MOLTO
TEMPO FA
Confessione
Ho
paura.
Nessun
rumore in chiesa. Nessuno. Non udiva più neanche i bisbigli
dell’ultima donna
che era venuta da lui per confessarsi.
Un
silenzio soprannaturale. O almeno così sembrava a padre Mark
che, seduto nella
sua cabina dove soleva ascoltare i peccati dei fedeli, aveva le
orecchie (e i
nervi) tese. Intravedeva il bagliore delle candele, luci sospese nella
penombra.
Ho
paura.
No,
non era paura.
Era
molto, molto peggio. Terrore. Un terrore viscerale, che si dimenava nel
suo
corpo come un serpente velenoso, stringendo lo stomaco in una morsa e
accelerando i battiti del suo vecchio cuore. Un terrore mai provato
prima.
Anzi,
no.
L’aveva
già provato, ma da ragazzino, quando la vocazione non si era
ancora fatta
sentire. Un sentimento tipico dei bambini, che sopraggiungeva non
appena la
mamma aveva dato il bacio della buonanotte e si era chiusa la porta
alle
spalle, lasciando il figlio nell’oscurità
completa. Allora c’era un’unica cosa
che stuzzicava la mente, i sogni e provocava questo terrore: i mostri
che
sarebbero usciti dal grande armadio accanto al letto, i mostri che
avrebbero
allungato le lunghe braccia nere per trascinarlo in un luogo buio,
senza nome,
dove l’avrebbero dilaniato con i suoi artigli.
Erano
stati anche una sua paura. Poi, però, era passata e aveva
capito dove stava il
problema. Di mostri ce n’erano tanti e avevano facce diverse.
Gli uomini. Certi
uomini che commettevano le azioni più abiette. Erano loro i
veri mostri. Erano
mostri quando allungavano le loro luride mani per uccidere un altro
essere
umano, erano mostri quando picchiavano una donna, un bambino. Erano
mostri
quando rinnegavano Dio per concedersi al Male.
Perché
ogni essere
umano conosce presto la tenebra...
Padre
Mark si fece il segno della croce. Gli si erano drizzati i peli delle
braccia.
Che
cosa c’è?
Silenzio.
Solo il silenzio. Tra qualche minuto avrebbe sentito i passi del
chierico che
faceva il giro come ogni sera per spegnere le luci e chiudere la
chiesa.
Padre
Nostro, che sei
nei cieli...
(Devo
andare via. E’
tardi)
...sia
santificato il
tuo nome...
Passi.
Rumore di passi.
Venga
il tuo regno, sia
fatta la tua volontà...
***
La
chiesa non era vuota.
La
ragazza sedeva, immobile, su una panca. Era lì da almeno
un’ora, ma nessuno
aveva fatto caso a lei. Nessuno l’aveva disturbata. Forse
pensavano fosse una
fedele intenta a pregare.
Non
lo era. E nemmeno sapeva perché era entrata in quel posto.
La
ragazza si era quasi genuflessa all’ingresso e da qualche
parte nella sua mente
lo strano desiderio di mettere una mano nella bacinella
d’acqua santa si era
fatto strada, stordendola momentaneamente. Poi, ci aveva ripensato e si
era
infilata la mano nella tasca della giacca, dandosi
dell’imbecille.
Dio
non vive qui.
Questa
voce aliena dentro di lei l’aveva fermata. La ragazza
conosceva la verità. La
ragazza non aveva paura. Forse sperava che, una volta entrata, avrebbe
ritrovato quell’antico sentimento, quella
fragilità, quella debolezza che ogni
persona conosceva, che era parte integrante dell’animo umano.
Ma era passato
molto tempo da quando aveva provato paura per quell’aspetto
superstizioso che
accompagnava ogni fede religiosa. Un timore che risaliva alla sua
infanzia. Un
timore che non l’aveva colta quando aveva aperto la porta di
quella modesta
chiesa, né quando aveva deciso di sedersi su una delle tante
panche di legno.
Le
sue narici vennero pizzicate dall’aroma leggero che pervadeva
l’aria immobile.
Era rimasta sola. Sola in una chiesa che tra poco avrebbe chiuso i
battenti.
Sola con le statue dei santi, con gli affreschi sulle pareti, con i
crocifissi
che erano ormai l’immagine del nulla, del vuoto, della
perdita, della vacuità
dell’esistenza.
Ma
no. Non sono sola.
Ad
un certo punto, apparve un giovane biondo, in tunica bianca. In mano,
reggeva
lo spegni moccoli e con quello...
(uccideva)
...spegneva
le luci.
La
ragazza lo guardò. Lui anche, ma distolse subito lo sguardo
e passò oltre.
Sorrise
fra sé.
Passarono
alcuni minuti. Sentì una mano che si posava sulla sua spalla
destra. Che
strano, non aveva neppure udito i passi che si avvicinavano. Di solito,
era
così attenta...
