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Autore: Iridia    24/06/2011    2 recensioni
Alhira, sedici anni, nessun passato. Solo un vecchio istinto la guida attraverso il mondo, soltanto dolci occhi ambrati vede nel suo riflesso, nessuna traccia di una vita dimenticata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Città di Cristallo




-Ragazzina, non puoi stare qui. Vattene prima che ti ci tolga io.-
-Chi lo vieta?-
-Io, ed ora levati di mezzo.-
-No.- disse lei con leggerezza, quasi come se l'uomo burbero glielo avesse semplicemente chiesto.
-Cosa?-
-No.- ribadì.
-Brutta insolente … - con un braccio muscoloso le prese il mantello alla collottola e la tirò su di peso. Non le mancò il respiro, si sentì soltanto tremendamente infastidita.
Con pochi movimenti si sfilò il mantello, lo prese dalle mani del pescatore e gli tirò un pugno in pieno viso. Si sentì uno schiocco forte e netto. Alhira seppe che non era la sua mano. L'uomo barcollò un attimo tenendosi il volto, così lei ne approfittò per spingerlo in acqua con un calcio.
-Cosa sono, un pupazzo? Credi di potermi trattare come tu vuoi?- lo guardò annaspare in cerca di aria mentre cercava di sguazzare verso il molo. Continuava ad affondare e a riemergere per sputare acqua.
-Un pescatore che non sa nuotare. Che scena patetica.- disse Alhira con un sorrisetto sulle labbra.
Non gli regalò neanche un attimo in più della sua attenzione e si diresse verso il centro di Asidi; siccome non poteva nemmeno star sul molo a godersi il sole mattutino, almeno sarebbe riuscita a trovar qualcosa da fare in città.
Il vociare del mercato non era ancora arrivato, perciò assaporò lentamente l'atmosfera di calma totale che regnava lungo il viale principale. Asidi, a differenza di Emtia era un grande insieme di opere architettoniche antiche e magiche. La "magia" derivava dai riflessi rosei che emanavano le pietre dei palazzi; grandi cristalli percorsi da venature azzurre. Li chiamavano Elora, venivano estratti dalle profondità marine grazie ad una collaborazione con le sirenidi, creature dal corpo per metà umano e per metà pesce. Alhira aveva scoperto anche che non tutte le sirenidi erano disposte a collaborare con gli uomini, infatti, molti anni fa, un gruppo di ribelli aveva distrutto il porto e tutte le navi presenti in esso. Secondo loro, l'alleanza stava distruggendo la loro casa, le cave stavano distruggendo il loro ambiente. Chi aveva deciso di stare con gli umani lo faceva solo per la ricompensa ed era mira di chi si opponeva al sistema.
Inoltre, Asidi, era comandata da un re. Alhira non poteva sopportarlo. Una sola, unica, mente prendeva le decisioni per migliaia di persone. Non lo aveva mai visto, e nemmeno avrebbe mai voluto farlo. Non le piaceva la monarchia. Preferiva che fosse il popolo a comandare se stesso.
Continuò a camminare, avvolta nel mantello scuro che aveva comprato con le poche monete che aveva con sé da una bancarella alquanto sinistra. Il mercante aveva un' occhio coperto da una fascia blu e tutta la sua figura era avvolta in indumenti neri come la notte. L'aveva chiamata vicino e le aveva dato un mantello semplice dicendole che le sarebbe stato d'incanto. Alhira aveva rifiutato sapendo di non poterselo permettere. "Oh non preoccupatevi signorina, non riesco più a venderlo, prendetelo." E così aveva finito per accettare.
Era arrivata da poco più di una settimana. Il viaggio era durato circa una decina di giorni. Non pensava da dove era partita, non lo voleva far tornare tra i pensieri, ed ora era felice perché non pensava, agiva.
Non si accorse di essere arrivata proprio di fronte al palazzo reale. Imponente, troneggiava su un grande spiazzo lastricato da pietre bianche come neve. Era composto da tre grandi corpi; Il palazzo vero e proprio, al centro una grande galleria aperta su entrambi i lati e dall'entrata alta quasi come il palazzo, ed infine, la torre. Tutte e tre le costruzioni erano adiacenti ed attaccate grazie a cristalli di Elora e pietre candide. Le mura erano irregolari, parevano conglomerati di cristalli e pietre, e non erano perpendicolari al suolo. La parte sinistra del palazzo era inclinata verso la galleria, ed anche la torre tendeva verso il centro del complesso. Al posto del tetto, erano posti cristalli di Elora grezzi di dimensioni ciclopiche che riflettevano la luce del sole, rendendo quello il punto più luminoso di tutta Asidi. L'entrata era altra la metà di quella della galleria, sulla sinistra, una scultura di una sirenide accoglieva gli ospiti, e poco più in là, il mezzobusto dell'attuale Re, grande più di un uomo ed in Elora dalle venature più scure, osservava con un cipiglio severo tutta la piazza da una nicchia scavata nella parete.
Tutte le volte che Alhira lo vedeva non poteva far altro che rimanere a bocca aperta. Decise di entrare nella galleria per ammazzare il tempo, ed anche un poco per curiosità nei confronti delle opere d'arte che racchiudeva.
