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Autore: BigMistake    27/06/2011    1 recensioni
Dal prologo:«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»
Ispirato al musical cinematografico del 2004: Mentre si consuma il dramma del Fantasma dell'Opera la Parigi del 1870 sta cambiando. Gli ideali della Rivoluzione sembrano essersi dispersi, i ceti medi vanno via via scomparendo mentre la borghesia ed i nobili si preoccupano solo delle proprie tasche. Gli assetti della società mutano in maniera drastica, vecchie fazioni amiche si trovano su fronti diammetralmente opposti. La Guerra incombe sulla Francia con la sua scia di morti innocenti e corpi straziati, viziando il giudizio del popolo sull'Imperatore e decretandone il declino. Nell'ombra i vecchi giochi di potere e politica continuano a muovere i fili dei propri burattini. Questo è lo scenario mentre l'Opera Garnier è al rogo. Qualcuno osserva la scena, attende risposte da tempo. Ci sono mostri mascherati da Angeli, Angeli caduti che cercano di rialzarsi, ali strappate... Ed al Fantasma dell'Opera non resterà che adeguarsi al mondo che l'aveva rifiutato ...
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
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CHAPITRE DIX-SEPT: Cauchemars.

La prima volta che fu messa di fronte alla carne putrefatta non mosse un muscolo, anche se era appena una ragazza quando entrò in quel posto che puzzava di morte.
Osservò solo il viso semi consumato della salma che aveva di fronte.

Equilibrata vedetta di guerra.

La Chiesa sapeva essere un giudice imparziale con la sua condanna pronta di fronte ad un giudizio completamente umano.

Di persone, distrutte e mutilate, ne aveva visto i cadaveri muoversi da ancora vivi.

Tutti credevano che la Santa Inquisizione fosse terminata.

Era solo stata arginata, nessuno avrebbe potuto rivelare quale era il destino di un recluso alla Prigione Santa.
Il medico l’osservava curioso, ricordava bene la sua sorpresa nel vederla così sicura. Si aspettava uno svenimento anche solo per l’odore nauseabondo, un piccolo accenno di timore per la vista dei vermi, ma in lei nulla. Totalmente indifferente.
Solo una freddezza innaturale con cui rivolgeva le sue domande.

Nei sotterranei di Castel Sant’Angelo ho visto cose peggiori …
Le tempestive cure delle varie ferite e il miglior modo di renderle letali nella stessa assurda lezione consumatasi in varie notti.
Vedete Madamoiselle, quest’uomo è morto per un’infezione dopo che è stato colpito da una pallottola.

Ripercorreva i movimenti delle sue mani esperte, come se lo stesse operando da vivo.
L'unica differenza è che lui non può lamentarsi.

Una macabra battuta davanti alla sua osservazione a cui non rise allora reputandola sciocca, ma che invece adesso trovava alquanto esilarante. Le sue labbra s'incresparono in una risata stentata, coperta dal suo solito sarcasmo capace di svegliarsi nei momenti meno opportuni.
Erik la precedeva, le teneva la mano muovendosi attento in quei corridoi strettissimi grazie solo alla sua memoria, fervida come le fantasie di un bambino che torna nei paesi dei balocchi.
Ogni pietra sembrava che acclamasse il suo ritorno, piccole gocce d'umidità impreziosivano i loro volti o iniziavano a cantare al loro passaggio suonando una marcetta cadenzata.
Presto sarebbero arrivati alla cornice dello specchio in frantumi, ormai gli occhi abituati alla tenebra potevano scorgere il  drappo di velluto rosso muoversi allo strano spiffero che s'insinuava in quel passaggio nascosto. Già si poteva  assaporare l'odore di chiuso di quando una casa viene abbandonata per un tempo indefinito.

Si sta lasciando guidare da te nel buio, Erik.

Non nascondere che questa cosa ti piace, ti fa provare la cruenta possessione di qualcosa di nuovo.

Si fida di te. Ma tu sarai capace di darle ciò di cui ha bisogno?

Saprai essere un uomo, Erik? Non un Angelo, uno Spettro o un  Mostro.

Un uomo che fuori da queste mura deve sapere come proteggerla.

 

Si fermò senza che ci fosse un vero motivo.

