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Autore: terrastoria    02/07/2011    4 recensioni
A volte mi chiedo cosa sarebbe capitato se io avessi deciso di ricambiare totalmente l’amore di Naruto e non mi fossi messa in testa di conquistare a tutti i costi di Sasuke.
Mi chiedo dove io abbia trovato il coraggio di rifiutare un amore così sincero e sicuramente una relazione felice per un rapporto così intenso e breve da farmi uscire pazza.
Non so darmi un responso, so solo che il cuore allora aveva scelto così sopraffacendo la mia parte razionale.
Poi una cosa del genere non mi successe più.
Purtroppo o per fortuna, non so dirlo ancora.
E così alla fine è arrivata la mia ultima estate qui, a Konoha, con tutti voi.
Una fan fic SasuSaku e non solo, diverse threesome a cominciare dalla classica SasuSakuNaru.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Itachi, Naruto Uzumaki | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Buongiorno gente! ^^ E' con una liberazione di spirito infinita (ho finito gli esami! =p) che vi annuncio l'ottavo capitolo di “L'ultima estate”.
Ecco l'aggiornamento di una storia in cui sto mettendo una gran parte della mia anima.
E' una fan fic di quelle “vecchio stampo”, di quelle che scrivevo qualche tempo fa qua su efp. Ringrazio ancora con un forte abbraccio le cinque persone (fondamentali) che hanno recensito lo scorso capitolo e le persone che hanno questa storia tra le preferite o le seguite.
Spero di poter sapere che ne pensate di questo aggiornamento.
La trama si evolverà un poco ;)



L'America...da sempre terra di libertà, agli occhi di chiunque non ci avesse mai messo piede.
Anche per me che alla prima occasione presi il primo aereo e scappai a Los Angeles.
Non è andata come doveva.
Il passato tornò a perseguitarmi anche nella cosiddetta terra dell'oro. E il presente... fu talmente tanto duro.
Eppure credo che tornerei a fare esattamente la stesa scelta: tornerei a prendere il primissimo aereo per Los Angeles e a scappare.
Vorrei soltanto aver portato con me qualcuno. A ricordarmi di non fare cavolate, a ricordarmi di essere quello che sono e non la maschera orribile di me stessa.
Mi chiedo come i miei colleghi di lavoro e chiunque mi sia stato vicino nei miei primi anni in città mi abbia potuto sopportare.
Dovevo essere l'essere umano più odioso sulla faccia della terra.


**

Cap. 8
Come un to meet you tell you I'm sorry*

01 Febbraio 2009


Itachi Uchiha e Haruno Sakura non riuscivano a guardarsi negli occhi.
Lei – che indossava un paio di occhiali enormi e scurissimi - guardava l'orizzonte fumando senza enfasi.
Lui fumava piano e aveva gli occhi quasi immobili davanti a sé. Sembrava osservasse la ragazza eppure non lo stava facendo. Non stava guardando niente.
Finirono le sigarette senza dirsi una parola; ne accesero delle altre fino a che Sabaku No Gaara – il medico che fino ad allora aveva sempre portato a termine le operazioni con successo - andò loro incontro e, lanciato un'intensa occhiata all'uomo dai capelli scuri, prese Sakura per un braccio e la tirò via.
- Abbiamo fatto tutto il possibile – disse, irremovibile.
Itachi non rispose né si mosse dalla sua posizione statuaria. Si limitò a soffiare fuori dalla bocca il fumo bianco e ad osservarne le forme che assumeva.
Gaara portò via con sé Sakura, in silenzio.
Avrebbe voluto allontanarla per sempre da lì.

