Parte sesta.
[Perdono in tutte le lingue del mondo]
Te la ricordi la mia faccia strana
quando ho capito che era una sconfitta
e davo tutto per scontato
e tu che rimanevi zitta
quante inutili parole
quanti rimorsi trasformati in pianto
vorrei guardarti un’altra volta ancora
e piano piano dirti
quanto ti amo, ti amo
ma quale pausa
adesso è chiaro che ti amo
e ti amo e ti amo
ma l’ho capito solo quando ti ho perduto
e ti voglio, ma non ti chiamo
perché ho sbagliato e non merito perdono.
Al San Mungo c’era silenzio. In fondo, era notte inoltrata.
Eppure, Hermione aveva talmente
tanti pensieri che le frullavano in testa, e bussavano, e bombardavano, e
picchiavano, che le sembrava di essere in mezzo ad una folla.
Percorsero i corridoi e raggiunsero a fatica la sala
d’aspetto.
Seduto su una sedia di plastica dall’aria scomoda, c’era Harry, con le mani tra i capelli, e l’aria di un malato
terminale.
Sentendo dei passi, alzò la testa. Era decisamente pallido.
-
Ah, siete voi – disse, con la voce
spaventosamente acuta.
Sia Ron che Hermione
trattennero con forza un sorrisetto divertito.
-
Su, su, non vederla così tragica – disse Hermione, battendogli una mano sulla spalla.
Ron inarcò le sopracciglia.
-
E invece fai bene a prepararti
psicologicamente, amico. Ti aspettano ore di tortura. Il parto è una cosa
assurda. Tutti se la menano per ore, e quando uno meno se lo aspetta, tac,
ecco che ti spunta fuori il moccioso. –
Hermione si voltò a guardarlo,
disgustata.
-
Dio, quanto parli male – fece,
squadrandolo.
-
Sono solo diretto… -
Harry non sembrava sentirsi
meglio, comunque. Anzi, stava assumendo una particolare sfumatura di verde.
-
Non mi ha nemmeno lasciato stare lì –
balbettò, allentandosi il colletto della camicia – Ginny
non mi vuole lì. Pensavo scherzasse, e invece… dice che non ha intenzione di
farsi vedere da nessuno in uno stato così pietoso. Sembrava piuttosto… -
-
… isterica? – concluse Ron, con aria saccente. – niente di nuovo sotto il sole, Harry. E adesso è ancora in travaglio, pensa alle urla che
si sentiranno quando partorirà… -
-
Finiscila, Ron
– lo fulminò Hermione, lanciando una grottesca
occhiata a Ginevra e Minerva, che si erano sedute ed ascoltavano con aria
eccessivamente interessata la conversazione.
-
Quanto hanno detto che durerà? –
-
Secondo loro ancora un paio d’ore. Pare
che sia veloce… -
Ron continuava ad annuire, come se
fosse il più grande esperto nell’argomento.
-
Ah, ah, velocissima. Se conti che Hermione ci ha messo più di sei ore… Ginny
è saggia a non volerti lì… se avessi saputo in che condizioni sarebbe stata
lei, non sarei entrato manco… -
-
Ron, se non
cominci a stare zitto, ti do un ceffone che ti faccio diventare bello – sibilò Hermione, e Molly e Ginevra scoppiarono
a ridere e perfino Harry accennò un sorriso.
-
Comunque, ora non ci resta che aspettare
– disse Hermione, assumendo improvvisamente il suo
cipiglio organizzativo. – io vado a dire a Ginny che
ci siamo, poi direi di andare a prendere un caffè per tutti… tranne che per le
bambine, naturalmente. –
Ginevra e Molly la guardarono
sprezzanti.
Ron sbadigliò.
-
Io invece vado al cesso. –
Hermione gli pestò un piede con
tutta al forza che aveva in corpo.
-
Ahia! –
-
Smettila di dire parolacce. Se sei troppo
stanco per contenerti, va a dormire… magari in un cassonetto. –
E girò sui tacchi verso una saletta in cui presumibilmente
si trovava Ginny.
Ron scosse la testa con un
sospiro, sbadigliò di nuovo e si diresse vagamente avvilito e zoppicante verso
il bagno.
Le due bambine, rimaste sole con Harry,
si guardarono.