Aveva sempre protetto la sua Christine. L'aveva protetta all'Ombra della sua stessa leggenda, del suo mito che fra quelle mura era divenuto il padrone eterno di ogni cosa.

Ora non sarebbe stato più così.

Lucia non avrebbe accettato di essere una suppellettile del suo regno, mai.

Non era un idea astratta, non era una voce cristallina nel silenzio della notte.

Lei era vera.

Voleva solo vederla, solo aspettare che il suo sguardo s’infrangesse contro di lui anche nel buio.

Sentirsi ancora in grado di controllare ogni cosa lo riguardasse, compresa lei almeno allora.

Voltandosi non vide null’altro se non il confondersi della  sua pelle sempre più pallida, il suo smorzarsi attraverso l'oscurità.

Era stanca.

Lo percepiva dalla sua stretta sempre più debole, dalle sue dita che si aggrappavano a lui con una cieca disperazione.

Una candela a cui le stavano lentamente aspirando l'ossigeno.
Camminavano da un tempo lungo ed indefinibile, il suo cuore si stava inaridendo.
Dei suoi abiti ormai era rimasto solo una poltiglia di sangue e fango, della sua forza un misero strascico livido pesantemente trascinato. Si era adagiata un  attimo sulla parete, con ancora quella risata a mezza gola che non riusciva a far smettere.
Se non si fosse medicata al più presto, sarebbe morta.
E forse non era una prospettiva tanto lontana.
Lucia questo lo sapeva.

Troppe ore erano trascorse da quando il piombo aveva iniziato ad avvelenarle le vene, troppe poche ore mancavano affinché non le fosse letale. 

Di certo non sarebbe stata il suo peso.

Un cadavere capace di camminare è pur sempre un cadavere.

I suoi occhi cominciavano ad ingannarla con giochi di luce che sapeva non essere reali.

La colpivano improvvisamente come i lampi che aveva visto alle prime luci dell’alba, prima di sparire fra le macerie dell’Opera Garnier.

La lucidità la stava abbandonando. 
I primi tremori della febbre l’avevano colpita a metà strada per Parigi, tra le braccia di Erik che cavalcava senza sosta, ed ora le si ripercuotevano in tutto il suo corpo. Le palpebre da tempo invocavano il siparista di lasciarle calare, chiudersi per trovare il loro riposo eterno in un dolce torpore.

«Ti prego … sono esausta ... lasciami qui ... lascia che riposi solo qualche minuto …»
Il dolore ormai era solo un ricordo.
Non avvertiva nemmeno più i suoi arti e quello era solo l'inizio.
Presto l'avrebbero accolta incubi impossibili da ricacciare, mostri, deliri.
Presto si sarebbe sentita mancare il respiro e tutto avrebbe perso di significato.
Si sarebbe sentita leggera, i suoi piedi non avrebbero toccato più il terreno umidiccio.
E quella salda impalcatura che la sorreggeva sembrava essere fatta di marmo scolpito.

Le sembrava di essere dolcemente cullata, così stretta a lui da percepirne il battito cardiaco per nulla affaticato.
Non come il suo così smorzato, privato della forza di combattere.
Pochi passi e la sua presa divenne leggera, mentre il suo corpo sempre più greve.

La testa finì per crollare posandosi sul suo petto e le braccia mancarono la prima tenuta sul suo collo scivolando l'una pendente davanti a sé e l'altra debolmente adagiata alla sua spalla, ricadendo poi come se lo stesse accarezzando in uno dei suoi sensuali giochi.

Non era voluto. Ma quel tocco, quelle dita che sentiva sfiorare vellutatamente la scapola donavano ad Erik un intenso brivido di piacere.

Quel suo silenzio, quella voce che moriva nel respiro affaticato, lo arrestò neanche fosse fatto di argini. Non riusciva a percepire il suo respiro, troppi tintinnii, troppo buio per vedere il suo petto se si fosse mosso e per un attimo odiò quell'autentica celebrazione del suo mondo.
Ricordava tante cose ed anche quella, letta fra le miriadi di pagine dalle parole altisonanti e difficili da comprendere in un primo momento.
Il piccolo mostro solitario aveva dovuto imparare a curarsi da solo le sue ferite.
Aveva dovuto rubare quei libri ai medici che vivevano all'Opera, leggerli avidamente e guardare le loro figure finché non gli fosse passata la nausea ed assumessero un tono più interessante.
Eppure alcune volte non poté fare tutto da solo.
L'unica persona che l'aveva visto debole e malato.
Che lo aveva nascosto alla crudeltà delle persone e poi all'interno del suo ufficio durante una delle poche volte in cui era stato umano e non un Fantasma.
Accudito come un figlio, nonostante potesse essere suo fratello.
Ora toccava a lui.

