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Autore: Carlos Olivera    24/06/2011    2 recensioni
Giappone. XVI Secolo.
La guerra civile consuma e distrugge tutto ciò che incontra. I signori della guerra si combattono l'un l'altro per il potere assoluto, i contadini soffrono e muoiono nelle campagne, i mercanti si arricchiscono, e le città bruciano.
Oda Nobunaga, presentatosi come il salvatore del Paese, si appresta a riunificare l'intero Giappone sotto il suo comando, e ben presto anche gli ultimi che ancora lo contrastano cadranno come fiori appassiti.
Ma qualcosa, qualcosa di terribile, cova al di sotto del caos che ovunque regna sovrano. Dall'occidente sono arrivate nuove armi, nuove conoscenze e una nuova fede, ma anche un'antica e sanguinosa battaglia segreta che dura da centinaia di anni, e che avrà in questo Paese uno dei suo maggiori teatri di scontro.
Dovere. Onore. Vendetta. Giustizia. Questo è ciò che mi guida, che mi spinge e proseguire lungo la strada che ho scelto, verso quel destino a cui non posso sottrarmi.
E' la mia maledizione.
Io sono Iguro Takemura.
Io sono... un Assassino.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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3

 

 

Scortato da Magoichi Iguro raggiunse il villaggio di Hakuba, distante da lì solo un paio di miglia.

         A prima vista sembrava un villaggio come tanti altri, costruito in cima ad una piccola altura sulle sponde di un piccolo lago artificiale creato ponendo una diga sul ruscello che scorreva poco distante.

         C’era però qualcosa di strano, come un che di mistico tanto nel luogo, recintato in ogni direzione da alte e ripide montagne, fatta eccezione per lo stretto passaggio ricoperto di bosco dal quale Iguro era passato, quanto negli abitanti, soprattutto donne e bambini; vestivano tutti con indumenti locali, ma i tratti somatici di alcuni di loro erano molto simili a quelli di Iguro, chiaramente occidentali.

         Sembrava uno di quei villaggi shinobi dei quali il ragazzo aveva sentito tanto parlare, quelli isolati dal mondo e impossibili da trovare per chi non ne conoscesse l’ubicazione.

         Il nuovo venuto non passò inosservato, ma pochi furono quelli che fecero qualcosa di più che sbirciare fuori dalle finestre.

         Magoichi condusse Iguro in quella che aveva tutta l’aria di essere la piazza centrale; al centro di quel grande spiazzo si trovava una sorta di recinto quadrangolare delimitato da una corda, come una specie di ring per i combattimenti.

         La piazza era dominata da una collina, in cima alla quale si trovava una prestigiosa villa signorile circondata da un muro di cinta non troppo alto.

         «Eccoci arrivati.» disse Magoichi «Benvenuto ad Hakuba. D’ora in poi, questa sarà la tua casa».

         Al centro del quadrato in mezzo alla piazza, cinque uomini si battevano tra di loro in un tutti contro tutti sfoderando armi di legno di vario genere; a sorvegliarli, il gigante che Iguro aveva intravisto nell’attacco al villaggio, e che ora, visto da vicino, sembrava ancor più spaventoso.

         Se gli oni* avessero avuto una forma, sarebbe stata la sua; doveva essere alto quasi due metri, e l’armatura rosso fuoco che indossava rendeva la sua imponenza ancor più annichilente. Anche il suo viso, seppur non brutto, non ispirava molta simpatia, con quella mascella squadrata, quegli occhi da tigre famelica e quell’espressione vagamente truce.

         Il suo sguardo trasmetteva una sensazione di indomito vigore, specchio di uno spirito che aveva attraversato mille battaglie uscendone sempre vincitore.

         «Così non va’ bene!» sbraitò ad un certo punto rivolto a quelli che dovevano essere i suoi allievi «Siete troppo lenti! Più sciolti nei movimenti, e metteteci un po’ di entusiasmo! Ho visto donnicciole maneggiare la katana meglio di voi! Ora ricominciate daccapo, e guai a voi se mi deludete ancora!».

         Il gigante a quel punto si accorse dei nuovi venuti, avvicinandosi a loro.

         «Ce ne avete messo di tempo. Lo sapete da quant’è che siamo qui?»