La situazione non prometteva affatto bene. Anzi, Ron ed Hermione sembravano
odiarsi ancora di più di quando si erano rivisti.
Il fatto era che avevano ben poco su cui lavorare. Se non
sai cosa devi aggiustare, non sai nemmeno come aggiustarlo.
Naturalmente, ormai si capivano al volo, e pensarono
esattamente la stessa cosa.
Guardarono Harry, che aveva ancora
la testa penzoloni, e sembrava parecchio deboluccio.
Decisero malignamente di approfittarne.
Fu Ginevra a parlare. Era lei l’esperta in tatto.
-
Ehm… Harry? –
Lui alzò stancamente lo sguardo.
Ginevra Raccolse il coraggio, scambiò un’occhiata con la sorella e si buttò.
- Harry,
ma tu lo sai perché si sono lasciati? –
Lui, che continuava a sbirciare verso la porta in cui era entrata parecchio
tempo prima Ginny, le
guardò e si allentò un pochino sulla sedia della sala d’attesa.
- Intendi Ron ed Hermione? –
- Chi se no? -
- Non so se sono autorizzato a dirvelo… -
Molly lo guardò con aria
confidenziale.
- Diccelo. Ti aiuterà a rilassarti. –
Harry alzò le sopracciglia.
Si guardò intorno, ma non c’era nessuno oltre loro.
- E va bene… giusto perché sapete che adesso non ho voglia di
opporre resistenza. –
Entrambe fecero dei sorrisi innocenti. Harry
sospirò.
-
Fatemi pensare… dunque, mettiamola così.
Già da qualche giorno prima che voi nasceste, le cose tra loro non andavano
granché bene. Hermione aveva i nervi a fior di pelle
per la gravidanza… inoltre non poteva lavorare, e la cosa la faceva arrabbiare
ancora di più. Ron era nervoso perché faceva
selezioni su selezioni, ma nessuna squadra era disposta ad accettarlo, tranne
quelle di categoria bassa… ma lo sapete, lui di solito preferisce puntare in
alto. –
-
Papà? Che non viene preso ad una
selezione di Quidditch? – lo interruppe Molly, in un impeto di incredulità.
-
Ehi, ha passato dei periodi veramente
neri – ora Harry sembrava essere piuttosto preso dal
suo stesso racconto. – comunque, dicevo, non era un bel periodo per loro.
Inoltre, da quello che poi ho saputo, pareva che vostro padre avesse un piccolo
flirt con una ragazza di Diagon Alley
che lavorava come commessa in una gelateria. –
Le bambine spalancarono la bocca, sbalordite.
-
Ma come? Non stavano insieme già da
tempo, la mamma e lui? –
-
Sì, ma… voi siete piccole, e siete anche
femmine. Ci sono cose che le donne non capiranno mai… Ron
ha sempre avuto questo vizio. Lui ha davvero tentato di levarselo, ma non ci è
mai riuscito. Certi vizi non li sradichi mai. Comunque, quel flirt era una cosa
veramente innocente. Insomma, qualche parolina di tanto in tanto, e Ron che si attardava un po’ più del dovuto a chiacchierare,
ma niente di sconvolgente. Purtroppo, c’è il rovescio della medaglia: sia Ron che Hermione sono due persone
estremamente gelose. –
Ginevra aggrottò le sopracciglia.
-
In che senso? –
-
Beh… non so come spiegarvelo. Diciamo
così: pensate alla cosa o alla persona a cui tenete di più. Come la prendereste
se qualcuno, arrivato dopo di voi, voi che ci avete messo impegno a prendervi
cura di questa cosa con tutto il cuore e l’anima, ve la portasse via con
facilità? Ci sono persone che la gelosia la provano relativamente, che cercano
di conviverci… ma ce ne sono altre, come i vostri genitori, che non riescono a
controllarla. E’ come se impazzissero: il minimo accenno che qualcosa a cui
loro tengono gli venga portata via li fa infuriare. –
Harry ormai era completamente
rilassato.