«Parlami, non dormire!»

Le sue parole nel petto risuonavano gentili.

Non era un ordine.

Era una preghiera, una richiesta.

Erik non voleva che morisse.

«Sto perdendo molto sangue …»

Sto morendo …

Le sue mani si artigliarono al corpo di lei. Ribolliva fino all’inverosimile, bruciando sulla pelle anche attraverso i vestiti.

Ardeva come un tizzone, un incendio dovuto alla pazzia del suo padrone.

Il suo teatro era bruciato. Non esisteva più.

Lei non avrebbe fatto la sua stessa fine, non di certo quando si apprestava a varcare la soglia oltre la quale la memoria si confondeva fra gli stracci di una vita isolata.

Quasi scivolò per la fretta di raggiungere quell’incavo di roccia, oltre il quale troneggiava il suo grande letto scolpito dalle sue stesse mani.

 

Ti sei troppo abituato alla luce del sole?

 

Il corpo di Lucia sembrava appesantirsi.

Sempre di più, man mano che le forze lo abbandonavano.

«Sapevo che la mia vita sarebbe stata breve …»

 

Perché dopo tutto quello che ti ho fatto non mi lasci andare?

Con Christine lo hai fatto, io non lo merito.

Non hai bisogno di me, non hai bisogno della crudeltà che altri hanno mostrato disprezzandoti.

Non ho paura, Erik. Perché tu sembri provarne?

 

«Non pensare a questo, cerca solo di resistere.»

La sua voce calda e accogliente, il tono grave con cui lo disse diveniva rassicurante tanto che ella si lasciò andare quando venne posata delicatamente sulle coperte fredde e bagnate del suo vecchio giaciglio.

Ebbe un brivido, una reazione che faceva ben sperare, non completamente lasciata all’intorpidimento dei sensi.

Ma temeva, temeva fortemente di rimanere sola con la propria mente febbricitante .

Sola con i suoi incubi.

Erik fece per alzarsi, ma qualcosa lo trattenne.

Una debole stretta e due grandi occhi castani che nel buio si distinguevano  per la loro nota di paura.

«Do-dove vai? N-non lasciarmi sola …»

Beatrice ho paura del buio, non lasciarmi sola.

«Tornerò subito …»

Aveva bisogno di luce, di un ambiente più accogliente oltre che sicuro.

Di candele il cui stoppino non fosse umido.

Di coperte asciutte.

Di acqua pulita per bollire le garze e gli attrezzi.

Non poteva fare di meglio che cercare tra i vecchi ruderi, i lontani alloggi di ballerine e inservienti.

Si ritrovò bambino, quando quei cunicoli erano un labirinto e le pareti minacciose fiere che riuscivano ad intimorirlo.

Tutto così uguale, tutto ostile come la gente, ingoiato in quei sotterranei da un’eterna notte.

Scale che si avviluppavano su sé stesse con gole sempre più profonde, spaventose statue incise nella pietra, ratti ed insetti.

Doveva avere quelle cose. Le pretendeva per dare quel minimo di dignità alla sua vita.

Tutto iniziò con una burla.

Uno scherzo fatto ad una delle grassocce donne delle pulizie. Una distrazione per i suoi ingenui occhi infantili.

Ma quando dalla fossa dell’orchestra arrivò la Musica il suo mondo cambiò radicalmente.

Non era più minaccioso.

Non c’era posto sconosciuto.

Ogni cosa assunte un colore, una luce che rischiara la mattina donando un infinito calore.

L’Arte, la Musica ed un unico voto.

Quello di elogiarle entrambe, corteggiarle con la sua mente ogni istante, un voto che gli aveva permesso di sopravvivere a quella vita relegata all’umidità fredda di una grotta sotterranea.