         «Ti chiedo scusa.» rispose Magoichi «Ma ho voluto assicurarmi che il villaggio fosse di nuovo tranquillo, e che in giro non ci fossero altri sciacalli».

         Quello allora guardò Iguro negli occhi, e per farlo dovette quasi mettersi accovacciato; il ragazzo si sentì a dir poco atterrito da quel volto truce, da quello sguardo così indagatore e dalle dimensioni mastodontiche di quel tizio. Se solo lo avesse voluto, sarebbe stato capace di stritolargli il cranio con una mano.

         «Allora è lui.»

«Così pare.» disse Magoichi

«Sembra che qui ci sarà un po’ di lavoro da fare. Un po’ tanto.»

         «Credo sia giusto fare le presentazioni. Questo campione di buone maniera è Keiji Maeda. E purtroppo per te, sarà uno dei tuoi maestri.»

         «Uno dei miei maestri!?» ripeté Iguro «Di cosa state parlando.»

         «Ehi, Magoichi.» disse Keiji «Ma questo qui ha una benché minima idea del casino in cui si trova?»

         «Sembrerebbe di no. A quanto pare, sarà necessaria una rapida spiegazione.

         Vieni. Parleremo in un posto più tranquillo».

         Magoichi condusse Iguro nella villa in cima alla collina, sorvegliata sia dentro che fuori da quelli che, a differenza degli altri, sembravano comuni samura; a giudicare dall’aspetto trascurato e dalla sobrietà con cui vestivano, dovevano essere dei ronin.

         I due si accomodarono in un salottino la cui porta aperta dava sul cortile interno, e fu servito loro del tè da una delle domestiche, a cui Magoichi non mancò di fare un romantico apprezzamento che fece arrossire l’interessata; che avesse l’aria dello sciupa femmine Iguro lo aveva capito al primo sguardo, ma che lo facesse in modo tanto esplicito questo non lo aspettava.

         «D’accordo, ora credo sia giusto darti una spiegazione.» disse Magoichi facendosi improvvisamente molto più serio «Solo, ci sono così tante cose che ti dovrei dire, che non so da dove cominciare.» quindi tornò a comportarsi come lo scavezzacollo che sembrava, dandosi una bella stiracchiata «D’accordo, io direi di cominciare da quello che deve starti più a cuore.

         Sto parlando dell’identità di tuo padre.»

         «Tu l’hai conosciuto, vero? Il mio vero padre.»

         «Era un navigatore. Venuto da occidente. Uno dei primi occidentali a raggiungere questo Paese. Si chiamava Fernão Mendes Pinto.

         Anche se a tutti quelli che lo conoscevano poteva sembrare un normale esploratore, in realtà lui era anche qualcos’altro».

         A quel punto, Magoichi si fece nuovamente serio.

         «Tuo padre era un Assassino.»

         «Un Assassino!?» ripeté Iguro

         «Gli Assassini sono un ordine segreto di monaci guerrieri fondato in occidente cinquecento anni fa. In origine il nostro scopo era assicurare la pace eliminando i corrotti e chiunque ricercasse il profitto personale a danno della società. Rapidamente, però, le cose sono cambiate.

         Grazie ad un maestro assassino di nome Altair, i tuoi antenati scoprirono che il nostro nemico aveva un nome.

         Erano i Templari.»

         «I… templari!?» disse Iguro pronunciando quel termine a fatica

         «Una società segreta non molto diversa dalla nostra. Il loro obiettivo è il dominio totale del mondo. Mirano ad asservire tutti gli uomini al loro volere e a distruggere la società per ricostruirne una nova e, a loro giudizio, migliore.

         La battaglia che vede contrapporsi Assassini e Templari dura da diversi secoli. Abbiamo inferto duri colpi ai nostri nemici, ma nonostante ciò questo conflitto prosegue ancora oggi.

         Anzi, da quando in occidente è iniziata l’era delle grandi esplorazioni, la situazione si è fatta anche più difficile.

