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Autore: Hi Ban    26/06/2011    4 recensioni
Sasuke, arrivato a metà corridoio, si rese conto che non sapeva nemmeno chi era questa sua fantomatica coetanea che, a quanto pareva, non se la cavava proprio con shuriken e kunai. Preso dalla curiosità e istigato dalla sua indole infantile, nonostante il palese ritardo, tornò indietro giusto in tempo per sentire suo padre chiedere: «Chi è questa ragazzina?»
Sperò di aver sentito male il cognome, ma per sua sfortuna a quell’età non soffriva ancora di problemi legati all’udito.
«La figlia degli Haruno! Sono davvero sicura che Haruno-san sarà soddisfatta dell’aiuto che darà Sasuke a Sakura.»
A Sasuke cadde letteralmente il mondo addosso.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Gelato amarena e cioccolato






La cucina di casa Uchiha quel mattino era immersa nella più totale quiete e tale silenzio era rotto soltanto dal rumore degli utensili usati da Mikoto per preparare la colazione.
Mentre la donna cucinava allegra, Sasuke osservava in trance, ancora mezzo addormentato, la scodella ancora vuota davanti a sé e Fugaku leggeva pacatamente il giornale. Itachi era in missione, ma non si perdeva nulla di nuovo di quella calma e tranquilla mattinata.
Con il suo solito sorriso dolce, Mikoto pose poi la colazione sul tavolo, invitandoli gentilmente a mangiare, per poi prendere a preparare il pranzo a Sasuke da portare all’accademia.
Non si era mai visto un mattino in cui la donna non sfoggiasse un’espressione serena e rilassata, era sempre di ottimo umore. Questo a differenza degli altri membri della famiglia, quali il marito e i due figli. Poteva dire con sicurezza che la mattina erano uno la copia dell’altro, pessimo umore e capacità di rimettersi a dormire immediata se solo avessero chiuso gli occhi per più di quattro secondi.
«Allora, Sasuke, te la cavi piuttosto bene con il lancio del kunai e degli shuriken all’accademia, vero?» Si interessò ad un tratto, attirando l’attenzione del secondogenito, che era sempre felice se si parlava delle due qualità.
A rispondere alla domanda, però, furono in due, sia Sasuke che Fugaku. Il secondo forse doveva ancora svegliarsi completamente dal sonno, ma quando alzò la testa, incuriosito dal silenzio che era derivato dalla sua affermazione, si affermò a chiarire che era ovvio che dovesse essere così.
E Sasuke mise il broncio perché, da bambino qual era, interpretò il tutto come una scarsa fiducia nei suoi confronti, comportamento che non differiva da quello che aveva nei suoi confronti il padre. Mikoto, invece, sorrise: Fugaku sapeva esattamente come andava Sasuke all’accademia, si informava lui stesso e perciò forse era più a conoscenza lui dei progressi di Sasuke nel lancio di attrezzi ninja del ragazzo stesso.
«Bene, è una buona cosa!» E gli sorrise con tenerezza, facendolo un po’ arrossire, ma togliendogli quella brutta espressione risentita dal volto.
La donna, terminato il pranzo per il figlio, glielo pose accanto, per poi sedersi a sua volta.
«Visto che le cose stanno così, allora ti ho trovato un lavoro!» Gli disse allegra, ricevendo in risposta un’espressione decisamente confusa dal figlio e pure dal marito – Fugaku quel mattino si sentiva particolarmente incline alle faccende familiari.
Sasuke, dal canto suo, a nove anni e mezzo non comprendeva appieno la necessità di quella cosa chiamata lavoro, né tantomeno riusciva a comprendere perché la madre fosse così entusiasta.
Un lavoro poi gli sembrava una cosa abbastanza complessa, come poteva lui gestire una cosa del genere?
«Su, non fare quella faccia, è un lavoretto facile! Dal momento che poi sei anche bravo con gli attrezzi ninja, non sarà nemmeno faticoso per te.» Tentò di rassicurarlo, senza nemmeno avergli detto quale sarebbe stato questo fantomatico lavoro.
Sasuke aprì la bocca, interdetto, non sapendo nemmeno lui cosa dirle.