**


04 Febbraio 2009


Come up to meet you tell you I'm sorry


Il pomeriggio precedente Sakura Haruno aveva detto a Tsunade che non si sarebbe presentata al funerale di Fugaku Uchiha e Tsunade non le aveva risposto alcunchè.
Lo aveva detto anche a Jiraya e questi aveva sorriso.
Lo aveva infine detto anche a Gaara e questi – col suo denso silenzio in risposta e gli occhi gelidi pronti a penetrarle nell'anima – le aveva fatto cambiare idea.
E così eccola nella cappella dell'ospedale, seduta tra Tsunade e Gaara, a sforzarsi di tenere la testa alta.
Uchiha Itachi aveva deciso di fare la prima parte della cerimonia nella cappella dell'ospedale, prima che il corpo dell'industriale fosse trasferito nella sua terra d'origine: Konoha.
Sakura stava sì partecipando al funerale a Los Angeles ma non sarebbe volata a Konoha. Su questo era irremovibile.
Dal suo posto osservò le spalle magrissime di Itachi Uchiha seduto accanto al suo amico Kisame nella panca di fronte a quella riservata ai medici: a lei, a Gaara, a Tsunade, a Jiraya e a tutti gli altri della squadra. Che aveva fallito.
Tutto il peso di questo mondo era crollato sulle spalle di Sakura che, quando l'avevano avvertita nel suo appartamento - l'indomani dell'intervento di sostituzione della valvola cardiaca – che Fugaku Uchiha non aveva superato la notte, si era sentita subito profondamente in colpa. Perchè lei Fugaku credeva di conoscerlo per via dei racconti di Sasuke e dei pregiudizi del paese, delle persone, della sua testa, del mondo intero.
Ma non era stata lei a sbagliare, non era stato nessuno. Semplicemente l'uomo non ce l'aveva fatta. Si era spento di colpo. Via da questa terra.
Sakura non credeva nell'al di là. Si chiese se Itachi ci credesse.
“Sasuke” fu il primo pensiero di Sakura dopo il panico iniziale. Quel pensiero arrivò di notte. Si chiese se fosse stato avvertito ma tale domanda non ebbe risposta. O almeno non ancora. Sakura non aveva domandato nulla a Itachi, in quei giorni di convivenza dottore – parente in merito a Fugaku. Aveva mantenuto la sua promessa.
- Sakura... -
La voce stranamente dolce di Tsunade la riportò alla cerimonia funebre.
- Dimmi –
- Ti ordino di smettere di pensare -
Tsunade si girò a guardare Sakura con sguardo severo. Fu una frazione di secondo, poi tornò a fissare la bara scura posta in cima alla navata principale della cappella. Imperscrutabile.
Sakura intrecciò le mani e seguì l'ave maria: il prete stava raccomandando Fugaku alla Madonna.
Ascoltò il coro di voci – prevalentemente maschili – delle persone presenti alla cerimonia: pezzi grossi del mercato, colleghi di lavoro di Uchiha Fugaku, amici stretti, un paio di donne – anche giovani - . Non tutti erano riusciti ad entrare. Molti aspettavano fuori dall'ospedale, diverse persone probabilmente le più strette avrebbero seguito la salma fino a Konoha.
Le voci la ipnotizzarono. A fine preghiera Sakura non pensò più.

