VII.
Like nothing happened.
La mattina dopo, quando mi svegliai, sorridevo.
Adesso so che per i lettori questo potrebbe sembrare ambiguo, ma non
l’è.
Dormii in camera mia, da solo. Non successe niente oltre quel bacio ma
solo il
fatto che ci fosse stato mi aveva permesso di dormire bene.
L’avevo rivisto nella mia testa, una volta andato a letto,
l’avevo sognato.
“Deve baciarmi.”
“Cosa-?”
“Mi ha sentito benissimo, non mi costringa a
ripetermi”
Non ci pensai più.
Mi chinai su di lui e lo baciai.
Mi sembrò incredibilmente naturale, la cosa più
giusta che avessi mai potuto
fare in tutta la vita.
Come se un vuoto, dentro di me, di cui non conoscevo
l’esistenza, si fosse
riempito appena avevo sentito il calore delle sue labbra propagarmisi
in tutto
il corpo.
Sentivo distintamente il cuore fuori battito nel petto, rimbombare
nelle
orecchie e pulsare il sangue furiosamente in tutto il corpo.
Avrei pianto se non avessi avuto una dignità.
Mi tenevo in equilibrio in quella posizione purtroppo scomoda per le
mie ferite
poggiando le mani sulle ginocchia, ma appena le mie labbra si posarono
sulle
sue, sentii una delle sue, di mani, finire sulla mia nuca, tra i
capelli, e
spingermi leggermente verso di se.
Non sapevo che genere di esperimento potesse essere quello che
richiedeva un
bacio dal proprio migliore amico, ma da quel momento iniziai a
ringraziare
l’attitudine di Holmes a sperimentare cose nuove.
Quel bacio, per me, rappresentava la vita.
Le sue labbra avevano un sapore che era un misto di tabacco e
cioccolata, strano
ma delizioso.
Sarei potuto andare avanti così tutta la notte, continuare a
muovere le labbra
sulle sue, anche senza approfondire il bacio. Mi andava bene comunque.
Era pur
sempre Sherlock Holmes.
Allontanai la mano destra dal mio ginocchio, abbandonando uno dei miei
preziosi
sostegni in un gesto automatico, per andare a sfiorargli il viso.
Sentii un lieve mugolio di apprezzamento uscirgli dalle labbra e
spegnersi
sulle mie così, compiaciuto di fargli
quell’effetto, pensai di poter rischiare;
gli sfiorai le labbra con la lingua, labbra che subito ma lentamente,
aprì,
lasciandomi libero accesso.
Fui percorso dai brividi appena la mia lingua incontrò la
sua, si sfioravano,
si accarezzavano.
Pochi istanti dopo l’inizio di questo contatto, la mano che
aveva tra i miei
capelli scivolò fino alla mia spalla per allontanarmi
gentilmente. Non opposi
resistenza e lo lasciai fare.
Seppur avesse riaperto gli occhi, non mi guardava. Mi sfuggì
un lieve sorriso,
che mi preoccupai subito di far sparire; non volevo che pensasse che mi
prendessi gioco di lui perché era imbarazzato.
Allontanai la mano dal suo viso, riprendendo la mia posizione
originaria. Dopo
aver passato qualche istante continuando a guardarlo, mi decisi ad
alzarmi,
tendendogli la mano perché facesse lo stesso.
Si ribaltò sulla poltrona, sedendosi compostamente e, non
senza una certa
titubanza, la afferrò, per poi alzarsi e lasciare che lo
conducessi fino alla
sua camera. Mi assicurai che si mettesse a letto, coperto per bene fino
a sotto
gli occhi.
“Buonanotte, Holmes”
Uscii dalla sua stanza e andai a dormire.
Quando uscii dalla mia stanza, dopo essermi dato un aspetto
presentabile,
trovai Holmes già seduto sulla sua poltrona, con le mani
giunte sotto il mento
e la pipa che pendeva dalle sue labbra.
Non sapendo quale fosse l’atteggiamento giusto da adottare
dopo quello che era
successo, decisi che avrei fatto bene a comportarmi come al solito. Se
fosse
stato necessario qualche cambiamento, lui certamente non avrebbe
mancato di
farmelo notare.
Avvicinandomi, notai che anche quella mattina, la mia colazione era su
un
vassoio sulla mia poltrona.
“Oggi non andremo a Buckingham Palace”
annunciò all’improvviso. “Non prima di
sera, almeno”
“E come mai?” chiesi, facendo del mio meglio per
mantenere un tono di voce
neutrale.
“Passerà Mycroft prima dell’ora di cena
per informarmi riguardo a una cosa che
gli ho chiesto. Gli ho mandato un telegramma questa mattina presto, mi
è appena
arrivata la risposta”
Non si era voltato verso di me neanche un secondo, ma
sventolò nella mia
direzione il suddetto telegramma con la risposta del fratello.
Sollevai il vassoio e, una volta seduto, iniziai a fare colazione.
“Credo di aver risolto il caso”
Ero felice per lui ma quell’indifferenza rispetto a cosa era
successo, in
verità, mi feriva.
Lo assecondai, fingendo, come lui, che niente fuori
dall’ordinario fosse
successo quella notte.
Dedicai l’intera giornata cercando ancora una volta di
convincere Holmes a
riposarsi, visto che non avremmo avuto niente da fare fino a sera.
Ovviamente,
fui del tutto ignorato.
Borbottava tra sé e sé, strimpellava del tutto
casualmente il violino, lavorava
a degli esperimenti lasciati a metà da mesi, pur di non
mettersi a letto.