«No, non è nemmeno un lavoro, è più una gentilezza che fai verso una coetanea.» Si corresse da sola, demolendo anche la possibile prospettiva di un compenso. Ok, a Sasuke non interessavano granché i soldi, non sapeva cosa farsene a quell’età, ma facevano sempre comodo. O così dicevano sempre i grandi, perciò perché lui non poteva accettare la stessa linea di pensiero?
«Devi dare una mano ad una ragazzina con gli shuriken e i kunai, tutto qui.» Aggiunse, esplicando la natura di quella ‘gentilezza’ che voleva che il figlio compiesse.
Il piccolo Uchiha, senza nemmeno rendersene conto, biascicò un ‘no’ perfettamente udibile dalla madre, che alzò un sopracciglio, stranita.
«Ma perché no, Sas’ke? Hai detto che sei bravo in queste cose!» E lo sapeva benissimo pure lei che era bravo, chiederglielo poco prima era stato solo un modo per aprire la discussione.
«No, non sono così bravo, chiedi a Itachi quando torna se può farlo lui.» Tentò così di declinare quell’incarico, utilizzando il fratello per tirarsene fuori.
Quella sua uscita fece comprendere che non aveva la minima voglia di dare una mano a qualcuno – qualcuna. Era sempre un po’ in rivalità verso il fratello e solo in casi decisamente estremi affermava la sua netta superiorità su di lui, altrimenti era una considerazione che teneva esclusivamente per sé. Orgoglioso in tal maniera già a quell’età, Mikoto sapeva che crescendo non sarebbe stato un caso facile da trattare.
«Oh, non dire idiozie figliolo, so che sei bravo tanto quanto lui e poi Itachi è spesso in missione, che senso avrebbe occupare il suo poco tempo libero con altri impegni?» Tentò di rabbonirlo, usando la carta del tempo libero.
La donna sapeva che il figlio attendeva con più ansia di Itachi il tempo libero che ricavava tra una missione e l’altra, sempre in attesa di potersi allenare insieme a lui.
Mikoto conosceva il figlio alla perfezione, non aveva segreti per lei. Ma non erano forse questi i vantaggi di una madre?
«Ma… ma anche io sono occupato con l’accademia…» Provò, buttandosi sul suo, di tempo libero.
«Oh, ma non ti prenderà poi tutto questo tempo, solo un paio d’ore, tutto qui.»
Sasuke avrebbe voluto farle presente che nemmeno Itachi allora sarebbe morto se erano solo un paio d’ore, ma sapeva che la madre anche in quel caso avrebbe trovato qualcosa da dire per rendere inutili le sue proteste.
«Ma non ne ho voglia!» Protestò pianissimo l’Uchiha, usando, come ultima spiaggia, il perfetto comportamento da bambino. Non ne aveva voglia per davvero, a dire la verità, ma aveva sperato di poter evitare il tutto in maniera un po’ meno infantile.
Mikoto si lasciò scappare un risolino e Fugaku grugnì qualcosa di indefinito.
L’uomo sapeva che la moglie non aveva proposto tutto quello a Sasuke, gli aveva semplicemente illustrato ciò che era obbligato a fare, perciò era ovvio che tutte le proteste di Sasuke sarebbero state vane; in quel caso Fugaku si poteva ritenere, come dire, un po’ impietosito dai tentativi a cui si appellava il secondogenito, forse anche un po’ esasperato dalla stupidità di essi.
Forse, per via del sonno che ancora lo condizionava si disse, avrebbe potuto provare a fare il padre che salva il figlio da una madre irremovibile sulle proprie scelte e decisioni.
Per il sonno, sia chiaro.
«Se non se la sente, Mikoto, è inutile forzarlo.» Borbottò il marito, non alzando gli occhi dal giornale.
«Suvvia Fugaku, è una buona cosa che vada, non vedo perché debba dire di no. Tu riesci a trovare un buon motivo?» Gli chiese sorridente, sapendo che lui non avrebbe risposto, limitandosi a scuotere la testa leggermente. Aveva la risposta pronta anche per lui, ma così era sempre stato.
Mikoto poi si alzò per portare via le scodelle vuote e Fugaku si voltò verso il figlio, che ebbe la giusta intuizione di interpretare tale sguardo come un ‘ci ho provato’.
