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Scortato da Magoichi
Iguro raggiunse il villaggio di Hakuba, distante da
lì solo un paio di miglia.
A
prima vista sembrava un villaggio come tanti altri, costruito in cima ad una piccola
altura sulle sponde di un piccolo lago artificiale creato ponendo una diga sul
ruscello che scorreva poco distante.
C’era
però qualcosa di strano, come un che di mistico tanto nel luogo, recintato in
ogni direzione da alte e ripide montagne, fatta eccezione per lo stretto
passaggio ricoperto di bosco dal quale Iguro era passato, quanto negli
abitanti, soprattutto donne e bambini; vestivano tutti con indumenti locali, ma
i tratti somatici di alcuni di loro erano molto simili a quelli di Iguro, chiaramente
occidentali.
Sembrava
uno di quei villaggi shinobi dei quali il ragazzo
aveva sentito tanto parlare, quelli isolati dal mondo e impossibili da trovare
per chi non ne conoscesse l’ubicazione.
Il
nuovo venuto non passò inosservato, ma pochi furono quelli che fecero qualcosa
di più che sbirciare fuori dalle finestre.
Magoichi condusse Iguro in quella che aveva tutta l’aria di
essere la piazza centrale; al centro di quel grande spiazzo si trovava una
sorta di recinto quadrangolare delimitato da una corda, come una specie di ring
per i combattimenti.
La
piazza era dominata da una collina, in cima alla quale si trovava una
prestigiosa villa signorile circondata da un muro di cinta non troppo alto.
«Eccoci
arrivati.» disse Magoichi «Benvenuto ad Hakuba. D’ora in poi, questa sarà la tua casa».
Al
centro del quadrato in mezzo alla piazza, cinque uomini si battevano tra di
loro in un tutti contro tutti sfoderando armi di legno di vario genere; a
sorvegliarli, il gigante che Iguro aveva intravisto nell’attacco al villaggio,
e che ora, visto da vicino, sembrava ancor più spaventoso.
Se
gli oni* avessero avuto una forma, sarebbe stata la
sua; doveva essere alto quasi due metri, e l’armatura rosso fuoco che indossava
rendeva la sua imponenza ancor più annichilente. Anche il suo viso, seppur non
brutto, non ispirava molta simpatia, con quella mascella squadrata, quegli
occhi da tigre famelica e quell’espressione vagamente truce.
Il
suo sguardo trasmetteva una sensazione di indomito vigore, specchio di uno
spirito che aveva attraversato mille battaglie uscendone sempre vincitore.
«Così
non va’ bene!» sbraitò ad un certo punto rivolto a quelli che dovevano essere i
suoi allievi «Siete troppo lenti! Più sciolti nei movimenti, e metteteci un po’
di entusiasmo! Ho visto donnicciole maneggiare la katana meglio di voi! Ora
ricominciate daccapo, e guai a voi se mi deludete ancora!».
Il
gigante a quel punto si accorse dei nuovi venuti, avvicinandosi a loro.
«Ce
ne avete messo di tempo. Lo sapete da quant’è che siamo qui?»
«Ti
chiedo scusa.» rispose Magoichi «Ma ho voluto
assicurarmi che il villaggio fosse di nuovo tranquillo, e che in giro non ci
fossero altri sciacalli».
Quello
allora guardò Iguro negli occhi, e per farlo dovette quasi mettersi
accovacciato; il ragazzo si sentì a dir poco atterrito da quel volto truce, da
quello sguardo così indagatore e dalle dimensioni mastodontiche di quel tizio.
Se solo lo avesse voluto, sarebbe stato capace di stritolargli il cranio con
una mano.
«Allora
è lui.»
«Così pare.» disse Magoichi
«Sembra che qui ci
sarà un po’ di lavoro da fare. Un po’ tanto.»
«Credo
sia giusto fare le presentazioni. Questo campione di buone maniera è Keiji Maeda. E purtroppo per te,
sarà uno dei tuoi maestri.»
«Uno
dei miei maestri!?» ripeté Iguro «Di cosa state parlando.»
«Ehi,
Magoichi.» disse Keiji «Ma
questo qui ha una benché minima idea del casino in cui si trova?»
