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Autore: J i n    01/07/2011    0 recensioni
Erano cambiate così tante cose nelle vite di tutti… ed ora stava per iniziarne un’altra.
Si sistemò il capello sulla testa e si aggiustò il nodo alla cravatta, facendo per lasciare il corridoio.
Tuttavia proprio in quel momento la porta alle sue spalle si aprì lentamente...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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20 . New classmates

 

Era iniziata come una giornata normale… più o meno. Insomma, un allenamento di prima mattina non penso che farebbe piacere a nessuno.
Lasciando la manica della giacca di Akane la guardai sorridendole come per scusarmi ed aprii la porta scorrevole.
«Scusi il rit-…», dissi, ma mi bloccai immediatamente guardandomi attorno come se mi trovassi su un altro pianeta.
Oltretutto la prima cosa che notai fu che Ivan era arrivato prima di noi, il che mandava a quel paese ogni legge della fisica.
Poi ricordai che a scuola c’era l’ascensore… sì, piuttosto logico.
«Okay… questo che diavolo significa?», sbottai rivolta a Reborn, appoggiato alla scrivania a braccia conserte con il suo solito charme da uomo misterioso ed irraggiungibile, mentre Akane mi sorpassava andando a sedersi sul suo banco e posandovi sopra anche la borsa, guardando prima me e poi il mio Tutor, come se stesse aspettando che proprio quest’ultimo aprisse bocca.
Il silenzio calò pesantissimo su di noi ed alla fine fu una ragazza dai capelli insolitamente chiari a parlare.
«Come ma… non sa nulla?», domandò sgranando i grandi occhi rossi. Rossi? No, sicuramente era uno scherzo delle luci al neon. Sbattei un paio di volte le palpebre e tutti gli sguardi furono in un decimo di secondo puntati su Reborn.
«Sa ciò che deve sapere», rispose lui.
Lasciai che la borsa mi cadesse dalla spalla di proposito tanto per far notare a tutti che c’ero anch’io, là dentro, dato che sembravano essersene momentaneamente dimenticati.
«Non parlate come se io non ci fossi!».
Oltre alla sottoscritta, c’erano otto persone in quella stanza, sette delle quali mi guardarono dritta in faccia ed una – Reborn, naturalmente – lo fece da sotto il cappello.
Come sempre.
Stavo iniziando a pensare di tagliuzzarlo in mille striscioline finissime e spedirglielo per posta.
«Qualcuno può spiegarmi qualcosa? Dove sono finiti i miei compagni di classe? E tu come diavolo hai fatto ad arrivare prima di me?», esclamai rivolta a Reborn, ancora tranquillamente poggiato alla scrivania che sarebbe dovuta essere destinata al professore della prima ora e non… ad un Tutor con il compito di prepararmi a diventare un Boss della mafia!
«Esistono cose chiamate automobili», rispose sintetico. Cosa che mi fece leggermente saltare i nervi. Mi ero alzata pensando che oltre all’allenamento non ci sarebbe stato nient’altro di insolito, ma a quanto pareva mi ero sbagliata alla grande.
Mi appoggiai allo sguardo della mia migliore amica che si stava risistemando la coda tenendo l’elastico tra i denti e rivolgendomi un piccolo sorriso nello stesso momento, così come stava facendo Ray alla stessa maniera.
Non stavo capendo un accidenti di niente!
Ed il vedere Ivan seduto in fondo alla classe sugli scaffali bassi che avevamo allestito per i progetti artistici non aiutò per niente. Specie se il suddetto mi stava lanciando uno sguardo duro come il marmo, che mi intimidì e non poco. Mi costrinsi a forza a guardare da un’altra parte e mi avvicinai lentamente al mio Tutor, le scarpe che ticchettavano leggermente sul pavimento.
«Sent-…».
La sua mano alzata in segno di fare silenzio mi bloccò.
«So già che cosa hai intenzione di chiedermi. Non ti farò aspettare oltre», disse abbassando la mano e raddrizzando la schiena, guardando tutti i presenti e facendo brevi cenni mano a mano che diceva i loro nomi.
«Akane e Ray li conosci già, immagino. Saranno rispettivamente il tuo Guardiano del Sole e della Pioggia».