«Allora è deciso, confermerò con la madre della ragazzina mentre tu vai in accademia. Tra l’altro dovresti sbrigarti Sasuke-chan, sei già in ritardo!» Lo riprese bonariamente, mentre gli metteva in mano il pranzo.
«Non c’è qualcun altro che può farlo? Io non ne ho voglia.» Tentò, questa volta assumendo un tono che avrebbe dovuto, secondo la sua infantile prospettiva, colpire la madre a tal punto da farle lasciar perdere quell’iniziativa.
«Non fare il bambino, so che sei abbastanza grande da poter fare una cosa del genere!» Gli disse dolcemente, carezzandogli poi i capelli.
Sasuke arrossì, ma non si ritrasse a quella carezza.
A quanto pareva, comunque, non aveva scampo, sua madre fin dall’inizio aveva voluto che lui desse una mano a quella ragazzina ed era riuscita a convincere il figlio.
No, termine errato, non a convincere, perché Sasuke era ancora fermamente contrario e poco incline a fare una cosa del genere; era più giusto dire che Mikoto aveva semplicemente obbligato Sasuke senza arrabbiarsi o ricorrere a ricatti subdoli.
Lo aveva convinto ‘alla Mikoto’, ecco tutto.
«Su, Sasuke, prendilo come un buon allenamento anche per te!» E così dicendo, lo invitò nuovamente ad andare o sarebbe arrivato in ritardo.
Il piccolo Uchiha si limitò a borbottare un saluto e uscì.
«Sono sicura che andrà bene e si sarà lamentato per nulla.» Affermò convinta Mikoto, rivolta più a se stessa che al marito.
Sasuke, arrivato a metà corridoio, si rese conto che non sapeva nemmeno chi era questa sua fantomatica coetanea che, a quanto pareva, non se la cavava proprio con shuriken e kunai. Preso dalla curiosità e istigato dalla sua indole infantile, nonostante il palese ritardo, tornò indietro giusto in tempo per sentire suo padre chiedere: «Chi è questa ragazzina?»
Sperò di aver sentito male il cognome, ma per sua sfortuna a quell’età non soffriva ancora di problemi legati all’udito.
«La figlia degli Haruno! Sono davvero sicura che Haruno-san sarà soddisfatta dell’aiuto che darà Sasuke a Sakura.»
A Sasuke cadde letteralmente il mondo addosso.


***


Sasuke non poteva dire di non sopportare minimamente Sakura Haruno, ma poteva affermare con tranquillità che la trovava noiosa. Tremendamente noiosa. E quella per lui era una giustificazione più che valida per non volerla aiutare in quella sottospecie di allenamento.
Non si poteva dire che si conoscessero, anzi, ma aveva compreso la sua personalità e lei in generale dai suoi comportamenti – noiosi e assillanti, tentò di aggettivarli Sasuke, felice di poter finalmente usare quell’aggettivo, ‘assillante’, che aveva imparato da Itachi.
Era una ragazzina normale, come tutte quelle della sua età, si dimostrava palesemente intelligente per quanto riguardava lo studio, ma non dimostrava di certo la stessa arguzia anche nel resto delle attività sociali per così definirle.
Sakura Haruno era colei che, insieme alla Yamanaka, ragazzina dallo stato mentale peggiore del suo, a detta di Sasuke, gli rendevano comuni giornate di accademia uno strazio al solo pensiero.
Per carità, anche altre contribuivano – e Sasuke ancora non capiva perché diavolo ce l’avessero tutte con lui – ma quelle due, e Sakura in particolare, erano il punto focale della sua esasperazione.
Nominava così tanto spesso il suo nome, con quell’odioso –kun, che non avrebbe più potuto dimenticarselo nemmeno prendendo consecutivamente a testate il muro.
Poi aveva i capelli rosa. Rosa. Rosa fiore di ciliegio per una che si chiama proprio Sakura. Ok, quella non era propriamente una cosa che lo infastidiva, ma non si era mai capacitato di come qualcuno potesse nascere con i capelli di un colore così strano, ecco tutto.
