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Autore: Guido    13/03/2006    3 recensioni
Un anno dopo la fine della Seconda Guerra, Hogwarts riapre i battenti su un Mondo Magico molto cambiato e molto insicuro, dove anche la pace appena conquistata non sembra destinata a durare. Quale destino attende i giovani allievi, i professori vecchi e nuovi, dentro e fuori la Scuola? E la nuova guerra, se scoppierà, sarà sempre tra maghi, oppure... contro i Babbani? Domande molto pressanti per Draco Malfoy, improvvisamente catapultato sulla cattedra di Difesa, e anche per qualcuno che, di nascosto, tenta di rintracciare un Harry Potter svanito nel nulla ormai da anni...
(NOTA: ho cominciato a scrivere la storia prima che uscisse "I Doni della Morte", l'esito della guerra è stato molto diverso, ma scoprirete i dettagli principali già nel primo capitolo. OOC per il personaggio di Draco, del resto la serie è incentrata proprio sulla sua evoluzione)
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da Epilogo alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Da Mangiamorte a...'
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Hogwarts, inizio anno. Parte seconda

Hogwarts, inizio anno. Parte seconda.


We should see the gates by morning,

We should be inside the evening.


[Jim Morrison]


Il discorso di benvenuto aveva chiaramente prosciugato le forze della Marchbanks, che, cerea e con un filo di voce, fece cenno ai professori di avvicinare le sedie alla sua. Quando si furono accostati per quanto lo permetteva lo spazio, si raddrizzò contro lo schienale e disse: «Bene, signori. Ci restano alcune questioni da definire: l’assegnazione dei vostri uffici, gli orari delle lezioni, cose di questo genere.» Si interruppe, a corto di fiato.
«Quanto agli uffici.» - un colpetto di bacchetta - «questa è l’elenco dei locali disponibili e delle aule destinate alle varie materie; spero che le copie bastino.»
Bastavano; e, soprattutto, bastavano i locali, il cui numero era almeno triplo rispetto ai docenti, cosicché ciascuno ebbe agio di scegliere quello che preferiva. Tutti optarono per la praticità di un ufficio vicino all’aula assegnata alla rispettiva materia e, poiché – complice anche la scomparsa di Storia della Magia e di Divinazione –non c’erano due aule su uno stesso piano, non vi furono conflitti di sorta. La Sprite, che non poteva avere un ufficio vicino alle serre, si accontentò di un locale al piano terra.

«Ci sarebbe la capanna del guardiacaccia… Il compito è stato assunto da Fiorenzo, in aggiunta alla cattedra…» mormorò la Marchbanks, esitante.

«No, grazie, Griselda, non potrei proprio. Per me quella resterà sempre la capanna di Hagrid.»

E questa fu, si può dire, l’unica discussione sul punto. Draco si trovò con un bell’ufficio  al quarto piano, proprio accanto all’aula di Difesa; Blaise, se aveva capito bene, ne aveva scelto uno poco lontano dalla Sala Grande e vicino all’ingresso dei sotterranei.

Ma sugli orari delle lezioni discussero fino a farsi seccare la lingua. Chi dormiva fino a tardi, chi doveva portare il rospo a passeggio; chi non intendeva rinunciare al sonnellino dopo pranzo, chi, al contrario, soffriva di insonnia; chi non voleva ore buche, chi le amava alla follia… e tutte queste preferenze dovevano essere intessute e incasellate fino a comporre un quadro orario continuo per quattro Case e sette anni. La discussione era stremante; McLaggen e la Sprite, in particolare, stavano litigando ferocemente su quale fosse l’ora migliore per volare o per piantare Bubotuberi.

«Non pretendere di insegnarmi il mestiere, Cormac!»

«Io non devo fare cosa? E tu, allora? Da che pulpito! Come ti permetti di dirmi a che ora far volare i primini, eh? Voleranno all’ora che dico io, sissignora, e quanto al tuo Bubotubero del…»

Molto opportunamente, la Marchbanks si schiarì la voce; i due contendenti piombarono in un silenzio imbarazzato.

