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Autore: LivingTheDream    24/06/2011    3 recensioni
"Sentii la mano di Holmes insinuarsi nella mia con una stretta rassicurante, quasi a farmi capire che la situazione era sotto controllo e che non c'era da preoccuparsi."
Cit. de “L'avventura di Charles Augustus Milverton”
Mille preoccupazioni, decine di pensieri, un unico gesto che rende tutto più semplice.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Nda: se siete qui vuol dire che avete già letto il primo. Perdonate una povera malata come me!

 

 

 Non andava bene – non andava affatto bene.

Da dietro quella tenda riuscivo ad avere una discreta visuale della stanza, anche se non della parete con la cassaforte. Mi ricordo che pregai di non averla lasciata aperta.

E Milverton sembrava non averci notato. Strano, per un tipo attento come lui. Forse aveva di meglio – o di peggio – a cui pensare.

Chi l'avrebbe mai detto che quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti? Io no di certo.

Era stata un'avventatezza tentare di rubare i documenti. Necessaria, ma una vera e propria avventatezza.

Almeno avevo Watson al mio fianco. Non sarei stato solo in un'eventuale cella – quale compagnia migliore potevo augurarmi?

Se ci avessero scoperti, però, sarebbe stato un disastro. Non tanto per me, i miei vecchi clienti si fidavano e mi avrebbero creduto, ed inoltre non avevo certamente bisogno di elemosinare sterline.

Il problema sarebbe stato tragico per Watson: involontariamente si mise in una situazione in cui un possibile fallimento avrebbe decretato la fine della sua carriera.

Anche se non ci di mise da solo, ce lo misi io, in un certo senso. Anzi, in più di uno.

Perso nelle mie elucubrazioni mi sporsi leggermente oltre la tenda, andando ad urtare il mio amico.

Tremava come una foglia. Non è mai stato fatto per questo tipo di cose; so che mi seguirebbe anche in capo al mondo, ma i suoi nervi ne risentono puntualmente, soprattutto mai come in quell'occasione.

Devo, però, essere sincero con me stesso: quella situazione richiese tutto l'autocontrollo in mio possesso per evitare di ridurmi come il dottore.

Quindi, esitando un paio di volte, sfiorai la mano di Watson, infilando le dita nel suo palmo e racchiudendo il suo in una stretta rassicurante. Avrei voluto essere più delicato, ma ne avevo quasi bisogno.

Lo sentii prima irrigidirsi e poi rilassarsi al mio tocco. La sua ritrovata calma e il tepore che le sue mani sprigionavano riuscirono a far ragionare meglio anche me.

Si voltò verso di me e scorsi piena fiducia e affidamento in quei suoi occhi chiari, e cercai di mostrarmi il più sicuro possibile.

Fino a che potei non posi fine a quel tocco, che, più che rassicurare il mio amico, serviva ad avere conferma che almeno lui non mi avrebbe mai abbandonato, come d'altronde non avrei fatto io.

In quel momento proteggere quel contatto era l'unica cosa importante, come lo è ora e come lo sarà sempre. 

 
   
 
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