Capitolo 4
Perfetta e Vuota
I cannot
sleep,
I cannot
dream
tonight.
( I Miss You- Blink 182 )
Guardalo bene il
tuo viso. E’ l’unica cosa che hai.
E
così mentre Marguerite la trucca, Emily si guarda allo specchio. Nello strano
clima ovattato che precede una sfilata, la sua testa rimbomba di voci passate;
e mentre si guarda allo specchio le sembra quasi di rivedere il film della sua
vita, scritto sulle rughe d’espressione che le disegnano la faccia.
Un colpo di
spazzola, Emily.
Devi essere
perfetta.
Due
colpi. Tre. Perfetta.
L’immagine
di sua madre le torna alla mente, la sera prima di andare a dormire: ancora col
suo tailleur nero e la sua camicia bianca, sempre con quei due o tre bottoni
aperti in un calcolo perfetto. E la catenina d’argento che si perdeva tra le
linee della pelle, mentre i boccoli d’oro, statici, incorniciavano un viso duro
ma bellissimo.
Emily
è cresciuta così, con la consapevolezza di dover essere solo che questo:
perfetta.
Solo se se
perfetta gli altri vorranno stare con te. Nessuno ti vorrà mai bene se prima
non sarai bella.
Ed
aveva ragione, Miss Dubois. Ha sempre avuto ragione.
Emily l’ha visto, se ne è accorta crescendo: i brutti, gli strani, gli intelligenti… nessuno voleva stare con loro. Erano piccoli
microcosmi della stessa specie, piccole matasse di adolescenti brufolosi e
obesi schifosi; e tutti desideravano esserle amici. O ragazzi.
Emily
è la classica donna che prima di essere donna è stata un’adolescente reginetta
della festa. Non le è mai mancato niente.
Solo
il cuore, qualche volta.
Così
mentre si guarda allo specchio si compiace per l’ennesima volta di se stessa;
il suo viso sembra quasi selvaggio, con la matita scura che ne sottolinea gli
occhi. E le sue ossa sono sorprendentemente sporgenti, sotto la pelle tirata e
liscia. Marguerite, muovendosi attorno al suo volto, crea piccoli miracoli di
fard; e contribuisce a cancellare ogni tentennamento e ogni segreto dalla sua
faccia.
Qualche
volta – quando si sente particolarmente vulnerabile e disarmata – Emily si
sente molto simile a Dorian Grey;
e le capita spesso di chiedersi se da qualche parte nel mondo non ci sia un
ritratto che si stia prendendo tutte le sue colpe.
-
Dubois. Dubois, tocca a te.
Armand,
l’uomo paurosamente eccentrico che gestisce i retroscena delle sfilate, si affaccia
per chiamarla; e Marguerite smette all’istante di pennellare, facendole cenno
di andare.
Per
un breve istante, che sembra dilatarsi all’infinito, Emily guarda la
truccatrice.
Non
in superficie, come fa sempre; in qualche modo, sembra andare più vicino che
mai. Come se i suoi occhi fossero una rete elettrica in grado di smolecolarizzare ogni particella del corpo dell’altra
donna, e di percorrere ad alta velocità, come fossero percorsi ad alta
velocità, tutte le sue vene; fino ad arrivare alle sinapsi e comprenderne i
pensieri.
Marguerite
non è bella. E’ una spagnola alta, irsuta, con una marea di capelli neri che la
fanno sembrare addirittura volgare; ha un corpo formoso, che nell’ambiente
definirebbero addirittura grasso.
Alcune modelle la guardano con evidente disprezzo, e il più delle volte anche Emily
si accoda a loro.
Ma
adesso no. Adesso, sulla scia dei propri pensieri, la giovane modella non può
fare a meno di provare una fitta d’invidia.
Perché
Marguerite, negli occhi, ha la forza. E ha tutta una vita un po’ puttana e un
po’ bastarda che le trabocca in ogni sfaccettatura dell’iride, e che sembra
quasi deriderla, lei e la sua bellezza. Di più, sembra provarne pena.
Come
fosse uno scarafaggio.
Irritata,
Emily si avvicina alla passerella, tentennando sui tacchi alti.
Lei
non sarà mai così. Non ce l’avrà mai quella forza. Camminerà sempre su tacchi
troppo alti sostenuta da gambe troppo ossute e ridicole; e quando non avrà più
i flash e i giornalisti a proteggerla, basterà una folata di vento a spazzare
via i suoi quarantadue chili.
*
La
fila di bicchieri scintillanti sul tavolo potrebbe quasi essere suonata con una
forchetta.