«Suvvia, signori, sono certa che riusciremo a trovare un orario soddisfacente per tutti. Siamo persone civili, no?» E indirizzò a McLaggen un’occhiata che parlava chiaro anche a un non Legilimante: Come siamo caduti in basso, qui a Hogwarts!

Draco e Blaise, i soli che non avessero esigenze particolari, assistettero in silenzio ad altri tre quarti d’ora di civile litigio, finché, per miracolo o, più probabilmente, per sfinimento, l’orario prese forma sulle pergamene ormai coperte di appunti e cancellature. La bacchetta della Marchbanks ne fece comparire una versione più che dignitosa (capilettera istoriati e miniati, addirittura!) e ogni insegnante ebbe la propria copia; al centro del tavolo restava il cumulo di quelle che, l’indomani, sarebbero state distribuite agli studenti.

Sollevati e stremati, i professori si stavano già alzando, ma un gesto della Preside li bloccò con le chiappe a mezz’aria.

«Signori, permettetemi di abusare della vostra pazienza per un istante ancora,» disse la Marchbanks, in tono secco. «Vedo che tre Case sono tuttora senza Direttore… Confido, Pomona, che tu intenda continuare a dirigere Tassorosso, vero?»

«Oh, naturalmente.»

«Cormac? Direttore della Casa di Grifondoro?»

«Agli ordini!» Perfino McLaggen avrebbe accettato qualunque cosa, pur di andarsi a riposare.

«Rufus? I Corvonero?»

«Nessun problema.»

«E i Serpeverde… Professor Malfoy?»

«Ehm… se crede…»

Blaise sarebbe andato altrettanto bene, naturalmente, e stava per farglielo notare, ma non ne ebbe il tempo.

«Perfetto, siamo intesi.» La Preside mantenne un’espressione assorta per qualche secondo e – mentre Draco si rassegnava all’idea di essere responsabile del comportamento di un branco di mocciosi scatenati – aggiunse, con un gran sorriso e un tono un po’ troppo leggero: «Oh, un’altra cosa, professor Malfoy.»

«Mi dica, che cosa posso fare per Lei?» Mostrarsi gentile non costava nulla, dopotutto.

«Il Vice Preside,» rispose tranquilla.

«Prego?» Forse ho capito male…

«Io sono un po’ troppo vecchia per questo lavoro, mi serve una spalla, anzi, un braccio della bacchetta che sia giovane, fresco e pieno di risorse. In una parola: Lei

Pieno di risorse? «Ai Suoi ordini» mormorò il ragazzo, arrossendo. Tutto avrebbe voluto, fuorché una posizione di responsabilità all’interno della scuola: era troppo pieno di casini per affrontare anche le luci della ribalta! E invece… Direttore dei Serpeverde e Vice Preside!

Perlomeno, la riunione era terminata. Sentendosi troppo stanco per prendere possesso del proprio ufficio e disfare i bagagli che gli Elfi Domestici, senza dubbio, vi stavano portando, Draco seguì Blaise, diretto al suo. La porta – identica a tutte le altre del piano – era socchiusa, ma, entrando, non incontrarono Elfi Domestici; evidentemente, avevano già sbrigato il loro compito. La stanza in cui si trovarono era chiaramente destinata ai contatti con gli studenti, dal momento che gli unici mobili presenti erano due sedie, separate da una cattedra di mogano tanto imponente che sembrava colmare tutto lo spazio disponibile, a dispetto delle pareti spoglie; dietro quella mostruosità lignea, si apriva una porta – munita di lucchetto a combinazione magica, notò Draco – che immetteva nelle stanze private dell’insegnante. I pensieri di Blaise dovevano aver seguito un corso analogo, perché ridacchiò e disse:

«Se il mio appartamento è spoglio come questo ufficio, mi sparo!»

«Non credo, sai? Secondo me, lasciano l’ufficio spoglio apposta perché ciascun insegnante possa arredarlo secondo i suoi gusti – se ti ricordi, ciascuno dei nostri insegnanti di Difesa ne ha rivoluzionato l’aspetto – ma un appartamento deve essere funzionale, meno soggetto ai capricci personali. Per quelli, l’ufficio basta e avanza!»

«Forse dovrei imitare il falso Moody! Mi piaceva quell’assortimento di Detector Oscuri… Solo che non ne ho.»

