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Autore: HamletRedDiablo    02/07/2011    4 recensioni
"L'asso di picche possiede un fascino ambiguo e pericoloso. Se tenuto dritto, è una mera carta, come tutte le altre. Se capovolto... diventa il simbolo della morte."
Ed Allen era il gemello di quell'asso traditore.
Ma Tyki... qual era la carta corrispondente a Tyki?
[Poker love; accenni LaviAllen]
Dedicata a Rota e alla figlia.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allen Walker, Tyki Mikk | Coppie: Tyki/Allen
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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† Mazzo di Carte †



   Si era augurato di non dover mai assistere ad uno scempio simile.
   La sua immagine ideale di vampiro algido e tenebroso era appena stata disintegrata: Crowley era inginocchiato a terra, l’espressione piagnucolosa e una piccola goccia che faceva capolino dalla narice destra. Ma non era quello il dettaglio agghiacciante: il vampiro era in mutande. Grossi mutandoni con l’elastico alto in vita, tronfi nella loro sgargiante fantasia a cuori rossi.
   Vampiro. Mutandoni. Cuori. C’era qualcosa che strideva quasi dolorosamente in quell’accostamento di concetti.
   «Cosa stai facendo, Crowley?»
   «Questi gentili signori mi hanno invitato ad unirmi a loro per un giuoco chiamato “poker”, invero» rispose il vampiro, le parole arrotondate dal principio di raffreddore che gli faceva gocciolare il naso: tutte le consonanti sembravano sorelle della “b”.
   Allen alzò lo sguardo sui “gentili signori”: le facce erano accese da uno scintillio di astuzia sinistra, e torte da plateali ghigni da carcere. Il ragazzo chiuse gli occhi per evitare la scortesia di ruotarli verso il cielo. Non era difficile capire che quel branco di predatori aveva visto in Crowley un pollo da spennare con facilità, ed il nobile sprovveduto era istantaneamente caduto nella loro trappola.
   Allen si sfilò la giacca, e la poggiò con grazia inglese sul piatto.
   «I bottoni e le rifiniture di questo cappotto sono d’argento. Sono sufficienti per aver diritto a cinque carte, giusto?»
   Il suo sorriso si incrinò impercettibilmente quando prestò maggiore attenzione all’uomo davanti a lui. Bastò un solo istante per riconoscerlo: gli occhiali, lo stile sciatto, perfino la barba ed i capelli sembravano gli stessi di quella notte.
   Rabbrividì istintivamente, serrando le dita sul colletto scuro della giacca che ancora teneva tra le mani. Erano passati dieci anni da allora. In quel lasso di tempo, i suoi arti si erano allungati e assottigliati, gli occhi si erano appena ristretti sul viso che intanto si affilava, la voce aveva perso le sue punte più stridule: da bambino gracile ed indifeso era diventato un ragazzo forte, orgoglioso di vestire la divisa degli Esorcisti. Quell’uomo, invece, non sembrava mutato di una cellula: nessun capello bianco ad interrompere il fluido corvino della chioma ribelle, nemmeno l’ombra di una ruga sui lineamenti marcati, non vi erano scalfiture ad intaccare la superficie degli occhiali. Era come se per lui il tempo si fosse paralizzato in quella notte d’inverno, preservandolo da qualsiasi segno di invecchiamento.
   L’uomo, al contrario, non diede segno di aver rivisto in lui l’orfanello spaurito che aveva “aiutato” dieci anni prima: restò accasciato nella sua posa dinoccolata a gambe incrociate, interessato più al valore del cappotto che al ragazzo che lo aveva messo in palio. Allen frugò brevemente nelle tasche ed estrasse l’unico oggetto che avrebbe potuto confermare o smentire i suoi sospetti.
   Aggiunse la sigaretta logora al piatto ed inalberò davanti al viso le cinque carte da gioco, in attesa.
   «Ehi, ragazzino, guarda che quella non vale niente» lo riprese bruscamente il tizio alla sua sinistra.
   «Vale» decise l’uomo occhialuto, aprendo a ventaglio le carte. «Il piccolo ha avuto il coraggio di mettere in palio un suo ricordo.»
   Il sogghigno che spianò le labbra sotto le pesanti lenti era lo stesso che quel tizio aveva sfoggiato nel salutarlo quando era un bambino ad un passo dall’assideramento. Allen non nutriva più alcun dubbio a riguardo.
   «Giochiamo?»

