Buongiorno
gente! ^^ E' con una liberazione di spirito infinita (ho finito gli
esami! =p) che vi annuncio l'ottavo capitolo di “L'ultima estate”.
Ecco l'aggiornamento di una storia in cui sto mettendo una gran
parte della mia anima.
E' una fan fic di quelle “vecchio
stampo”, di quelle che scrivevo qualche tempo fa qua su efp.
Ringrazio ancora con un forte abbraccio le cinque persone
(fondamentali) che hanno recensito lo scorso capitolo e le persone
che hanno questa storia tra le preferite o le seguite.
Spero di
poter sapere che ne pensate di questo aggiornamento.
La trama si
evolverà un poco ;)
L'America...da
sempre terra di libertà, agli occhi di chiunque non ci avesse mai
messo piede.
Anche per me che alla prima occasione presi il primo
aereo e scappai a Los Angeles.
Non è andata come doveva.
Il
passato tornò a perseguitarmi anche nella cosiddetta terra dell'oro.
E il presente... fu talmente tanto duro.
Eppure credo che tornerei
a fare esattamente la stesa scelta: tornerei a prendere il primissimo
aereo per Los Angeles e a scappare.
Vorrei soltanto aver portato
con me qualcuno. A ricordarmi di non fare cavolate, a ricordarmi di
essere quello che sono e non la maschera orribile di me stessa.
Mi
chiedo come i miei colleghi di lavoro e chiunque mi sia stato vicino
nei miei primi anni in città mi abbia potuto sopportare.
Dovevo
essere l'essere umano più odioso sulla faccia della terra.
**
Cap.
8
Come un to meet you tell you I'm sorry*
01 Febbraio 2009
Itachi
Uchiha e Haruno Sakura non riuscivano a guardarsi negli occhi.
Lei
– che indossava un paio di occhiali enormi e scurissimi - guardava
l'orizzonte fumando senza enfasi.
Lui fumava piano e aveva gli
occhi quasi immobili davanti a sé. Sembrava osservasse la ragazza
eppure non lo stava facendo. Non stava guardando niente.
Finirono
le sigarette senza dirsi una parola; ne accesero delle altre fino a
che Sabaku No Gaara – il medico che fino ad allora aveva
sempre portato a termine le operazioni con successo - andò loro
incontro e, lanciato un'intensa occhiata all'uomo dai capelli scuri,
prese Sakura per un braccio e la tirò via.
- Abbiamo fatto tutto
il possibile – disse, irremovibile.
Itachi non rispose né si
mosse dalla sua posizione statuaria. Si limitò a soffiare fuori
dalla bocca il fumo bianco e ad osservarne le forme che
assumeva.
Gaara portò via con sé Sakura, in silenzio.
Avrebbe
voluto allontanarla per sempre da lì.
**
04 Febbraio 2009
Come up to meet you tell you I'm sorry
Il
pomeriggio precedente Sakura Haruno aveva detto a Tsunade che non si
sarebbe presentata al funerale di Fugaku Uchiha e Tsunade non le
aveva risposto alcunchè.
Lo aveva detto anche a Jiraya e questi
aveva sorriso.
Lo aveva infine detto anche a Gaara e questi –
col suo denso silenzio in risposta e gli occhi gelidi pronti a
penetrarle nell'anima – le aveva fatto cambiare idea.
E così
eccola nella cappella dell'ospedale, seduta tra Tsunade e Gaara, a
sforzarsi di tenere la testa alta.
Uchiha Itachi aveva deciso di
fare la prima parte della cerimonia nella cappella dell'ospedale,
prima che il corpo dell'industriale fosse trasferito nella sua
terra d'origine: Konoha.
Sakura stava sì partecipando al funerale
a Los Angeles ma non sarebbe volata a Konoha. Su questo era
irremovibile.
Dal suo posto osservò le spalle magrissime di
Itachi Uchiha seduto accanto al suo amico Kisame nella panca di
fronte a quella riservata ai medici: a lei, a Gaara, a Tsunade, a
Jiraya e a tutti gli altri della squadra. Che aveva fallito.
Tutto
il peso di questo mondo era crollato sulle spalle di Sakura che,
quando l'avevano avvertita nel suo appartamento - l'indomani
dell'intervento di sostituzione della valvola cardiaca – che Fugaku
Uchiha non aveva superato la notte, si era sentita subito
profondamente in colpa. Perchè lei Fugaku credeva di conoscerlo per
via dei racconti di Sasuke e dei pregiudizi del paese, delle persone,
della sua testa, del mondo intero.