Le due guardie la squadrarono da capo a piedi, perciò si tolse il cappuccio del mantello per apparire meno misteriosa. I passi rimbombavano come se fossero tuoni, l'altezza della struttura sembrava sottolineare quanto insignificante lei fosse. Statue di antichi sovrani, sirenidi, onde e colori decoravano le pareti mentre dal soffitto filtravano fili di luce bluastra. Alhira si fermò davanti alla scultura di una donna. Portava un lungo abito fatto di candida roccia bianca, la sua pelle era di Elora e le pupille di zaffiro brillavano di milioni di riflessi. La fissavano. Osservò che la scultura teneva nella mano destra una lunga spada dalla lama sottile, l'elsa era decorata con radici e pietre preziose, foglie e rami erano stati creati dal metallo lucente. "Ferah, Regina di Asidi." diceva la targa dorata alle sue spalle. Mentre per altri re ed eroi era narrata la loro storia, per Ferah vi era soltanto quella breve inscrizione.
-Era una donna. Non servono altre spiegazione, è già strano che compaia tra i volti importanti.- disse una voce dietro ad Alhira, dall'altra parte della galleria.
Alhira si voltò a guardare chi aveva pronunciato tali parole e, mascherando la propria sorpresa, vide una giovane dai capelli lunghi e neri come pece, lisci e leggeri, gli occhi di ghiaccio e le labbra rosse e carnose. Indossava un mantello che la ricopriva dalle spalle fino alla punta dei piedi.
-Ferah è stata un'eroina, una guida per tutte noi. E tutto quello che hanno potuto dire di lei sono state quattro parole.-
Alhira la fissò per qualche istante e, come se la ragazza non fosse mai stata lì, tornò a guardare la scultura.
-Chi sei? Ti ho vista in giro da circa una settimana. Questa mattina sul molo, hai aggredito Torg.-
Alhira scocciata da quella vocina acuta fece finta di nulla. La ragazza le si avvicinò finché non le sussurrò all'orecchio:
-Le leggi sono severe qui. Posso darti un lavoro ed un alloggio.-
-La mia vita non è affar che ti riguarda.- le stava dando davvero sui nervi.
-Seguimi e parleremo, qui non è il luogo adatto.-
-No. Non voglio aver a che fare con te. Vai ad importunare qualcun altro.- disse Alhira fredda.
-Forse non hai capito. Ti verranno a cercare. O lavori o te ne vai da qui.-
-Che mi vengano a cercare, allora.-
-Potrai anche vivere nell'ombra, rubare il cibo, far quel che ti pare perché tanto sei una brava combattente, ma se davvero non vuoi finire dietro le sbarre, ti conviene ascoltarmi. Voglio solo aiutarti. Se non ti fidi, veni oggi, a mezzodì, sul molo. Ci sarà gente, testimoni, mi troverai dov'eri tu questa mattina.-
-Certo.- disse Alhira con tono di noncuranza sperando se ne andasse presto.
-Pensaci.- disse la ragazza allontanandosi silenziosamente nella galleria.


Solo per curiosità, per noia, Alhira fu al molo quando il sole era alto sopra la città. La ragazza la stava già aspettando.
-Sono Calen, in caso tu lo voglia sapere.- Attese che anche Alhira si presentasse, ma non ottenne nessuna risposta.
-Re Thorpen aiuta chi ne ha bisogno offrendogli un lavoro ed un alloggio. Chi rifiuta, o si trova qualcosa da fare, oppure viene allontanato dalla città, e se ha infranto più volte le legge, viene rinchiuso quanto basta per fargli scontare la pena.-
-Piuttosto severo come Re.-
-Si preoccupa soltanto di rendere Asidi una città ordinata.-
-E tu perché mi stai dicendo tutto questo? E' il tuo Re che ti manda?-
-Lui mi ha aiutata quando sono arrivata qui, mi ha dato un luogo dove vivere, cibo, un tetto. Ho pensato che avessi bisogno di qualcuno.-
-Grazie, ma posso arrangiarmi da sola.
-Vieni, provaci. Solo per oggi.- perché Calen insisteva così? Alhira la trovava opprimente, si pentì subito di essere venuta.
Forse avrebbe potuto accettare, solo per quel giorno, solo per vedere. Il suo istinto le diceva di andare, magari le avrebbero dato un lavoro che le sarebbe piaciuto o un bel luogo dove vivere, anche se sapeva di non potersi aspettare troppo.
-Cosa devo fare?-
-Seguimi.-
Mentre camminavano Calen non smise di parlare un attimo solo, ma specialmente, le fece tante domande.
-Da dove vieni?- fece dopo un minuto di silenzio, il massimo che Alhira era riuscita ad ottenere.
-da Nord.- meglio essere vaghi, non pensare a …
-Nord dove?- disse Calen insistente.
-Nord Nord.- troppo tardi.
Il ricordo di Emtia le inondò la mente e la barriera che aveva costruito dopo essere partita crollò con fragore dentro di lei. L'immagine di Ren le strinse lo stomaco facendola fermare. Rivide gli occhi di Iethan, sentì la sua mano. Il suo pugnale puntato dritto contro di lui. "Addio".
Iethan. Lo aveva ferito, lo sapeva. Se solo non fosse andato a cercarla, se non si fossero salutati ora tutto non farebbe così male.