***

   Il commento di Lavi al racconto della vittoria schiacciante di Allen venne spezzato in singhiozzi convulsi dal riso implacabile che lo scuoteva:
   «Chi di mutande ferisce, di mutande perisce, eh?»
   Allen mantenne un contegno invidiabile, da vero signorino britannico, mentre attendeva che le risate cessassero.
   «È stato straordinario, invero!» lo esaltava Crowley, entusiasta dell’abilità mostrata dal ragazzo albino. «Ha sbaragliato quei furfanti in pochi giri di carte!»
   Allen soppesò i vestiti che teneva tra le braccia, combattuto: non gli sembrava giusto lasciare che quei poveretti restassero senza indumenti durante giornate così fredde. Le sue gambe ancora tremavano al pensiero di quell’inverno in cui erano state quasi ghiacciate.
   «Dove stai andando?» s’informò Lavi, vedendo il ragazzo uscire dallo scompartimento.
   «Vado a restituire questi ai legittimi proprietari» rispose lui, accennando agli abiti che teneva in braccio.
   «Loro non avrebbero fatto la stessa cosa per Crowlino» notò incolore l’erede di Bookman. Asciugò l’occhio ancora appannato dalle risa e lo puntò su Allen, che gli restituì uno sguardo deciso. E Lavi capì immediatamente che non sarebbe mai riuscito a smuoverlo dal suo intento.
   «Sei proprio un damerino» sospirò, rassegnato. «Vai pure. Ti aspetteremo nel vagone letto, ormai è tardi.»
   Allen annuì ed imboccò l’uscita, accompagnato dalle entusiastiche decantazioni di Crowley sulla sua ineguagliabile nobiltà d’animo.