-
Quindi, è naturale che il fatto che Ron ogni tanto non fosse particolarmente presente oppure si
attardasse, insospettisse Hermione, che tra l’altro
ha un intuito che fa paura. Lei lo sapeva benissimo che Ron
aveva un flirt: se lo sentiva. Inizialmente aveva provato a far finta di
niente: un po’ perché non voleva sembrare paranoica, un po’ perché conosceva Ron da secoli, e sapeva che per lui era impossibile
trattenersi da essere carino con una bella donna. Però certi difetti, anche
delle persone a cui si vuole molto bene, non si riesce a sopportarli. –
-
Ma scusa, e tutto questo cosa c’entra?
Non si saranno mica lasciati perché la mamma aveva qualche sospetto…? –
Harry ci pensò su.
-
Non esattamente – disse – il giorno prima
di partorire, uscì. Lei mi ha sempre detto che fu una cosa casuale, ma non ne
sarei del tutto sicuro. Quale donna al nono mese di gravidanza, con una pancia
grande come un mappamondo se ne esce a fare una passeggiata in pieno agosto,
con un caldo da svenire? Probabilmente aveva perso le staffe e voleva vederci
chiaro. In fondo, non era normale che Ron tornasse
così spesso con tre o quattro gelati. E naturalmente fu lì che andò Hermione: dove lui diceva di andare. -
-
Oddio – squittì Ginevra, totalmente presa
dalla storia.
-
Da quel che ne so, Hermione
vide nel negozio Ron e questa ragazza che si
baciavano. Su questo ho pure due versioni: quella di lui, che diceva che la
commessa si era allungata a baciarlo contro il suo volere, e che lui si era
allontanato subito; e quella di Hermione, che ha
descritto quel bacio come disgustosamente lungo e assolutamente voluto. –
Le bambine si guardarono.
-
Ma qual è la verità, allora? – chiese Molly.
-
Ah, non lo so, io non c’ero. Però…
sapete, io vi dico il mio parere. Non che io ‘stia dalla parte’
di Ron, solo che lo conosco perfettamente, e ho
ragione di credere che quello che mi ha detto è vero. Quando lui ‘flirta’ con le donne, non lo fa per uno scopo come quello…
si sente solo lusingato se gli si presta attenzione. Credetemi, se avesse
voluto tradirla, lo avrebbe fatto, ne ha avute a centinaia di occasioni. Solo
che per Hermione è difficile da capire: come dicevo
prima, la gelosia rende matti. –
-
E allora, cosa fece la mamma? Quando li
vide? – chiese Ginevra, con aria angosciata.
-
Si arrabbiò. Follemente e terribilmente.
Entrò nel negozio, non diede il tempo a nessuno di fare niente: prese un gelato
alla vaniglia che Ron aveva appena comprato e glielo
spiaccicò in faccia. –
Molly lanciò un fischio.
Harry scrollò le spalle.
-
Lo so che detta così sembra pure
divertente, ma fu un pessimo momento per entrambi. Hermione
si Smaterializzò ed andò a casa dei genitori. Ginny
l’andò a trovare e pare che fosse in condizioni orribili: pare che abbia pianto
per ore ed ore. Ginny dice che non ha mai visto
nessuno piangere così a lungo senza fermarsi mai.
Naturalmente, quando vidi Ron, anche lui era distrutto, e tentava qualsiasi cosa pur
di riuscire a vederla e spiegarle. Ginny aveva
tentato di spiegare ad Hermione che era stata solo
una sbandata di pochi secondi, ma lei non sentiva ragioni. Quando Ron tentò di andare a casa dei suoi genitori, loro lo
cacciarono via malamente. Non ebbe modo di parlarle fino a quando, quella notte,
non seppe che stava per partorire. –
Ginevra e Molly sospirarono.
Non avevano idea che fossero nate in condizioni tanto
orribili.
Harry, accorgendosi di come si
erano intristite, si affrettò a cambiare tono.
-
Naturalmente, tutto questo era una cosa completamente
separata da voi – disse – erano tutti e due emozionatissimi
all’idea di avere dei figli, due gemelli, poi. Ron
attese per quelle sei ore di travaglio qui al San Mungo, dove siamo noi oggi.