Della Yamanaka, poi, non gli interessava; lei si limitava fare la scema in sua presenza, nel tentativo di attirare la sua attenzione – invano – e ogni tanto sapeva quando era il momento buon per arrendersi. L’Haruno, invece, era diversa, si comportava in maniera differente; lei tentava di avvicinarsi a Sasuke e quello era veramente il suo obiettivo. Mentre per Ino era quasi un gioco, per divertirsi e passare un po’ il tempo prima di andare a scocciare Nara, Sakura lo faceva perché era intenzionata a riuscirci. Lo dimostravano il suo comportamento e il modo in cui provava; lei tentava per davvero.
Forse era proprio per questo che la Yamanaka gli restava lo stesso totalmente indifferente, mentre l’Haruno no. Il motivo per cui, però, non passava inosservata a Sasuke, era perché ormai non poteva fare altro che ritenerla dannatamente noiosa, esasperante e fastidiosa.
E no, si ripeté più volte Sasuke quel giorno, non era che non sopportava minimamente Sakura Haruno e la sua compagnia annessa, ma la trovava solo estremamente seccante. E non era un dettaglio da tralasciare, era proprio su quello che si basava tutta la sua ritrosia.
Al ritorno dall’accademia, quel giorno, dove Sakura lo aveva osservato più volte, come in attesa che andasse da lei e le dicesse qualcosa riguardo a quel progetto di cui forse solo lui era rimasto all’oscuro fino a quel nefasto mattino, provò ad esplicare la faccenda alla madre sotto quel punto di vista.
Totalmente inutile.
Mikoto aveva ribattuto con una serie di adulazioni per la giovane, partendo dal presupposto che era molto educata e ciò, si sa, va sempre bene ad una madre.
Poi aveva aggiunto che il carattere di Sakura era davvero l’opposto del suo e che era una cosa perfetta: gli opposti vanno sempre bene insieme.
Sasuke non aveva capito il senso di quella frase, né cosa c’entrasse con il discorso, ma aveva liquidato la faccenda come un tentativo di argomentazione in più della madre prima di dirgli che ormai doveva farlo e basta. E, in fin dei conti, era quello che avrebbe potuto dirgli anche quel mattino stesso, invece di illuderlo che aveva ancora una possibilità.
Ecco perché ora Sasuke si trovava in un boschetto, il vento a muovere gli alberi e l’erba incolta, le nuvole su in cielo, un sole che spaccava le pietre e, soprattutto, con Sakura Haruno che, da mezz’ora a quella parte, lanciava kunai ad un metro e mezzo di distanza dal bersaglio.
Quando sua madre gli aveva detto che dovevo dare una mano con il lancio di oggetti ninja ad una ragazza avrebbe dovuto arrivarci da solo che si trattava di Sakura.
Per carità, l’Haruno era una ragazzina davvero intelligente, anche Sasuke, che era quantomeno restio ad attribuire meriti agli altri, lo riconosceva, ma questo lo si poteva dire per quanto riguardava la teoria. La pratica per lei era un tabù e dopo il primo lancio l’Uchiha aveva compreso che lei non aveva la minima dimestichezza con quel tipo di allenamento.
Si erano trovati direttamente lì e avevano subito iniziato, sia perché non sapevano che cosa dirsi, sia perché, anche se lo avessero saputo, lei non sarebbe riuscita a parlare senza mordersi la lingua e lui non avrebbe saputo come fare.
L’imbarazzo di Sakura era stato più che palese fin dall’inizio e ad ogni tentativo fallito Sasuke poteva vedere benissimo le sue guance tingersi di un acceso rosso. Probabilmente aveva anche il terrore che il freddo e distaccato Uchiha, al suo ennesimo sforzo di centrare il tronco con quell’attrezzo, le avrebbe riso spregevolmente in faccia, non riuscendo poi per tutta la vita a vederla diversamente da quella ragazzina inetta che non sapeva nemmeno usare un kunai.
Quelli erano semplicemente i pensieri di una normale ragazzina innamorata che fa una brutta figura davanti al ragazzo da cui vorrebbe, anche solo una volta, ricevere un sorriso vero, reale.
Dal canto suo, Sasuke non pensava nulla di tutto quello, se non che piuttosto che invece di due ore ci sarebbero voluti due mesi, contando anche le domeniche e i festivi.