Ma non era stata lei a
sbagliare, non era stato nessuno. Semplicemente l'uomo non ce
l'aveva fatta. Si era spento di colpo. Via da questa terra.
Sakura
non credeva nell'al di là. Si chiese se Itachi ci credesse.
“Sasuke”
fu il primo pensiero di Sakura dopo il panico iniziale. Quel
pensiero arrivò di notte. Si chiese se fosse stato avvertito ma tale
domanda non ebbe risposta. O almeno non ancora. Sakura non
aveva domandato nulla a Itachi, in quei giorni di convivenza dottore
– parente in merito a Fugaku. Aveva mantenuto la sua promessa.
-
Sakura... -
La voce stranamente dolce di Tsunade la riportò alla
cerimonia funebre.
- Dimmi –
- Ti ordino di smettere di
pensare -
Tsunade si girò a guardare Sakura con sguardo severo.
Fu una frazione di secondo, poi tornò a fissare la bara scura posta
in cima alla navata principale della cappella.
Imperscrutabile.
Sakura intrecciò le mani e seguì l'ave maria:
il prete stava raccomandando Fugaku alla Madonna.
Ascoltò il
coro di voci – prevalentemente maschili – delle persone presenti
alla cerimonia: pezzi grossi del mercato, colleghi di lavoro di
Uchiha Fugaku, amici stretti, un paio di donne – anche giovani - .
Non tutti erano riusciti ad entrare. Molti aspettavano fuori
dall'ospedale, diverse persone probabilmente le più strette
avrebbero seguito la salma fino a Konoha.
Le voci la
ipnotizzarono. A fine preghiera Sakura non pensò più.
Nel
piazzale antecedente l'ospedale alcuni più stretti colleghi di
lavoro del famoso imprenditore Uchiha circondavano Itachi – il
figlio maggiore - .
Sakura non riusciva a vederlo, per quanto si
sforzasse di intravederne il volto tra una spalla di un uomo e
l'altra.
- Che fai, rimani qui? - le domandò Tsunade comparendole
di fronte apparentemente dal nulla.
Sakura scosse la testa
chiedendosi da dove la donna la tirasse fuori quella forza che in
quel momento emanava. In fondo doveva pur sentirsi almeno delusa
anche lei. Avevano fatto tutto il possibile ma non era bastato.
-
Volevo parlare... - Sakura non terminò la frase osservando
l'espressione rassegnata della bellissima “mamma”.
C'erano
state delle volte, soprattutto nelle prime chiacchierate con “la
mamma dei tirocinanti”, che la donna era riuscita a tirare fuori
diverse cose da Sakura. Era una delle poche – assieme a Jiraya –
a sapere di Sasuke, il minore degli Uchiha che se ne era andato di
casa a diciannove anni per inseguire un fratello ma che, a quanto
pareva, trovarlo - se l'aveva trovato - non gli era stato
sufficiente. Sakura aveva dovuto dire a loro due una parte se non
tutta sua storia, almeno brevemente, se no ne andava del suo lavoro.
Aveva dovuto mettere in chiaro coi suoi capi la posizione in
cui si trovava con Itachi. In fondo l'averlo incontrato l'aveva
destabilizzata non poco, anche se non lo aveva mai dato a
vedere.
C'erano stati dei momenti nei quali Tsunade l'aveva
sostituita nel fare il turno se significava stare sola con Itachi
Uchiha.
Le era grata per questo e le parole sottintese, la
comprensione concreta, senza mielosità.
Ed era grata a Jiraya e
ai suoi sorrisi che in quei mesi le avevano reso in piccola parte
meno pesante la mancanza di Naruto.
- ...vai. E mi raccomando,
dritta al sodo. Guai se dopo domani ti presenti da me senza aver
ricevuto risposte, intesi? -
Tutta quella severità per
mascherare la preoccupazione... Sakura delle volte era esattamente
come lei. Anzi, lo era sempre. Però avrebbe tanto voluto avere il
carisma di Tsunade che era conosciuta in tutto l'ospedale come “la
donna soldato” o la “Bella di ferro” per quella sua
straordinaria bellezza unita ad una rigidità.