«Sembrerebbe
di no. A quanto pare, sarà necessaria una rapida spiegazione.
Vieni.
Parleremo in un posto più tranquillo».
Magoichi condusse Iguro nella villa in cima alla collina,
sorvegliata sia dentro che fuori da quelli che, a differenza degli altri,
sembravano comuni samura; a giudicare dall’aspetto
trascurato e dalla sobrietà con cui vestivano, dovevano essere dei ronin.
I
due si accomodarono in un salottino la cui porta aperta dava sul cortile
interno, e fu servito loro del tè da una delle domestiche, a cui Magoichi non mancò di fare un romantico apprezzamento che
fece arrossire l’interessata; che avesse l’aria dello sciupa femmine Iguro lo
aveva capito al primo sguardo, ma che lo facesse in modo tanto esplicito questo
non lo aspettava.
«D’accordo,
ora credo sia giusto darti una spiegazione.» disse Magoichi
facendosi improvvisamente molto più serio «Solo, ci sono così tante cose che ti
dovrei dire, che non so da dove cominciare.» quindi tornò a comportarsi come lo
scavezzacollo che sembrava, dandosi una bella stiracchiata «D’accordo, io direi
di cominciare da quello che deve starti più a cuore.
Sto
parlando dell’identità di tuo padre.»
«Tu
l’hai conosciuto, vero? Il mio vero padre.»
«Era
un navigatore. Venuto da occidente. Uno dei primi occidentali a raggiungere
questo Paese. Si chiamava Fernão Mendes
Pinto.
Anche
se a tutti quelli che lo conoscevano poteva sembrare un normale esploratore, in
realtà lui era anche qualcos’altro».
A
quel punto, Magoichi si fece nuovamente serio.
«Tuo
padre era un Assassino.»
«Un
Assassino!?» ripeté Iguro
«Gli
Assassini sono un ordine segreto di monaci guerrieri fondato in occidente cinquecento
anni fa. In origine il nostro scopo era assicurare la pace eliminando i
corrotti e chiunque ricercasse il profitto personale a danno della società.
Rapidamente, però, le cose sono cambiate.
Grazie
ad un maestro assassino di nome Altair, i tuoi antenati
scoprirono che il nostro nemico aveva un nome.
Erano
i Templari.»
«I… templari!?» disse Iguro pronunciando quel termine a
fatica
«Una
società segreta non molto diversa dalla nostra. Il loro obiettivo è il dominio
totale del mondo. Mirano ad asservire tutti gli uomini al loro volere e a
distruggere la società per ricostruirne una nova e, a loro giudizio, migliore.
La
battaglia che vede contrapporsi Assassini e Templari dura da diversi secoli.
Abbiamo inferto duri colpi ai nostri nemici, ma nonostante ciò questo conflitto
prosegue ancora oggi.
Anzi,
da quando in occidente è iniziata l’era delle grandi esplorazioni, la
situazione si è fatta anche più difficile.
I
libri di storia asseriscono che i Templari non esistono più, ma è solo una
menzogna; anche la loro stessa distruzione è stata orchestrata ad arte, così da
poter continuare ad operare segretamente tirando dall’ombra le fila del mondo.
In questo modo, hanno diminuiti considerevolmente i rischi comportati dal dover
agire alla luce del sole, dove avevano capito di rappresentare per noi dei
facili bersagli. Ora si nascondono e agiscono esattamente come noi, per
renderci più difficile localizzarli e ostacolare i loro piani.
Ormai
sono secoli che tengono in pugno i maggiori stati d’occidente, o tramite
consiglieri corrotti e accondiscendenti che affiancano i potenti o comandandoli
essi stessi. E adesso che il mondo va allargandosi, puntano ad estendere la
loro influenza su ogni nuova terra che viene scoperta.»
«In che modo?»
domandò Iguro, che in realtà stava capendo poco o niente
«Circa
cinquant’anni fa, un templare di nome Ignazio di Loyola
ha fondato l’ordine dei Gesuiti. Ufficialmente il loro scopo è visitare nuove
terre per diffondere la cultura e la religione occidentale, ma è solo una
facciata. Ciò che fanno davvero è piantare i semi per una futura dominazione
templare. Ed è ciò che stanno facendo anche qui, in questo Paese.»