Ed in quel momento compresi perché il giorno precedente nel quartiere commerciale mi erano sembrati tanto diversi, tanto distanti da me ed allo stesso tempo sempre loro.
«Maya e Georgia Takeuchi. Nuvola e Tempesta. Sono le figlie di un importante membro di una Famiglia a noi alleata».
Le ragazze fecero un cenno di saluto con la mano al quale io risposi con un sorriso un po’ tirato. Ero certamente a conoscenza della presenza dei Guardiani attorno al Boss.
Così come mio padre aveva avuto i suoi, io avrei avuto i miei ma incontrarli tutti così di colpo era un po’ destabilizzante.
«Passiamo a Jin Fujihara, tuo Guardiano del Fulmine».
Sempre continuando a masticare la gomma mi rivolse un sorriso ed un cenno con il capo. Okay, il Guardiano del Fulmine di papà era stato… Lambo. Bambino di cinque anni la maggior parte del tempo, che all’occorrenza poteva scambiarsi con il suo sé stesso di quindici o venticinque anni.
Scossi mentalmente la testa – non chiedetemi come – per togliermi l’immagine delle fotografie dove Lambo era soltanto un bimbo che non arrivava nemmeno al lavello senza sgabellino. E che, obiettivamente, per riuscire a “contribuire alla causa” doveva entrare in un bazooka. Ok, basta. «Suo padre è stato il Guardiano del Fulmine dell’ultimo Boss del Clan Takeuchi, ossia il padre di Maya e Georgia», spiegò Reborn lasciando che il ragazzo e le due sorelle si scambiassero uno sguardo che forse si potrebbe definire complice.
Forse.
«Soichiro Saito. Guardiano della Nebbia. L’hai già conosciuto, è il cugino di Akane, ma ritengo opportuno metterti al corrente del fatto che sia la madre di Soichiro che la madre di Akane hanno fatto parte del
CEDEF. Questo spiega la loro connessione con i Vongola», disse mentre il sopracitato Soichiro mi salutava con un elegantissimo cenno del busto.
Tutta quella formalità da parte sua mi metteva in soggezione, ma confidavo nel fatto che a lungo andare quella sensazione sarebbe scomparsa.
O almeno speravo.
Ed il silenzio calò di nuovo, inesorabile, nella classe che fino al giorno prima era stata piena di chiacchiere, risa, battibecchi e voli di aeroplanini di carta.
E così tutti loro erano i miei Guardiani. Istintivamente tirai un gran sospiro. Quelle sarebbero state le persone che mi avrebbero difesa a costo della vita e che io avrei difeso a mia volta a costo della vita. Ora come ora sentivo di non provare il sentimento esatto che avrei dovuto provare tranne che per Akane e Ray. Confidavo nel fatto che ci sarei riuscita.
«Scusate?».
Una mano si levò dal fondo della classe ed Ivan scese dagli scaffali, ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa della scuola. Incredibile che, con il suo temperamento, avesse deciso di indossarla comunque. Venne esattamente dritto verso me e Reborn dalla fila centrale tra i banchi. Non avevo dimenticato ciò che era successo in biblioteca né come mi aveva fatta sentire né tantomeno la reazione che l’anello aveva avuto.
Ma non potei fare a meno di arrossire leggermente quando il suo sguardo si piantò insistentemente nel mio.
E che cavolo c’era da guardare!? Voglio dire, mica ero Miss Universo! E se continuava così l’avrei denunciato per stalking. Quando si fermò di fronte a me guardando solo me mi sembrò di essere di nuovo in biblioteca, con la schiena poggiata sulle coste dei libri antichi o meno che vi riposavano. Non vidi nemmeno la sua mano arrivare al mio collo fino a quando non sentii il freddo familiare della catenina spostarsi. Prendendola tra due dita, l’aveva alzata di modo tale da scoprire l’anello che portavo da quando Reborn me l’aveva consegnato. Dopo avermi mezza ammazzata sul colpo, guardò con nonchalance il mio Tutor.
«E questo come lo spieghiamo?», domandò, allontanandosi e finalmente lasciandomi libera di respirare. Quando l’anello tornò sul mio petto aveva una pesantezza diversa. Di nuovo. Cosa che mi insospettì particolarmente. Avrei dovuto parlarne con Reborn, anche se forse avrei trovato la soluzione da sola.