Nel piazzale antecedente l'ospedale alcuni più stretti colleghi di lavoro del famoso imprenditore Uchiha circondavano Itachi – il figlio maggiore - .
Sakura non riusciva a vederlo, per quanto si sforzasse di intravederne il volto tra una spalla di un uomo e l'altra.
- Che fai, rimani qui? - le domandò Tsunade comparendole di fronte apparentemente dal nulla.
Sakura scosse la testa chiedendosi da dove la donna la tirasse fuori quella forza che in quel momento emanava. In fondo doveva pur sentirsi almeno delusa anche lei. Avevano fatto tutto il possibile ma non era bastato.
- Volevo parlare... - Sakura non terminò la frase osservando l'espressione rassegnata della bellissima “mamma”.
C'erano state delle volte, soprattutto nelle prime chiacchierate con “la mamma dei tirocinanti”, che la donna era riuscita a tirare fuori diverse cose da Sakura. Era una delle poche – assieme a Jiraya – a sapere di Sasuke, il minore degli Uchiha che se ne era andato di casa a diciannove anni per inseguire un fratello ma che, a quanto pareva, trovarlo - se l'aveva trovato - non gli era stato sufficiente. Sakura aveva dovuto dire a loro due una parte se non tutta sua storia, almeno brevemente, se no ne andava del suo lavoro. Aveva dovuto mettere in chiaro coi suoi capi la posizione in cui si trovava con Itachi. In fondo l'averlo incontrato l'aveva destabilizzata non poco, anche se non lo aveva mai dato a vedere.
C'erano stati dei momenti nei quali Tsunade l'aveva sostituita nel fare il turno se significava stare sola con Itachi Uchiha.
Le era grata per questo e le parole sottintese, la comprensione concreta, senza mielosità.
Ed era grata a Jiraya e ai suoi sorrisi che in quei mesi le avevano reso in piccola parte meno pesante la mancanza di Naruto.
- ...vai. E mi raccomando, dritta al sodo. Guai se dopo domani ti presenti da me senza aver ricevuto risposte, intesi? -
Tutta quella severità per mascherare la preoccupazione... Sakura delle volte era esattamente come lei. Anzi, lo era sempre. Però avrebbe tanto voluto avere il carisma di Tsunade che era conosciuta in tutto l'ospedale come “la donna soldato” o la “Bella di ferro” per quella sua straordinaria bellezza unita ad una rigidità.
- Sissignora -
Si scambiarono un'occhiata di intesa e riuscirono addirittura a sorridersi. Dopo di che Sakura si fece strada tra la folla radunata per l'ultimo saluto a Fugaku e chiedendo permesso agli uomini che facevano da scudo al suo obiettivo si aprì un varco per arrivare da Itachi.
Non ebbe tremori di voci allorchè disse che doveva parlargli in privato.
Itachi acconsentì, si vedeva lontano un chilometro che se lo aspettava, l'arrivo di Haruno Sakura. Si vedeva lontano un miglio anche tutta la stanchezza che aveva addosso, la si evinceva dalle pesanti occhiaie che cerchiavano i suoi occhi infuocati, dal volto pallidissimo, dai gesti lenti. Nonostante la stanchezza però ebbe la forza di mandare via gli amici di suo padre e di rimanere solo con quella donna.
Aveva un bisogno urgente di andarsene via, sparire, perdere il controllo; ma resistette ancora un po'. Gli occhi di quella donna erano troppo insistenti.
- Perdonami – esordì Sakura, torturandosi le mani gelide.
- Non voglio il tuo perdono – rispose Itachi scandendo bene ogni singola parola.
Inconsciamente tirò fuori dalla tasca del giubbotto di pelle nera che indossava il pacchetto di luky strike e vi tirò fuori una sigaretta senza filtro.
- Non sono la dottoressa Haruno – disse Sakura con enfasi, convincendo se stessa – ora sono Sakura, voglio sia chiaro –
Itachi lottò un paio di secondi contro il vento che non gli faceva accendere la sigaretta.
Agli occhi di lei sembrava non avesse ascoltato una parola. Ma lei stessa sapeva che non era così.