Da quando quella sottospecie di lezione era iniziata, le aveva fatto vedere più volte come tenere il kunai, come muovere il polso per lanciarlo con maggiore forza e come distendere il braccio per far sì che centrasse proprio il tronco. Non aveva fatto commenti dispregiativi, né l’aveva presa in giro quando, nel tentativo di lanciare il kunai, il suo dito si era incastrato, solo lei sapeva come, nel cerchietto al fondo e le era rimasto in mano. Si era limitato a correggerla a volte, ma nulla di più, né beffe né incoraggiamenti.
Sakura, dal canto suo, non sapeva come mai quel giorno andasse così male. Ok, non poteva definirsi un asso in quelle cose, ma solitamente riusciva ad avvicinarsi almeno a un po’ al bersaglio. Non escluse minimamente il fatto che la presenza di Sasuke potesse essere un deterrente.
Purtroppo, nessuna spiegazione aveva avuto effetto; Sasuke proprio non riusciva a capire come non ci riuscisse. A lui era una cosa che veniva così naturale e spontanea, come lanciare un sassolino nell’acqua.
Proprio non riusciva a capire, no, e fu forse per quello, per la sua incapacità di allora di comprendere che non necessariamente qualcosa che era facile per uno lo era anche per l’altro, che all’ennesima prova malriuscita, aveva sbottato: «Si può sapere cosa c’è di tanto difficile?»
Detto ciò, aveva preso un kunai che si trovava nell’erba lì vicino e con un tiro secco lo aveva piantato nell’albero, bersaglio dei tentativi di Sakura.
Ciò che Sasuke disse non fu un particolare esempio di cordialità e gentilezza, ma non si poteva nemmeno dire fosse chissà quale grande cattiveria. Tuttavia, Sakura ci rimase male, si sentì umiliata e vagamente offesa e forse non fu tanto ciò che aveva detto o fatto, quanto più il modo in cui aveva espresso tutto.
Arrossì subito dall’imbarazzo e non tentò nemmeno di nascondere ciò che provava; gli occhi le divennero lucidi, ma strinse i pugni e si trattenne, perché l’ultima cosa che voleva fare era piangere e mostrarsi debole e questo non soltanto perché si trovava di fronte a lui.
L’espressione indifferente di Sasuke vacillò per un attimo; non pensava che un gesto del genere avrebbe avuto tali conseguenze e dovette ammettere che vederla sull’orlo delle lacrime, che stava trattenendo a forza, lo mise un po’ in agitazione. Lui non voleva umiliarla o altro, ma non era mai stato un tipo particolarmente paziente, anzi, persino sua madre gli aveva fatto notare questa piccola pecca del suo carattere. Era un difetto che sguazzava allegramente in mezzo alla scontrosità e alla sua incapacità di controllare l’orgoglio, ma c’era lo stesso.
E per la prima volta in vita sua non sapeva cosa fare; o forse lo sapeva, era anche piuttosto ovvio – chiedere scusa –, ma non era così semplice.
Lei aveva lo sguardo basso, puntato sui suoi piedi completamente scomparsi nell’erba alta, mentre lui alternava occhiate tra lei e qualcosa di indefinito alle sue spalle.
Si era venuta a creare quella situazione di stallo per colpa sua e sapeva che non ne sarebbero usciti facilmente se non facevano qualcosa. Se lui non faceva qualcosa.
Frugò nel borsellino che teneva attaccato a i pantaloni e ne tirò fuori alcuni shuriken; se con i kunai era andata male, magari con gli shuriken sarebbe andata meglio.
Sakura alzò lo sguardo appena in tempo per vederlo tendergli le stelle ninja, in un chiaro invito – ordine, si parlava pur sempre di Sasuke – a prenderle. Lentamente, si avvicinò e le prese, lanciandogli uno sguardo incuriosito.
«Prova con gli shuriken se i kunai non ti piacciono. Non è detto che debbano piacere a tutti.» Borbottò guardando alle sue spalle, non aggiungendo altro.
Sakura spalancò gli occhi, stupita da quel gesto, per poi rispondere alla sua espressione vagamente imbronciata e che tentava di essere indifferente con un sorriso luminoso che cancellava tutta la tristezza di qualche attimo prima.