Lui unico sacerdote custode di un Tempio. Il suo Teatro.
Ma ora era tutto in declino.

Il suo regno non aveva più splendore.

Era ricaduto nella sua ombra.

L’Ara della Musica era stato profanato, il suo trono divelto.

Il rispetto per l’arte calpestato, un tappeto di fogli e inchiostro in cui la polvere e l’umidità stavano diventando le uniche sovrane, la sua casa divenuta solo lo sfogo della rabbia che aveva provocato e che la luce stava riportando in vita.

 

Quale disprezzo sei stato capace di generare, quale odio.

Vedi Erik, tu sei distruzione.

Tu non potrai mai essere un uomo.

 

«Erik …»

Un debolissimo richiamo.

Era sveglia anche se i suoi occhi erano appena socchiusi. Spenti.

Giaceva sul suo letto come in una tomba crollata nel tempo.

Il suo corpo disteso diveniva sempre più simile alla pietra sacrale di un sarcofago, il petto mosso appena dal respiro, le sue labbra esangui, gonfie e ferite, il suo viso cereo. La testa del cigno era stata abbattuta e abbandonata in un angolo lontano e le sue piume in rovina mostravano il legno crudo sotto il loro manto.

Una vista decadente di un Angelo che muore.

«La febbre sta salendo.»

Al suo tocco la fronte imperlata di sudore era di lava.

Torrido come una duna al pieno sole del deserto.

Ancor più calda.

Eppure il suo corpo veniva scosso da tremendi tremori.

«Va estratto il proiettile prima che l’infezione si propaghi. Sai come fare?»

Sai come fare?

La teoria la conosceva.

Un’incisione, una ricerca e poi chiudere il tutto.

Ma di fronte ad una scelta così importante, un uomo come lui, intelligente, grande conoscitore dell’arte, un erudito, si trovò spaesato e confuso.

Non sapeva cosa risponderle.

Doveva studiare gli attrezzi chirurgici che Lucia si era premurata che avessero.

Lei sapeva di quel momento era preparata.

Ma lui no, non aveva mai messo le mani su di un corpo che non era suo se non per uccidere, ingannare, minacciare.

La sua voce un veicolo di morte.

Eppure ora stava per onorare la vita.

Una mano lo afferrò stancamente prima che si staccasse.

Era una stretta fragile, ma intensa con le loro dita intrecciate e un lieve sorriso a mezza bocca così irrisorio su quel volto bianco ed emaciato.

«Erik, io mi fido di te …»

 

E tu sei pronto ad affidarti a lei?

 

«… ma tu dovrai fidarti di me. Levati la maschera …» un fremito, un’affermazione che mai si sarebbe aspettato.

Una richiesta dura da accettare.

Strappò la sua mano da quella di lei senza alcuna difficoltà, non voleva avere i suoi occhi addosso anche se li sentiva sulle sue spalle appena si era voltato.

Mostrarle il suo aspetto terrificante, come mai poteva desiderare una cosa simile?

 

Di cosa hai veramente paura?

Che vedendo il tuo aspetto si ricordi di quale scelta ha fatto?

Ti ha già visto Erik, sa chi sei e cosa sei.

È ora che comprendi tu stesso di quale natura sei fatto.

 

«Erik?»

 

Lo chiamava con il suo nome.

Sempre con il suo nome.

Come la maschera, come se conoscesse il suo delirio.

Lo chiamava attirandolo sulla riva savia del fiume.

 

Sarai in grado di curarla?
Ti vanti di essere un genio.

Eppure ora sta per morire tra le tue braccia.

Ti sei persino dimenticato di lei per ascoltare me che sono solo il parto malato della tua mente.

 

Lei, come la sua anima.

Lei, che non aveva mai avuto paura del suo aspetto.

Lei, che aveva visto l’uomo dietro il mostro.

Le sue dita si chiusero in un pugno a mezz’aria, ribellandosi alla decisione appena presa.

I suoi occhi chiusi come se fosse doloroso ciò che voleva fare.

Il coraggio sfinito di un essere deforme abituato ad esserlo.

Le sue mani avvolsero la maschera come ragni dalle dieci zampe, sotto i polpastrelli gli avvallamenti di un teschio scolpito nel cuoio.