-Tutto bene?- chiese una voce lontana, forse era Calen.
Il volto di Gelil che la fissava come si fa con gli assassini, il mare che le avvolgeva le caviglie, la paura di quell'uomo misterioso, la luce che cadeva dal cielo e Iethan che le raccontava di sua madre. I flashback e il bisogno di sapere del suo passato, il temporale, il vento, l'odore di salsedine. Ricordi. Gli unici che aveva, la investirono come un'onda d'urto. Aveva vissuto in un angolino, l'Alhira che era nata a casa di Iethan era stata sopraffatta da quella vecchia, già presente nel suo profondo. Come una belva si era impadronita del corpo e della mante, liberandola. Aveva agito come l'istinto le aveva detto, aveva fatto quello che voleva, senza pentirsi, senza sensi di colpa. Ed ora?
-Ehi, stai male?- continuava a dire la voce lontana.
Alhira. Era di nuovo lei, l'essere spaesato, la ragazza senza memoria.
-Tutto bene. Andiamo.- disse con un sussurro.
Calen non aprì più bocca. Alhira camminava con lo sguardo perso nel vuoto mentre la sua mente pensava, rimuginava, il suo cuore sentiva, il suo corpo scopriva di avere ancora sensazioni.
Il palazzo reale questa volta non la fece rimanere a bocca aperta; le tolse il respiro. La luce che emanava era magica, i colori si riflettevano sul lastricato bianco, il mezzobusto di Thorpen sembrava potesse animarsi da un momento all'altro tanto era realistico. Giunte davanti all'ingresso, le guardie spinsero le grandi ante di metallo per farle entrare. Non chiesero nulla, e questo ad Alhira sembrava strano. Si limitarono a fare un cenno a Calen. Gli occhi delle ragazze si illuminarono di raggi dorati che provenivano dai cristalli del soffitto, l'aria era fredda, una sensazione piacevole. C'era silenzio, la sala era vuota. Un lungo tappeto blu scuro andava dritto dall'entrata fino ad un trono dorato posto su un rialzo alto circa un braccio, decorato con cristalli di Elora, brillava vuoto alla luce del pomeriggio.
Alhira si sentì a disagio, ebbe una fitta allo stomaco, ma non seppe per quale emozione, paura o una qualche specie di imbarazzo. Vedere lo scranno vuoto la mise in soggezione. Calen la fermò e rimase in attesa. Alhira si guardò attorno; il soffitto pareva una vetrata, sculture decoravano le pareti, il pavimento era dello stesso bianco della piazza, ma solo più lucido, ci si poteva quasi specchiare. A destra ed a sinistra della sala vi erano numerose porte, tutte uguali, tutte a volta a sesto acuto, come ogni entrata in quella costruzione. Calen non fece nulla, aspettò immobile senza far un minimo rumore o cercare qualcuno. Non pareva a disagio, anzi, sembrava piuttosto sicura di sé.
Si udì un cigolio provenire da una porta laterale. Poco dopo essa si aprì e ne uscirono due guardie che si andarono a disporre ai lati dello scranno. Alhira, impaziente, cercò di scorgere cosa vi era dietro a quelle ante, ma subito vide una figura alta arrivare, così tornò a fissare la punta dei suoi stivali. I passi rimbombarono nell'immensa sala. Alhira non poté resistere alla curiosità; alzò per un secondo gli occhi sull'uomo che si stava avvicinando al trono. I capelli castani e mossi gli arrivavano al collo, gli occhi scuri erano quasi nascosti sotto le folte sopracciglia, la fronte era alta ed il naso aquilino. Il viso allungato e la figura snella lo facevano apparire leggero.
Re Thorpen salì i pochi gradini e si sedette sullo scranno. Alhira guardò Calen, che però stava rivolgendo un profondo inchino al Re.
Imbarazzata, si affrettò a fare lo stesso.
-Oh, Calen. Chi mi avete portato oggi?- disse con voce calda e profonda.
-Vostra Maestà, vi ho portato una ragazza in cerca di alloggio e lavoro, ho pensato che voi avreste potuto aiutarla.-
-Quale sarebbe il vostro nome?- chiese rivolgendosi ad Alhira. Lei abbassò lo sguardo ed arrossì violentemente.
-Alhira.- disse con voce tremante.
-Alhira … - ripeté Thorpen tenendosi il mento tra il pollice e l'indice, come se quel nome gli dovesse ricordare qualcosa.
-E da dove venite?-
-Emtia.- disse lei sperando che non le chiedesse altro su quel villaggio. Calen guardò Alhira e poi il Re, lui squadrò la nuova arrivata da capo a piedi. Alhira lo trovò strano.
-Avete vissuto lì?-
-Sì.-
-Bene. Calen vi accompagnerà al vostro alloggio.-
Basta così? Non vuole sapere nient'altro? Perché? Confusa, Alhira salutò Thorpen con un inchino mentre lui si allontanava dal trono. Quando furono di nuovo sole nella grande sala e le guardie ebbero lasciato la loro postazione, piombò il silenzio.
-Ed adesso?- chiese Alhira vedendo Calen ancora immobile.
-Vieni.- con uno scatto si riprese e il sorriso spuntò di nuovo sul suo volto.
Mentre attraversavano grandi corridoi e porte decorate con bassorilievi, Alhira ne approfittò per fare qualche domanda.