«Ok! Questa volta vedrò di centrarlo!» Disse con entusiasmo e una risolutezza che prima non c’era. O forse Sasuke non l’aveva vista, occupato a considerare quanto fosse impossibile non riuscire a fare una cosa del genere.
«Grazie Sasuke-kun!» Aggiunse ancora, prima di voltarsi e tornare dov’era prima per riprendere quello strano allenamento.
Sasuke storse il naso infastidito a quel –kun, che lo faceva sentire come un cagnolino ammaestrato, ma non ribatté. Dopodiché si sedette e stette ad osservare.
Lei cominciò subito ad esercitarsi, mostrandosi più portata con quelli che con i kunai e in breve tempo riuscì a centrare il tronco, anche se non molto profondamente.
Sakura si voltò sorridente verso di lui e il suo sorriso si allargò alla vista dell’espressione di Sasuke, che era quanto di più vicino ci fosse all’approvazione da parte dell’Uchiha. Sakura poteva vantarsi di riuscire a leggere discretamente i modi di fare del compagno; erano un po’ difficili, il comportamento del ragazzo era come un libro al contrario o scritto invertendo le lettere e i caratteri, bastava fare un piccolo sforzo per comprenderli.
«Ce l’ho fatta!»
L’Haruno seppe interpretare lo sbuffo di Sasuke come un’brava’ o giù di lì.
Appena l’entusiasmo iniziò a scemare, la ragazzina si rese conto di essere più stanca di quanto si sarebbe immaginata e decise di riposarsi. Fece qualche passo verso Sasuke e poi si lasciò cadere per terra, tra l’erba alta, osservando il cielo. L’Uchiha era seduto poco più indietro di lei su un tronco e la osservava di sottecchi.
Che ragazzina fastidiosa.
Persino lì, immobile le sembrava noiosa. Cosa c’era di tanto interessante in quel cielo che stava osservando con così tanta curiosità? Nulla, eppure lo guardava come se da un momento all’altro dovesse cadere qualcosa o dovesse cambiare in maniera significativa.
Una cosa che non aveva ma capito dell’Haruno era l’impuntarsi su alcune cose, che magari altri non avrebbero considerato più del dovuto. Ad esempio, a volte la vedeva fermarsi a guardare ciliegi fuori dall’accademia con grande interesse, anche quando non erano in fiore. Che motivo aveva? La vedeva fermarsi lì sotto, la testa in alto e gli occhi fissi sull’albero.
Non capiva nemmeno perché cercasse sempre la sua attenzione.
Era insopportabilmente noiosa e strana: aveva i capelli rosa, non poteva non esserlo.
Il silenzio che calò sui due era rotto soltanto dal fruscio delle fronde degli alberi. Era davvero rilassante starsene lì con il vento che portava un po’ di sollievo dal tremendo caldo di quel giorno.
Era un posto abbastanza tranquillo, magari qualche volta si sarebbe potuto allenare lì, si disse Sasuke.
«Ehi, Sasuke-kun…»
Se lo chiamava di nuovo così avrebbe risposto abbaiando.
«Grazie di avermi aiutata. Cioè, non sono andata benissimo, non ho centrato nemmeno una volta l’albero con i kunai, ma con gli shuriken sì! Prima o poi comunque ci riuscirò, lo so, anche se forse ci metterò un bel po’… non sono portata per queste cos–» Il brillante monologo della giovane, che andava da un estremo all’altro, fu interrotto da uno sbuffo seccato, che attirò la sua attenzione su Sasuke.
L’Uchiha al suo sopracciglio inarcato e all’espressione confusa rispose: «Non puoi dire queste cose con certezza, devi provare altre volte per poterne essere sicura.»
Sakura sorrise a quello che forse voleva solo essere un modo per zittirla, ma era comunque un ottimo consiglio che avrebbe seguito alla lettera.
«Grazie, Sasuke-kun.» Ripeté ancora, sincera, quella volta non soltanto per averla aiutata con l’allenamento. L’Uchiha si trattenne a stento dall’abbaiare per davvero.
Cadde nuovamente il silenzio e tanta era la quiete che si poteva udire anche il suono del fiume che scorreva poco lontano da lì.