Si sfilò lentamente.

Mestamente.

E con essa uno strano silenzio sopraggiunse nella sua testa.

Per tutta una vita l’aveva ascoltata, seguita, odiata.

Per tutta una vita si era sentito nudo senza di essa.

Eppure ora, mentre la gettava a terra, non riusciva a sentire altro che una strana leggerezza nel petto.

Ma ora lei stava morendo ed Erik non avrebbe permesso che ciò accadesse alla sua Lumiére Noire.

 

 

L’oppio e l’assenzio non erano stati sufficienti per mitigare il dolore.

Lei stessa ne aveva chiesto una dose inferiore.

Non voglio essere totalmente incosciente, finché posso ti aiuterò Erik ...

Ora dormiva.

Era iniziato come un sonno agitato, in preda agl’incubi.

Un sonno in cui le parole “no, padre!” erano le protagoniste assolute.

Solo una cosa l’aveva placata.

La sua mano esitò lungo la gota, scivolando lentamente sul profilo caldo.

Ancora troppo caldo.

La febbre non le era scesa.

Un movimento dolce, verso di lui, verso la sua carezza, come un gattino bisognoso d’affetto,  come il desiderio infantile di una persona che ogni delicatezza l’aveva vissuta come un ricatto.

Anche nel sonno forzato si ritrovava alla sua ricerca, sempre capace di percepirlo.

Forse questa volta il Fato non si era divertito.

Forse si stava solo aggrappando a degli strani intrecci del Destino.

Forse era solo un illusione, il gioco della sua mente che finiva sempre per convincerlo di avere tutto sotto il suo potere.

Pedina di qualcuno che aveva deciso che loro due, nati sotto cieli diversi un giorno si sarebbero incontrati.

Pedina di sé stesso, rinchiuso in un altro delirio d’amore.

Ma lei, lei non era imprigionabile.

Se l’avesse posta di fronte la scelta avrebbe accettato che lei fuggisse via, lungi da lui per sempre?

 

Lei non è Christine.

Lo sai questo. Non è una bambina che prega nel buio.

Non puoi convincerla che t’appartiene, non puoi rivendicare il suo possesso.

Perché dovrebbe seguirti?

 

No, non vi era alcuna ragione.

Ed avrebbe sofferto di nuovo, il cuore in frantumi come gli specchi che aveva distrutto di sua mano.

Ancora in un cerchio sadico di una giostra da cui non riusciva a scendere.

 

Mai più un’ossessione. Mai più.

E lei lo è già.

Ti piace vero avere un nuovo gioco, Erik?

 

«Non è un gioco, non più ormai.»

C’era molto di più in ballo, anche se non riusciva ancora a spiegarselo.

No, questo no.

Non ancora.

Erano domande troppo dure da affrontare, le ferite aperte che drenavano ancora il veleno lasciato dalla sua Musa.

E la sua vicinanza, il suo delicato respiro, il suo volto disteso mentre riposava tranquilla nonostante tutto quello che aveva passato, non lo aiutavano a respingerla di nuovo.

Il suo viso mai apparso così indulgente e dolce.

Doveva allontanarsi e subito, prima di rimanere preda dei sentimenti.

Non poteva innamorarsi ancora.

Ma nello spostarsi, nello scappare da lei, accadde una cosa che non si aspettava.

Un calcio involontario investendo quella borsa che aveva trasportato la salvezza di lei, o quella che sperava lo fosse.

Cadde, rovesciò ciò che vi era rimasto del suo contenuto.

Alcuni oggetti dalla strana natura medica, la bottiglia di assenzio che rotolò fino all’esterno e un quaderno rilegato di nero.

 

Ostia 1861

Mia cara Beatrice,

Sono su questa nave ed osservo quella lingua di terra dove tu resterai.

Si allontana, sparisce nell'orizzonte da cui mi stanno strappando.

Vorrei tanto essere con te ora, asciugare le tue lacrime sulla mia tomba vuota. Ci sono, anche se non con il corpo, con la mente, con il cuore, con quella parte della mia anima che tu custodisci gelosamente.