«E noi cosa
possiamo fare?»
«Cercare di
fermarli, ovviamente. Tuo padre venne in questo Paese quando i Templari vi si
erano insediati già da qualche tempo. Riuscì ad uccidere l’attuale vicario
dell’ordine, ma purtroppo questo non impedì ai Templari di continuare a
prosperare.
Al contrario. Dopo
essersi ripresi, organizzarono un complotto contro di lui.
Tua madre, una
principessa figlia di un importante uomo politico, venne uccisa, e lui, vedendo
la sua identità smascherata, fu costretto a fuggire. Prima di andarsene, però,
aveva avuto il tempo necessario per far crescere questa piccola confraternita,
e iniziare i primi di noi ai precetti del Credo.»
«Il Credo!?»
«Il nostro codice
d’onore. A differenza degli shinobi, che antepongono
la fedeltà e il dovere ad ogni altra cosa, il nostro ordine è sottoposto ad
alcuni dogmi e precetti che non ci è permesso infrangere, anche a costo di
andare contro quelli che sono i nostri obblighi di difensori dell’Uomo.
Inoltre, affidò te,
suo figlio, alle cure di una governante. Ordinò di tenerti al sicuro fino a che
non fossi stato pronto per finire quello che lui aveva iniziato».
Iguro si sentiva
disorientato, smarrito.
Aveva perso i suoi
genitori, che poi veri genitori non erano, aveva attraversato mezzo Paese per
andare in un posto che non conosceva, e solo per venire iniziato ad una setta e
ad un fantomatico dovere superiore che non gli riusciva di comprendere e che, a
conti fatti, non percepiva come tale.
«È il tuo destino
Iguro. Puoi scegliere. Puoi fuggire, e passare la tua vita a nasconderti, o
puoi andargli incontro.
Con la rete di spie
e di informatori che hanno per ogni dove, i templari non ci metteranno molto a
scoprire la tua identità, e a quel punto di daranno la caccia anche in capo al
mondo pur di metterti a tacere. Temono te più di qualsiasi altra cosa.
Perché tu sei il
figlio dell’Eletto.»
«L’eletto!?»
«Nelle tue vene
scorre il sangue di Altair, il nostro grande padre, e
degli Auditore, una nobilissima famiglia che da cinquant’anni è diventata la
guida del nostro ordine. Tuo padre è l’unico figlio che Ezio Auditore, l’ultimo
patriarca della famiglia, abbia mai avuto. O almeno, l’unico del quale abbiamo
notizia certa.
Conoscendo la
storia di tuo nonno, è facile supporre che non fosse fedele ad una sola donna».
Iguro di colpo ebbe
un’illuminazione.
Quei sogni, quella
strana euforia. Forse era il sangue dei suoi antenati; le loro memorie.
«Dal tuo sguardo,
si direbbe che tu abbia capito di che cosa sto parlando.
Tu sei speciale,
Iguro. Dentro di te risiedono capacità che noi non ci sogniamo neanche
lontanamente di possedere. Tutti i tuoi antenati avevano qualcosa che li
rendeva unici. Come un sesto senso che li aiutava nel momento del bisogno.
Anche tu
sicuramente possiedi qualcosa del genere. Il difficile sarà imparare a
dominarlo. E credimi, non sarà una passeggiata».
Iguro non sapeva
cosa pensare.
Una cosa, però, la
sapeva, e bene. Qualcuno aveva ucciso i suoi genitori, presunti o reali che
fossero, e quel qualcuno doveva pagare. Che fossero stati o meno i templari,
ciò che Magoichi e gli altri abitanti di quel
villaggio potevano insegnargli gli avrebbe permesso di potersi vendicare di chi
aveva distrutto il suo villaggio, ucciso la sua famiglia e massacrato i suoi
amici, chiunque egli fosse.
Della missione,
almeno per il momento, non gli importava nulla.
Ora c’era solo la
vendetta. Il resto poteva aspettare.
Magoichi intercettò il suo
sguardo, nel quale vi lesse molte cose, ma soprattutto la volontà di
raccogliere il guanto di sfida.