         I libri di storia asseriscono che i Templari non esistono più, ma è solo una menzogna; anche la loro stessa distruzione è stata orchestrata ad arte, così da poter continuare ad operare segretamente tirando dall’ombra le fila del mondo. In questo modo, hanno diminuiti considerevolmente i rischi comportati dal dover agire alla luce del sole, dove avevano capito di rappresentare per noi dei facili bersagli. Ora si nascondono e agiscono esattamente come noi, per renderci più difficile localizzarli e ostacolare i loro piani.

         Ormai sono secoli che tengono in pugno i maggiori stati d’occidente, o tramite consiglieri corrotti e accondiscendenti che affiancano i potenti o comandandoli essi stessi. E adesso che il mondo va allargandosi, puntano ad estendere la loro influenza su ogni nuova terra che viene scoperta.»

«In che modo?» domandò Iguro, che in realtà stava capendo poco o niente

«Circa cinquant’anni fa, un templare di nome Ignazio di Loyola ha fondato l’ordine dei Gesuiti. Ufficialmente il loro scopo è visitare nuove terre per diffondere la cultura e la religione occidentale, ma è solo una facciata. Ciò che fanno davvero è piantare i semi per una futura dominazione templare. Ed è ciò che stanno facendo anche qui, in questo Paese.»

«E noi cosa possiamo fare?»

«Cercare di fermarli, ovviamente. Tuo padre venne in questo Paese quando i Templari vi si erano insediati già da qualche tempo. Riuscì ad uccidere l’attuale vicario dell’ordine, ma purtroppo questo non impedì ai Templari di continuare a prosperare.

Al contrario. Dopo essersi ripresi, organizzarono un complotto contro di lui.

Tua madre, una principessa figlia di un importante uomo politico, venne uccisa, e lui, vedendo la sua identità smascherata, fu costretto a fuggire. Prima di andarsene, però, aveva avuto il tempo necessario per far crescere questa piccola confraternita, e iniziare i primi di noi ai precetti del Credo.»

«Il Credo!?»

«Il nostro codice d’onore. A differenza degli shinobi, che antepongono la fedeltà e il dovere ad ogni altra cosa, il nostro ordine è sottoposto ad alcuni dogmi e precetti che non ci è permesso infrangere, anche a costo di andare contro quelli che sono i nostri obblighi di difensori dell’Uomo.

Inoltre, affidò te, suo figlio, alle cure di una governante. Ordinò di tenerti al sicuro fino a che non fossi stato pronto per finire quello che lui aveva iniziato».

Iguro si sentiva disorientato, smarrito.

Aveva perso i suoi genitori, che poi veri genitori non erano, aveva attraversato mezzo Paese per andare in un posto che non conosceva, e solo per venire iniziato ad una setta e ad un fantomatico dovere superiore che non gli riusciva di comprendere e che, a conti fatti, non percepiva come tale.

«È il tuo destino Iguro. Puoi scegliere. Puoi fuggire, e passare la tua vita a nasconderti, o puoi andargli incontro.

Con la rete di spie e di informatori che hanno per ogni dove, i templari non ci metteranno molto a scoprire la tua identità, e a quel punto di daranno la caccia anche in capo al mondo pur di metterti a tacere. Temono te più di qualsiasi altra cosa.

Perché tu sei il figlio dell’Eletto.»

«L’eletto!?»

«Nelle tue vene scorre il sangue di Altair, il nostro grande padre, e degli Auditore, una nobilissima famiglia che da cinquant’anni è diventata la guida del nostro ordine. Tuo padre è l’unico figlio che Ezio Auditore, l’ultimo patriarca della famiglia, abbia mai avuto. O almeno, l’unico del quale abbiamo notizia certa.

Conoscendo la storia di tuo nonno, è facile supporre che non fosse fedele ad una sola donna».

Iguro di colpo ebbe un’illuminazione.

Quei sogni, quella strana euforia. Forse era il sangue dei suoi antenati; le loro memorie.

«Dal tuo sguardo, si direbbe che tu abbia capito di che cosa sto parlando.

Tu sei speciale, Iguro. Dentro di te risiedono capacità che noi non ci sogniamo neanche lontanamente di possedere. Tutti i tuoi antenati avevano qualcosa che li rendeva unici. Come un sesto senso che li aiutava nel momento del bisogno.