-Perché è durata così poco "l'udienza"?-
Sulle prime Calen parve non voler rispondere, poi disse voltandosi verso la ragazza:
-Re Thorpen riesce a leggere tutto di una persona soltanto guardandola. E' una grande capacità per un sovrano.-
-Anche per te è stato così?-
-Sì.- disse con un po' di esitazione nella voce. -Vedo che entrare qui ti ha resa meno acida.-
Alhira non ci fece caso:
-Che tipo di lavoro mi daranno?-
-Ti piacciono gli animali?-
-Un poco.- disse mentre un brivido le percorreva le braccia.
-Bene!- Calen sembrava aver acquistato un'aria solare ed entusiasta.
Attraversarono qualche altra sala e presto giunsero alla porta che dava su un cortile interno. Lungo il perimetro erano poste le stalle, al centro vi era un recinto, ma sotto al sole cocente non sembrava esserci anima viva. Era enorme, Alhira riuscì a scorgere una costruzione molto alta dall'altro lato del cortile, ma per la troppa luce non riuscì a distinguere cosa fosse esattamente.
-Ecco, nelle stalle vi sono i cavalli dei migliori cavalieri di Asidi, là a destra si trovano gli animali dei figli del Re e … -
-Ha figli?- chiese Alhira stupita.
-Sì, due. Invece sotto quella tettoia, in fondo, si trova Lauce.-
-Cosa è Lauce?-
-Il drago di corte, è un essere magnifico. Non ti ci avvicinare, chiaro?-
-Certo.- la tentazione di vederlo era forte.
Vide però che il palazzo non chiudeva totalmente lo spazio aperto, infatti, dopo la tettoia di Lauce si poteva vedere il mare attraverso un enorme cancello dorato.
-Vieni, ti mostro la tua stanza.-
Ci vollero una decina di minuti perché gli occhi tornassero a vedere bene all'interno delle mura.
In poco tempo arrivarono agli alloggi della servitù. La sua stanzetta era spoglia e minuscola; vi erano un letto ed una cassapanca. Sopra di essa erano posti degli indumenti piegati.
Non poteva essere così male, pensò Alhira.

Era stata ottimista. Quando non ci fu più luce, Alhira tornò negli alloggi. Non era sfinita come gran parte dei suoi compagni; il suo fisico si poteva permettere sforzi ben maggiori. Mentre camminava nel lungo corridoio sul quale si affacciavano innumerevoli stanze identiche alla sua, Calen la raggiunse di corsa.
-Alhira, come va?-
-Bene, circa.-
-Non vieni a mangiare?-
-Giusto, mi ero dimenticata.-
-Ti … eri dimenticata di mangiare?- disse Calen sorridendo. Alhira rise con lei e la seguì fino alla mensa.
Durante tutto il pomeriggio aveva pulito le stalle dei cavalli assieme ad un uomo di nome Kal e ad una donna di nome Gwel. Erano persone simpatiche, socievoli. Le avevano raccontato della loro vita, ed il tempo era passato in un attimo. Alhira era taciturna, non voleva far parole di sé, perciò si limitava ad ascoltare le storie altrui.
Calen si sedette accanto a lei portando due ciotole di minestra fumante. Iniziarono a mangiare mentre la sala si riempiva poco a poco.
-Quindi … Emtia eh? Come sei arrivata qui?- disse Calen, per aprire una discussione, ma forse più per curiosità.
-A piedi.-
-Ed hai sempre vissuto lì?-
-Calen, non ne voglio parlare.- non voleva ricordare né Iethan, né Gelil e neanche Ren. La ragazza si fece silenziosa per qualche minuto, il tempo per mandar giù qualche altro cucchiaio, e poi riprese.
-Cosa facevi prima di venire qui?-
Alhira sospirò e non rispose, lo stomaco le si contrasse e la fame se ne andò. Spinse via la ciotola, biascicò qualcosa che poteva sembrare un "non ho appetito" a Calen e si diresse verso gli alloggi mentre le immagini di Emtia la torturavano.



-Ril!-
Lei si volta, è coperta di fuliggine, i suoi occhi azzurri pieni di lacrime. Le mie gambe sono deboli, non riesco a camminare, dannazione. Ril mi viene incontro, un po' barcollante, i suoi capelli di solito così lucenti e morbidi, ora sono pieni di cenere, i suoi vestiti sono macchiati. Mi sorride, negli occhi il terrore. Si avvicina con passo incerto. Le getto le braccia attorno al collo, e lei mi stringe forte a sé. La sento piangere, le sue braccia sulla mia schiena, il suo odore che ancora riesco a sentire, la sua voce rotta dai singhiozzi. Non riesco più a reggere, le mie ginocchia cedono lentamente e Ril cade assieme a me.
-Se la caveranno?- disse piangendo. -Devo andare! Non posso lasciarli lì!- grida disperata mentre cerca inutilmente di alzarsi. Le tengo le mani, la tengo vicina a me, lei non può andare. Siamo deboli, moriremmo dentro a quell'inferno di fiamme.
-Ril, calmati … Ce la faranno.- le dico, la mia voce è rauca.
La casa brucia lentamente, ma nessuno sembra uscirne.