Louis
alza lo sguardo, riscuotendosi da tutto quel luccicare di vetro; i profili
distorti di Dennis e Cappie ruotano vorticosamente
nella stanza, in mezzo al mare di facce più o meno sconosciute che sembrano
quasi fissarlo, nascoste dietro alle posate e ai piatti in ceramica italiana.
Non
gli piace stare lì, gli fa venire la nausea. Una nausea forte e prepotente che
il più delle volte si estende a capogiri improvvisi, a un pizzicare fastidioso
nella gola, o al senso di bruciore negli occhi.
Louis,
ne è certo, vomiterà.
Mentre
Dennis continuerà a osservare vestiti troppo leggeri e Cappie
a starsene appoggiato al muro con lo sguardo perso nel vuoto.
Improvvisamente,
però, un colpetto sulle spalle lo riporta alla realtà; ed Emily, con il viso
ancora truccato per via della sfilata e un abito bianco leggermente
trasparente, sorride tranquilla e un po’ stanca.
Ha
qualcosa di strano negli occhi – una distorsione. Qualcosa di simile al buco
nero di una pellicola bruciata.
-
Sei venuto! – dice, contenta. E a Louis viene il dubbio che tutta quella
felicità in realtà non esista.
-
Mh, mi hai rotto le palle un secolo. Sono dovuto venire
anche per forza.
Se
ne pente quasi subito, di averlo detto; perché il viso di Emily cede come un’impalcatura
grottesca, e sembra diventare la furia di una tela sfregiata. La
trasfigurazione dura un attimo, ma Louis è un ottimo ladro; e quel frammento di
secondo se lo chiude nel cuore, sapendo già che finirà intrappolato nel testo
di una canzone.
Emily
si appoggia al tavolino, incrociando le braccia sul petto magro; alza una mano
per salutare qualcuno e poi, senza nemmeno guardare il ragazzo che ha accanto,
domanda col classico distacco da star;
-
Allora, come sta andando il nuovo album?
Si
vede che è la classica chiacchierata di convenienza; la sua voce ha quell’inflessione
cadente e un po’ melliflua tipica del disinteresse totale.
-
Bene, credo. Stiamo scrivendo… ma abbiamo un po’ di
problemi con alcuni dei testi. Niente che non si possa risolvere, ad ogni modo.
L’immagine
di Ian sta svanendo.
La
pura e semplice verità è questa; Louis ha lottato per trattenere i ricordi, ma
quelli se ne stanno andando. Si stanno sbiadendo pian piano, lasciando il posto
a nuovi particolari cerebrali – più vicini nel tempo.
Vicini
quanto il corpo di Emily che, teso sotto la stoffa, sembra quello di una dea
greca.
-
Hai ancora voglia di una canzone solo per te? – le domanda improvvisamente
Louis.
E
Emily sembra cadere giù dalle nuvole, come un palloncino ad elio. Tutto il suo
odio e la sua superficialità – il suo senso di superiorità, svaniscono. Sgrana
gli occhi così tanto che potrebbe entrarci tutto il cielo, lì dentro; e
sorride, stavolta sul serio. Magari, sorpresa dal fatto che qualcuno abbia
qualcosa da raccontare su di lei.
-
Lo faresti sul serio?
-
Sì. Ma devi venire con me, ora. Mentre ancora mi pizzicano le mani.
Lei
non se lo fa ripetere due volte.
E
Louis, manco a dirlo, la porta via. Fa un cenno di saluto a Cappie,
ancora appoggiato alla sua colonna; Dennis è sparito chissà dove, dietro a una
nuvola di seta rossa. Per un attimo, il pensiero va a Julie, chiusa nella sua
stanza come una principessa nella torre. Ma poi torna immediatamente alla mano
di Emily, stretta nella sua.
Oltrepassano
la gente, il marasma, i fotografi curiosi, i giornalisti appostati all’uscita;
e ben presto la macchina è lanciata dentro Seattle, lo stereo al massimo, le
luci fuori dal finestrino sono un vomito confusionale di emozioni.
E’
un passaggio rapido, questo. Che va a più di duecento chilometri orari. E’ un
viaggio che dura nemmeno mezz’ora, ma chiuso nelle parole si riduce a poche
sensazioni descrittive.
Il
bianco asettico dei sottopassaggi e i fari a neon; le puttane sul viale e chi
spaccia droga, un’ambulanza, e la polizia.
Dettagli.
Il mondo che ti trapassa le narici e te lo senti nell’anima che batte violento,
come una frequenza impazzita. Louis ne è drogato, di queste frequenze. Lo è
così tanto che il riceverle tutte insieme lo sballa, lo fa delirare; ed è un
delirio creativo e convulso, una necessità che gli impedisce di stare fermo.