«Insegnatemi a
diventare un guerriero. Un vero guerriero. E io farò quello che vorrete.»
«Ti avviso, non
sarà facile.» disse Magoichi svuotando la sua tazza
di tè «Qui si parla come minimo di due anni di esercizio folle. Come minimo,
rimpiangerai la schiena spaccata e le punture d’insetto del lavoro nelle
risaie.»
«Non mi interessa».
Magoichi sorrise, quindi si
alzò in piedi.
«Molto bene. Ma
bada, sei stato tu a scegliere. Non c’è modo di tornare indietro. Una volta
nella Confraternita, se ne può uscire solo in un modo. Dentro una botte**».
Anche stavolta
Iguro non parve intenzionato a tornare sulla sua decisione, e anzi fece un
ulteriore cenno di assenso.
A quel punto, Magoichi lo condusse fuori dalla villa, e insieme
viaggiarono fino alla ripida scala di pietra che conduceva ad un piccolo tempio
che sorgeva subito fuori del villaggio, in cima ad un’altura.
Nel piazzale,
trovarono ad attenderli Keiji e due monaci zen,
questi ultimi con le mani giunte in segno di preghiera.
Si respirava
un’aria strana, misteriosa, che incuriosì e allo stesso tempo inquietò Iguro.
«La forza e
l’efficienza di un Assassino.» disse Magoichi «Si
basa su tre cose. Agilità nei movimenti, abilità nel combattimento, e furtività
nell’omicidio.
Come forse avrai
già intuito, il qui presente Keiji sarà il tuo
maestro di spada. Ti insegnerà tutto ciò che c’è da sapere su come affrontare
da solo cento samurai e uscirne vincitore e senza un graffio. Per quanto
riguarda l’agilità, che per quanto mi riguarda è la compagna più importante per
un Assassino, sarà materia mia.»
«E la furtività
nell’omicidio?»
«Per quella ci sarà
tempo. Prima impara a proteggere la tua vita, poi ti insegneremo a togliere
quella degli altri.»
«Sono pronto.
Insegnatemi.»
«Dai tempo al
tempo, amico mio. Prima che tu possa cominciare l’addestramento c’è una cosa
che tu, in quanto figlio di tuo padre, devi assolutamente fare.»
«E sarebbe?»
«Devi comprendere
il legame che ti lega ai tuoi antenati. Devi diventare un tutt’uno con loro.»
«Non comprendo.»
«Seguimi e capirai».
Magoichi affidò Iguro ai
due monaci zen, che condussero il ragazzo all’interno dell’edificio principale.
«Non mi stupirei se
ci restasse secco.» commento Keiji vedendo Iguro
sparire dietro le pesanti porte dipinte, che vennero chiuse e sbarrate «Lo hai
visto vero? Potrebbe andargli in fumo il cervello.»
«Forse. E se
accadesse, vuol dire che non ci serve.» rispose serio Magoichi
«Almeno conosce i
rischi che corre?»
«Lui crede di sì.
Ma si sbaglia, e non è detto che sia un male. Dopotutto, anche questo significa
crescere».
Una volta
all’interno del tempio, Iguro venne fatto sedere sul pavimento di legno proprio
dirimpetto al braciere sacro, ai piedi del quale stava, in atto di preghiera e
di spalle rispetto al ragazzo, una giovane sacerdotessa, che ondeggiava il suo
ventaglio salmodiando incessantemente parole incomprensibili.
I sacerdoti se ne
andarono, e Iguro restò da solo con quella donna, che continuava a salmodiare
come se non si fosse neppure accorta della sua presenza.
In questo lasso di
tempo infinitamente lungo, il ragazzo poté approfittarne per guardarsi attorno.
Il rosso era il colore
predominante di quel luogo, sia dentro che fuori; una serie di colonne
sostenevano un tetto fatto di travi sovrapposte, e sui battenti di ognuna di
esse erano dipinte immagini allegoriche raffiguranti animali, divinità e strani
simboli che Iguro non aveva mai visto.