***

   Il buio avviluppava ogni cosa all’interno di quel treno: le lampade ad olio, imbullonate alle pareti dei vagoni per scongiurare il rischio di incendi colposi, avevano quasi esaurito il combustibile, ed agonizzavano in sparuti singulti luminosi appena più intensi delle lucciole estive. Del tutto inadatti ad illuminare il corridoio, che restava inglobato nella notte, palesandosi solo in pochi angoli del mobilio appena toccati dalla luce artificiale.
   Allen arrancò attraverso le tenebre, saggiando il pavimento con i piedi e l’aria con le mani per prevenire eventuali ostacoli. Fu durante una di queste manovre che il palmo sinistro si scontrò con qualcosa di robusto e tiepido.
   «Questa si chiama “molestia sessuale”, piccolo» lo avvertì una voce profonda come le ombre tutt’attorno. Un rumore raschiato, ed un fiammifero spuntò nell’oscurità, per poi tracciare un semicerchio che lo condusse davanti alle labbra dell’uomo, ad accendere la punta della sigaretta.
   Il cerino venne scosso un paio di volte nell’aria finché la fiammella sulla sua testa non si spense. Rimase solo il cerchio ardente della cicca accesa ad indicare la posizione dell’individuo che aveva appena parlato.
   «Voi avete raggirato il mio amico» replicò Allen, fissando un punto ragionevolmente vicino alla sigaretta, dove supponeva si trovassero gli occhi dell’uomo.
   «E tu l’hai riscattato barando» una copiosa voluta di fumo venne sospinta verso la sua faccia, costringendo l’inglese ad arricciare il naso, disgustato dall’odore pestilenziale del tabacco bruciato.
   «Sono venuto a portarvi questi» annunciò, tendendo al buio i vestiti che ancora gli pesavano tra le braccia.
   Le ombre non riuscirono a celare il ghigno derisorio dell’uomo, che balenò perlaceo ed irriverente nella notte.
   «Che bravo bambino» una mano sgusciò ad afferrargli il polso e, prima che se ne accorgesse, Allen si ritrovò con le dita schiacciate sullo sterno dell’uomo. Almeno, immaginò fosse quel punto poiché avvertiva la consistenza solida dei pettorali premuta contro i polpastrelli, ed il battito ritmico del cuore sotto il palmo. Era la seconda volta in cinque minuti che palpeggiava il petto di quel tizio, anche se non per libera scelta.
   «Ma, come puoi notare, avevamo un cambio d’abito» seguitò l’uomo, usando maggior forza sul suo polso in modo che le fibre della maglia si stampassero sul palmo dell’Esorcista.
   «Sono comunque cose che vi appartengono» reiterò Allen. Strattonò il polso con uno scatto infastidito, ma la cosa non sembrò turbare minimamente l’individuo con cui aveva a che fare. «Tenete» lo invitò con maggiore gentilezza, porgendogli di nuovo gli indumenti.
   «Non permetti a nessuno di ribellarsi alla tua cortesia» un fruscio e l’odore fattosi più penetrante della nicotina gli fecero capire che l’uomo gli si era avvicinato. Con un sospiro esasperato pregno di fumo, il carico del giovane si spostò tra le braccia del suo interlocutore.
   «E tu, invece?» domandò l’uomo, le parole appena sbiascicate dal tentativo in corso di spostare la sigaretta da un lato all’altro della bocca.
   «Cosa?» chiese di rimando Allen, aggrottando le sopracciglia candide per scrutare l’uomo attraverso il velo di ombre. Riuscì a scorgere la forma scarmigliata dei capelli, tratteggiata sommariamente dai singhiozzi lacrimosi della lampada in fondo al corridoio, e gli immancabili occhiali che riflettevano gli scarsi fotoni presenti nell’aria. I vestiti erano una matassa scura di cui solo pochissime pieghe godevano delle carezze della luce artificiale prossima al collasso, ed il volto era pressoché indefinibile, eccezion fatta per la minuscola area circolare rischiarata dalla sigaretta.
   «Il tuo soprabito mi pare scomodo» insinuò l’uomo, stritolando la cicca tra i denti mentre questi si scoprivano in un sogghigno. «Anzi, credo proprio che ti stia stretto, piccolo.»
   La fronte del ragazzo si sollevò per esternare scetticismo, e si riabbassò in un’espressione guardinga: il tono serpentino di quel tizio gli aveva dato la spiacevole sensazione che il suo discorso non si limitasse alla sartoria, ma si spingesse su un terreno ben più subdolo. Stava mettendo in dubbio la sua fedeltà all’ordine degli Esorcisti.
   «È tagliato perfettamente su misura. Come una seconda pelle» ribatté rigido. Uno sconosciuto non aveva alcun diritto di mettere in dubbio la sua appartenenza ai seguaci dell’Innocence.
   «Ero convinto che non ti trovassi a tuo agio, piccolo. Sembra così scomodo…» insistette quello, aspirando una lunga boccata che liberò nell’aria quasi con voluttà.
   «È perfetto» Allen cercò di dare un tono perentorio alle sue parole per concludere quella conversazione degenerata.
   Ma l’enigmatico individuo non aveva intenzione di far terminare così il loro incontro.