Un battere leggero sulla porta l'aveva svegliata dal sonno. Le ci volle un po' per riprendersi.
-Alhira apri, per favore.- sussurrò qualcuno.
-Chi è?-
-Calen- Alhira sospirò ed andò ad aprire.
-Scusa per prima, è che ogni tanto mi faccio prendere dalla curiosità.- disse Calen con tono poco convinto.
-Non fa nulla, non ti preoccupare.- rispose Alhira mezza addormentata.
-Bene allora, a domani.- ed andò a chiudersi nella stanzetta accanto alla sua. Tutto qui? L'aveva svegliata per farle delle scuse molto probabilmente false?
Alhira, ancora sulla soglia, si svegliò completamente e realizzò del sogno appena compiuto. Il cuore le prese a battere forte; finalmente aveva un indizio rilevante, Ril. Non sapeva perché l'aveva abbracciata, i sentimenti verso quella figura tardavano a tornare. Si sdraiò sul letto ripetendosi quel nome nella mente, mentre le immagini dell'incendio si susseguivano nitide tra i suoi pensieri.
Ril. La rivide. Gli occhi grandi e spaventati, di un azzurro tendente al grigio, il suo viso delicato sporco di fuliggine. Ril. L'abbraccio, la sua paura. Chi erano le persone ancora chiuse nella casa? Perché entrambe le aspettavano disperate? Ril.
Da un angolo del suo cuore, un punto di calore iniziò a farsi strada nel suo petto. Era una sensazione, una consapevolezza, che poco a poco la invadeva. Le orecchie iniziarono a fischiarle, Alhira strinse le lenzuola.
Il punto caldo ora era una fiamma che bruciava, la stava divorando, la testa lavorava cercando i ricordi rinchiusi chissà dove. Sembrava un labirinto. Un carcere a forma di labirinto, ed ora l'unica cosa che voleva era trovare la cella di Ril ed aprirla. Poco a poco sentiva di essere vicina, percepiva la sua presenza.
Aveva chiuso gli occhi; il buio l'aiutava a concentrarsi.
La sua mente continuava a cercare tra le stanze buie, quella con sopra scritto Ril.
Eccola. Come un bagliore, come un punto di calore, come il primo raggio di sole dopo la notte.
Sua sorella, la metà della sua anima, la donna che l'aveva cresciuta, la donna che era stata sua madre. Il fuoco nel suo petto diventò dolce, una sensazione piacevole, le invase ogni arto, ogni vena. Con uno scatto si levò a sedere.
-Ril!- le mani tra i capelli corti e scuri, il cuore che batteva talmente forte da poter impazzire. L'aveva trovata.
Un'ombra passò davanti alla sua porta.


La notte passò tra lacrime e domande. Raggomitolata fra le lenzuola, Alhira aveva pianto per la nostalgia, la paura, la voglia di sapere ancora. Nel silenzio stellato, non chiuse occhio.
All'alba, con scure occhiaie, si recò alla mensa. Era stata una tra i primi ad alzarsi; vi erano soltanto due donne e la cuoca che chiacchieravano sottovoce. Quando Alhira fece il suo ingresso nella sala, si fermarono per un secondo e poi ripresero a discutere di quanto scortesi erano alcuni cavalieri nei loro confronti. La ragazza si sedette ed appoggiò i gomiti al tavolo reggendosi la testa sui palmi. Per un attimo temette di poter lasciar andare una lacrima, ma la cuoca si era avvicinata con aria preoccupata:
-Cosa ti porto, tesoro?- disse appoggiandosi con le sue grosse braccia al legno scricchiolante.
Alhira alzò gli occhi su quel viso paffuto e roseo. La donna avrà avuto circa una cinquantina d'anni portati male.
-Hai proprio una brutta cera, ti ci vorrebbe una tazza di latte … ne vuoi?-
Alhira si limitò ad annuire e ad accennare un sorriso. La cuoca scomparse nella cucina con passo svelto.
Ora dov'era Ril? Cosa stava facendo? E perché non era con lei? Perché sentiva di avere ricordi, ma non poteva liberarli? Poteva andarla a cercare. Poteva partire quella stessa mattina, in fondo Calen era solo fastidiosa, ed anche se lì la servitù era trattata meravigliosamente in confronto ad altri palazzi, non avrebbe perso nulla. Sola con i suoi pensieri sarebbe andata alla ricerca di Ril. Il piano era quello; sparire, un'altra volta.
-Ecco, mangia, ti sentirai meglio.- disse la cuoca spingendole la ciotola sotto gli occhi e poggiandole vicino un pezzo di pane ed un frutto.
Ritornò a sedersi con le compagne ed Alhira iniziò a mangiare. Fortunatamente le tre donne erano impegnate e di spalle, perché gli occhi della ragazza si fecero lucidi e le ciglia divennero umide. Scacciò la voglia di sfogarsi e trangugiò la mela aspra che aveva ricevuto.
Quella mattina non vide Calen, e di questo fu contenta. Appena entrarono anche gli altri nella mensa, Alhira si alzò e si diresse dal supervisore delle mansioni; Blaet, un omino magro e smunto dall'aria severa. In verità Blaet era simpatico, ma di poche parole.