Era presente, qua e
là, anche il simbolo a forma di compasso che Iguro aveva sul suo bracciale, e
abbassato lo sguardo il ragazzo si accorse che lo stesso simbolo era tracciato
in forma mastodontica anche sul pavimento, utilizzando travi di un colore
leggermente più scuro.
Era tutto così
strano; Iguro si sentiva come perso, come se qualcosa non stesse andando per il
verso giusto. La noia si stava impadronendo di lui, e con la noia arrivava la
stanchezza; la fiamma del braciere si muoveva senza sosta, come una miko***
intenta ad eseguire una danza sacra, e il ventaglio della sacerdotessa
produceva un suono stridulo, ma per qualche strano motivo piacevole da sentire.
D’un tratto Iguro
ebbe, per la terza volta, l’impressione che il tempo rallentasse; stavolta,
però, non percepiva quella strana euforia, quella voglia di combattere e di
vincere che aveva dominato le sue azioni in passato. Al contrario, tutto quello
che sentiva era un senso di oppressione, di impotenza; anche l’aria sembrava
essersi fatta pesante; i vapori caldi del braciere emanavano un odore come
d’incenso, che unito al suono del ventaglio e al movimento della fiamma
rendevano difficile ad Iguro fare qualsiasi cosa, compreso pensare lucidamente.
Il tempo continuò a
rallentare, senza il ragazzo potesse o riuscisse a fare qualcosa per cercare di
impedirlo, e alla fine si fermò del tutto, lasciando dietro di sé solo una
fitta oscurità ed il nulla più assoluto.
Lisbona
Marzo
1508
Ezio era arrivato in Portogallo già da qualche
tempo seguendo le indicazioni dei suoi informatori.
In base alle
informazioni raccolte dalla confraternita portoghese e fatte pervenire a Monteriggioni, i Templari del Portogallo, già da tempo
infiltrati nelle più alte sfere del potere e della politica del Regno, con il
sostegno del re, stavano armando una spedizione navale con la quale puntavano a
raggiungere una destinazione, al momento, ancora sconosciuta.
Nonostante la morte
di Rodrigo e la scomparsa di Cesare, pensava sconsolato Ezio osservando la
città dall’alto del faro che svettava sul porto, l’ordine si era ripreso molto
in fretta.
Da qualche tempo, i
capi templari dei quali conosceva l’identità si erano radunati attorno ad un nuovo
capo, un ragazzino neanche ventenne di nome Ignazio, che approfittando del
vuoto di potere lasciato dalla scomparsa di Cesare aveva fatto piazza pulita
dei pochi avversari degni di nota e si era prepotentemente piazzato al vertice
dell’organizzazione.
Ezio fino ad ora
non lo aveva mai visto, ma stando alle parole degli informatori, nonostante la
giovane età sembrava essere un ragazzo terribilmente furbo, ambizioso e
imprevedibile; aveva smantellato sul nascere la confraternita della andalusa,
cosa che gli era valsa l’attenzione di Ezio, e con il passare del tempo si
stava facendo un nome, oltre che come comandante e pianificatore accorto, anche
come spietato torturatore.
Sotto la pressione
dei suoi interrogatori, persino alcuni degli Assassini che Ezio reputava
maggiormente fedeli erano infine crollati, rivelando segreti che avevano messo
nei guai le confraternite di mezza Europa costringendo a fughe precipitose e
repentini cambi di sede.
Quella serpe
malefica doveva essere decapitata, o solo gli Antenati sapevano quali altri
problemi avrebbe potuto causare.
L’occasione era
propizia.
Se gli informatori
dicevano la verità, Ignazio in persona era in procinto di imbarcarsi per quella
spedizione.
Molto
probabilmente, pensava Ezio, il suo piano era di trasferire la sede centrale
dell’ordine fuori dall’Europa, dove rappresentava un bersaglio facile, così da
poter continuare a tirare le fila del potere da una posizione più sicura e
defilata.
La prima cosa da
fare era scoprire dove fosse diretta la spedizione.
Ezio era quasi
sicuro che l’obiettivo fosse il Nuovo Mondo, lì dove c’era terra in abbondanza
e dove i Templari avrebbero potuto senza difficoltà fondare una propria
colonia. Già una volta Ezio aveva sventato questo loro piano, e non era da
escludersi che, dopo aver lasciato passare un po’ di tempo per far calmare le
acque, l’ordine avesse deciso di ritentare l’impresa.