Mi ricordo che Hermione, quando lui entrò a vedere
come stava, gli gridò di andarsene, ma lui nonostante tutto rimase lì in quella
stanza, mentre vostra madre sembrava soffrire tantissimo. Dopo un po’, anche
lei si stancò di cercare di farlo andare via, e lo lasciò rimanere senza una
parola. E lì rimase per sei ore. Ancora non me ne capacito. Sei ore senza mai
andarsene, mai, senza alzarsi per sgranchirsi le gambe o uscire per la
tensione. Sia io che Ginny, una volta che Hermione ebbe partorito, pensammo che avessero fatto pace.
In fondo, ormai avevano due bambine. Ma il giorno dopo, quando fu dimessa, lei
andò a casa di Ron a riprendersi le sue cose. -
Le bambine sgranarono gli occhi.
-
Ma come? –
-
Lo so. Ma pareva che Hermione
non l’avesse ancora mandata giù. C’è da dire che durante quella giornata che
aveva passato all’ospedale, non aveva mai permesso a Ron
di parlarle o di scusarsi: gli aveva solo permesso di tenerle la mano durante
il travaglio, probabilmente perché di fronte alla paura la gelosia era
totalmente sparita. Ma lei se ne andò… quando Ron
tentò di fermarla, lei cominciò a tirargli addosso qualsiasi cosa le capitava
sotto mano. Anche la pazienza di lui aveva un limite, e si arrabbiò anche lui,
perché sentiva di non essere così in colpa. Hermione
prese te, Ginevra, e se ne andò. Ron non le andò
dietro: era troppo arrabbiato ed orgoglioso per farlo. –
-
Immagino che a quel punto la mamma abbia
trovato lavoro a New York e ci si sia trasferita… ma è terribile. -
Harry sospirò.
-
Beh, ora siete preparate a cosa vi
aspetta nella vita. Non si gioca con i sentimenti, sono troppo delicati. Anche
se devo dire che i vostri genitori sono un po’ due casi a parte: non ho mai
conosciuto due persone così permalose, orgogliose, possessive e gelose. Però,
sono anche le persone migliori che ho conosciuto. –
Cadde il silenzio.
Ginevra e Molly erano talmente
scombussolate da un racconto così, che non avevano nemmeno la forza di parlare,
o di pensare ad un piano. Per la prima volta, sembrava tutto irreparabile.
Hermione prese i tre caffè tra le
mani e cominciò a risalire le scale.
Si fermò ad un pianerottolo e guardò fuori dalla finestra.
Ormai il sole stava per sorgere: in lontananza si vedeva il cielo schiarire
impercettibilmente.
Fra poche ore sarebbe ripartita, ed al diavolo tutto.
-
Vuoi una mano? –
Si voltò. Ron la guardò. Aveva
l’espressione un po’ assonnata.
Hermione fece spallucce.
-
Sì, grazie. –
Gli porse due caffè ed uno cominciò a sorseggiarlo.
Rimasero in silenzio, appoggiati al davanzale della
finestra.
-
Fra quanto dovete ripartire? - chiese Ron, in realtà solo per riempire quel tenebroso silenzio.
-
Uhm, un’oretta. Spero di avere il tempo
di vedere il bambino, però… -
Silenzio. Ah, era una caratteristica delle loro
conversazioni. Se non litigavano, c’erano momenti in cui nessuno dei due sapeva
cosa dire.
Hermione quei momenti non li
sopportava. Le facevano salire la tensione alle stelle. E succedeva una volta
come succedeva ora.
-
Beh, raggiungiamo Harry.
Non vorrei che avesse un tracollo – rise lei, nervosamente, e salì qualche
gradino delle scale, ma sentì che lui non la seguiva.
Si voltò.
-
C’è qualcosa che non va? –
Ron la fissò. C’era una voce
martellante nella sua testa che gli diceva parla, parla, parla! e sii
onesto, onesto, onesto!. Poi però c’era la paura. Che quella se ne sta
zitta, ma è lì ed è più forte delle parole.
Ma era un adulto. E bisogna che gli adulti sappiano
ascoltare sia le parole che la paura, quando devono.
-
Lo so che non dovevo farlo – disse,
sbrigativamente, con aria un po’ sulla difensiva.
Hermione lo guardò, distolse lo
sguardo, lo guardò di nuovo. Sospirò.
-
Lo so che lo sai. Sei impulsivo. Però è
una cosa che mi manda in bestia. –
-
Mi dispiace. –
Lei lo squadrò con un mezzo sorriso.