Anche tu sicuramente possiedi qualcosa del genere. Il difficile sarà imparare a dominarlo. E credimi, non sarà una passeggiata».

Iguro non sapeva cosa pensare.

Una cosa, però, la sapeva, e bene. Qualcuno aveva ucciso i suoi genitori, presunti o reali che fossero, e quel qualcuno doveva pagare. Che fossero stati o meno i templari, ciò che Magoichi e gli altri abitanti di quel villaggio potevano insegnargli gli avrebbe permesso di potersi vendicare di chi aveva distrutto il suo villaggio, ucciso la sua famiglia e massacrato i suoi amici, chiunque egli fosse.

Della missione, almeno per il momento, non gli importava nulla.

Ora c’era solo la vendetta. Il resto poteva aspettare.

Magoichi intercettò il suo sguardo, nel quale vi lesse molte cose, ma soprattutto la volontà di raccogliere il guanto di sfida.

«Insegnatemi a diventare un guerriero. Un vero guerriero. E io farò quello che vorrete.»

«Ti avviso, non sarà facile.» disse Magoichi svuotando la sua tazza di tè «Qui si parla come minimo di due anni di esercizio folle. Come minimo, rimpiangerai la schiena spaccata e le punture d’insetto del lavoro nelle risaie.»

«Non mi interessa».

Magoichi sorrise, quindi si alzò in piedi.

«Molto bene. Ma bada, sei stato tu a scegliere. Non c’è modo di tornare indietro. Una volta nella Confraternita, se ne può uscire solo in un modo. Dentro una botte**».

Anche stavolta Iguro non parve intenzionato a tornare sulla sua decisione, e anzi fece un ulteriore cenno di assenso.

A quel punto, Magoichi lo condusse fuori dalla villa, e insieme viaggiarono fino alla ripida scala di pietra che conduceva ad un piccolo tempio che sorgeva subito fuori del villaggio, in cima ad un’altura.

Nel piazzale, trovarono ad attenderli Keiji e due monaci zen, questi ultimi con le mani giunte in segno di preghiera.

Si respirava un’aria strana, misteriosa, che incuriosì e allo stesso tempo inquietò Iguro.

«La forza e l’efficienza di un Assassino.» disse Magoichi «Si basa su tre cose. Agilità nei movimenti, abilità nel combattimento, e furtività nell’omicidio.

Come forse avrai già intuito, il qui presente Keiji sarà il tuo maestro di spada. Ti insegnerà tutto ciò che c’è da sapere su come affrontare da solo cento samurai e uscirne vincitore e senza un graffio. Per quanto riguarda l’agilità, che per quanto mi riguarda è la compagna più importante per un Assassino, sarà materia mia.»

«E la furtività nell’omicidio?»

«Per quella ci sarà tempo. Prima impara a proteggere la tua vita, poi ti insegneremo a togliere quella degli altri.»

«Sono pronto. Insegnatemi.»

«Dai tempo al tempo, amico mio. Prima che tu possa cominciare l’addestramento c’è una cosa che tu, in quanto figlio di tuo padre, devi assolutamente fare.»

«E sarebbe?»

«Devi comprendere il legame che ti lega ai tuoi antenati. Devi diventare un tutt’uno con loro.»

«Non comprendo.»

«Seguimi e capirai».

Magoichi affidò Iguro ai due monaci zen, che condussero il ragazzo all’interno dell’edificio principale.

«Non mi stupirei se ci restasse secco.» commento Keiji vedendo Iguro sparire dietro le pesanti porte dipinte, che vennero chiuse e sbarrate «Lo hai visto vero? Potrebbe andargli in fumo il cervello.»

«Forse. E se accadesse, vuol dire che non ci serve.» rispose serio Magoichi

«Almeno conosce i rischi che corre?»

«Lui crede di sì. Ma si sbaglia, e non è detto che sia un male. Dopotutto, anche questo significa crescere».

Una volta all’interno del tempio, Iguro venne fatto sedere sul pavimento di legno proprio dirimpetto al braciere sacro, ai piedi del quale stava, in atto di preghiera e di spalle rispetto al ragazzo, una giovane sacerdotessa, che ondeggiava il suo ventaglio salmodiando incessantemente parole incomprensibili.