Comunque, serviva
la certezza.
E dal momento che
Ignazio non era ancora arrivato in città, e nessuno sapeva con certezza dove
fosse, la cosa migliore da fare era intrufolarsi sulla nave ammiraglia della
flotta templare e dare una sbirciata ai documenti che sicuramente vi erano
contenuti, nella speranza di trovarvi le informazioni desiderate.
Ezio si guardò
attorno con cautela; il ponte della nave, una caravella di notevoli dimensioni,
era pulito, fatta eccezione per un paio di guardie che però, anche da lassù,
davano l’idea di essere parecchio alticce, a giudicare dalle grida e dai canti
sguaiati che lanciavano barcollando a destra e a sinistra.
Con un balzo saltò
giù dalla torre, tuffandosi direttamente in acqua; nuotando in apnea, raggiunse
la chiglia della nave, e aggrappatosi ad una gomena cominciò a risalirla nel
più assoluto silenzio. Nonostante fosse ormai alla soglia dei cinquanta, la sua
agilità e la sua esperienza avevano del prodigioso.
Senza neanche
bisogno di uccidere qualcuno di quei marinai ubriachi, l’Assassino si
introdusse nelle cabine del capitano passando da una finestra lasciata
socchiusa, accendendo subito una candela per farsi un po’ di luce; come aveva
previsto, la scrivania al centro traboccava di carte, e poggiato il candelabro
sul tavolo cominciò a rovistarle in cerca di indizi.
Quasi tutti i
documenti erano cifrati, ma niente di impossibile per uno del suo livello.
Quello che lesse,
però, lo colpì; ad essere citato più e più volte non era il Nuovo Mondo, come
si aspettava, ma l’oriente. In particolare, si faceva riferimento alla
necessità di raggiungere quanto prima, istituendovi dei soliti avamposti,
l’impero della Cina e l’impero di Cipango.
Ezio aveva sentito
parlare di questo Cipango, il Regno delle Isole, il
solo Paese al mondo che, stando agli scritti di Marco Polo, fosse stato capace
di respingere i Mongoli di Kublai Khan. Ad oggi,
molti consideravano Cipango una leggenda, una terra
immaginaria, ma se i Templari la stavano cercando forse la verità era un’altra.
D’un tratto,
l’Assassino sentì un rumore sopra di sé, e subito dopo una chiave infilarsi
nella serratura della porta della cabina; fulmineo spense la candela e cancellò
ogni traccia del suo passaggio per poi infilarsi, tramite una botola nascosta
sotto un tappeto, nella stiva.
Pochi secondi dopo
nella stanza entrò un giovane sacerdote di neanche vent’anni, il viso
bellissimo e i tratti gentili, chiaramente nobiliari, ma uno sguardo di
ghiaccio che gelava il sangue.
Ezio poté scorgerlo
tramite un piccolo foro nel fasciame delle assi, e capì che doveva trattarsi,
dal modo in cui i suoi tre tirapiedi si rivolgevano a lui, proprio di Ignazio
di Loyola.
«Come procedono i
preparativi?»
«Bene, mio
signore.» rispose un soldato «Rispettiamo i tempi. Se tutto andrà come
previsto, saremo in grado di salpare entro la fine del mese.»
«Non abbassate mai
la guardia. Le nostre spie mi hanno avvertito che il capo degli Assassini ha
lasciato l’Italia poco tempo fa. Potrebbe essere qui.»
«Se è così, siamo
pronti ad accoglierlo. La nave e il resto della flotta sono sorvegliate giorno
e notte.»
«Non credo che
quegli ubriaconi perdigiorno possano essere considerati una guardia affidabile.
Prendete provvedimenti.»
«Sarà fatto, mio
signore».
Come Ignazio e gli
alti tre lasciarono la stanzia, Ezio riemerse dalla botola, indeciso sul da
farsi.