- Sissignora -
Si
scambiarono un'occhiata di intesa e riuscirono addirittura a
sorridersi. Dopo di che Sakura si fece strada tra la folla radunata
per l'ultimo saluto a Fugaku e chiedendo permesso agli uomini che
facevano da scudo al suo obiettivo si aprì un varco per arrivare da
Itachi.
Non ebbe tremori di voci allorchè disse che doveva
parlargli in privato.
Itachi acconsentì, si vedeva lontano
un chilometro che se lo aspettava, l'arrivo di Haruno Sakura. Si
vedeva lontano un miglio anche tutta la stanchezza che aveva addosso,
la si evinceva dalle pesanti occhiaie che cerchiavano i suoi occhi
infuocati, dal volto pallidissimo, dai gesti lenti. Nonostante la
stanchezza però ebbe la forza di mandare via gli amici di suo padre
e di rimanere solo con quella donna.
Aveva un bisogno urgente di
andarsene via, sparire, perdere il controllo; ma resistette ancora un
po'. Gli occhi di quella donna erano troppo insistenti.
-
Perdonami – esordì Sakura, torturandosi le mani gelide.
- Non
voglio il tuo perdono – rispose Itachi scandendo bene ogni singola
parola.
Inconsciamente tirò fuori dalla tasca del giubbotto di
pelle nera che indossava il pacchetto di luky strike e vi tirò fuori
una sigaretta senza filtro.
- Non sono la dottoressa Haruno –
disse Sakura con enfasi, convincendo se stessa – ora sono Sakura,
voglio sia chiaro –
Itachi lottò un paio di secondi contro il
vento che non gli faceva accendere la sigaretta.
Agli occhi di lei
sembrava non avesse ascoltato una parola. Ma lei stessa sapeva che
non era così.
Mentre lo guardava in volto pensò ad Ino e si
chiese com'era accarezzare quel volto diafano, che fosse come
accarezzare le guance di Sasuke? Ma fu un pensiero breve. Voleva
mantener fede alla promessa appena fatta a Tsunade. Non. Pensare.
Agire.
- Ho assoluta urgenza di sapere delle cose, non serve
che ti dilunghi in particolari... - Sakura si interruppe inspirando
il fumo amaro che proveniva dalla sigaretta dell'uomo - … mi
bastano dei sì o dei no – concluse abbassando la voce.
Itachi
si aspettava anche questa frase. Era un dannato genio ad anticipare
le mosse delle persone. Di tutti tranne di suo fratello che dieci
anni prima si era presentato a casa sua senza preavviso suonando al
campanello con violenza e piombando in casa come un pazzo urlando
dove era “papà”, che “cazzo stesse combinando” e “perchè
cazzo non tornava mai a casa più nessuno”. Itachi ripercorse
mentalmente le risposte che aveva dato a suo fratello: “non abita
qui”, “lavoro per lui”, oggi ho il pomeriggio libero”, “credi
sia facile? Torno quando posso, semplice”. Se ne erano dette tante
per quel giorno, e per i giorni successivi. Poi aveva accompagnato
Sasuke a casa di papà. E lì era successo il putiferio.
- Sì, è
stato qua dieci anni fa. Ad Agosto, precisamente – disse
anticipando la domanda di Sakura che trasalì: era durante le vacanze
estive dell'ultimo anno di liceo che Sasuke aveva fatto la sua
scomparsa.
- Ah -
Itachi anticipò anche un altra
domanda.
- Sì, è tornato due anni dopo -
Itachi ricordava
solo che si erano fermati a bere qualcosa ad un bar e Sasuke aveva
cominciato a intimargli delle più disparate cose e a sgridarlo in
nome di una famiglia mancata. Continuava a dire che loro padre avesse
una seconda vita, che fosse un bastardo che pensava solo ai soldi e
malmenava i dipendenti. Che lui lo aveva spiato, in quei giorni e nei
mesi precedenti, che si era informato. Ovviamente Itachi sapeva certe
cose sul conto di Fugaku – intrighi, soldi, donne - ma non aveva
alcuna intenzione di dar corda a Sasuke, per lo stesso motivo per
cui si trovava a Los Angeles nei paraggi del padre: doveva vigilare.
E sapere che Sasuke sapeva gli diede una nausea terribile. Sul conto
di suo fratello seppe a stento che aveva cambiato più appartamenti
tra New York e Manatthan. Non ci era mai tornato, a Konoha, quel
giorno di epifania.
