem. Entriamo prima che ci diano per dispersi» Lei annuisce e l’avvolgo col mio braccio, sotto la mia coperta, fin dentro casa.

 



A lunedì :)

  
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