Mentre lo guardava in volto pensò ad Ino e si chiese com'era accarezzare quel volto diafano, che fosse come accarezzare le guance di Sasuke? Ma fu un pensiero breve. Voleva mantener fede alla promessa appena fatta a Tsunade. Non. Pensare. Agire.
-
Ho assoluta urgenza di sapere delle cose, non serve che ti dilunghi in particolari... - Sakura si interruppe inspirando il fumo amaro che proveniva dalla sigaretta dell'uomo - … mi bastano dei sì o dei no – concluse abbassando la voce.
Itachi si aspettava anche questa frase. Era un dannato genio ad anticipare le mosse delle persone. Di tutti tranne di suo fratello che dieci anni prima si era presentato a casa sua senza preavviso suonando al campanello con violenza e piombando in casa come un pazzo urlando dove era “papà”, che “cazzo stesse combinando” e “perchè cazzo non tornava mai a casa più nessuno”. Itachi ripercorse mentalmente le risposte che aveva dato a suo fratello: “non abita qui”, “lavoro per lui”, oggi ho il pomeriggio libero”, “credi sia facile? Torno quando posso, semplice”. Se ne erano dette tante per quel giorno, e per i giorni successivi. Poi aveva accompagnato Sasuke a casa di papà. E lì era successo il putiferio.
- Sì, è stato qua dieci anni fa. Ad Agosto, precisamente – disse anticipando la domanda di Sakura che trasalì: era durante le vacanze estive dell'ultimo anno di liceo che Sasuke aveva fatto la sua scomparsa.
- Ah -
Itachi anticipò anche un altra domanda.
- Sì, è tornato due anni dopo -
Itachi ricordava solo che si erano fermati a bere qualcosa ad un bar e Sasuke aveva cominciato a intimargli delle più disparate cose e a sgridarlo in nome di una famiglia mancata. Continuava a dire che loro padre avesse una seconda vita, che fosse un bastardo che pensava solo ai soldi e malmenava i dipendenti. Che lui lo aveva spiato, in quei giorni e nei mesi precedenti, che si era informato. Ovviamente Itachi sapeva certe cose sul conto di Fugaku – intrighi, soldi, donne - ma non aveva alcuna intenzione di dar corda a Sasuke, per lo stesso motivo per cui si trovava a Los Angeles nei paraggi del padre: doveva vigilare. E sapere che Sasuke sapeva gli diede una nausea terribile. Sul conto di suo fratello seppe a stento che aveva cambiato più appartamenti tra New York e Manatthan. Non ci era mai tornato, a Konoha, quel giorno di epifania.
Itachi scosse la testa, mentre raccontava alla donna delle parole di Sasuke in merito a loro padre.
Itachi riprese parola.
- No, non l'ho più visto. So solo che all'epoca era rimasto qui in America -
Sakura ascoltava avidamente, cercando di crearsi immagini, volti, situazioni.
- Razza di pazzo...- sussurrò impulsivamente, premendosi il palmo della mano contro la ampia fronte.
Si concesse di pensare solamente che tutti i discorsi sul conto del padre che Sasuke gli aveva fatto non erano mai stati chiari. Avrebbero potuto aiutarlo. E pensò anche che Sasuke non sarebbe mai andato a nessun funerale. E lei che per un attimo ci aveva quasi creduto...
Pose fine alla riflessione con una smorfia dolorosa che Itachi lesse abilmente.
- E' cocciuto, cieco, istintivo – Itachi chiuse gli occhi – come il padre, d'altronde -
Tra lui e Sakura calò il silenzio.
Non avevano più niente da dirsi, in quel momento.
Sakura si chiuse nelle spalle, non paga. Si limitò solo a chiedere a Itachi se sarebbe tornato presto da Konoha. Questi alzò le spalle, probabilmente – ipotizzò lei – aveva pensato ad Ino Yamanaka per un attimo. Fu lì lì per dirgli qualcosa in merito alla sua migliore amica di un tempo, ma non ebbe nemmeno la forza di mandarla a salutare da parte sua.
Riflessioni più acute erano rimandate alla seduta successiva.
Sakura avrebbe avuto un pensiero in più per il quale non dormire, quello che poi sarebbe stato il suo chiodo fisso: Sasuke Uchiha. America.