Itachi scosse la testa, mentre raccontava alla
donna delle parole di Sasuke in merito a loro padre.
Itachi
riprese parola.
- No, non l'ho più visto. So solo che all'epoca
era rimasto qui in America -
Sakura ascoltava avidamente,
cercando di crearsi immagini, volti, situazioni.
- Razza di
pazzo...- sussurrò impulsivamente, premendosi il palmo della
mano contro la ampia fronte.
Si concesse di pensare solamente che
tutti i discorsi sul conto del padre che Sasuke gli aveva fatto non
erano mai stati chiari. Avrebbero potuto aiutarlo. E pensò anche che
Sasuke non sarebbe mai andato a nessun funerale. E lei che per un
attimo ci aveva quasi creduto...
Pose fine alla riflessione con
una smorfia dolorosa che Itachi lesse abilmente.
- E' cocciuto,
cieco, istintivo – Itachi chiuse gli occhi – come il padre,
d'altronde -
Tra lui e Sakura calò il silenzio.
Non avevano
più niente da dirsi, in quel momento.
Sakura si chiuse nelle
spalle, non paga. Si limitò solo a chiedere a Itachi se sarebbe
tornato presto da Konoha. Questi alzò le spalle, probabilmente –
ipotizzò lei – aveva pensato ad Ino Yamanaka per un attimo. Fu lì
lì per dirgli qualcosa in merito alla sua migliore amica di un
tempo, ma non ebbe nemmeno la forza di mandarla a salutare da parte
sua.
Riflessioni più acute erano rimandate alla seduta
successiva.
Sakura avrebbe avuto un pensiero in più per il
quale non dormire, quello che poi sarebbe stato il suo chiodo fisso:
Sasuke Uchiha. America.
**
4
Agosto 1999
-Ma
sei pazzo? -
- Lascialo parlare, Naruto -
- Non ho niente da
dirvi -
- Tu stai scherzando. Lasceresti i tuoi amici?! -
- E'
una ipotesi, sta parlando, sta spiegando...lascialo parlare, avanti
-
- Lascia stare, Sakura;e ora basta, non ho più niente da dirvi
-
- Promettimi che non dirai più certe baggianate come quella di
partire senza di noi e senza sapere se ritornerai... In caso verremo
con te, chiaro?!
-
Sei un rompiballe -
- Lo so- E tu un dannato depresso -
-
Meglio depresso che idiota -
- Avanti voi due...smettetela. Basta
Naruto! -
Erano ancora bei tempi, quelli.
**
4 Luglio 1998
Sakura
era una ragazza di diciotto anni brillante e nel pieno del suo
sviluppo, ogni cosa in lei faceva pensare alla vita, persino quei
suoi folti capelli rosa che d'estate teneva raccolti in una lieve
coda.
Aveva tutta la vita davanti; ed era lei stessa a dirselo,
soprattutto quando se ne stava in piedi accanto all'ombrellone,
abbracciata all'asciugamano rosa a succhiarsi le labbra salate ad
osservare Sasuke e Naruto venirle incontro dalla riva: il biondo che
si sbracciava grondando acqua e il moro che faceva finta di non
conoscerlo e la guardava dritta dritta coi suoi occhi scuri
nonostante il riflesso del sole di mezzogiorno.
Quell'estate, poi,
era particolarmente felice. Come forse non lo era stata mai.
-
Sapessi come l'ho stracciato! - esclamò Naruto una volta raggiunto
l'ombrellone, buttando sulla sabbia il pallone da pallavolo.
-
Gli ho dato questa soddisfazione... - disse Sasuke a bassa voce
avvicinandosi a Sakura e toccandole l'asciugamano.
- Asciugati,
tieni! – disse lei con enfasi e fece per togliersi l'asciugamano.
Ogni volta la stessa storia. Ma si trovò bloccata dalle mani di
Sasuke che l'avevano presa per le spalle.
- Non ne ho bisogno, io
– gli disse questi, fissandola intensamente mentre la mano destra
scivolava su sul collo, sul mento fino a toccarle la guancia di
Sakura, ad accarezzarla.
La ragazza rabbrividì. Non ebbe di che
dire, davvero. Voleva ricambiare a quella inaspettata carezza ma
aveva le mani che tenevano l'asciugamano stretto attorno al suo magro
corpo, e poi era senza fiato. Era una tremenda imbranata in questioni
amorose.