«Posso
aiutarti, figliola?», disse il prete, un uomo alto, con i
capelli ormai grigi,
massiccio. Gli occhi chiari la osservarono. «Vuoi
confessarti?».
«No»,
rispose la ragazza.
«C’è
ancora tempo, se vuoi. E tu sei in ansia»
Anche
il prete era in ansia. Qualcosa lo turbava.
Padre
Nostro...
(signore
delle tenebre)
«No,
padre. Non posso confessarmi. Non posso». Scuoteva la testa
da una parte
all’altra. Non poteva davvero.
«Certo
che puoi. Vieni con me, coraggio».
...che
sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome...
Venga
il tuo...
Che
sciocchezza. Avrebbe dovuto andarsene. Aveva la bocca secca e la gola
che
bruciava.
Tuttavia,
lo fece. Seguì il prete ed entrò nella cabina di
legno. Puzzava. Puzzava di
vecchio. E non solo.
La
ragazza si inginocchiò, scostò una ciocca di
capelli neri che le era ricaduta
sul viso stanco e pallido e si schiarì la voce, mentre il
prete faceva scorrere
il pannello divisorio.
«Beneditemi,
padre, perché ho peccato...», cominciò
lei, chinando il capo. Il legno sotto le
sue ginocchia scricchiolò. Si diceva così, vero? Beneditemi, padre, perché ho peccato.
Cosa
ci faceva lì? Che cosa le era saltato in mente? Voleva il
perdono? Ma il
perdono di chi, poi? Era impazzita?
...
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà, come in cielo...
«Dio
ti perdonerà, figliola», sussurrò il
prete, con la voce che tremava un po’.
Ha
paura.
...così
in terra...
dacci oggi il nostro...
«Cosa
ti deve perdonare Nostro Signore?».
Silenzio.
...il
nostro pane
quotidiano... e rimetti a noi i nostri debiti...
«Figliola,
non temere la misericordia di Dio...».
«Omicidio,
padre. Tanti omicidi».
Pausa.
Il prete non rispose.
«E’
contento, padre? Omicidio. Ecco il mio peccato. Ho ucciso. Ho ucciso
perché
era... perché è la mia natura. Perché
non riuscivo a controllarmi. Ho fatto del
mio meglio. Ho cercato di aiutare le persone e spesso ci sono riuscita.
Ma...
oh, tutte quelle morti!».
Ancora
silenzio.
«Può
perdonarmi il Suo Signore?».
...come
noi ti
rimettiamo i nostri debitori...
«Cos’è
questo, figliola? Uno scherzo? Ti stai prendendo gioco di
me?» proruppe il
prete, indignato e spaventato.
«No,
padre! Se Dio è così misericordioso come dice,
allora perché non può
perdonarmi?» gridò la ragazza.
Perché
non c’è nessun
Dio. Proprio come pensavi.
L’uomo
tirò indietro il pannello con un colpo secco e
uscì dalla cabina. Lei non perse
tempo e uscì a sua volta.
La
chiesa era deserta, vuota. Il chierico si era ritirato.
«Sai
come si chiama questo? Sacrilegio» le disse il prete.
«E
lei sa chi sono?».
Si
avvicinò a lui, lentamente, senza staccargli gli occhi di
dosso. All’inizio, il
prete non si mosse. La fissò, furente, digrignando i denti.
Poi,
all’improvviso, un barlume di consapevolezza si accese nel
suo sguardo. Vide
qualcosa nella ragazza, vide qualcosa di oscuro, un’aura
nera, forse. Qualcosa
che lo costrinse ad indietreggiare. Ma la giovane lo afferrò
per un braccio. La
sua mano era fredda, la presa molto salda.
«Lasciami!
Lasciami andare, mostro!», gridò il prete,
cercando di divincolarsi.
Lei
lo afferrò per le spalle. Lo sollevò da terra.
«Ha
detto che Dio perdona ogni cosa, padre. Ma non è
così, vero? Stava mentendo.
Anche lei ha peccato».
«Lasciami,
ho detto. Demonio!»
La
ragazza lo trascinò fra le panche e lungo il corridoio
centrale della chiesa,
fino ai gradini che salivano sull’altare. Su una pedana
rialzata, c’era un
leggio affiancato da vasi di fiori bianchi. Sulla parete, dietro al
leggio, era
appesa una croce.
E
non ci indurre in
tentazione...
«Cosa
vuoi fare? Nella casa di Dio...». Gli occhi del prete
sporgevano dalle orbite. La
ragazza si chinò. Il suo sguardo nero fiammeggiava.
«Gesù...»
Quel
nome riecheggiò nella grande chiesa, ma non trovò
nemmeno un appiglio a cui
aggrapparsi e si perse nel silenzio.
«No,
padre. Non Gesù», rispose la ragazza.
E
non ci indurre in
tentazione, ma liberaci dal male...
Liberaci
dal male.
Liberaci
da tutto.
Poi
gli affondò i denti nel collo.