   «Mi sembri stanco, piccolo» commentò, molleggiando i vestiti sugli avambracci.
   «È tardi» ribatté ovvio Allen.
   «No, non è quel tipo di stanchezza» lo contraddisse il sogghignante uomo. «E non è nemmeno la spossatezza di chi ha sopportato un lungo cammino» rigirò la sigaretta con le labbra prima di proseguire: «È l’affaticamento di chi sa che dovrà viaggiare ancora per molto tempo.»
   Di nuovo, ebbe l’impressione che l’uomo non parlasse solo del tragitto in treno.
   Le lenti rotonde si appuntarono sui suoi capelli, studiandone l’insolito colore lattescente, come se la neve di quella notte dicembrina si fosse fusa alla sua chioma. Scivolarono sulla linea della fronte e ritrovarono la medesima tinta immacolata sulle sopracciglia ben definite e sulle corte ciglia che contornavano gli occhi grigiastri. Un sorriso furfantesco gli spianò le labbra quando spostò l’attenzione sul lato sinistro del viso del giovane.
   «Questa non c’era, dieci anni fa» notò, tracciando con la punta dell’indice il contorno del simbolo vermiglio: scostò i ciuffi di frangia imbiancata per ridisegnare il contorno della stella, scese a sfiorare con l’unghia il sinuoso tratto orizzontale, ripassò sul suo zigomo e sulla guancia la linea discendente, fino a fermarsi con il dito poco distante dalla punta esterna delle labbra.
   «Sei stato maledetto» risolse, lanciando uno sguardo alla mano sinistra, ben infilata in un guanto.
   Allen si scostò composto con un unico passo all’indietro.
   «Vi ho restituito quanto vi dovevo. Posso andarmene» si congedò, garbato.
   L’uomo terminò la sigaretta in un’unica boccata, rilasciò il fumo acre in un lungo respiro verso il soffitto e gettò a terra il mozzicone, spegnendolo con la suola dello scarpone. Allen stava giusto per fargli notare quanto fosse maleducato nei confronti altrui appestare l’aria con il puzzo di sigaretta e addirittura spegnerla sul pavimento, ma di nuovo l’uomo si mosse prima che lui riuscisse a vederlo: le mani avevano lasciato cadere a terra gli abiti ripiegati e, finalmente libere, si erano strette attorno ai suoi fianchi minuti per strattonarlo contro il corpo di quel tizio astruso.
   Erano talmente vicini che Allen avvertì non solo il calore dell’uomo attraverso i suoi abiti, ma anche la sagoma della sua muscolatura celata dalla maglia informe e l’odore di fumo mescolato a quello più selvatico della pelle olivastra. Gli parve di poter calcolare perfino la vicinanza del suo respiro, prima che la sensazione di una mano estranea che scivolava lungo le sue anche annullasse ogni altra percezione.
   «Che diavolo state facendo?» si ribellò, spintonando con forza l’incomprensibile personaggio.
   «Ho mantenuto la promessa, piccolo» si difese l’altro, ironicamente serafico. «Ti ho fatto un regalo più bello.»
   Allen tastò la tasca dei pantaloni, effettivamente appesantita da qualcosa che si rivelò essere un mazzo di carte da poker, con l’asso di picche in bella mostra.
   «Ma per il nome dovrai aspettare» le dita dell’uomo calarono sul suo capo, a scompigliargli i capelli fini. «Buonanotte, piccolo.»
   Proprio come nella bufera invernale, il suo “salvatore” sparì senza lasciargli tempo di replicare.
   Allen tornò sui propri passi, sconcertato. Quell’uomo lo confondeva quando era bambino e lo disorientava ancora nonostante fosse cresciuto.
   Scosse la testa, entrando nel suo vagone. Era tardi, era stanco ed assonnato: si sarebbe goduto una sana dormita e avrebbe lasciato da parte le stranezze di quel soggetto almeno per il resto della nottata.
   I tanto contesi vestiti restarono accasciati al suolo, dimenticati da entrambe le parti.

***

   E così quel marmocchio era diventato un Esorcista. Avrebbe dovuto ammazzarlo anziché aiutarlo, dieci anni prima.
   «Non si può prevedere tutto» esalò, togliendosi gli occhiali.
   Avrebbe potuto rimediare quella stessa notte e ucciderlo nel sonno. Ma era meglio non creare scompiglio in un luogo pubblico: tutte le grida e l’isterismo scatenate dal ritrovamento di un cadavere lo irritavano, per non parlare delle lunghissime indagini della polizia e il fastidio di doversi inventare un alibi… Senza contare che i suoi compagni Esorcisti avrebbero setacciato il treno alla ricerca del colpevole.
   Decisamente troppa confusione. Meglio ritirarsi ed attendere ordini del Conte a riguardo.
   Si issò sulla propria cuccetta e attese, supino, l’arrivo del sonno.
   L’invito del Conte lo pungolò proprio quando stava per scivolare tra le braccia di Morfeo. Ma non riuscì a trattenere un sorriso perfido, nonostante il brusco risveglio.
   Non ci sarebbero voluti altri dieci anni per incontrare di nuovo il piccoletto.













Grazie<3<3<3
Grazie a tutte voi che mi avete incoraggiato nel primo capitolo<3
Red


   
 
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