**


4 Agosto 1999

-Ma sei pazzo? -
- Lascialo parlare, Naruto -
- Non ho niente da dirvi -
- Tu stai scherzando. Lasceresti i tuoi amici?! -
- E' una ipotesi, sta parlando, sta spiegando...lascialo parlare, avanti -
- Lascia stare, Sakura;e ora basta, non ho più niente da dirvi -
- Promettimi che non dirai più certe baggianate come quella di partire senza di noi e senza sapere se ritornerai... In caso verremo con te, chiaro?!

- Sei un rompiballe -
- Lo so- E tu un dannato depresso -
- Meglio depresso che idiota -
- Avanti voi due...smettetela. Basta Naruto! -

Erano ancora bei tempi, quelli.


**


4 Luglio 1998


Sakura era una ragazza di diciotto anni brillante e nel pieno del suo sviluppo, ogni cosa in lei faceva pensare alla vita, persino quei suoi folti capelli rosa che d'estate teneva raccolti in una lieve coda.
Aveva tutta la vita davanti; ed era lei stessa a dirselo, soprattutto quando se ne stava in piedi accanto all'ombrellone, abbracciata all'asciugamano rosa a succhiarsi le labbra salate ad osservare Sasuke e Naruto venirle incontro dalla riva: il biondo che si sbracciava grondando acqua e il moro che faceva finta di non conoscerlo e la guardava dritta dritta coi suoi occhi scuri nonostante il riflesso del sole di mezzogiorno.
Quell'estate, poi, era particolarmente felice. Come forse non lo era stata mai.
- Sapessi come l'ho stracciato! - esclamò Naruto una volta raggiunto l'ombrellone, buttando sulla sabbia il pallone da pallavolo.
- Gli ho dato questa soddisfazione... - disse Sasuke a bassa voce avvicinandosi a Sakura e toccandole l'asciugamano.
- Asciugati, tieni! – disse lei con enfasi e fece per togliersi l'asciugamano. Ogni volta la stessa storia. Ma si trovò bloccata dalle mani di Sasuke che l'avevano presa per le spalle.
- Non ne ho bisogno, io – gli disse questi, fissandola intensamente mentre la mano destra scivolava su sul collo, sul mento fino a toccarle la guancia di Sakura, ad accarezzarla.
La ragazza rabbrividì. Non ebbe di che dire, davvero. Voleva ricambiare a quella inaspettata carezza ma aveva le mani che tenevano l'asciugamano stretto attorno al suo magro corpo, e poi era senza fiato. Era una tremenda imbranata in questioni amorose.
Lei e Sasuke stavano assieme da più o meno tre mesi eppure ogni minuto era come il primo passato davvero assieme, quella sera di fine aprile quando Sasuke l'aveva di punto in bianco baciata sul pontile di Konoha di fronte ad un Naruto leggermente sbronzo ed allibito.
- Uff...avanti, non potete trattenervi? -
La voce di Naruto arrivò puntualissima a scalfire quel poco spazio d'aria che ormai separava la bocca di Sakura da quella di Sasuke. Sakura si spostò velocissima, Sasuke sbuffò facendo qualche passo e sedendosi sul piccolo sgabello portatile nel punto più ombroso in quel paio metri quadrati occupati dal trio.
Sakura si tolse dal sole che le picchiava bollente in testa e, passando accanto a Sasuke senza guardarlo – era una droga, altrimenti - , cominciò a racapezzare qualche asciugamano e altre cose da spiaggia e a riporre il tutto dentro un borsone.
- Lo porterai tu questo giro, vero Naruto? - domandò al biondo ora tutto intento ad asciugarsi energicamente i capelli, indicandogli la mega borsa rosa.
- Ma scusa non tocca a quello?! - chiese in risposta Naruto indicando un pacifico Sasuke immerso in chissà quale riflessione del momento.
Sakura scosse la testa.
- Ricordi? Lo ha portato una volta in più – disse Sakura in tono prolisso – accidenti, sembra di essere tornati bambini, qui... quando la mamma diceva chi doveva portare cosa – aggiunse, togliendosi una goccia di sudore che le stava rigando la fronte.
Naruto rise.
- D'accordo, però mi prometti che stasera in centro ci compriamo un borsone arancione, ok? -
La guardò con occhi azzurri imploranti.
Sakura sospirò profondamente.
- No. Blu – arrivò una voce esterna.
- No. Arancione, lasciami almeno questa soddisfazione cazzo! -
Naruto puntò i piedi sulla sabbia.
- Ne compro due e bella finita – pose fine alla questione Sakura, stanca di quei battibecchi infantili che però la rendevano comunque felice. Perchè erano parte di loro.
- Direi che è ora di andare a mangiare! - propose Naruto, già bell'e vestito, con la sua classica maglietta arancione e i pantaloncini bianchi.
Stranamente Sasuke fu d'accordo con lui; motivazione? Odiava il sole cocente della mezza.
Naruto caricò il borsone sulle spalle mentre Sasuke tirava prepotentemente a sè Sakura e le sussurrava un “ci liberiamo di lui stasera, vero?” al quale lei rispose tirandogli un gomito nello stomaco ma non negando affatto a parole.
- Ramen oggi! Quello che ho comprato l'altra sera al chiosco... - si beò Naruto anticipando i due fidanzati di almeno due metri, guidato dall'acquolina in bocca e da un amaro buon senso. D'altronde quei due si piacevano alla follia, d'altronde lui voleva troppo bene ad entrambi per rovinare quello che c'era. Se erano felici, era felice anche lui. Anche se avrebbe pagato oro per poter stringere Sakura tra le sue braccia e non lasciarla mai più.