Ad un tratto il suono naturale dell’acqua fu soppiantato dalla voce della ragazza.
«Ho voglia di un gelato.» Asserì di colpo, senza un reale motivo. «Amarena e cioccolato.» Aggiunse sovrappensiero, non aspettandosi che Sasuke dicesse qualcosa.
«Tu non lo vuoi?»
«No.» Rispose senza neanche averci pensato. A lui i gelati non piacevano, non ne mangiava mai e non gli era mai venuto l’improvviso desiderio di fare uno strappo a quella regola autoimposta.
Per la terza volta il silenzio scese sul campetto e mai come quel giorno il detto ‘non c’è due senza tre’ fu più azzeccato. A spezzare quel momento di perfetta calma fu nuovamente Sakura.
L’Uchiha la vide alzarsi e afferrare qualcosa da per terra, un kunai, poco distante da dove prima si era lasciata cadere.
«Bisogna provare prima di parlare.» Sussurrò più rivolta a se stessa che ad altri.
Lo lanciò una volta e questo cadde distante dall’albero.
La seconda volta sfiorò il tronco di poco, ma andò a conficcarsi nel terreno poco oltre l’arbusto.
Che ragazzina ostinata, pensò Sasuke sbuffando, ma attese comunque che tentasse per la terza volta.
Non c’è due senza tre.
Il terzo tentativo andò a segno: il kunai si piantò nel troncò anche se non molto profondamente, tanto che dopo breve cadde a terra. L’aveva centrato, però.
«Hai visto, Sasuke-kun? Ce l’ho fatta!» E così dicendo prese a saltellare felice, palesando una felicità che, data la situazione, non era per nulla scontata o eccessiva. Forse dal punto di vista di Sasuke era eccessiva, ma lui aveva un metro di giudizio in proporzione al suo ego e a se stesso.
L’Uchiha, tra l’altro, non pensò nemmeno di abbaiare, colpito da quanto appena avvenuto.
Sakura rideva felice e Sasuke la osservava sbuffando di tanto in tanto, ritenendo un’esagerazione il suo modo di fare. Quella volta, però, provò a vedere le cose dalla sua prospettiva, invece di dar conto solo al suo punto di vista, e non disse nulla per smorzare la sua contentezza.
Presa dalla felicità, Sakura corse verso Sasuke, ma non fece caso alla radice sporgente; il suo piede si incastrò e lei finì dritta di faccia per terra.
«Ahio!» Si lamentò appena, tentando di girarsi e liberare il piede.
Sasuke appena la vide cadere non poté non alzare gli occhi al cielo, esasperato da quella ragazzina che faceva più danni che altro; subito poi le andò incontro, per verificare cosa si fosse fatta.
Mentre le si inginocchiava accanto si chiese distrattamente se lui, Sasuke, potesse realmente essere preoccupato per la ragazzina.
Subito strappò la radice che aveva attorno alla caviglia e che nemmeno con la caduta si era rotta.
«Ti fa male?» Le chiese, notando la caviglia arrossata.
«Un po’…»
Esordì con un lamentò nemmeno troppo basso quando lui le sfiorò la gamba con le dita. Arrossì e spostò lo sguardo, conscia che forse le faceva giusto un po’ più male di quanto aveva detto.
Sasuke non sapeva dire se fosse rotta o no, era una cosa che non aveva mai imparato a distinguere; ripensando però alle volte in cui il fratello stabiliva se lui se l’era rotta o no, poté azzardare che non era rotta. «Con un po’ di ghiaccio passerà.»
Sakura annuì e non disse nulla.
Cioè che fece dopo Sasuke la lasciò piuttosto stupita e non comprese subito le intenzioni del suo gesto.
L’Uchiha si era piegato sulle ginocchia e ora le dava la schiena; se così non fosse stato, l’Haruno avrebbe visto le sue guance un po’ meno pallide del solito.
«Sasuke-kun…?» Chiese, lasciando cadere una domanda che nemmeno lei avrebbe saputo come completare.
«Sali. Ti accompagno a prendere un gelato. Non lo volevi?» Aggiunse poi sulla difensiva, anche se non ce n’era bisogno.