«Esattamente come in biblioteca…», sussurrai toccandolo attraverso la stoffa della camicia bianca.
«Come?»
«Ehm, nulla… pensavo a voce alta. Però Ivan ha ragione e… no, un secondo…», dissi rivolgendomi proprio ad Ivan, appoggiato ad uno dei primi banchi.
«Tu che cosa ci fai qui?», domandai riducendo gli occhi a due fessure, fissando il ragazzo di fronte a me. In effetti lui non aveva motivo di stare là. Non aveva niente a che fare con la mafia. Non che io sapessi almeno. Ma le parole di Reborn furono puntuali nel dissipare ogni mio dubbio al riguardo.
«È merito di Innocenti. O meglio, del nipote di Innocenti», disse nominando una persona di cui io effettivamente non avevo la minima idea di chi fosse.
«Innocenti è stato uno dei creatori del Sistema
CAI di tuo zio. Suo nipote ha seguito le sue orme ed ha scoperto un nuovo tipo di Fiamma. La Fiamma dell’Ombra. E la affidiamo ad Ivan», decretò infine tirando fuori dalla tasca un anello e lanciandolo ad Ivan che lo afferrò con una mano sola. Da quella distanza potei soltanto vedere che, dove sul mio anello c’era lo stemma dei Vongola, sul suo c’era semplicemente… il nulla. Un grande bollo nero.
«Un attimo, un momento solo, perché proprio ad Ivan? Voglio dire…»
«Perché ho delle conoscenze piuttosto altolocate nel mondo della mafia. Potranno essere d’aiuto. E senza dubbio potrò aiutarti in prima persona anche con lo studio. Se proprio vuoi saperlo non basta la passione per conoscere Shakespeare, tanto per dire», sibilò sapendo perfettamente che mi avrebbe punta nell’orgoglio con quella affermazione su Shakespeare.
«Stai insinuando che non conosco abbastanza Shakespeare?», chiesi, anche se in effetti non mi stavo alterando per quello, quanto più che altro per l’aria di superiorità che aveva sempre nei confronti del mondo intero. Se avrei dovuto essere il suo Boss avrebbe dovuto iniziare a cambiare atteggiamento nei miei confronti, altrimenti non si ragionava.
«In effetti… sì. Ma non siamo qui a parlare di questo, no?», domandò retoricamente, fissandomi con un sorrisetto strafottente che mi fece venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Chi diavolo si credeva di essere per arrivare da chissà che cavolo di posto nel mondo e dettare legge? O comunque in ogni caso pensare di buttarmi a terra così? Rimanemmo a fissarci fino a quando Akane non spezzò il silenzio pesante che si era andato a creare.
«Ooookay, direi che può bastare così, eh? Abbiamo capito che voi due secchioncelli non potete stare a meno di quattro metri l’uno dall’altra», disse proprio nel momento in cui suonò la campanella di fine ora.
«Bene. Non chiedo di meglio», dissi guardando tutti un’ultima volta e lanciando uno sguardo ad Ivan prima di scomparire dietro la porta ed avviarmi per il corridoio. Andavamo male se sarebbe dovuto essere il mio Guardiano. Molto male.

Non mi curai del fatto che la campanella segnasse sì la fine di una lezione ma anche allo stesso modo l’inizio immediato di un’altra. Semplicemente salii in silenzio e lentamente le scale che portavano al tetto della scuola e là mi avvicinai alla rete di protezione osservando quanta grazia avevano i petali di ciliegio che svolazzavano in aria ed allo stesso momento combattendo contro i pensieri che mi affollavano la mente in quel momento. La maggior parte, per mia disgrazia, riguardava il signorino Ivan. Forse ero stata troppo dura con lui. Certo pure lui avrebbe potuto evitare quella frecciatina su Shakespeare ma in verità me ne fregava davvero molto poco. Sapevo di non essere una delle studiose più famose sullo scrittore.
«Tutta sola sul tetto di una scuola. Fa tanto ‘istinto suicida’ lo sai?».
Non ebbi bisogno di voltarmi per riconoscere quella voce.
«Fossi rimasta un altro minuto in quell’aula mi sarebbero venuti sul serio, gli istinti suicidi. Anche per colpa tua».