Lei e Sasuke stavano assieme da più o meno tre
mesi eppure ogni minuto era come il primo passato davvero assieme,
quella sera di fine aprile quando Sasuke l'aveva di punto in bianco
baciata sul pontile di Konoha di fronte ad un Naruto leggermente
sbronzo ed allibito.
- Uff...avanti, non potete
trattenervi? -
La voce di Naruto arrivò puntualissima a scalfire
quel poco spazio d'aria che ormai separava la bocca di Sakura da
quella di Sasuke. Sakura si spostò velocissima, Sasuke sbuffò
facendo qualche passo e sedendosi sul piccolo sgabello portatile nel
punto più ombroso in quel paio metri quadrati occupati dal
trio.
Sakura si tolse dal sole che le picchiava bollente in testa
e, passando accanto a Sasuke senza guardarlo – era una droga,
altrimenti - , cominciò a racapezzare qualche asciugamano e altre
cose da spiaggia e a riporre il tutto dentro un borsone.
- Lo
porterai tu questo giro, vero Naruto? - domandò al biondo ora tutto
intento ad asciugarsi energicamente i capelli, indicandogli la mega
borsa rosa.
- Ma scusa non tocca a quello?! - chiese in
risposta Naruto indicando un pacifico Sasuke immerso in chissà quale
riflessione del momento.
Sakura scosse la testa.
- Ricordi? Lo
ha portato una volta in più – disse Sakura in tono prolisso –
accidenti, sembra di essere tornati bambini, qui... quando la mamma
diceva chi doveva portare cosa – aggiunse, togliendosi una goccia
di sudore che le stava rigando la fronte.
Naruto rise.
-
D'accordo, però mi prometti che stasera in centro ci compriamo un
borsone arancione, ok? -
La guardò con occhi azzurri
imploranti.
Sakura sospirò profondamente.
- No. Blu – arrivò
una voce esterna.
- No. Arancione, lasciami almeno questa
soddisfazione cazzo! -
Naruto puntò i piedi sulla sabbia.
-
Ne compro due e bella finita – pose fine alla questione Sakura,
stanca di quei battibecchi infantili che però la rendevano comunque
felice. Perchè erano parte di loro.
- Direi che è ora di
andare a mangiare! - propose Naruto, già bell'e vestito, con la sua
classica maglietta arancione e i pantaloncini bianchi.
Stranamente
Sasuke fu d'accordo con lui; motivazione? Odiava il sole cocente
della mezza.
Naruto caricò il borsone sulle spalle mentre Sasuke
tirava prepotentemente a sè Sakura e le sussurrava un “ci
liberiamo di lui stasera, vero?” al quale lei rispose tirandogli un
gomito nello stomaco ma non negando affatto a parole.
- Ramen
oggi! Quello che ho comprato l'altra sera al chiosco... - si beò
Naruto anticipando i due fidanzati di almeno due metri,
guidato dall'acquolina in bocca e da un amaro buon senso.
D'altronde quei due si piacevano alla follia, d'altronde lui voleva
troppo bene ad entrambi per rovinare quello che c'era. Se erano
felici, era felice anche lui. Anche se avrebbe pagato oro per poter
stringere Sakura tra le sue braccia e non lasciarla mai più.
12
luglio 2011
Hinata chiese
con voce debole di poter entrare in camera mia bussando leggermente
alla porta. Scossi la testa pensando che non era cambiata di una
virgola, in quei sei anni,e per un attimo esitai per andare ad
aprire, sadicamente e senza un motivo preciso. Così prepotente
la sua timidezza, la sua paura
di non disturbare. Come potevamo piacergli sia lei che io a Naruto?
Io, la rompi scatole, io, la difficile.
Andai ad aprire e la
ragazza dagli occhi quasi bianchi mi si presentò davanti con un
sorriso imbarazzato ma una strana luce negli occhi. Aveva
un'espressione determinata.
- Sakura io devo parlarti – esordì
controllando il tremolio della voce.
Annuii grave, potevo
immaginare di chi e di che cosa volesse così ardentemente parlarmi e
mentre la osservavo sedersi sul letto di fronte alla sedia dove presi
posto io provai una remota pulsione di compassione. Credevo di non
esserne più capace.
- Ti ascolto – dissi, invitandola a parlare
liberamente come sapevo che avrebbe fatto.