-
Non esagerare, adesso. Com’è che ti
preoccupi tanto? –
Ron aggrottò le sopracciglia.
-
Ehi, prima ti arrabbi se non mi scuso e
poi fai quel sorrisetto odioso perché mi scuso? –
-
Scusa, chi avrebbe un sorrisetto
odioso? –
-
Secondo t… - Ron
si trattenne. Non voleva arrivare a litigare, ma ci arrivava sempre. Comunque,
controllo, controllo.
-
Ascolta – riprese – volevo scusarmi, però
volevo anche dirti perché l’ho fatto. –
Hermione si paralizzò sul posto.
Lo fissò, con il respiro che gli si fermava in gola.
Fece un sorriso nervoso.
-
No, Ron…
preferisco non saperlo. –
Ma lui sembrava non ascoltare.
-
E’ che io… -
Hermione scese i gradini e lo
guardò scuotendo la testa, con una strana paura negli occhi.
-
Per favore… lascia perdere. Non voglio
che… -
Ron la guardava senza capire.
Perché non voleva che lo dicesse? Eppure lei lo sapeva, sapeva quello che le
voleva dire. Forse era per quello che non voleva sentirselo dire.
Ma Ron era impulsivo.
-
E’ che
io – alzò la voce – io non riesco a smettere di pensare a te… - si sentì
il viso bruciare. – io non so neanche come fare per smettere. –
Hermione lo guardò con il cuore in
gola e sentì una così grande voglia di piangere che per trattenere le lacrime
sentì un forte dolore alle tempie e quasi si dimenticò di respirare.
-
Ron… io non so
cosa dirti. –
Lui la fissò, e si sentì arrabbiare.
-
Hermione,
possibile che tu non possa scomporti mai? Cosa devo fare per costringerti a
dire qualcosa di più di un ‘non so cosa dirti’? –
Ed anche lei cominciò ad arrabbiarsi.
-
Ma cosa diavolo vuoi che ti dica? Che
pianga dalla gioia e ti salti addosso? Proprio tu, che prima mi tradisci, mi
fai arrabbiare e quando parto non cerchi di sistemare le cose, proprio tu che
ti stai per sposare, adesso te ne salti fuori dicendo che pensi a me? Queste
cose dovresti tenertele per te! –
Ron scosse la testa, furioso.
-
Perché la devi sempre mettere così? Se te
l’ho detto non è perché voglio che cadi ai miei piedi, ma perché realmente non
so più cosa fare! Io voglio sposarmi, va bene? Però io… -
-
Ron, non si
possono amare due persone! – gli urlò contro lei. – ed è totalmente inutile che
mi chiedi aiuto. Perché ti stai comportando in modo orribile… e per quanto tu
possa essere fastidioso, traditore, pieno di te, rozzo e ingenuo, io non posso
fare a meno di pensare a te… tu però non puoi pensare a me, non ne hai il
diritto. Tu ti sposi, punto. E vorrei evitare di tornare sul discorso. –
E prima che lui potesse dire una sola parola, risalì le
scale a tutta velocità, rovesciando un po’ di caffè sul pavimento.
Il bambino nacque che il sole era appena sorto.
Era bello, con gli occhi verdi e la pelle morbida, e
gongolava parecchio sotto gli occhi degli adulti stremati. Le bambine, non
avevano retto: si erano addormentate sulle sedie scomode della sala d’attesa.
-
E’ uno splendore – disse Hermione a Ginny, mentre
portavano il bambino nella stanza delle culle con gli altri neonati.
Ginny aveva l’aria stanchissima e
sembrava dimagrita in un colpo solo, però sorrideva e le avevano permesso di
lavarsi il viso e pettinarsi i capelli allo specchio.
-
Vorrei vedere. E’ stata una fatica
immane. Prima che lo rifaccia, dovrà passare molto tempo. –
Hermione rise.
Harry, dal canto suo, era talmente
sbigottito di fronte al bambino che non trovava le parole. Avrebbe dovuto stare
accanto alla moglie, invece probabilmente ora se ne stava con il naso
appiccicato al vetro da dove si vedeva il bimbo.
Ron, per solidarietà, lo seguiva,
ma non sembrava particolarmente colpito: probabilmente, per un genitore solo il
proprio bambino è il più bello.
