Can I have this dance?
. 9 .
Mi credevi diverso, mi
credevi il tuo specchio,
ma sono un uomo, io non
sono un capriccio.
Modà, Uomo diverso
“Vorrei solo capire una cosa”.
La voce di Albus
echeggiò rabbiosa nella Sala Comune. Un paio di ragazzini del primo e del secondo
anno si voltarono a guardarci. Dal canto mio, lo fissavo indifferente, buttata
in modo scomposto su una poltrona rossa, con un sopracciglio inarcato.
“Cos’è che non ti è chiaro?”,
sbottai.
Ero alquanto stufa di quella
sceneggiata.
“Il perché tu gli abbia dato quello
schiaffo!”, mi rispose lui, con tono quasi stridulo.
Erano ore che parlavamo di quella
faccenda. Non avrei mai pensato che mio cugino fosse un tipo così insistente.
Lo conoscevo come una persona pacifica, che sta sempre sulle sue, che cerca
sempre di accontentarti, eppure ora era lì a farmi la paternale. Intanto io,
con quello sfogo chiamato Scorpius-sacco-da-box-Malfoy, mi ero tranquillizzata ed ero tornata la tipa
antipatica e saccente di sempre.
“Semplicemente… se lo meritava”.
Lui continuò a fissarmi. Le sue
narici si allargavano ad ogni respiro. Questa volta era davvero infuriato, ma a
me non importava. Credevo fosse chiaro ormai da un bel po’, che io non volessi
avere nulla a che fare con quell’essere platinato, eppure non riuscivo a capire
cosa si aspettassero i miei cugini da me. Avevano davvero una fervida fantasia,
per immaginare una storia d’amore così assurda.
Sì, gente, il mio cervello non si
era ancora arreso. Continuava a blaterare monologhi che non stavano né in cielo,
né in terra, pur di occultare quello strambo sentimento, se così poteva
chiamarsi. E forse era proprio questo a dare sui nervi ad Albus,
più di tutti gli schiaffi, i piatti di porridge, le
librate, che Malfoy aveva dovuto sopportare da parte mia.
“Credevo tu fossi una persona
intelligente…”, se ne uscì lui ad un certo punto “…e civile, per altro. Potevo
capire quando ti stuzzicava, ma ieri cercava solo di capire cos’avessi. Mi ha
detto che eri triste”.
Io sbuffai. Ero sempre stata una
tipa molto orgogliosa e non era da me dare spiegazioni sulle mie azioni, in
particolare se si trattava di Malfoy.
“In quasi cinque anni, non si è mai
preoccupato per me. Mi ha sempre presa in giro. Ed ora vorrebbe farmi credere
che gli importa di me?”.
“Ma questo non giustifica lo
schiaffo, Rose!”.
“Mi ha chiamata per nome!”.
“Oh, bene! Schiaffeggiamo tutti
quelli che ci chiamano per nome!”
Ma cos’aveva Albus
quel giorno? Non l’avevo mai visto così combattivo. Senza che me ne accorgessi,
mi ritrovai a deglutire. Lui aveva ragione. Non ero giustificabile, ma mai
avrei ammesso le mie colpe, ne ero certa.
Come se non fosse abbastanza, il
ritratto della Signora Grassa si aprì, per lasciar passare qualcuno. Mi dissi
che non bastavano gli spettatori già presenti, ma ebbi l’impulso di uccidermi
quando una voce strascicata ringraziò la signora del dipinto.
“Sempre gentilissima lei”, le aveva
sussurrato entrando, mentre ero certa di aver sentito un sospiro sognante
proveniente dal quadro.
Fantastico!
“Oh, sei tu”, fece Albus, rivolto al suo migliore amico, appena entrato “Io
non riesco a cavare un ragno da un buco. E’ come ragionare con un gorgosprizzo. Ci
parli tu?”.
Non poteva farmi questo, non poteva.
Cercai di non guardare nessuno dei
due. Forse speravo di isolarmi da quella stanza soltanto ignorandoli. Al aveva
ragione. Il cervello mi aveva abbandonata.
“Sì, ci penso io”, rispose serio Malfoy, e si accomodò sul divano, mentre mio cugino saliva
le scale del dormitorio maschile. “Possiamo parlare?”, mi disse, dopo avermi scrutato
a lungo.
I miei occhi andarono a posarsi
sulle sue iridi ghiacciate. Ciò mi fece perdere il nume della ragione, più di
quanto non fosse già, tant’è che non proferii parola per due minuti buoni.
Quando mi riscossi, cercai di assumere un tono duro, ma, ahimè, rimasi comunque
in una modalità molto tranquilla.
“No”.
Mi alzai dalla poltrona, dopo aver
pronunciato quel monosillabo ed, intenzionata a non voler ascoltare altro,
allungai il passo verso l’uscita della Sala Comune. Lui non si arrese e mi seguì.