Fa
fatica persino a respirare – perché respirare, sì, è diventata una funziona
secondaria.
E
il viso di Ian sembra sprofondare nella memoria,
quando improvvisamente realizza di trovarsi di nuovo a casa sua, nella Stanza
Spenta.
La
Stanza Spenta è il luogo sacro dove Louis raramente fa entrare qualcuno; si
tratta di un piccolo studio rettangolare, con una scrivania in legno e una
lampada bianca, di quelle dal design moderno. La scrivania è coperta di fogli,
c’è un portapenne rosso al lato. Sulla bacheca appesa sopra ci sono foto,
frasi, pagine di giornali. Due grandi quadri sulle pareti, una piccola libreria
a lato, un tappeto rosso a terra.
Emily
è in piedi, e non sembra spaventata, anzi.
Ha
tolto le scarpe, proprio come la prima volta. Ma sembra meno impostata – come se
tra loro, ora, ci fosse un’intimità diversa.
Louis
si avvicina a lei come se fosse un oggetto sacro. E negli occhi, può vedere
improvvisamente un lampo di paura e qualcosa che quasi non le appartiene;
forse, la semplicità di un’emozione simile a una piacevole e annichilente
febbre.
-
Louis… - mormora, a voce bassa. Ma lui le appoggia un
dito sulle labbra e, di riflesso, lei si ritrova a chiudere gli occhi.
-
Fidati di me. Non ti farò male.
Non ti farò
male.
Ne
farà solo a se stesso, Louis già lo sa. Lei resta in piedi, immobile; mentre
Louis, con la punta delle dita, accarezza il suo collo e scende fino alle
spalle; accompagna le spalline giù, insieme al vestito, facendolo scivolare
piano. Per qualche secondo, l’unico rumore che si sente è quello della stoffa
che scorre piano sulla pelle, e il tonfo attutito dell’abito che tocca la terra.
-
Sdraiati. – sussurra Louis all’orecchio della ragazza.
Lei,
accondiscendente, si rannicchia sul tappeto. E adesso è di nuovo ad occhi
aperti e sembra un po’ una bambola.
A
quel punto, il ragazzo si volta, perdendola di vista solo un istante; quel tanto
che gli basta per afferrare un pennarello dal portapenne e mettersi in
ginocchio davanti a lei.
Le
scansa una ciocca di capelli dal viso, guardandola; e si meraviglia nel
constatare che quella strana, fredda ragazza che si svende con estrema facilità
ha gli occhi lucidi.
-
Scriviamola insieme, ok? La scriverò sul tuo corpo…
Sulla tua pelle. Così rimarranno i segni, sotto. Sarà tua per sempre.
Lei
annuisce, andando a ricercare una sua mano per stringerla forte. E poi,
lasciandolo di stucco, dice piano.
-
Per favore, scrivi tutta la verità. Senza fronzoli o censure…
scrivi della persona orribile che sono. Così poi potrò lavarmi e cancellare
tutte la scritte e tenermi qualcosa dentro per ricordarmene sempre.
-
Non sei una persona orribile, Emily.
-
Sono perfetta. Perfetta e vuota. Scrivilo, Louis…
questo è il titolo della tua canzone. Perfetta
e vuota.
Louis,
lasciandosi guidare da lei, scrive.
Diventa
qualcosa di simile a una comunione perfetta, meglio del sesso; perché l’uniposca sulla pelle è infinite volte più sensuale di
qualsiasi altro gesto volgare e un po’ inibito.
Non
c’è nemmeno il sudore, o il pizzicare collerico dei peli mal fatti; non c’è lo
sfregarsi puzzolente l’uno contro l’altro e il fastidio dei capelli che si
appiccicano ovunque. C’è invece una sorta di pulizia catartica e meravigliosa,
che li lega.
Il
corpo di Emily diventa il foglio su cui Louis vomita la sua anima. Senza
censure.
E
loro due, ora, sono un’unica persona Perfetta
e Vuota.
*
Davanti
allo specchio, Emily sembra camaleontica.
Louis
dietro di lei sembra quasi avere il fiatone; ha ricopiato la canzone su un
foglio, domani la proporrà al resto della band.
Ma
Emily non può fare a meno di continuare a guardarsi. Di chiedersi se tutte
quelle parole sono forti come Marguerite.
Mi vedi, ora? Ma
sei così perfetta e vuota che vedi solo te stessa
Sì, sei così
perfetta e vuota che ami solo te stessa,
sì, sei così
perfetta e vuota che tutto il tuo amore è perfetto e vuoto,
sì, sei così
perfetta e vuota che non sei niente
se non un
congegno autodistruttivo.