Draco ridacchiò: «Ma come, Blaise! Per la barba di Merlino, pensa alla tua immagine! Te li immagini, i primini dispettosi terrorizzati dall’Avversaspecchio?»

«Mi servirebbe di più un Detector per controllare se hanno fatto i compiti… invece dovrò arrangiarmi con il controllo dei quaderni!» sospirò.

Il biondo cominciava ad avvertire il peso della stanchezza (e anche un certo appetito: chissà se gli Elfi avevano provveduto?). «Entriamo?»

La combinazione del lucchetto non era impostata, quindi la maniglia ruotò liberamente; la porta si aprì verso l’interno, rivelando una piccola area di disimpegno tra tre stanze prive di porte: uno studio alla loro destra, un bagno di fronte e la camera da letto sulla sinistra. Qui si trovavano anche i bagagli; un’occhiata fu sufficiente a stabilire che neanche Blaise aveva voglia di disfarli, così passarono nello studio e furono ben lieti di scoprire che, in realtà, quella stanza rettangolare assolveva a due funzioni distinte: la metà più vicina all’ingresso ospitava una piccola scrivania, circondata da scaffali a parete, ancora vuoti; ma, un poco più in là, i piedi incontravano un tappeto soffice, che lambiva, da un lato, il grande camino e, dall’altro, tre poltrone attorno a un tavolino di cristallo, su cui – meraviglia delle meraviglie! – qualche Elfo Domestico particolarmente zelante aveva posizionato due tazzine, una teiera fumante e un goloso assortimento di dolcetti.

Stavolta non occorse neppure un’occhiata: come richiamati da un Incantesimo di Appello, i ragazzi si fondarono su poltrone, tè e dolci. Non necessariamente in quest’ordine.

«Ah, i privilegi del rango!» mormorò Blaise, ingozzandosi di pasticcini al miele. La risata di Draco schizzò tè caldo su metà della stanza.

Si rifocillarono con vorace voluttà, spazzolando fino all’ultimo dolcetto. Ma il piccolo vassoio e la teiera dovevano essere collegati magicamente con le cucine, o qualcosa del genere, perché tornavano a riempirsi non appena credevano di averli vuotati. Infine, però, anche gli Elfi Domestici dovettero soccombere a tanto appetito; i raggi del Sole calante illuminarono due ragazzi più che satolli, sprofondati in comode poltroncine, intenti a fissarsi con il ghigno un po’ ebete di chi è reduce da un pasto abbondante… anzi, diciamo pure sovrabbondante. Ma il tè prevenne la sonnolenza, sciogliendo, invece, la lingua anche a Blaise, di solito poco incline alla conversazione spicciola.

«Allora, Draco, cosa pensi del discorso della nostra Preside?»

L’interpellato scrollò le spalle. «Discorsi di quel genere non sono fatti perché se ne possa pensare qualcosa, si tratta di pura retorica.»

Blaise schiuse le labbra al più leggero dei ghigni. «Potresti avere ragione. Ma che mi dici di ciò che la vecchia non ha detto?»

«Per esempio? Scusa, ma non ti seguo.»

«Scusa tu, dimenticavo che mi hai detto di non essere proprio un lettore fedele della Gazzetta… Intendevo dire che non mi è parso di sentire neppure un cenno al fatto che – per la prima volta dalla sua fondazione – Hogwarts non ammette gli studenti nati in famiglie Babbane.»

Draco trasecolò. «Stai scherzando?»

«Niente affatto. E’ una disposizione adottata dal Decreto Numero Ventisette, “in via provvisoria e sperimentale”, affinché – sostiene il Ministero – questa Hogwarts appena rinata e con tanti problemi non debba vedersela con un numero di studenti superiore alle sue possibilità. Mi pare, però, che la spiegazione non regga: perché, altrimenti, si sarebbe accettato di far tornare anche gli studenti di nascita Babbana? Soltanto le matricole sono state escluse e non credo che questo abbia ridotto di molto il numero degli iscritti.»

Draco impiegò alcuni secondi a digerire informazioni e ragionamento.