Mentre faceva scorrere il suo dito nodoso sulla pagina del registro, Alhira riuscì a scorgere qualcosa. In una calligrafia piccola e squadrata lesse pochi dei tanti nomi delle stanze del palazzo. Tra quelli però, vi compariva anche "Biblioteca, Sala Prima", "Biblioteca Sala Seconda", e così via. Ebbe un'idea, forse stupida, ma comunque era qualcosa.
Blaet parlò con voce assonnata:
-Oggi sei dalle selle e dai finimenti. Attenta a non far danni.- disse sbadigliando rumorosamente.
-Certo.- e subito andò al lavoro.
Gwel era già intenta a lucidare una sella quando Alhira la salutò.
-Che ti è successo? E' stato duro il primo giorno?-fu la sua reazione davanti alle occhiaie della ragazza.
-No, ho soltanto tanti pensieri per la testa. Ieri hai detto di aver vissuto in un'isoletta al largo di Emtia, giusto?-
-Oh sì, non sai che pace!- iniziò la donna. Alhira ascoltò tutto quello che aveva da raccontare mentre lucidava selle, puliva le redini, spazzolava i sottosella e strofinava le staffe fino a farle brillare. Ril le tornò in mente soltanto due volte.



Finirono presto, così Blaet le mandò nella stalla dove erano tenuti animali dei figli del Re. Due meravigliosi cavalli mangiavano placidamente, uno era palomino, la criniera era raccolta in numerose treccine chiuse da nastri di color azzurro, come gli occhi dell'esemplare, l'altro era completamente nero con la criniera oltremodo lunga e priva di qualsiasi decorazione. Alhira andò in fondo alla stalla a prendere gli attrezzi per pulire quando dal un angolo buio sbucò una creatura nera come la notte. La ragazza si bloccò di colpo cercando di capire cosa fosse.
L'essere avanzò piano verso di lei, ringhiando e mostrando i denti. Assomigliava ad un lupo, ma la conformazione del muso tradiva la sua discendenza canina. Le orecchie basse e gli occhi dorati, le zampe piegate pronte a scattare. Alhira fece un passo indietro, calma; la vecchia lei sapeva perfettamente come gestire certe situazioni.
Non era ancora entrato nessuno. Era sola assieme ad una cane enorme e aggressivo. Da dove veniva? Come era arrivato all'interno della stalla? Fece un altro passo indietro, senza movimenti bruschi o rumori. L'animale avanzò ancora.
Un forte fischio gli fece perdere l'attenzione. Ora il cane fissava un punto dietro ad Alhira con curiosità. Una figura esile e dai capelli talmente biondi da sembrar quasi bianchi avanzava con innata leggerezza. Completamente vestito di nero, il ragazzino chiamò l'animale con uno schiocco della lingua. Alhira lo guardava con un misto di sorpresa e di dubbio; chi era?
-Spero non vi abbia creato problemi. Ha difficoltà ad accettare i visi nuovi.- Alhira si sentì lusingata nel sentirsi dare del "voi" da un ragazzino di circa tredici o quattordici anni.
-No, va tutto bene.- rispose lei.
-Buona giornata, allora. War, Vieni!- e con l'eleganza di un principe, il ragazzino biondo ed il suo lupacchiotto se ne andarono.
Alhira prese ciò di cui aveva bisogno e tornò dai cavalli. Iniziò a pulire ed versare loro acqua e cibo. Quando arrivò anche Gwel, le chiese del ragazzino. Lei spalancò gli occhi e con voce bassa le chiese:
-Non gli avrai mica detto qualcosa, giusto?-
-Perché? Non sarà … - e si bloccò per un attimo.
-E' uno dei figli di Thorpen!- per fortuna Alhira non aveva lasciato che fosse la vecchia lei a parlare; avrebbe rimproverato il principe per non tenere a bada il proprio cucciolo, e di questo se ne fu altamente grata.



La notte arrivò portando con se grosse nuvole cariche di pioggia e fulmini. Mentre Alhira si recava alla mensa con lo stomaco che reclamava cibo, venne fermata da Calen, la quale la seguì e si accomodò proprio di fianco a lei.
-Come è andata oggi? Raccontami tutto!- disse entusiasta.
-Ma da dove la tiri fuori tutta questa energia a fine giornata?- le chiese mentre riceveva la propria ciotola di zuppa ai legumi.
Calen parve offesa ma poi continuò a tormentarla. Alhira le parlò delle mansioni che le erano state assegnate e del suo incontro con il principe.
-Invece tu dove sei stata oggi?- le chiese per poter finalmente mangiare la cena.
-Emh … io … ho dovuto fare delle commissioni.- l'indecisione di Calen fece insospettire Alhira.
-Pensi che tra qualche giorno possa ottenere qualche lavoretto in biblioteca?-
-Perché?-
-Mi piacciono i libri.- mentì spudoratamente.
-Posso provare a parlarne con Blaet se ci tieni.-
-Meraviglioso.- disse Alhira sorridendole. Ormai con Calen recitava, se fosse stata sé stessa, vecchia o no, non si parlerebbero più.
Mentre tornavano agli alloggi, Calen riportò il filo della discussione sul passato di Alhira.
-Calen, quando vorrò parlarne con qualcuno, ti farò sapere.-
La ragazza non aggiunse altro e la salutò chiudendosi nella sua stanzetta.