I sacerdoti se ne andarono, e Iguro restò da solo con quella donna, che continuava a salmodiare come se non si fosse neppure accorta della sua presenza.

In questo lasso di tempo infinitamente lungo, il ragazzo poté approfittarne per guardarsi attorno.

Il rosso era il colore predominante di quel luogo, sia dentro che fuori; una serie di colonne sostenevano un tetto fatto di travi sovrapposte, e sui battenti di ognuna di esse erano dipinte immagini allegoriche raffiguranti animali, divinità e strani simboli che Iguro non aveva mai visto.

Era presente, qua e là, anche il simbolo a forma di compasso che Iguro aveva sul suo bracciale, e abbassato lo sguardo il ragazzo si accorse che lo stesso simbolo era tracciato in forma mastodontica anche sul pavimento, utilizzando travi di un colore leggermente più scuro.

Era tutto così strano; Iguro si sentiva come perso, come se qualcosa non stesse andando per il verso giusto. La noia si stava impadronendo di lui, e con la noia arrivava la stanchezza; la fiamma del braciere si muoveva senza sosta, come una miko*** intenta ad eseguire una danza sacra, e il ventaglio della sacerdotessa produceva un suono stridulo, ma per qualche strano motivo piacevole da sentire.

D’un tratto Iguro ebbe, per la terza volta, l’impressione che il tempo rallentasse; stavolta, però, non percepiva quella strana euforia, quella voglia di combattere e di vincere che aveva dominato le sue azioni in passato. Al contrario, tutto quello che sentiva era un senso di oppressione, di impotenza; anche l’aria sembrava essersi fatta pesante; i vapori caldi del braciere emanavano un odore come d’incenso, che unito al suono del ventaglio e al movimento della fiamma rendevano difficile ad Iguro fare qualsiasi cosa, compreso pensare lucidamente.

Il tempo continuò a rallentare, senza il ragazzo potesse o riuscisse a fare qualcosa per cercare di impedirlo, e alla fine si fermò del tutto, lasciando dietro di sé solo una fitta oscurità ed il nulla più assoluto.

 

Lisbona

Marzo 1508

 

Ezio era arrivato in Portogallo già da qualche tempo seguendo le indicazioni dei suoi informatori.

In base alle informazioni raccolte dalla confraternita portoghese e fatte pervenire a Monteriggioni, i Templari del Portogallo, già da tempo infiltrati nelle più alte sfere del potere e della politica del Regno, con il sostegno del re, stavano armando una spedizione navale con la quale puntavano a raggiungere una destinazione, al momento, ancora sconosciuta.

Nonostante la morte di Rodrigo e la scomparsa di Cesare, pensava sconsolato Ezio osservando la città dall’alto del faro che svettava sul porto, l’ordine si era ripreso molto in fretta.

Da qualche tempo, i capi templari dei quali conosceva l’identità si erano radunati attorno ad un nuovo capo, un ragazzino neanche ventenne di nome Ignazio, che approfittando del vuoto di potere lasciato dalla scomparsa di Cesare aveva fatto piazza pulita dei pochi avversari degni di nota e si era prepotentemente piazzato al vertice dell’organizzazione.

Ezio fino ad ora non lo aveva mai visto, ma stando alle parole degli informatori, nonostante la giovane età sembrava essere un ragazzo terribilmente furbo, ambizioso e imprevedibile; aveva smantellato sul nascere la confraternita della andalusa, cosa che gli era valsa l’attenzione di Ezio, e con il passare del tempo si stava facendo un nome, oltre che come comandante e pianificatore accorto, anche come spietato torturatore.

Sotto la pressione dei suoi interrogatori, persino alcuni degli Assassini che Ezio reputava maggiormente fedeli erano infine crollati, rivelando segreti che avevano messo nei guai le confraternite di mezza Europa costringendo a fughe precipitose e repentini cambi di sede.

Quella serpe malefica doveva essere decapitata, o solo gli Antenati sapevano quali altri problemi avrebbe potuto causare.

L’occasione era propizia.

Se gli informatori dicevano la verità, Ignazio in persona era in procinto di imbarcarsi per quella spedizione.