Il ritratto ci lasciò passare e Malfoy, dopo qualche
passo, più lungo dei miei dato il suo metro e ottanta, mi superò e mi si parò
davanti.
“Rose,
fammi parlare”.
Era stupido o cosa? Mi aveva di nuovo chiamata
per nome. Lasciai correre quel dettaglio e pensai al modo più veloce per
liquidarlo. Non avevo tempo da perdere con lui.
“Noi due non abbiamo nulla da dirci. Tu sei un
megalomane, un presuntuoso e sei pieno di te”, lo insultai senza ritegno,
sperando che, offeso ed indignato, se ne sarebbe andato, ma quello non demorse.
“Okay, d’accordo. Hai ragione. Sono
presuntuoso, lo ammetto, e pieno di me, ma lasciami spiegare almeno il perché!”.
Non mi aspettavo quella risposta, tant’è vero
che rimasi alquanto spiazzata e la frase che emisi, a parer mio, non risultò
molto convincente.
“Non c’è nulla da spiegare”, sussurrai.
Lui non smise di esser serio.
“Invece sì, e la spiegazione è una sola. Tu mi piaci”.
Lo disse tutto d’un fiato e sembrava sincero,
il suo sguardo era quasi sofferente nell’ammettere i suoi sentimenti. Mi
annotai in mente di tenerlo presente per qualche futura recita scolastica. Era
davvero realistico. Sorrisi, ma fu un
sorriso più simile ad una smorfia sarcastica.
“No, Malfoy, io non
ci casco. Tu vuoi solo l’ennesimo trofeo
ed io non sono disposta ad essere la tua nuova bambola di pezza. Non ti bastano
tutte le oche che hai già intorno?”.
Come il resto del discorso, mi stupì anche
quella locuzione, che seguì alla mia sfuriata.
“No, non mi bastano! Io voglio te!”.
Non riuscii a muovermi dalla mia postazione e
non mi accorsi neanche del fatto che si stava avvicinando a me, tanto fu
veloce. Lui addossò le sue labbra sulle mie, quasi con forza, quasi come se
avesse paura che potessi scappare. Mi
prese tra le mani il viso e cercò di approfondire il bacio. Per un momento,
temevo che mi sarei lasciata andare, ma lo allontanai prima che il mio cervello
potesse perdere ulteriori neuroni.
“Lasciami!”, dissi, mentre il mio viso
diventava paonazzo, ed alzai una mano al cielo, intenzionata a dargli l’ennesimo
schiaffo, ma lui mi afferrò un polso e mi fermò.
“No, stavolta non ti lascio. Stavolta non
me ne sto buono. Rose, tu mi piaci davvero e mi sono stufato di fingere, di
prenderti in giro per nascondermi, di essere freddo. Questi giochetti mi hanno stancato”.
Ogni parola, che ora pronunciava, mi faceva
salire dei brividi lungo la schiena. Non riuscii a capire se la mia fosse
paura, o se mi fossi resa conto di essere innamorata. So solo che non ebbi il
tempo di schiarirmi le idee, perché lui si avvicinò così tanto a me, che fui
costretta ad arretrare, fino a che la mia schiena non toccò la gelida parete di
pietra di quel corridoio, in cui probabilmente alcuni studenti si stavano
godendo la scena. Non ebbi il tempo di occuparmi del pubblico. Avevo altro per la
testa. Non potevo più allontanarmi e le sue labbra sfioravano ormai le mie,
regalandomi il suo caldo respiro, ora intenzionate a baciarmi con dolcezza. La presa sul mio polso si
allentò ed, in quel momento, recuperai la lucidità. Mi abbassai e sfuggii da
quella sorta di abbraccio. Borbottai la parola d’ordine dei Grifondoro
e scappai in camera mia, lasciandolo sicuramente spiazzato. Non guardai in
faccia nessuno, nemmeno mio cugino, che mi chiese se mi fossi calmata. Avevo
bisogno di stare sola.
Angolino dell’autrice
Buongiorno, ragazzi e ragazze. Eccovi
finalmente il nuovo capitolo.
Chi segue la mia pagina facebook sa che sono stata impegnata con un esame
particolarmente pesante e che l’ho conquistato con un discreto successo.
Ammettetelo però, non vi aspettavate
tutti questi risvolti nel capitolo.
Ragazzi, manca un giorno al ballo e,
come avete potuto constatare, succede un casino dietro l’altro. Come si
comporteranno i nostri beniamini?
Probabilmente il prossimo sarà l’ultimo capitolo
(o il penultimo, devo ancora decidere).
Detto questo, vi mando un bacio e vi
ringrazio per il vostro sostegno.
A presto.
Vale