«Sembra che, dopotutto, dovrò decidermi a leggere quella dannata Gazzetta

«Saggia decisione. Anzi, se fossi in te comincerei subito. Non hai ancora letto quella di oggi, giusto?» Blaise si alzò – con una percettibile riluttanza – frugò nelle tasche della giacca, frettolosamente gettata sull’attaccapanni all’ingresso dello studio-soggiorno, recuperò una copia del quotidiano e la distese sulla scrivania. «Come ti ho detto all’arrivo, c’è un articolo, in prima pagina, che mi sembra molto interessante.»

Con un sospiro rassegnato, il biondo si alzò, si chinò sul giornale e cominciò a leggere, il volto che si faceva più incredulo ad ogni riga.

Il Ministero aveva appena approvato un Decreto con cui si introduceva una nuova scriminante per tutti i reati previsti dallo Statuto di Segretezza: andava esente da pena il mago o la strega che – Draco deglutì e rilesse; no, aveva capito bene… - dimostrasse di aver eliminati tutti i potenziali testimoni Babbani. «In questo modo,» spiegava il sotto-portavoce del Ministro, Percy Weasley, «sarà possibile destinare ad altri incarichi buona parte degli Obliviatori e ridurre in maniera significativa il carico di lavoro del Wizengamot.» Sulla Gazzetta del Profeta, un opinionista azzardava una timida protesta: il Decreto poteva essere fonte di responsabilità presso la Confederazione Internazionale dei Maghi.

«Ma il Supremo Pezzo Grosso della Confederazione» mormorò il biondo «non è più Albus Silente.»

Alle sue spalle, Blaise annuì in silenzio.

Il Wizengamot avrebbe applicato la nuova disposizione senza protestare; anche lì, lo Stregone Capo non era più Silente. Non rammentava chi lo avesse sostituito, e neppure chi occupasse i seggi inglesi alla Confederazione, ma certamente non si trattava di persone capaci di contrapporsi al Ministro. Rilesse l’articolo, con sgomento crescente.

Nessuno notava che, gradatamente, il diritto penale del Mondo Magico stava recependo il principio “Uccidere un Babbano non è reato”. Era come se il veleno, anzi il narcotico, avesse già ridotto all’impotenza tutte le coscienze di Gran Bretagna e Irlanda.

Si rialzò, voltandosi verso Blaise, e gli lesse in volto la sua stessa espressione, gli stessi sentimenti e pensieri.

In silenzio, le loro mani si strinsero. In silenzio, nel segreto dei cuori, senza testimonio di parole, quell’istante forgiò un patto.

 

Note:

Ho cercato di alleggerire un po’ l’atmosfera e spero di esserci riuscito; ma l’epigrafe – che ho dimenticato di inserire nella parte precedente – e la conclusione dovrebbero rassicurare chi ama il filone Dark.

Cormac McLaggen, per chi ancora non lo sapesse, è un personaggio del sesto libro (e non vi dico altro, anche se non ricopre un ruolo importante nella trama).

Draco e Harry sono lontani cugini per parte Black: secondo l’albero genealogico disegnato dalla Bowling e pubblicato su La Repubblica, 12 Febbraio 2006, ora reperibile su www.hp-lexicon.org, una certa Dorea Black ha sposato Charlus Potter. Stando alle date, essi sono, con ogni probabilità, i nonni di Harry. Mi pare inutile aggiungere che di questo matrimonio non sapremmo nulla, se i Potter non fossero (stati) una famiglia di Purosangue: il motto dei Black è Toujours pur, chi trasgredisce, sposando Babbani, Mezzosangue o traditori del loro sangue (leggi: Weasley), sparisce dall’albero. Immaginate lo scandalo, quando James ha sposato Lily!

Il lucchetto a combinazione magica è una mia invenzione, anzi intuizione: non chiedetemi come funzioni, perché sono il primo a non averne idea!

Non odiatemi troppo per aver fatto sopravvivere Percy, vi prego! Non so ancora se lo vedremo comparire in prima persona, ma ci voleva una prova tangibile di come il perfetto burocrate sappia sopravvivere a qualsiasi cambio di amministrazione. Come sarà il Ministero dell’era Malfoy, mi chiedo e vi chiedo? Tranquilli, avrete una risposta…

 

  
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