Molto probabilmente, pensava Ezio, il suo piano era di trasferire la sede centrale dell’ordine fuori dall’Europa, dove rappresentava un bersaglio facile, così da poter continuare a tirare le fila del potere da una posizione più sicura e defilata.

La prima cosa da fare era scoprire dove fosse diretta la spedizione.

Ezio era quasi sicuro che l’obiettivo fosse il Nuovo Mondo, lì dove c’era terra in abbondanza e dove i Templari avrebbero potuto senza difficoltà fondare una propria colonia. Già una volta Ezio aveva sventato questo loro piano, e non era da escludersi che, dopo aver lasciato passare un po’ di tempo per far calmare le acque, l’ordine avesse deciso di ritentare l’impresa.

Comunque, serviva la certezza.

E dal momento che Ignazio non era ancora arrivato in città, e nessuno sapeva con certezza dove fosse, la cosa migliore da fare era intrufolarsi sulla nave ammiraglia della flotta templare e dare una sbirciata ai documenti che sicuramente vi erano contenuti, nella speranza di trovarvi le informazioni desiderate.

Ezio si guardò attorno con cautela; il ponte della nave, una caravella di notevoli dimensioni, era pulito, fatta eccezione per un paio di guardie che però, anche da lassù, davano l’idea di essere parecchio alticce, a giudicare dalle grida e dai canti sguaiati che lanciavano barcollando a destra e a sinistra.

Con un balzo saltò giù dalla torre, tuffandosi direttamente in acqua; nuotando in apnea, raggiunse la chiglia della nave, e aggrappatosi ad una gomena cominciò a risalirla nel più assoluto silenzio. Nonostante fosse ormai alla soglia dei cinquanta, la sua agilità e la sua esperienza avevano del prodigioso.

Senza neanche bisogno di uccidere qualcuno di quei marinai ubriachi, l’Assassino si introdusse nelle cabine del capitano passando da una finestra lasciata socchiusa, accendendo subito una candela per farsi un po’ di luce; come aveva previsto, la scrivania al centro traboccava di carte, e poggiato il candelabro sul tavolo cominciò a rovistarle in cerca di indizi.

Quasi tutti i documenti erano cifrati, ma niente di impossibile per uno del suo livello.

Quello che lesse, però, lo colpì; ad essere citato più e più volte non era il Nuovo Mondo, come si aspettava, ma l’oriente. In particolare, si faceva riferimento alla necessità di raggiungere quanto prima, istituendovi dei soliti avamposti, l’impero della Cina e l’impero di Cipango.

Ezio aveva sentito parlare di questo Cipango, il Regno delle Isole, il solo Paese al mondo che, stando agli scritti di Marco Polo, fosse stato capace di respingere i Mongoli di Kublai Khan. Ad oggi, molti consideravano Cipango una leggenda, una terra immaginaria, ma se i Templari la stavano cercando forse la verità era un’altra.

D’un tratto, l’Assassino sentì un rumore sopra di sé, e subito dopo una chiave infilarsi nella serratura della porta della cabina; fulmineo spense la candela e cancellò ogni traccia del suo passaggio per poi infilarsi, tramite una botola nascosta sotto un tappeto, nella stiva.

Pochi secondi dopo nella stanza entrò un giovane sacerdote di neanche vent’anni, il viso bellissimo e i tratti gentili, chiaramente nobiliari, ma uno sguardo di ghiaccio che gelava il sangue.

Ezio poté scorgerlo tramite un piccolo foro nel fasciame delle assi, e capì che doveva trattarsi, dal modo in cui i suoi tre tirapiedi si rivolgevano a lui, proprio di Ignazio di Loyola.

«Come procedono i preparativi?»

«Bene, mio signore.» rispose un soldato «Rispettiamo i tempi. Se tutto andrà come previsto, saremo in grado di salpare entro la fine del mese.»

«Non abbassate mai la guardia. Le nostre spie mi hanno avvertito che il capo degli Assassini ha lasciato l’Italia poco tempo fa. Potrebbe essere qui.»

«Se è così, siamo pronti ad accoglierlo. La nave e il resto della flotta sono sorvegliate giorno e notte.»

«Non credo che quegli ubriaconi perdigiorno possano essere considerati una guardia affidabile. Prendete provvedimenti.»

