Nel suo rifugio, Gilda sbuffò, stizzita.
Non ci mancava altro che un temporale, a peggiorare la giornata.
E dire che quello avrebbe dovuto essere un giorno felice, dopo tanto
tempo. Aveva incontrato due esseri umani, due persone, dopo quasi
seicento giorni di solitudine su quel pezzo di terra.
E invece, l’avevano trattata come un mostro, e quel ragazzo basso era solo uno stupido sbruffone.
Gilda strinse con forza la pelle di daino che stava finendo di
conciare, e la buttò in una scodella di legno. Non aveva
più la concentrazione adatta per quel lavoro.
“Forse, non li ho approcciati nel modo giusto”, si disse.
Li aveva trattati come bimbi sperduti bisognosi di cure, anche se erano
adulti, quindi anche più “grandi” di lei.
Però non era colpa sua se gli esseri umani le sembravano piccoli come bambini. E voleva solo essere loro utile.
Stava valutando la situazione quando improvvisamente sentì delle urla, e degli uccelli strillare. Bogo abbaiava, agitato.
Erano senz’altro quei due sprovveduti. Si erano cacciati nei guai.
Gilda lasciò perdere la conciatura e si mise a correre in direzione delle urla.
E alla fine li trovò, non troppo distanti dalla sua grotta.
Erano immobili, e fissavano un giaguaro che faceva lo stesso. L’animale era pronto ad aggredirli.
Poi lo Sbruffone, come aveva soprannominato Ivan, fece un movimento
improvviso, come dettato dal nervosismo, e il felino si gettò su
di lui.
Gilda non perse tempo e lo separò dal ragazzo, gettando il giaguaro lontano.
L’animale si rialzò in un attimo e stavolta il suo sguardo si posò sulla gigantessa.
Gilda si alzò in tutta la sua altezza e non staccò gli
occhi dall’animale. Digrignò i denti, mostrandoli, e
soffiò minacciosa.
Per precauzione, portò la mano al coltello di selce che portava
sempre legato al fianco. Ma non fu necessario. Il giaguaro
valutò la situazione e decise di filarsela.
Gilda sospirò, sollevata. Lo stesso fecero i due uomini.
- La..ringrazio, signorina,- disse Daniel , portandosi una mano
sulla fronte sudata,- Quel felino ci ha inseguiti e ce le siamo vista
brutta.
La ragazza arrossì. Era passato molto tempo, dall’ultima
volta che qualcuno l’aveva ringraziata..e l’aveva chiamata
signorina.
- Vi è andata bene. Siete finiti nel territorio di caccia
di quel giaguaro. Per fortuna si trattava di un esemplare molto
giovane, inesperto. Comunque, state bene?
Daniel annuì, anche se sembrava ancora scosso, mentre Ivan scosse la testa stizzito.
-Sì, stiamo bene, mammina..Tanto per sapere, ma perché non sei capace di lasciarci in pace?
- Cosa? Ma se vi ho appena..
- Sì, sì, ci hai salvati, evita di vantarti, però. Possiamo cavarcela da soli.
-Hai detto così anche prima, - commentò la ragazza.
Avvertì che delle piccole gocce d’acqua le toccavano la
testa. Le sentirono anche Daniel e Ivan. Iniziò a piovere.
Rimbombò un tuono tra le nubi nere.
-Comincerà un temporale, - disse la ragazza, che conosceva
bene il clima del luogo, - è meglio se per stasera troviate
riparo da me.
- Come ti ho già detto, non abbiamo bisogno del tuo aiuto,- ripeté Ivan.
Daniel offrì una mano per permettere al signorino di alzarsi ma
questi si rifiutò, e iniziò a camminare spedito
chissà dove.
Gilda notò che aveva la manica del braccio sinistro sporca di sangue.
-Sei ferito,- costatò.
-E’ solo un graffio,- fece lui, camminando più veloce.
- Signorino Ivan, aspettatemi! - gridò Daniel, ma il giovane accelerò il passo.
Daniel lo aveva appena raggiunto quando il ragazzo si fermò. Aveva lo sguardo perso.
Ivan chiuse gli occhi e cadde a terra, privo di sensi.
Daniel gridò, spaventato.
-Un campione di svenimenti,-commentò Gilda.