12 luglio 2011

Hinata chiese con voce debole di poter entrare in camera mia bussando leggermente alla porta. Scossi la testa pensando che non era cambiata di una virgola, in quei sei anni,e per un attimo esitai per andare ad aprire, sadicamente e senza un motivo preciso. Così prepotente la sua timidezza, la sua paura di non disturbare. Come potevamo piacergli sia lei che io a Naruto? Io, la rompi scatole, io, la difficile.
Andai ad aprire e la ragazza dagli occhi quasi bianchi mi si presentò davanti con un sorriso imbarazzato ma una strana luce negli occhi. Aveva un'espressione determinata.
- Sakura io devo parlarti – esordì controllando il tremolio della voce.
Annuii grave, potevo immaginare di chi e di che cosa volesse così ardentemente parlarmi e mentre la osservavo sedersi sul letto di fronte alla sedia dove presi posto io provai una remota pulsione di compassione. Credevo di non esserne più capace.
- Ti ascolto – dissi, invitandola a parlare liberamente come sapevo che avrebbe fatto.
In un certo senso mi fece bene
sapere che qualcuno mi prendeva ancora come ascoltatrice o confidente. Mi fece ricordare i tempi del liceo, quando Ino per me – ed io per lei – non aveva segreti.
- Lo so che piombo così improvvisamente e che può risultare strano che io corra da te, però...ne ho bisogno – Hinata cercava di giustificarsi, di dare un perchè alla situazione che si stava creando che a me non sembrò affatto strana: non eravamo due vecchie amiche, in fondo? Tra me e lei le cose erano sempre andate bene, tranquille, niente rapporti
esclusivi, niente interferenze. E sì che io ero tutto ciò che avrebbe sempre voluto essere lei: l'oggetto del desiderio di Naruto.
Non mi aveva mai portato rancore.
- Lo so anche io, ma va bene così –
Hinata portò le mani sulle ginocchia, fissò un punto imprecisato davanti a sé mentre cercava le parole da dirmi, per calibrarle con la sua dolce razionalità.
La ringraziai, in quel momento. Mi donava attenzione cercando attenzione da me.
- Lo sa, Naruto, che ho in matrimonio in ballo? -
Fu più diretta di quanto pensassi.
- Lo sa – risposi subito, non volevo farla aspettare.
Come erano incasinate le vite di noi povere ex bambine di Konoha.
- ...e allora perchè... - la frase morì sul nascere ma io afferrai il suo significato: mi stava cercando di chiedere perchè diamine quello sciocco di Naruto non gliene avesse parlato.
- Se ne sta zitto perchè prima di tutto non vuole farti del male tirando fuori un argomento scottante, sai bene anche tu come è fatto... - asserii senza smettere di fissare Hinata negli immensi occhi chiari - …e poi è uno stupido, ecco tutto -
E una stupida ero io, a pensare a quanto quei due assieme sarebbero stati bene e contemporaneamente a provare una specie di paura al solo pensiero che Naruto sfiorasse Hinata, come se ad un solo tocco io fossi abbandonata.
Stupida Sakura.
- Ma io che potrei dirgli? Non so nemmeno che fare... -
Hinata abbassò leggermente la testa ed una cascata di lunghi capelli neri le ricadde davanti al volto. Aveva la voce roca.
Mi passò per la mente il volto austero di Neji, quel cugino che a prima vista sembrava una persona gelida ma che conoscendolo – l'avevo conosciuto due estati di seguito, ai tempi del liceo, quando da New York dove abitava era venuto in vacanza (e rendersi conto del
mestiere) dagli zii a Konoha per un certo periodo estivo. Mi era sembrata una persona per bene. Daltronde dagli Hyuuga decidevano i grandi, il padre. Visto che la madre di Hinata era morta molti anni prima dando alla luce la sorella minore di Hinata, Hanabi: una ragazzina odiosa agli occhi di molti, tale e quale suo padre, dicevano in giro. Io non la conoscevo, se ne stava per lo più per conto suo. Mi domandai che fine avesse fatto, doveva essere cresciuta.
- Senti, Hinata, posso farti una domanda? - domandai a bruciapelo. Mi stava sulla coscienza una cosa.
- Ssì -

- Neji, ti piace? - buttai lì, scrutando una qualsiasi sua reazione. Ma aveva il volto coperto e potei osservare solo le mani che stringevano la stoffa dei pantaloni.
Ci fu silenzio per un bel po', però non fui pentita. Non avevo nulla da perdere.
- Io... credo di sì – rispose tutto d'un fiato – Non so... - si affrettò ad aggiungere, alzando una mano in aria come a cancellare qualcosa di invisibile.
-
Capisco -
La mia voce uscì assurdamente profonda, mi sentii vecchia.
Eravamo tutti degli sfigati – mi dissi – eravamo tutti dei disadattati che amavano più persone vivendo vite alienate. Non ne era risparmiato neanche Naruto, amato a metà e per ben due volte: da me e dall'angelica ragazza che era di fronte a me.
Non posso dire che mi sentii triste per lui, però provai una tristezza generale, tristezza per me, per Hinata, per Konoha, per la vita di tutti noi.
Non seppi che altro dire.





*The scientist, Coldplay

   
 
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