Ivan mi comparve improvvisamente accanto guardando me che guardavo i petali di ciliegio mulinare nell’aria. Ad un certo punto il suo sguardo diventò impossibile da ignorare e dovetti voltarmi ed affrontarlo.
Okay, probabilmente “affrontare” non era il termine giusto, ma fa niente.
«Senti, mi dispiace per prima».
A quelle parole sbattei un paio di volte le palpebre, incredula, e lo fissai. Era stato davvero lui a dire ciò? Un semplice “mi dispiace” che bastò per farmi cambiare almeno un po’ opinione nei suoi confronti. O quantomeno a farmi capire che non era uno stupido automa creato apposta per rovinarmi la vita ogni giorno che passava.
«Già. Immagino però che anch’io non sia stata di grande aiuto rispondendoti in quel modo», ammisi sorridendo amaramente. Dall’espressione che gli vidi fare capii di averlo preso alla sprovvista e feci spallucce.
«Beh, che c’è? Mi hanno insegnato ad ammettere i miei errori. E lo faccio».
Anche perché trovavo perfettamente inutile fare il contrario e volersi ostinare continuamente a voler avere ragione a tutti i costi. Insomma, se non la si aveva non la si aveva, punto. E che non provasse mai più a dirmi che non conoscevo Shakespeare.
«Beh, è notevole. Non conosco molte ragazze di sedic’anni…»
«Diciassette», lo interruppi io. «Diciassette anni»
«Oh, ehm… ok, di diciassette anni che ammettano di sbagliare», si corresse. Io tornai a guardare di fronte a me il mondo diviso in rombi dalla rete di protezione. Mi voltai dandole la schiena e mi lasciai scivolare fino a quando non mi ritrovai seduta a terra. Ivan mi seguì poco dopo.
«Né che ammettano di avere un casino in testa», disse probabilmente riuscendo a decifrare il mio sguardo. Non mi posi subito il problema di come diamine ci fosse riuscito. Non erano tante le persone che riuscivano a capirmi semplicemente da uno sguardo e quella cosa mi colpì, anche perché spesso non ci riusciva nemmeno mia madre.
«Ti va di parlarne con il tuo peggior nemico?», domandò con una gentilezza che non mi aveva mai rivolto. Lo guardai con un mezzo sorriso per una volta davvero sincero, sorprendendomi di quanto fosse facile stare con lui così, sul tetto della scuola semplicemente a parlare.
«Beh sai… essere destinata ad essere un Boss della mafia a soli diciassette anni non è proprio il massimo», sorrisi. D’altronde lui poteva capirmi almeno un po’, facendo parte a sua volta in un modo o nell’altro del mondo della mafia. Di qualsiasi mafia si trattasse. Senza nemmeno rendermene conto le parole cominciarono a riversarsi come un fiume dalle mie labbra e mi trovai a parlare con lui di mio padre, di come l’avevo perso, del Clan che ben presto ci avrebbe attaccati e del fatto che sarei dovuta essere pronta per allora.
«E ancora non lo sono neanche lontanamente», sbuffai ricacciando indietro le lacrime di rabbia che avevano cercato di farsi strada per i miei occhi ma che non c’erano riuscite. Per fortuna, perché non volevo che lui mi vedesse piangere. Altrimenti avrebbe avuto un altro pretesto per prendermi bellamente per i fondelli, perché mi rendevo conto che quello che stavamo avendo là sarebbe stato soltanto un momento nel tempo che avremmo passato assieme. Una stella solitaria di serenità in un circolo vizioso di caos continuo. Ivan si alzò sospirando e dal basso mi sembrò ancora più alto di quanto già non fosse. Dopodiché mi tese la mano ed io la presi dopo un secondo di incertezza.
«Lo sarai. Credimi. E ti aiuteremo. Sai che puoi contare su tutti noi», disse deciso ma con una dolcezza negli occhi che mi fece dimenticare che l’avevo odiato dal primo momento che l’avevo visto, con quell’aria strafottente, quel passo sicuro, quella faccia da schiaffi, quegli occhi così verdi da sembrare quasi finti…
Scossi la testa abbassando lo sguardo.

Dannazione Lilian! Va bene, sei un’adolescente, ma non ti puoi permettere di farti incantare da un paio di occhi verdi!