-
Come lo chiamate? – chiese Hermione, infilandosi la giacca.
-
Ancora non abbiamo deciso. Pensavamo James. –
-
Bello. I richiami alla famiglia sono
inevitabili, eh? –
Prese la borsa.
Il sorriso gongolante di Ginny si
spense.
-
Beh? Te ne vai? –
-
Io e Ginevra abbiamo l’aereo fra poco.
Non volevo smaterializzarmi con lei fino all’aeroporto… quindi prenderemo un
taxi a Londra. –
Ginny la fissò, contrariata.
-
Pensavo che in tutti questi giorni… tra
te e Ron… -
-
No, non è cambiato niente. –
-
Niente di niente? –
-
Se ti dico niente… -
La donna fece un’espressione un po’ delusa, e guardò Hermione avvicinarsi alla porta.
-
Ti verrò a trovare. Mi ha fatto piacere
vedere il bambino. –
-
Dai, Hermione,
non andare… Ron ci rimarrà male… -
-
Ginny, chiudi
quella ciabatta e pensa a riposarti. –
E se ne uscì.
Andò nella sala d’aspetto e svegliò le bambine. Dovette
prendere Ginevra di peso per costringerla a seguirla. Le due sorelle sembravano
ai limiti della depressione.
Andarono a cercare come un corteo di funerale Ron e Harry, ma di loro non c’era
ombra, non erano nemmeno a guardare James.
Proprio mentre Hermione stava
seriamente pensando di svignarsela senza salutare, li vide in un’altra sala d’attesa
che guardavano la Gazzetta del Profeta, sbalorditi.
-
Ragazzi, io e Ginevra… -
-
Hermione! –
urlò Harry, alzando lo sguardo dal giornale. – Ron è rovinato! –
Ron si voltò a guardarlo.
-
Harry, perché
ci metti tanto entusiasmo? Non c’è niente di cui essere felici! –
-
Beh, ora la finirai di tirartela. –
-
Harry, non
parlare cos… - Hermione si interruppe, strappandogli
di mano la Gazzetta.
Nella sezione dello sport, a caratteri cubitali c’era
scritto Quidditch in crisi: modifiche alle
squadre europee. Più in giù, c’era una foto della squadra degli Inglesi, e
sotto scritto in piccolo A causa della crisi che ha violentemente urtato il Quidditch, l’allenatore degli Inglesi John
Lewitt ha stabilito uno sconvolgimento radicale.
Tagli quasi incalcolabili agli stipendi dei giocatori: se continueranno a
vivere come hanno fatto finora, sarebbe perfino necessaria la ricerca di un
secondo lavoro.
Hermione alzò lo sguardo.
-
E tu, Ron, non
ne sapevi niente? –
-
Ehm, forse mi avevano accennato a
questa crisi… -
Però non aveva avuto tempo di rifletterci su.
Hermione lo guardò, incredula.
-
A quanto ammonta questo taglio di
stipendio? –
-
Dunque… secondo i miei calcoli…
siamo sui millecentocinquanta galeoni. –
Lei spalancò la bocca.
-
Millecentocinquanta galeoni? Ma è
un mucchio di soldi! Quando diavolo prendevi prima? –
-
Beh, nei periodi di buona, circa
milleottocento. –
-
E dove diavolo te li sei ficcati
tutti questi soldi, che giri sempre come un barbone? –
Ron fece un’espressione offesa.
-
Li ho congelati alla Gringott,
cosa credi. Non sapevo bene che farmene, erano troppi… -
Harry scoppiò a ridere.
-
Sta parlando quello che voleva diventare
ricco… -
-
Ma si può sapere allora in tutti
questi anni quanti soldi hai messo su? –
Ron ci riflettè.
-
Non saprei bene, non sono mai andato a
controllarli, ci ha sempre pensato… oh, cazzo! -
-
Ron, non
parlare così davanti alle bambine! –
-
Li ha sempre controllati Odile, i soldi! –
Hermione inarcò le sopracciglia.
-
E allora? –
Ron sbatté le ciglia, confuso, e
non rispose.
Harry sorrise e spiegò al suo
posto.