Rimembri Beatrice le giornate in campagna? L’estate calda che si incollava ai nostri vestiti leggeri, il tempo delle more selvatiche e della rosa canina, le lunghe passeggiate fino alla spiaggia. Ricordi come eravamo felici in quel periodo dell’anno, lontane da Roma, lontane da lui?

Fallo per me. Ricordami così, con il sorriso di restare tra le tue braccia.

Non piangere, sorella mia. Non valgo le lacrime della tua innocenza strappata …

 

La prima pagina di tante altre, lettere che non erano mai state spedite ad una sorella mai più rivista.

Gli occhi scorrevano veloci sulle parole vergate di nero, avidi di quella realtà di vita.

Parole da un significato nascosto in quella che sembrava una costante richiesta d’aiuto.

L’unico momento in cui lasciava spazio a sé stessa, raccontandosi attraverso la penna in uno squarcio della sua anima che si andava a riflettere sulle pagine ingiallite.

Uno specchio che attraeva le allodole, dall’anonima copertina in pelle nera.

Uno specchio dilaniato e corroso dalla freddezza con cui si tramutava la sua confessione.

Ne fu attirato, anche se non sapeva quale misterioso e prezioso tesoro contenesse.

Una vita nascosta in un diario, un amore morto in patria.

Un'attrice che della vita aveva fatto il suo palcoscenico e il mondo lo scenario su cui esibirsi.

Ma lui era penetrato nel suo di mondo, nella sua sofferenza, senza che la pietà lo cogliesse, senza alcuna benevolenza, senza bussare alla porta che finalmente non offriva più soltanto una lama di luce nell’ombra.

Viaggiò con lei vivendo ogni istante i suoi tormenti descritti con la vitalità di un’emozione.

Visse delle sue delusioni, il martirio di quella sua parte ancora non sopita.

Il suo corpo divenuto veicolo di piacere e di morte.

 

Ho ucciso di nuovo. Non sento più la colpa per quello che ho fatto.

So che ti è stata comunicata la mia morte da almeno alcuni anni, ma in realtà è ad oggi che l’epitaffio dovrebbe rifarsi.

Con oggi, l’Angelo del Mattino ha preso la mia anima spenta, traviata, corrotta, resa schiava del vizio e del peccato prima ancora che mi arrogassi il diritto di prendermi una vita. Sono diventata una sua ancella di sangue. Vedo il mio corpo vuoto comandato dai suoi fili nascosti vagare sulla terra, le mie mani divenire le sue mentre la Francia le reclama.

Ciò che mi accadrà d’ora in poi sarà lontano dallo sguardo della misericordia, non merito indulgenza. Gli Angeli non potranno più portarmi i sogni.

 

Era dentro di lei, oltre quello specchio che aveva tanto avuto paura di valicare.

Lesse per ore di Lucia e del suo dolore. I suoi viaggi, le sue conoscenze, il suo cambiamento nell’indifferenza.

Lesse di quando Malice s’impossessò della sua vita.

Lesse di quando venne assassinata la sua umanità.

 

Sei ancora certo che lei voglia una vita sacrificale come quella a cui la costringeresti?

Segregata ad un’eternità del tuo viso deforme alla ricerca dell’espiazioni dei vostri peccati nell’oblio.

Ora che può concedersi una vita vera.

Non credi sia stanca di vivere nell’ombra?

 

La maschera era tornata a tormentarlo.

Bianca ed offesa si era stesa sulla metà del suo volto con il suo solito cipiglio serio e gravoso.

In essa avvertiva il rancore delle persone sviscerarsi dalle pareti, la loro paura da ogni angolo della sua grotta ad ogni candela accesa.

Di una madre che lo aveva rifiutato, del mondo che l’aveva ricacciato nell’oscurità come un reietto.

Un mondo che si era dimostrato intollerante, privo di ogni carità nei loro confronti.

Un mondo che aveva dimostrato solo disprezzo e rabbia.

Poco si era salvato.

Qualche pergamena, alcuni libri e un baule con la serratura nascosta, una sorta di scatola cinese dalla combinazione impossibile da trovare. Con esso alcuni dei suoi abiti.

Eleganti, raffinati orpelli di stoffa con cui aveva trovato un po’ di serenità nel togliersi di dosso tutto quel sangue.

Il suo sangue.