Alhira rimase sola, assieme al ricordo di Ril. Sarebbe stato avventato partire, lasciar di nuovo tutto e rischiare di soccombere alla vecchia lei. Aveva qualche indizio; il nome di sua sorella, l'incendio, il pugnale. Forse avrebbe potuto fare qualche ricerca in biblioteca, ma sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Però tentar non nuoce, pensò.
Si distese sul letto, e neanche un minuto dopo lacrime calde le rigarono il volto. Se di giorno il lavoro la teneva occupata, la notte portava silenzio e calma, ambiente dove i ricordi si ripetevano e le domande sorgevano a migliaia.
La pioggia insistente ed i tuoni la tennero sveglia fino a notte fonda, quando dalla stanza accanto arrivò un cigolio, lo stesso di una maniglia arrugginita. Poi lo scricchiolio di un'asse fece alzare Alhira, che rimase a scrutare la porta. Un'ombra vi passò davanti, come la notte prima. Avrebbe dato qualunque cosa pur di potersi tener impegnata, così si avvicinò all'uscita ed aprì. Il meccanismo non fece alcun rumore. Fece appena in tempo a vedere un lembo di mantello sparire dietro l'angolo in fondo al corridoio. Veloce, cercò di seguirlo, ma udì scattare la serratura del portone che collegava il palazzo lussuoso alla parte adibita alla servitù. Si arrestò davanti alla mensa deserta ed illuminata dai lampi improvvisi provenienti dalla stretta finestra posta in un angolo. Nulla si muoveva, si udivano soltanto piccoli rumori provenire dalle stanze. Non poteva fare nient'altro, se non … un sorriso le illuminò il volto e, come un'ombra si diresse verso le stalle. La porta si aprì senza darle problemi. I cavalli dormivano serenamente, mentre War accovacciato su un mucchietto di fieno, si svegliò non appena Alhira gi passò accanto. Il cane non fece alcun rumore e cominciò a seguirla. Chissà perché le stava vicino dopo averle ringhiato contro soltanto qualche ora prima. Alhira non si fermò ed in poco tempo raggiunse ciò che cercava. Una porticina in metallo con sopra un cartello che diceva a caratteri cubitali "Vietato Entrare". Non l'avrebbe vista nessuno, non si sarebbe fatta sentire. Provò ad aprire ma la porta era chiusa a chiave. Si guardò attorno e War se ne andò. Non sapeva come poter entrare, ma la curiosità le pompava adrenalina nel corpo e l'aria carica di tempesta la faceva sentire viva. Pose l'orecchio sul freddo metallo e quello che udì la fece fremere. War tornò completamente fradicio tenendo in bocca un anello con appesa una lunga chiave argentata. Stava forse scherzando? Ad Alhira brillarono gli occhi per la felicità. Prese la chiave e tentò di accarezzare il cane, che però si ritrasse dalla sua mano, così scuro che si confondeva tra le ombre della stalla. La serratura scattò con un rumore sordo e War entrò per primo.
Le torce erano accese, il respiro di Lauce era pesante e lento, ma qualcuno era arrivato prima di lei.
-Siete nei guai.- disse il ragazzino dai capelli dorati alla luce del fuoco. Non si voltò nemmeno.
Alhira trattenne il respiro mentre il cuore saltava un battito. Che stupida. Perché era andata fin lì? Avrebbe tanto voluto saperlo. Stupida!
-Venire nella stalla del drago di corte nel pieno della notte, potrebbe essere considerato un comportamento sospetto, non trovate?-
Alhira non fece parola ed il ragazzino le si avvicinò. Lei era schiacciata contro il muro, la porta si era lentamente chiusa e War ora se ne stava in disparte.
-Siete pregata di fornirmi una buona scusa per essere qui, prima che veniate arrestata.-
-I-io … ero venuta per vedere Lauce.- disse con un sussurro.
-E così disprezzate tanto le regole … - le fece segno di far il proprio nome.
-Alhira.-
-Alhira. Curiosità? Non dovete tener molto alla vostra incolumità se girovagate per la corte senza permesso alcuno.-
-Sono molto spiacente, vi assicuro che non accadrà mai più, vostra altezza.- ed abbassò leggermente il capo sperando con tutta sé stessa che non la facesse rinchiudere.
-Le scuse non bastano a giustificarvi.- il ragazzino si voltò e si avvicinò a War. -In ogni caso, potete ritenervi fortunata, potete osservare il drago prima che veniate portata via.
Ad Alhira venne la pelle d'oca. Fece scivolare la propria schiena contro la parete e si sedette, le ginocchia strette al petto. Lauce aveva perso di interesse e la pioggia non le trasmetteva più nulla. Continuava a ripetersi da sola quanto fosse stata stupida, irresponsabile, e tremendamente ingenua.
War sbadigliò e, come se la conoscesse da sempre, si acciambellò accanto a lei.
-Non ho un passato.- disse la ragazza fissando la terra rossastra e polverosa davanti a sé. -Mi sono risvegliata ad Emtia senza ricordar nulla. Non sapevo nemmeno il mio nome.-
-Per quanto la vostra storia possa essere affascinante, non è a me che dovete raccontarla.-
-So che prima di perdere la memoria, sapevo combattere, ero diversa. Ed ora i ricordi riaffiorano poco a poco, e fanno male. Tutte le persona che amavo, tutta la mia vita; dimenticati. Poi, ieri notte, ho ricordato qualcosa. Ho rivisto mia sorella. Ho visto un incendio bruciare la mia casa.- fece una pausa ed il ragazzino non disse nulla, attento alle parole di Alhira.