Tecnicamente la sua
preda era a portata di mano, ma da quello che aveva avuto modo di scoprire nel
corso delle sue indagini Ignazio, oltre ad essere molto bravo con la spada,
amava circondarsi di alcuni tra i più efficaci e spietati schermidori e
tagliagole d’Europa, il che rendeva rischioso un assalto improvviso e senza
alcuna impostazione o pianificazione.
Ciò nonostante,
prima di andarsene volle dare un’ultima occhiata a quello che succedeva; se
fosse stato fortunato, magari avrebbe potuto cogliere qualche informazione
extra.
Aperta leggermente la
porta, quel tanto che bastava per vedere e sentire, gettò l’occhio all’esterno.
Ignazio era ancora
sul ponte, sempre attorniato dai suoi fedelissimi, uno dei quali stava
riempiendo di botte il capo dei sorveglianti sorpresi ubriachi a fare il
proprio dovere; dopo che il suo uomo aveva rotto tutte le ossa a suon di pugni
al malcapitato, e nonostante le suppliche della vittima, fu lo stesso Ignazio a
trapassargli la gola con la spada, lasciandolo morto a terra e incaricando i
suoi di buttare a mare il cadavere.
I due incaricati di
eseguire il corpo avevano appena gettato il corpo fuoribordo, quando l’ombra
bianca di un assassino balzò giù dall’albero maestro e piombò su Ignazio; tentò
di ucciderlo, ma il ragazzo se ne accorse immediatamente e schivò il colpo,
quindi ad un suo cenno tutti i suoi uomini fecero cerchio attorno
all’aggressore.
Ezio non riusciva a
capire.
Aveva dato ordine
che nessuno si avvicinasse alla nave fino a che non avesse fatto rapporto.
Qualche pazzo
doveva aver disubbidito facendo di testa sua, e ora stava per rimetterci la
vita.
Quelli attaccarono
tutti insieme, ma l’Assassino, nonostante l’aspetto gracile e magrolino, si
rivelò estremamente agile, riuscendo a tenerli a bada; vista la mala parata
tentò anche di fuggire, ma una delle guardie di Ignazio fu più veloce di lui e
gli lanciò addosso una rete per la pesca, immobilizzandola e lasciandola alla
mercé degli altri nemici.
Credo o no,
missione o no, Ezio non se la sentiva di lasciare un confratello in difficoltà;
per questo, saltato fuori dal suo nascondiglio, piombò sull’uomo che stava per
vibrare il colpo di grazia e lo uccise con un solo affondo, quindi riuscì a
ferirne anche un secondo che finì dopo aver liberato il prigioniero dalla rete
che lo ricopriva.
Ignazio, nonostante
non lo avesse mai visto, riconobbe subito il nuovo venuto, e senza pensarci
troppo su abbandonò il campo, e con esso i suoi uomini, che alla fine caddero
tutti morti; Ezio avrebbe voluto risparmiarne uno per farlo parlare, ma quello
che aveva solo ferito, nella confusione, si era tagliato la gola, e quando Ezio
lo raggiunse era già morto.
A quel punto, Ezio
si volse, con sguardo leggermente irritato, verso il suo confratello, che al
contrario teneva lo sguardo basso senza proferire parola.
«Si può sapere che
accidenti ti è saltato in mente?» sbraitò andandogli vicino «Avevo dato ordini
precisi! Nessuno doveva avvicinarsi a questa nave prima che io avessi fatto
ritorno!».
Quello non rispose,
e seguitò a tentare di nascondere il proprio volto guardando in basso; nonostante
cercasse di nasconderlo, era chiaro che si trattava di una ragazza.
«Ma ti rendi conto
che hai mandato tutto in malora? Ora che sanno che li teniamo d’occhio, i
Templari di qui saranno ancora più cauti!»
«Ignazio ha fatto
uccidere mio padre e mia madre.» rispose quella, una voce gentile ma ferma
«Erano Assassini, tutti e due. Sei mesi fa erano quasi riusciti a prenderlo, ma
lui li ha catturati, tortunati e infine uccisi.
Doveva pagare.»
«Evidentemente i
tuoi maestri non ti hanno mai parlato dei doveri del nostro ordine, o se
l’hanno fatto tu dormivi.