Ma, nonostante la sua solerzia nel sistemare ciò che era rimasto dalla razzia, tutto assumeva un aspetto ormai decadente.

Sotto le sue dita aveva i resti della vernice dorata delle modanature mangiato dalla muffa.

I suoi disegni calpestati, i suoi figurini abbattuti.

Ogni cosa corrosa dallo sdegno consumato la sera del Don Juan.

Il grande organo, invece, era stato quasi del tutto tramutato in macerie.

Il cuore del vecchio gigante sfigurato spezzato, rendendo ormai il teatro un rudere inanimato.

Le canne sradicate dalle loro sedi in più punti, i tasti saltati come denti mancanti di un bocca invecchiata.

Suonava ancora.

Stonato, ma suonava.

Il più grande dolore di una lacrima versata sulla sua imponente carcassa, un vecchio amico seppellito in quella grotta assieme alle speranze di un sogno cancellato. Un sogno mutato dove la Musica trovava altre evoluzioni, lontana dal suo Altare profanato, lontano da quel posto tramortito dall’odio.

Persone accanite sui resti mortali dell’Arte.

Ma la musica avrebbe continuato a suonare in lui, a vivere come edera su di un tronco.

L’avrebbe consumato lentamente, un cuore che viveva e moriva attraverso le notti insonni costruite di pentagrammi.

Note.

Pause.

Lui sarebbe stato per sempre l’immortalità dell'Arte.

 

La costringerai ad una scelta stavolta, Erik?

 

Era stata questa la sua capacità fin dal primo istante in cui si erano incontrati.

Lo mandava in confusione, lo spingeva verso domande che mai aveva osato porsi.

Lo rendeva malleabile, incantato e interessato a lei anche senza che il fuoco della Musica divampasse.

Non aveva ammirato il suo bel canto, né le sue doti musicali.

Forse non ne possedeva alcuna.

In lei aveva visto un mondo nuovo, una speranza. L’aveva apprezzata per i suoi variopinti aspetti.

Per il suo fascino e la sua limpidezza nella menzogna.

La sua schiettezza.

La sua idea disamorata dell’esistenza a cui si affacciavano sempre come spettatori.

La visione diversa degli stessi occhi.

Vivere una nuova vita, discorde ma simile.

Essere un nuovo uomo.

Essere una nuova donna.

Insieme.

Come nel momento in cui si stese accanto a lei sentendo i suoi incubi affievolirsi, le sue lacrime asciugarsi, il suo dolore placarsi, proteggendola con il suo corpo sentendo la sua mano incatenarsi alla propria intrecciando le dita.

Il suo respiro caldo e regolare come una dolce nenia in un sonno senza sogni, dove entrambi avrebbero finalmente trovato la pace.

Sarai in grado si proteggerla, Erik?

«Sarò al tuo fianco, se tu lo vorrai ...»

 

 

Note dell'autrice: Buondì ^^! Allora, il prossimo capitolo sarà praticamente l'ultimo (ora vedo come si sviluppa se viene parecchio lungo potrei dividerlo) e poi l'epilogo.

Dopo il capitolo precedente volevo mostrarvi l'umanità dei miei protagonisti Lucia nel suo Diario, Erik nel comprendere che forse ha trovato veramente una sorta di pace. E' il mio modo di creare un finale per tutti che sia lieto. 

La strada è ancora lunga, ma ho pensato che accanto ad una persona come Erik ci voleva qualcuno di altrettanto forte.

Comunque sia spero che vi siano piaciuti questi momenti pucciosi.

Piccole spiegazioni tecniche: Ovviamente per proteggersi sono andati nei sotterranei dell'Opera dove ci sono trappole e quant'altro. Sono nella grotta a cui Erik, una volta finito di fare il medico improvvisato, ha dato più o meno una sistemata raccattando oggetti nelle parti ancora in piedi del teatro (l'Opera è gigantesca, l'incendio non può aver colpito tutto, tutto). Lui si sofferma poco in effetti sulla distruzione della sua grotta, proprio perchè comincia a sentire di staccarsi da tutto quello che ora non è più. Ha altro a cui pensare. Spero che condividiate il mio punto di vista.

Con questo spero di aver detto tutto.

Vi ringrazio sempre.

I remain, Gentlemen. Your obedient servant.

Mally


   
 
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