«Oh. Oh!» E dopo un attimo di indecisione – ‘Vuole davvero che gli salga sulle spalle? E se ho capito male? E se sono troppo pesante?’ – si mosse verso di lui e, senza procurarsi ulteriore dolore alla caviglia, si aggrappò alle sue spalle e si lasciò prendere. Sasuke si alzò senza sforzo e prese a camminare. Dopo un primo momento di imbarazzo, l’Haruno si azzardò ad intensificare un po’ la presa, aggrappandosi meglio.
«Grazie mille, Sasuke-kun!» Come risposta ottenne soltanto uno sbuffo seccato, che secondo il dizionario bilingue di Sakura stava per ‘prego’.
«Lo prenderai anche tu un gelato?»
«Non mi piace.»
«Oh. Non lo hai mai assaggiato?»
«Sì, una volta. E non mi è piaciuto.» Aggiunse, anticipando quella che poteva essere una possibile domanda.
«Bisogna provare altre volte per poter dire con certezza qualcosa, sai?» Gli disse con fare pensieroso, riportando ciò che lui le aveva detto prima.
Era un concetto applicato a due questioni diverse, ma secondo i calcoli di Sakura il risultato doveva più o meno essere lo stesso: provare.
«Mpf.»
«Vada per due coni amarena e cioccolato, allora!» Esclamò Sakura felice, alzando un pugno in aria in segno di vittoria.
Come risultato per poco non cadde, finendo per far sbilanciare anche Sasuke.
«Ops.»
«Che ragazzina noiosa.»
E se Sakura gli fosse stata davanti e non sulla schiena, avrebbe potuto vedere quel fantomatico sorriso vero che una ragazzina innamorata sogna.


***


Fugaku Uchiha se ne stava compostamente seduto a bere il suo tè in tutta calma, quando la moglie entrò con le buste della spesa tra le mani e un sorriso smagliante in volto.
La vide per un attimo scomparire in cucina, per poi tornare senza le buste e si sedette con lui.
Sorrideva ancora.
Fugaku non aveva nulla contro quel sorriso, ma voleva semplicemente conoscerne la causa. Era sua moglie in fin dei conti, no?
Non fece nemmeno in tempo a formulare la domanda mentalmente che Mikoto lo aveva preceduto.
«Ho parlato con Haruno-san poco fa.»
Oh. Perché la cosa non lo stupiva più?
Mikoto non attese nemmeno che il marito desse cenno di essere interessato o le rispondesse proprio.
«A quanto pare le cose tra i due ragazzi vanno bene con gli allenamenti. Haruno-san è molto soddisfatta!» Gli riferì entusiasta sorridendo.
«Stai combinando qualcosa di preciso?» Si informò l’uomo, osservando il suo comportamento. Non che fosse anomalo che Mikoto sorridesse, ma lesse qualcosa negli occhi della moglie che facevano intendere molte cose.
«Oh, no, nulla caro. Un'altra tazza di tè?»
Gli prese direttamente la tazza dalle mani senza aspettare una qualsivoglia risposta e la riempì sorridendo. Fugaku grugnì qualcosa che sembrava vagamente un ‘noiosa’ e Mikoto non poté trattenersi dal ridere di cuore.



Preciso subito che in questa storia non si tiene conto dello sterminio del Clan!
Salve!^^
È da un po’ che non scrivevo una SasuSaku e ne sentivo la mancanza!xD Perciò ho scritto questa, che come al solito non è uscita come vorrei!_-_
Mikoto e Fugaku in questa storia sono un po’ personalizzati, per così dire: del manga non si dice granché di questi due personaggi, perciò io mi sono attenuta a questo e ho più o meno inventato!^^’
Sasuke è sempre lo stesso, bambino o adulto che sia, sterminio o non sterminio, con la sua personalità che è più complicata del cubo di Rubik, mentre Sakura l’ho un po’ maltrattata!xD Nel manga non si accenna alla sua inettitudine nella pratica e io l’ho proprio descritta come un caso patologico, ma diciamo che la cosa è semplicemente mooooolto what if!
Le madri di Sasuke e Sakura la sanno lunga, entrambe parteggiano attivamente per il SasuSaku, ecco!ù___u
Ringrazio chiunque legga questa cosa qua, che è un tentativo di rimettermi in carreggiata!^^
  
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