Mi aveva tenuto impegnato tutto il giorno, per questo non mi accorsi
che la
giornata era passata fino a quando Mycroft entrò
nell’appartamento.
“Te lo posso assicurare, Sherlock” disse, sedendosi
sul divano “Se mi fai
muovere ancora una volta da casa mia ti uccido”
“Ed io che pensavo fosse qualcosa di relativo al
caso!” lo prese in giro
l’altro.
Con uno sbuffo seccato, l’altro comincio. “Non ho
mai visto un ragazzo così
innamorato in tutta la mia vita, posso giurartelo. Potrei farti un
elenco dei
motivi per cui lo è, ma ti annoieresti”
“Infatti. In conclusione, è un vero
idiota”
“Sì, se ti riferisci al campo sentimentale. Non
è un genio, ma neanche un vero
idiota. Per alcune cose, il ragazzo è molto intelligente,
per altre un totale
inetto”
“Certamente l’Ambasciatore non si sarebbe portato
in un viaggio d’affari nello
Stato più potente del mondo un completo idiota”
“Esatto”
“Hai visto le sue scarpe?”
“Punta quadrata”
“Ottimo. Ci manca il movente”
“Signori” li interruppi, confuso “Di chi
state parlando?”
“Si ricorda, Watson, il ragazzo che consolava Alice? Il primo
giorno d’indagini
mi sono imperdonabilmente dimenticato di informarmi su chi fosse e
stavo per
commettere lo stesso errore anche ieri, ma prima di andarcene mi sono
ricordato
e sono tornato indietro per chiedere a Mycroft. Era Pierre Rostand,
figlio
dell’Ambasciatore francese”
“Sembra” riprese Mycroft “che abbia
iniziato una relazione con Alice poco dopo
che lui e suo padre si stabilirono all’ambasciata, ma
riuscendo a nasconderla
alla Regina”
Mycroft rimase a cena da noi poi, con la sua carrozza, ci avviammo
tutti
insieme a Buckingham Palace, dove Lestrade ci attendeva.
“L’Ambasciatore Rostand?” gli chiese
subito Holmes, senza neanche salutarlo.
“E’ nel salone principale, ma-”
Senza permettergli di proseguire, lo sorpassò e noi lo
seguimmo.
“Monsieur Rostand?”
lo chiamò.
L’uomo, seduto sul divano, si voltò verso di lui.
Aveva i capelli ben ordinati,
dei leggeri baffetti e lo sguardo imperioso.
Nonostante le circostanze, l’uomo sedeva perfettamente rigido
e composto nel
suo abito turchese, mostrando quanto l’educazione militare
avesse influito
sulla sua caratterizzazione.
“Oui? Nous le savons, monsieur?”
“No, pas encore. Je suis Sherlock
Holmes,
détective privé. J'ai été invité
à enquêter sur les circonstances
suspectes concernant la mort de la reine Victoria”
Capii per puro istinto che cosa avesse detto, ma vidi il figlio di
Rostand
irrigidirsi.
“Et alors? Qu'est-ce que cela a à
voir avec moi? Il est accusé par hasard?!”
“Bien sûr que non. Mais j'ai besoin de
parler en privé vois
elle et son fils”
Rostand
si voltò lentamente verso il figlio, il quale
sembrò rimpicciolirsi sul divano
ogni secondo di più.
Alice, rimasta in disparte fino a quel momento, si avvicinò
al divano.
“Pierre, che cosa hai fatto?” chiese, sospettosa,
in procinto di scoppiare a
piangere. La principessa, evidentemente, conosceva il francese.
“Principessa Alice, mi spiace dirglielo, ma temo che non
potremo dirle niente
finché non saranno dichiarate chiuse le indagini. Monsieur? Vous pouvez me suivre, s'il vous
plaît ?”
concluse, tornando a rivolgersi ai
signori.
Il padre si alzò, afferrando con forza il braccio del figlio
per indurlo a fare
lo stesso.
“Tu me fais mal, papa!”
si lamentò il
ragazzo, cercando di divincolarsi dalla stretta.
“Tais-toi! Il nous semble que vous
avez besoin d'une explication!”
Holmes si diresse verso una porta chiusa poco avanti seguito da Rostand
e il
figlio e poi, pochi attimi dopo, raggiunto dall’Ispettore.
“No, Lestrade” lo fermò, per poi entrare
con i due uomini dentro la stanza.
[NdA]
Strano vero? xD Un NdA!
In realtà sono qui solo per comunicarvi che il nome
“Pierre” mi è stato
suggerito da Erica perché non mi veniva in mente uno
straccio di nome, mentre
il cognome “Rostand” è stato preso in
prestito dal poeta francese Edmond
Rostand, vissuto proprio nell’epoca vittoriana, morto nel
1918.
Adesso, per la gioia di PepperP
vi annuncio che non scriverò una parola di nessun altra
fanfic finchè non avrò postato il
prossimo capitolo di Logic for the Hero.
Che altro? Si, il mio profilo EfP su Facebook.
http://www.facebook.com/profile.php?id=100002411997967
Vi segalo anche il mio
profilo vero, ma non parlatemi di fanfic lì, ho creato
l'altro apposta. Ve lo segnalo in caso vi interessasse sapere che razza
di persona è la mente contorta che scrive certe cose:
http://www.facebook.com/profile.php?id=10000241199796
Credo sia tutto.
Alla prossima <3,