-E' come perdere la colonna che ti ha sostenuto, come sentire di non avere più una luce. Non so da dove vengo, non so dove sia lei. Non so se è viva. Ma è il mio cuore, è mia sorella.-
-Occupa la mia mente ogni singolo istante, ma se riesco a concentrarmi sul mio corpo, il dolore sparisce. Questa notte non potevo dormire, non riuscivo a non pensare a lei. Qualcuno è andato nel palazzo e l'ho seguito … ed alla fine mi sono lasciata trascinare.-
-Aspettate, qualcuno è andato nel palazzo?- chiese stupito. Alhira non rispose, non lo stava ascoltando.
Forse il commento del ragazzo ebbe un tono più acuto, perché Lauce emise un grugnito e sbatté la coda a terra. Aprì lentamente gli occhi azzurri come zaffiri e fissò Alhira. Il drago era completamente bianco, alto al garrese quanto un uomo. Aveva un collo sinuoso, le zampe possenti erano provviste di enormi aculei, le ali, piegate su sé stesse, avevano una lieve sfumatura azzurrina. Lauce la osservò a lungo, e dopo aver sbuffato, si rimise a dormire.
Lo sguardo del ragazzino andava dal drago ad Alhira.
-Quindi non ricordate nulla.- disse lui con voce bassa.
Alhira appoggiò la testa alla parete e chiuse gli occhi, ignorando qualunque suono le giungesse. Sentì War cercare di appoggiarle il capo sul grembo, quasi come un cucciolo. La ragazza distese le gambe ed il cane si addormentò su di lei.
La sua vita era ridicola, pensò. Era sempre corsa via ed adesso se ne stava lì come una stupida, la vecchia lei avrebbe lasciato il palazzo dal primo minuto passato nel suo alloggio. Ora invece, l'Alhira che era nata ad Emtia si era cacciata nei guai, ma quella vecchia si era come nascosta nel labirinto della sua mente e non ne voleva sapere di tornar fuori.
Sentì il ragazzo avvicinarsi e sedersi a poca distanza da lei, anche lui con la schiena al muro.
-Raccontami ancora.- disse lui, dimenticando il "voi", lasciando da parte la nobiltà e comportandosi come avrebbe fatto …
Un pugno, dritto nello stomaco, colpì Alhira. Ma nessuno l'aveva sfiorata. Ricordò i suoi occhi. Iethan.
Respirò, e parlò a quel ragazzino come avrebbe fatto solo con lui.




La figura scivolava rapida tra le grandi sale del palazzo, gli enormi specchi riflettevano di lei solo un'ombra, i suoi passi erano leggeri. Le guardie sembravano non vederla, eppure lei faceva loro un cenno. La pioggia picchiava forte contro le finestre ed un fulmine illuminò il portone di Elora davanti al quale si era fermata. Battè un colpo, forte, che rimbombò ovunque coprendo per un attimo il ticchettio dell'acqua. Un tuono squarciò la calma.
Thorpen aprì e la figura entrò richiudendo la porta dietro di sé.
-Allora?- fece lui, immobile davanti alla grande vetrata della sala.
-Nulla ancora, Vostra Altezza.-
-Devi continuare ad insistere.-
-C'è il rischio che possa averne abbastanza. Non mi vuole parlare.-
-Hai un compito, vedi di portarlo a termine, con le buone, con le cattive, come preferisci.- disse il Re gesticolando.
-Hai tempo una settimana, Calen. Devi solo ottenere qualche informazione sul suo passato, non ti ho chiesto la sua testa. Pensi che direbbe qualcosa al Re? Per questo ci sei tu. Tu sei come lei, e sarai tu a riferirmi ogni singola parola che ti dirà.-
-Certo, Vostra Altezza. Ma se soltanto potessi sapere … -
-No! - la interruppe Thorpen, quasi urlando. - Non sono ammesse domande, lo sai. Ora va, lasciami solo.-
-Certo, Vostra Altezza. - disse Calen in un sussurro, e come era arrivata, se ne andò, silenziosa, con il mantello nero che la nascondeva.
Thorpen si sedette alla grande scrivania di legno talmente chiaro da sembrare bianco, i decori di oro e cristallo rilucevano argentei alla luce proveniente dalla finestra. Doveva sapere. Non poteva correre il rischio e aspettare. Una settimana era già troppo.







Mi scuso per il ritardo, mi son mancate le idee, e forse si vede anche... Non so... In ogni caso ho buttato giù la trama, tanto per non "capottarmi" da qualche parte. Non ho molte conoscenze sulla vita di corte, che ovviamente qui non è proprio come quella medievale, ma comunque è possibile che abbia scritto qualcosa che non sta nè in cielo, nè in terra e neanche nel mondo Fantasy xD Spero possiate perdonarmi ^^'' e comunque, vi ringrazio di cuore perchè leggere tutte le cavolate che scrivo è un'impresa nella quale il 99,9(periodico)% delle persone non riesce :)
   
 
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