«Ehm… credo che… dovremmo andare, no?», domandai retoricamente allontanandomi da lui come una qualsiasi ragazzina innamorata. Cosa che NON ero, chiaro? No, precisiamolo eh. Precisiamolo e sottolineiamolo.
«E fa attenzione, Carter. Domani potresti diventare il mio nuovo bersaglio per il tiro a segno». [cit.]
Dato che con quello di carta avevo fatto fiasco…

Incredibile come in un giorno solo si potesse fare amicizia con così tante persone diverse. O quantomeno conoscenza. Prima della fine delle lezioni avevo parlato praticamente con tutti e portato il nostro legame Guardiani/Boss ad un primo livello. Quantomeno adesso riuscivo a ricordarmi i nomi di tutti, per questo il pomeriggio potei presentare tutti a mia madre prima di scendere nella sala d’addestramento dove Reborn e Fong osservavano Colonnello e Lal affrontarsi in un combattimento senza esclusione di colpi. Non per nulla la prima cosa che ci aveva dato il benvenuto quando eravamo entrati era stata un’esplosione giunta da un congegno non meglio identificato.
«Oh, eccovi», disse Reborn assolutamente pacato e tranquillo attirando l’attenzione anche dei miei altri due Tutor che ci raggiunsero immediatamente. In modo molto più veloce Reborn fece nuovamente le presentazioni.
«Bene, ragazzi. Diciamo che quello di oggi sarà un allenamento leggermente diverso da quello che tu, Lilian, hai affrontato fino ad ora», disse rivolgendosi direttamente a me.
Qualche minuto più tardi ci ritrovammo tutti seduti in cerchio, gli occhi chiusi e gli anelli al dito. Fong camminava in circolo, le mani intrecciate dietro la schiena, spiegandoci esattamente con voce flebile e morbida che cosa avremmo dovuto fare. Concentrazione era la parola d’ordine, a farla breve. E così feci. Mi concentrai ad occhi chiusi, tentai di visualizzare una fiamma arancio tenue che si sprigionava dall’anello, una fiamma che mi apparteneva di nascita ma che anch’io come mio padre avrei dovuto imparare a controllare e sviluppare. Un brivido mi attraversò la pelle mentre l’immagine di papà nella mia stessa posizione si materializzava nella mia mente. Non era nulla, semplicemente un’immagine, ma dovette aiutarmi davvero parecchio. Sentii improvvisamente un gran calore che tuttavia non bruciava partire dalla mia mano per poi raggiungere il mio braccio e tutto il mio corpo, tornare indietro ma lasciare comunque dietro di sé quel piacevole calore e quella sensazione di forza che non se ne andarono non appena aprii gli occhi trovandomi di fronte una piccola fiamma sfavillante sulla sommità dell’anello. Guizzava sopra il metallo come fosse stata viva e sembrava quasi darmi il benvenuto. Sorrisi alzando poi lo sguardo verso i miei Guardiani. Tutti c’erano riusciti ed osservavano la fiammella nello stesso modo in cui la osservavo io. Tutti tranne Ivan, la cui fiamma era l’unica ad essere completamente nera. Era tuttavia un nero che non spaventava. Un nero che anche nel suo colore sinistro poteva risultare positivo.
Fong mi posò le mani sulle mie spalle e mi sorrise nel suo solito modo molto, molto tranquillo, guardando poi anche tutti gli altri.
«Molto bene. Ci siete riusciti tutti al primo tentativo e ciò non può essere che notevole»
«Già, però c’è ancora uno step da affrontare prima di iniziare il vero allenamento», prese la parola Lal facendo un cenno a tutti noi. Cenno che io non compresi fino a quando non vidi tutti alzarsi ed andare verso le loro borse, dopodichè tornare con delle piccole scatoline cubiche dello stesso colore delle loro fiamme. Le osservai sentendomi improvvisamente estranea quasi quanto Ivan. Eravamo gli unici a non avere una Box tra le mani. Reborn la consegnò subito a lui – una piccola Box nera – poi si avvicinò a me, inginocchiandosi e porgendomene una.
«Questa è la tua», disse. Presi la piccola scatolina delicatamente, stupendomi della sua leggerezza ma prima che potessi fare qualsiasi altra cosa lui me ne porse un’altra, esattamente uguale a quella che avevo tra le mani, ma dall’aria più vissuta.