-
Odile ha appena chiamato con la Metropolvere. E’ stata lei a dirci dell’articolo. Anche
perché è per quello che l’ha mollato. -
-
L’ha mollato?! – gridarono all’unisono Molly, Ginevra e perfino Hermione.
-
Lo dicevo io che stava con lui solo per
soldi. –
-
Harry, a volte
ti spaccherei la faccia. –
-
Prova a dire che non è così. Appena ha
saputo che ti tagliavano lo stipendio e che non avresti più potuto portarla in
posti di lusso come tuo solito, se l’è data a gambe. –
Hermione trattenne a stendo un
sorriso tronfio.
Ron sospirò.
-
Beh, almeno non spenderò i soldi per il
matrimonio. Era un’enormità. –
-
Come minimo, una quantità uguale la sta
prelevando adesso dalla banca come indennizzo. –
Ron fece un’espressione
terrorizzata, scattò in piedi e corse via a cercare un camino per la Metropolvere in modo da bloccare il suo conto alla Gringott.
-
Non sembrava molto depresso – considerò Molly, con sincerità.
Harry scrollò le spalle.
-
Lo sapevamo tutti che a lui non piaceva
poi tanto. Alla fine, è stato un bene che gli abbiano tagliato lo stipendio.
Chissà quanto avrebbe chiesto Odile per il divorzio… -
Hermione si lasciò sfuggire un
sorriso.
Un pensiero le balenò per la testa.
E così, Ron ora non si sarebbe più
sposato. Ora era libero. Libero, libero, libero.
Si affrettò a prendere per mano Ginevra.
-
Beh, ora sarà meglio che andiamo, o
perderemo l’aereo. Salutami Ron. –
Harry fece un’espressione
allibita.
-
Aspetta almeno che torni! –
-
Te l’ho detto, rischiamo di perdere l’aereo.
E poi non vorrei che dopo queste qui ci facessero di nuovo uno scherzo. –
Ma le due bambine avevano un’espressione funerea. A Hermione si strinse il cuore, ma non disse niente.
Salutò Harry ed abbracciò Molly forte forte.
-
Ci vediamo prestissimo. A Natale non
manca poi tanto. –
Sì, che mancava tanto.
Per un bambino il tempo passa così lentamente.
Molly e Ginevra si abbracciarono.
Era passato così poco tempo dalla prima volta che si erano
viste… ma sembravano secoli.
La scherma magica, le foto, il taglio di capelli, gli
scherzi, New York, Hermione, il suo lavoro, Londra, Ron, il Quidditch, la partita, la
festa di compleanno, gli zii, le litigate origliate dalla porta socchiusa…
Tutto finiva ora.
Bella, New York.
Ma mai bella quanto casa, ora che sapeva di averne una.
Hermione e Ginevra svoltarono l’angolo
con le valigie in mano e si ritrovarono di fronte al loro solito vialetto.
Il solito vialetto, i soliti alberi, il solito profumo.
Si guardarono.
Però loro in quell’ambiente
sembravano un po’ stonare.
Hermione la prese per mano facendo
finta di non avere un orribile peso allo stomaco.
Non aveva salutato Ron.
Ron che dopo dieci anni quando l’aveva
rivista aveva fatto un’espressione troppo buffa, Ron
che vedendola cadeva nella piscina, Ron che
distoglieva lo sguardo, Ron che litigava con lei, Ron che le prendeva una mano, Ron
che la baciava, Ron che le diceva che pensava sempre
a lei.
Quel vialletto era così distante
da tutto quello.
Aprirono il cancello della loro casa, il portone, posarono
le valigie, in silenzio.
-
Vado a darmi una ripulita di sopra –
sorrise Hermione – poi andiamo a salutare i
nonni. –
Ginevra annuì.
Fece un lungo sospiro, quando sua madre se ne fu andata e
lei era rimasta sola.
Si trascinò in cucina, prese una sedia e ci salì per aprire
uno sportello a vetri troppo alto.
Afferrò un pacchetto di biscotti con le gocce di cioccolato
e senza neanche pensarci guardò il proprio riflesso nello sportello aperto.
Che pessima espressione aveva. Che pessimi capelli aveva.
Che pessimi orecchini…
Un momento, lei non aveva gli orecchini.
Chiuse di scatto lo sportello e si ritrovò di fronte Molly, che in piedi su una sedia analoga se la rideva alla
grande.