In un certo senso mi
fece bene sapere che
qualcuno mi prendeva ancora come ascoltatrice
o confidente. Mi fece ricordare i tempi del liceo, quando Ino per me
– ed io per lei – non aveva segreti.
- Lo so che piombo così
improvvisamente e che può risultare strano che io corra da te,
però...ne ho bisogno – Hinata cercava di giustificarsi, di dare un
perchè alla situazione che si stava creando che a me non sembrò
affatto strana: non eravamo due vecchie amiche, in fondo? Tra me e
lei le cose erano sempre andate bene, tranquille, niente rapporti
esclusivi, niente
interferenze. E sì che io ero tutto ciò che avrebbe sempre voluto
essere lei: l'oggetto del desiderio di Naruto.
Non mi aveva mai
portato rancore.
- Lo so anche io, ma va bene così –
Hinata
portò le mani sulle ginocchia, fissò un punto imprecisato davanti a
sé mentre cercava le parole da dirmi, per calibrarle con la sua
dolce razionalità.
La ringraziai, in quel momento. Mi donava
attenzione cercando attenzione da me.
- Lo sa, Naruto, che ho in
matrimonio in ballo? -
Fu più diretta di quanto pensassi.
-
Lo sa – risposi subito, non volevo farla aspettare.
Come
erano incasinate le vite di noi povere ex bambine di Konoha.
-
...e allora perchè... - la frase morì sul nascere ma io afferrai il
suo significato: mi stava cercando di chiedere perchè diamine quello
sciocco di Naruto non gliene avesse parlato.
- Se ne sta zitto
perchè prima di tutto non vuole farti del male tirando fuori un
argomento scottante, sai bene anche tu come è fatto... - asserii
senza smettere di fissare Hinata negli immensi occhi chiari - …e
poi è uno stupido, ecco tutto -
E una stupida ero io, a pensare
a quanto quei due assieme sarebbero stati bene e contemporaneamente a
provare una specie di paura al solo pensiero che Naruto sfiorasse
Hinata, come se ad un solo tocco io fossi abbandonata.
Stupida
Sakura.
- Ma io che potrei
dirgli? Non so nemmeno che fare... -
Hinata abbassò leggermente
la testa ed una cascata di lunghi capelli neri le ricadde davanti al
volto. Aveva la voce roca.
Mi passò per la mente il volto austero
di Neji, quel cugino che a prima vista sembrava una persona gelida ma
che conoscendolo – l'avevo conosciuto due estati di seguito, ai
tempi del liceo, quando da New York dove abitava era venuto in
vacanza (e rendersi conto del mestiere)
dagli zii a Konoha per un certo periodo estivo. Mi era sembrata una
persona per bene. Daltronde dagli Hyuuga decidevano i grandi, il
padre. Visto che la madre di Hinata era morta molti anni prima dando
alla luce la sorella minore di Hinata, Hanabi: una ragazzina odiosa
agli occhi di molti, tale e quale suo padre, dicevano in giro. Io non
la conoscevo, se ne stava per lo più per conto suo. Mi domandai che
fine avesse fatto, doveva essere cresciuta.
- Senti, Hinata, posso
farti una domanda? - domandai a bruciapelo. Mi stava sulla coscienza
una cosa.
- Ssì -
-
Neji, ti piace? - buttai lì, scrutando una qualsiasi sua reazione.
Ma aveva il volto coperto e potei osservare solo le mani che
stringevano la stoffa dei pantaloni.
Ci fu silenzio per un bel
po', però non fui pentita. Non avevo nulla da perdere.
- Io...
credo di sì – rispose tutto d'un fiato – Non so... - si affrettò
ad aggiungere, alzando una mano in aria come a cancellare qualcosa di
invisibile.
- Capisco
-
La mia voce uscì assurdamente profonda, mi sentii
vecchia.
Eravamo tutti degli sfigati – mi dissi – eravamo
tutti dei disadattati che amavano più persone vivendo vite alienate.
Non ne era risparmiato neanche Naruto, amato a metà e per ben due
volte: da me e dall'angelica ragazza che era di fronte a me.
Non
posso dire che mi sentii triste per lui, però provai una tristezza
generale, tristezza per me, per Hinata, per Konoha, per la vita di
tutti noi.
Non seppi che altro dire.
*The scientist, Coldplay