Anteporre i propri
desideri personali al proprio dovere e farsi guidare dalle emozioni è il più
grave errore che un Assassino possa fare».
Di nuovo, la
ragazza restò in silenzio.
Ezio sospirò.
«D’accordo, quello
che è fatto è fatto. Ora però, cerchiamo di fare qualcosa per queste navi.
Forza, dammi una mano».
Circa un’ora dopo,
il porto di Lisbona venne illuminato a giorno dall’assordante e fragorosa
esplosione, quasi simultanea, della santabarbara di quattro grandi caravelle,
che sventrate colarono a picco in pochi minuti tra il fuoco e le fiamme.
Ezio e l’altra
assassina osservarono la scena dall’alto del tetto di una villa che dava
direttamente sul molo. Ezio sapeva che questo non sarebbe bastato a scoraggiare
Ignazio e i Templari, ma si chiedeva quale potesse essere il motivo che li
avesse spinti ad organizzare una spedizione così grande e costosa; doveva
trattarsi di qualcosa di grosso, e qualsiasi cosa fosse era necessaria
scoprirla al più presto.
«In questo modo
abbiamo ritardato la loro partenza. Ma se ho capito che tipo d’uomo è questo
Ignazio, non passerà molto prima che tenti di organizzarne un’altra.» quindi si
rivolse alla sua compagna «Ora, se non ti spiace, vorrei sapere chi sei».
Quella, finalmente,
si tolse il cappuccio, rivelando il volto di una bella giovane di venticinque o
trent’anni; aveva occhi marrone scuro e lunghi capelli paglierini, lisci e
morbidi come la seta.
«Mi chiamo Maria.»
disse «Maria Pinto».
* Nel folklore giapponese, gli Oni sono delle creature mitologiche; il significato
attribuibile a questa parola è piuttosto vario, ma quello più diffuso li
paragona agli orchi della tradizione occidentale; grandi e grossi, raffigurati
spesso seminudi e provvisti di corna, sono noti per la natura violenta e
bellicosa, oltre che per l’aspetto terrificante.
** Nell’antico Giappone, fino all’epoca
della Restaurazione Meiji del 1869, era molto diffusa
l’usanza, soprattutto tra i contadini e i ceti meno abbienti, di essere sepolti
nella terra viva; quando una persona moriva, il corpo veniva trasportato dalla
casa al cimitero all’interno di una botte di legno alta circa un metro e
portata a spalla da due uomini.
*** Nei templi scintoisti la miko è tradizionalmente una vergine incaricata di
presiedere al corretto funzionamento dei santuari; nella maggior parte dei casi
erano adibite ad incarichi che andavano dalla pulizia, all’esibizione in danze
sacre, ad affiancare il sacerdote nelle funzioni religiose. Tuttavia, in alcuni
casi, alcune miko erano esse stesse delle
sacerdotesse, officiando rituali e ricoprendo una posizione di vertice
all’interno del proprio tempio.
Nota dell’Autore.
Eccomi
qua!^_^
Ci è
voluto un po’ più del previsto, ma finalmente sono riuscito ad aggiornare.
Il
fatto è che in questi giorni sono stato un po’ occupato con il lavoro, e poi ho
appena acquistato un nuovo gioco per la ps3 che aspettavo da tempo e che nei
primi giorni mi ha praticamente rapito.
Ho
scritto questo capitolo di getto, anche se ammetto che l’ultima parte mi è
costata un po’ di fatica.
Una
precisazione. Anzi, due.
La
prima; per le descrizioni del Giappone, dei suoi templi e dei suoi paesaggi mi
sto ispirando ai filmati raccolti da un gruppo di amici.
La
seconda; per i tratti somatici dei personaggi storici ammetto candidamente di
ispirarmi a quelli creati per la saga Samurai Warriors;
perciò, chiunque fosse curioso di vederli, non deve fare altro che cercare le
immagini su google.
Ecco,
credo di aver detto tutto.
Ringrazio
i miei lettori e recensori, Skydragon e Glaucopis, per le loro recensioni così sincere e
appassionate. A Glaucopis
dico anche che quanto prima leggerò la fic che mi ha
consigliato.
A
presto!^_^
Carlos
Olivera