-
Santo cielo! – urlò Ginevra, sbalordita. –
che ci fai qui? Come…? –
-
Mai sentito parlare di Polvere Volante?
La mamma è una donna antiquata. –
Ginevra era senza parole. Molly
aveva l’aria soddisfatta.
-
Qualcuno qui ha avuto un ripensamento. –
L’altra la guardò e sorrise.
-
Un ripensamento? –
Hermione si tolse la giacca,
lanciò la borsa sul letto e si sedette.
L’aria della stanza era fresca. Chi diavolo aveva aperto la
finestra? Mah, probabilmente sua madre. In quel momento era troppo depressa per
pensarci.
Cominciò a sbottonarsi i primi bottoni della camicia.
-
Ehi, che accoglienza! –
Hermione urlò per lo spavento, e d’istinto
lanciò a casaccio un cuscino.
Poi alzò lo sguardo.
Il cuscino scese dal viso di Ron,
che si toccò il naso infastidito.
-
Come non detto… -
-
Ron, ma che diavolo
ci fai qui? –
-
Ti ho rincorsa. –
Hermione fece per ribattere, poi
si rese conto. Deglutì ed arrossì.
-
Tu sei matto. –
-
Ma grazie. –
-
Sei matto veramente. Era una metafora. –
-
Una metafora? Ma se eri furiosa! –
Lei fece un’espressione altezzosa.
-
Questo non significa che io ti voglia
ancora. Cosa te lo fa pensare? –
Ron la guardò con lo stomaco che
faceva le capriole.
-
Niente. Per questo me la sto facendo
sotto. –
Hermione trattenne un sorriso.
-
La smetti di parlare così? –
-
E tu la smetterai di avercela con me se
io ti chiedo perdono in tutte le lingue del mondo? –
-
Non te le ricorderesti. –
-
Allora mi perdoni comunque? –
Lei accennò un sorriso che però non volle fargli vedere.
Incrociò le braccia, in silenzio.
Ron la fissò.
-
Cos’è questa, una tortura? –
-
Fai la prima mossa. –
-
La prima? –
-
Non ti dirò che ti perdono. Verificalo da
solo. –
Arrossì.
Ron capì e le si avvicinò con un po’
di insicurezza.
-
Io lo verifico, eh… però poi non voglio
essere preso a botte. –
Hermione aveva il cuore che
sembrava aver smesso di battere tanto andava forte.
-
Solo una cosa. Non ne voglio più sapere
di gelati. Da oggi tu sei a dieta. –
Ron annuì, sorrise e si chinò a
baciarla.
Le gemelle, al piano di sotto, litigavano su quale camera
sarebbe andata a Ginevra, una volta tornati in Inghilterra.
Fine
**
Nooo! E’ finita! Non ci posso
credere°_° Se ci pensate questo ritardo è anche relativamente umano rispetto ai
miei soliti*_* E’ stata una faticaccia, ma sono riuscita a terminare questa fic senza troppi danni. Ma senza le vostre recensioni non
avrei mai trovato la forza di andare avanti._. Anche
se è un discorso un po’ banale, è totalmente e inesorabilmente vero._.
Ringrazio quelli che hanno letto, che hanno avuto la
pazienza di aspettare, che hanno anche solo leggiucchiato qua e là, e
specialmente quelli che hanno commentato. A volte qualche parola di conforto è
talmente utile che ti può far scalare una montagna.
Spero che anche questo capitolo finale vi sia piaciuto.
Proprio alla fine si è riavvicinato un po’ alla trama del film (che, lo dissi
quando cominciai e lo dico ora che finisco, io adoro – e sono felice che ci
siano altre persone a cui è piaciuto*_*) e spero che tra alti e bassi sia stato
di vostro gradimento. La citazione iniziale è sempre tratta da Quanto ti amo
di Alex Britti.
Come al solito ricordo che per informazioni di qualsiasi
tipo e vari ‘goodies’ (tipo video o giù di lì,
trastulli con cui mi passo il tempo) riguardo ai miei cosiddetti ‘lavori’ li potete trovare su http://popcornalcaramello.splinder.com,
il mio archivio.
Solo un’ultima parola: grazie.
A presto!
Miwako__