«Sarà fatto, mio signore».

Come Ignazio e gli alti tre lasciarono la stanzia, Ezio riemerse dalla botola, indeciso sul da farsi.

Tecnicamente la sua preda era a portata di mano, ma da quello che aveva avuto modo di scoprire nel corso delle sue indagini Ignazio, oltre ad essere molto bravo con la spada, amava circondarsi di alcuni tra i più efficaci e spietati schermidori e tagliagole d’Europa, il che rendeva rischioso un assalto improvviso e senza alcuna impostazione o pianificazione.

Ciò nonostante, prima di andarsene volle dare un’ultima occhiata a quello che succedeva; se fosse stato fortunato, magari avrebbe potuto cogliere qualche informazione extra.

Aperta leggermente la porta, quel tanto che bastava per vedere e sentire, gettò l’occhio all’esterno.

Ignazio era ancora sul ponte, sempre attorniato dai suoi fedelissimi, uno dei quali stava riempiendo di botte il capo dei sorveglianti sorpresi ubriachi a fare il proprio dovere; dopo che il suo uomo aveva rotto tutte le ossa a suon di pugni al malcapitato, e nonostante le suppliche della vittima, fu lo stesso Ignazio a trapassargli la gola con la spada, lasciandolo morto a terra e incaricando i suoi di buttare a mare il cadavere.

I due incaricati di eseguire il corpo avevano appena gettato il corpo fuoribordo, quando l’ombra bianca di un assassino balzò giù dall’albero maestro e piombò su Ignazio; tentò di ucciderlo, ma il ragazzo se ne accorse immediatamente e schivò il colpo, quindi ad un suo cenno tutti i suoi uomini fecero cerchio attorno all’aggressore.

Ezio non riusciva a capire.

Aveva dato ordine che nessuno si avvicinasse alla nave fino a che non avesse fatto rapporto.

Qualche pazzo doveva aver disubbidito facendo di testa sua, e ora stava per rimetterci la vita.

Quelli attaccarono tutti insieme, ma l’Assassino, nonostante l’aspetto gracile e magrolino, si rivelò estremamente agile, riuscendo a tenerli a bada; vista la mala parata tentò anche di fuggire, ma una delle guardie di Ignazio fu più veloce di lui e gli lanciò addosso una rete per la pesca, immobilizzandola e lasciandola alla mercé degli altri nemici.

Credo o no, missione o no, Ezio non se la sentiva di lasciare un confratello in difficoltà; per questo, saltato fuori dal suo nascondiglio, piombò sull’uomo che stava per vibrare il colpo di grazia e lo uccise con un solo affondo, quindi riuscì a ferirne anche un secondo che finì dopo aver liberato il prigioniero dalla rete che lo ricopriva.

Ignazio, nonostante non lo avesse mai visto, riconobbe subito il nuovo venuto, e senza pensarci troppo su abbandonò il campo, e con esso i suoi uomini, che alla fine caddero tutti morti; Ezio avrebbe voluto risparmiarne uno per farlo parlare, ma quello che aveva solo ferito, nella confusione, si era tagliato la gola, e quando Ezio lo raggiunse era già morto.

A quel punto, Ezio si volse, con sguardo leggermente irritato, verso il suo confratello, che al contrario teneva lo sguardo basso senza proferire parola.

«Si può sapere che accidenti ti è saltato in mente?» sbraitò andandogli vicino «Avevo dato ordini precisi! Nessuno doveva avvicinarsi a questa nave prima che io avessi fatto ritorno!».

Quello non rispose, e seguitò a tentare di nascondere il proprio volto guardando in basso; nonostante cercasse di nasconderlo, era chiaro che si trattava di una ragazza.

«Ma ti rendi conto che hai mandato tutto in malora? Ora che sanno che li teniamo d’occhio, i Templari di qui saranno ancora più cauti!»

«Ignazio ha fatto uccidere mio padre e mia madre.» rispose quella, una voce gentile ma ferma «Erano Assassini, tutti e due. Sei mesi fa erano quasi riusciti a prenderlo, ma lui li ha catturati, tortunati e infine uccisi. Doveva pagare.»