«Questa è…», deglutii guardandolo negli occhi, sentendomi come una bambina di fronte ad un professore universitario. Non disse nulla, si limitò a rialzarsi e ad allontanarsi. Uno alla volta tutti aprimmo le nostre Box. Dalla Box rossa di Maya uscì una maestosa pantera nera che le si accucciò accanto come fosse un gattino. Da quella viola della sorella, Georgia, si materializzò un bellissimo pavone bianco. Fu la volta di Jin, dalla cui Box verde fuoriuscì una bellissima anguilla trasparente volteggiante nell’aria che incredibilmente sembrava non aver bisogno d’acqua per sopravvivere. Dalla Box blu di Soichiro apparì un grande lupo bianco dagli occhi azzurrissimi mentre dalla Box di Ivan esattamente il contrario, un maestoso lupo nero. Dalla Box gialla di Akane apparve tra le sue mani un piccolo adorabile usignolo cinguettante. Ray ce la fece subito, materializzando dalla sua Box azzurra un cavallo bianco dalla criniera e dalla coda nere con dei curiosi riflessi blu all’interno. C’era da aspettarselo dato che sapevo che aveva praticato equitazione per diversi anni, da bambino. Fu il mio turno. Feci un gran sospiro e mi concentrai nuovamente per far scaturire la fiamma dall’anello, dopodichè lo misi in contatto con la Box che tremò leggermente tra le mie dita, facendo materializzare subito dopo un gattino che mi osservò dal basso, miagolando. Mi abbassai sorridendogli ed accarezzandogli il manto color sabbia, dopodichè mi concentrai sull’altra Box. Seguendo lo stesso procedimento che avevo attuato con l’altra la sentii tremare un pochino di più prima di far uscire…
«N… Natsu!?».

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Bene bene, eccoci arrivati anche al Ventesimo capitolo. Capitolo che immagino possa essere il capitolo conclusivo del “primo arco” se vogliamo. O la fine del primo tempo, ecco. Come avete potuto notare c’è stata una svolta, Lilian ha conosciuto tutti i Guardiani, tutti sono riusciti a creare le rispettive fiamme e ad aprire le rispettive Box. Anche Ivan, che con la sua Fiamma d’Ombra (lo ammetto, me la sono inventata di sana pianta, ma volevo qualcosa che potesse essere relazionabile con ciò che lui effettivamente è) non è proprio felice felice come abbiamo potuto vedere. A proposito di Ivan, sembra che lui e Lily stiano andando un pochino più d’accordo. Vedremo che cosa succederà nei primi capitoli del secondo arco!

Ed ora l’ultimo spazio ringraziamenti del primo arco!
Ringrazio Glox (hihi) in primis. Certo che diciotto capitoli tutti in una volta è una bella maratona! Ma sono contenta che la fic ti piaccia così tanto! E come potrei non esserlo? I “contenuti” delle Box sono stati svelati e… wow, non pensavo che Ivan potesse piacere a qualcuno xD Pure mia sorella lo odia a morte, ma sono comunque contenta di aver creato un cattivo che possa piacere **
E naturalmente non posso non ringraziare la mia Fel-chan! Eh si, in effetti possiamo dire che Akane e Ray sin dall’inizio sono stati una certezza. Insomma, non potevo certo lasciar fuori dai giochi i migliori amici di Lily, no? Per quanto riguarda gli Anforti… diciamo che momentaneamente non ho in programma di dar loro un punto di rilievo nella storia, ma non si sa mai. Sono contenta che ti piacciano sia Jin che Soichiro, ma in particolare quest’ultimo. Non posso dire di aver fatto uno studio vero e proprio sul suo personaggio, ma l’ho pensato a lungo. Non che con gli altri non l’abbia fatto, ma Soichiro è stata davvero una sfida. Spero di essere riuscita a renderlo come avrei voluto ^^ Per quanto riguarda Ivan/bersaglio per il tiro a segno lo potrebbe davvero diventare se non la pianta con sto atteggiamento, anche per ciò che Lilian ha detto, citando te hihi Grazie mille mia cara! Come sempre, spero che anche questo ti sia piaciuto!

E a tutti voi, appuntamento al prossimo capitolo! Che non ho ancora scritto xD Mi ci metto, giuro u.u
A presto!
xoxo Niki

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