Un
congegno autodistruttivo. Scritto proprio
lì, sotto la coscia. Emily vorrebbe strapparsi la pelle, mutare come un
serpente; e cancellarsi per rinascere in un’altra stagione, migliore di questa.
Ma sa di non poterlo fare.
-
Vado a farmi la doccia. – dice a Louis, intento ancora a scrivere.
Lui
alza lo sguardo solo un istante dai suoi fogli, dai suoi disegni di logica; e
lei trema, di nuovo. Perché ha la certezza che quegli occhi neri, in qualche
modo, possano vederle attraverso. Come se tutte le parole che ha scritto
fossero una specie di pass partout, di chiave per
aprirla in due e sezionare la sua anima.
Emily,
in mutande, raggiunge il bagno; tutto quel bianco la disturba per un attimo,
prima di farci l’abitudine; riempie la vasca e lascia che la schiuma lieviti,
sciabordando sopra il bordo.
Quando
ci si immerge dentro, realizza che l’acqua è piacevolmente calda e che sembra
quasi un disinfettante per la sua anima corrotta.
Ma
è come se la pelle non volesse saperne di pulirsi; l’inchiostro sembra un
formicaio isterico che si diverte a otturarle i pori.
Perfetta.
Emily
strofina.
Perfetta.
Di
più, più forte ancora, fino a quando non brucia, fino a quando non fa male,
fino a quando non sente le lacrime e l’acqua è diventata grigia, fino a quando
non grida e, improvvisamente, si trova a desiderare di affogare.
Ma
qualcosa – o meglio, qualcuno – la trattiene.
Le
braccia di Louis, stretta forte attorno ai suoi fianchi, le impediscono di
affondare. E Emily, improvvisamente, si rende conto di star respirando. E lo fa
in maniera così improvvisa che l’aria che brucia nei suoi polmoni fa male.
-
Andrà tutto bene – dice Louis, piano, con un sussurro. – Vedi? La pelle è
pulita. Adesso stappiamo la vasca, e l’acqua se ne andrà. La puliremo per bene
e non rimarrà nemmeno una traccia. Sembra impossibile, ora… ma andrà tutto bene.
Andrà tutto bene.
*
Lo so, è pesante. Ma
avevo questa scena in mente da un bel po’ e avevo bisogno di scriverla; tanto
più che Emily è da qualche capitolo che se ne sta zitta, e in qualche modo
doveva tornare. Lei è un po’ così, un po’ odio vivo. Dovrete farci l’abitudine,
temo.
Un paio di note a
riguardo della storia.
Rileggendo, ho notato
che tendo a infilare macchine Fiat ovunque. Ora, la Fiat, come penso saprete, è
“Fabbrica Italiana Automobili Torinesi”, e non ha un gran senso che un gruppo
di figoni americani se ne giri per Seattle con vecchi
e scassati mezzi di casa nostra, lo so. Se questo dettaglio ha disturbato
qualcuno, me ne scuso; è colpa della mia limitatissima conoscenza in materia
motori. Calcolando che non ho nemmeno la patente, la mia conoscenza sta davvero
a zero.
Poi. Non è stato fatto
ancora un pov per Dennis, lo so. E quello di Demi era
indecente; solo che non riesco a vederli come vorrei. Quindi vi chiedo
pazienza, a tempo debito avrete anche quelli.
Negli avvertimenti di
questa storia c’è scritto esplicitamente “Slash”. Il che vuol dire che chi legge,
dev’essere preparato a rapporti omosessuali; che,
malgrado per ora la storia sia in pieno clima het, si
svilupperanno col tempo.
Spero di non aver
esagerato, o avervi annoiato.
Ah. Normalmente, non
mendico recensioni; sono troppo timida, e mi vergogno a chiederle. Solo che
essendo estremamente insicura, ho *bisogno* di sapere cosa ne pensate. Anche se
sono critiche negative, io le accetto di buon grado. Se aggiorno troppo
velocemente, e alcuni di voi hanno bisogno di più tempo per recensire, basta
dirlo che io rallento subito. Non ho mai avuto problemi col tempo – o meglio,
ce li ho ma cerco di gestirli in modo da poter fare tutto.
E, in ultima cosa,
ovviamente per chi si prende la briga di recensire, se posso ricambiare il
favore e c’è qualche storia in particolare che vi piacerebbe passassi a
leggere, io leggo sempre volentieri. Oddio, certo, il mio non è un parere da
critico letterario, ma cerco sempre di essere più onesta e corretta possibile.
Bene, credo di aver
detto tutto.
Alla prossima,
- sc