«Evidentemente i tuoi maestri non ti hanno mai parlato dei doveri del nostro ordine, o se l’hanno fatto tu dormivi.

Anteporre i propri desideri personali al proprio dovere e farsi guidare dalle emozioni è il più grave errore che un Assassino possa fare».

Di nuovo, la ragazza restò in silenzio.

Ezio sospirò.

«D’accordo, quello che è fatto è fatto. Ora però, cerchiamo di fare qualcosa per queste navi. Forza, dammi una mano».

Circa un’ora dopo, il porto di Lisbona venne illuminato a giorno dall’assordante e fragorosa esplosione, quasi simultanea, della santabarbara di quattro grandi caravelle, che sventrate colarono a picco in pochi minuti tra il fuoco e le fiamme.

Ezio e l’altra assassina osservarono la scena dall’alto del tetto di una villa che dava direttamente sul molo. Ezio sapeva che questo non sarebbe bastato a scoraggiare Ignazio e i Templari, ma si chiedeva quale potesse essere il motivo che li avesse spinti ad organizzare una spedizione così grande e costosa; doveva trattarsi di qualcosa di grosso, e qualsiasi cosa fosse era necessaria scoprirla al più presto.

«In questo modo abbiamo ritardato la loro partenza. Ma se ho capito che tipo d’uomo è questo Ignazio, non passerà molto prima che tenti di organizzarne un’altra.» quindi si rivolse alla sua compagna «Ora, se non ti spiace, vorrei sapere chi sei».

Quella, finalmente, si tolse il cappuccio, rivelando il volto di una bella giovane di venticinque o trent’anni; aveva occhi marrone scuro e lunghi capelli paglierini, lisci e morbidi come la seta.

«Mi chiamo Maria.» disse «Maria Pinto».

 

* Nel folklore giapponese, gli Oni sono delle creature mitologiche; il significato attribuibile a questa parola è piuttosto vario, ma quello più diffuso li paragona agli orchi della tradizione occidentale; grandi e grossi, raffigurati spesso seminudi e provvisti di corna, sono noti per la natura violenta e bellicosa, oltre che per l’aspetto terrificante.

 

** Nell’antico Giappone, fino all’epoca della Restaurazione Meiji del 1869, era molto diffusa l’usanza, soprattutto tra i contadini e i ceti meno abbienti, di essere sepolti nella terra viva; quando una persona moriva, il corpo veniva trasportato dalla casa al cimitero all’interno di una botte di legno alta circa un metro e portata a spalla da due uomini.

 

*** Nei templi scintoisti la miko è tradizionalmente una vergine incaricata di presiedere al corretto funzionamento dei santuari; nella maggior parte dei casi erano adibite ad incarichi che andavano dalla pulizia, all’esibizione in danze sacre, ad affiancare il sacerdote nelle funzioni religiose. Tuttavia, in alcuni casi, alcune miko erano esse stesse delle sacerdotesse, officiando rituali e ricoprendo una posizione di vertice all’interno del proprio tempio.

 

Nota dell’Autore.

Eccomi qua!^_^

Ci è voluto un po’ più del previsto, ma finalmente sono riuscito ad aggiornare.

Il fatto è che in questi giorni sono stato un po’ occupato con il lavoro, e poi ho appena acquistato un nuovo gioco per la ps3 che aspettavo da tempo e che nei primi giorni mi ha praticamente rapito.

Ho scritto questo capitolo di getto, anche se ammetto che l’ultima parte mi è costata un po’ di fatica.

Una precisazione. Anzi, due.

La prima; per le descrizioni del Giappone, dei suoi templi e dei suoi paesaggi mi sto ispirando ai filmati raccolti da un gruppo di amici.

La seconda; per i tratti somatici dei personaggi storici ammetto candidamente di ispirarmi a quelli creati per la saga Samurai Warriors; perciò, chiunque fosse curioso di vederli, non deve fare altro che cercare le immagini su google.

Ecco, credo di aver detto tutto.

Ringrazio i miei lettori e recensori, Skydragon e Glaucopis, per le loro recensioni così sincere e appassionate. A Glaucopis dico anche che quanto prima leggerò la fic che mi ha consigliato.

A presto!^_^

Carlos Olivera

 

 

 

 

  
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